Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, III/2005

 

Alcune considerazioni sullo strumento del Port State Control tra safety e security *

 

Caterina Montebello **

 

 

1. I limiti del concetto del genuine link e l’importanza del Port State Control (PSC)

L’incapacità di molti registri nazionali di rispondere alle esigenze armatoriali di abbattimento dei costi di gestione ha determinato l’ormai noto ricorso alla c.d. registrazione giuridica di comodo[1]. Si tratta dell’iscrizione delle navi effettuata nei registri di alcuni Stati “ben individuati”, per operare al di fuori di un completo ed efficace controllo pubblico[2] e sottrarsi, così, alla norme fiscali, previdenziali e di sicurezza poste a tutela degli equipaggi e alle norme valutarie in vigore nei loro Paesi. E’ un meccanismo che continua a caratterizzare fortemente la situazione attuale dei trasporti marittimi[3] e che è favorito dagli stessi principi di diritto internazionale in materia, quale il principio della c.d. libertà di immatricolazione[4]. L’ampia discrezionalità che ciascuno Stato ha nel determinare i criteri di attribuzione della nazionalità alle navi attraverso l’iscrizione nei propri registri finisce con il frustrare lo scopo dello stesso principio del genuine link[5] - cioè il legame genuino tra la nave e lo Stato di bandiera, volto ad assicurare maggiormente l’implementazione dei doveri di controllo di quest’ultimo (spesso solo virtuali) -, il cui contenuto resta appunto determinato da ciascuno Stato.

Per far fronte alle inevitabili ripercussioni negative che il massiccio ricorso alla registrazione giuridica di comodo produce sulla sicurezza della navigazione[6] e sulla consistenza delle singole flotte nazionali, si è cercato di introdurre sistemi alternativi di registrazione di navi volti a ridurre i costi sopportati dall’armatore evitando, al contempo, gli aspetti negativi della registrazione di convenienza. Così, accanto ai registri nazionali, si rinvengono i registri delle navi locate a scafo nudo (c.d. bareboat charter registries)[7], i c.d. registri offshore[8] ed, ancora, i registri internazionali (c.d. registri bis) che non hanno costituito quella soluzione sperata al problema dell’esodo verso le bandiere di convenienza. Non è mancata poi la proposta di un registro comunitario, meglio conosciuto come Euros. In particolare, i registri bis (diffusi ormai in molti Paesi europei) sono caratterizzati, come ormai di comune cognizione, da un abbattimento dei costi di gestione (più o meno incisivo a seconda del registro di riferimento[9]) per mantenere e recuperare la consistenza della propria flotta e di tutta l’economia che gravita intorno ad essa (assicurazioni, brokers, banche, cantieri navali, etc.), garantendo, al tempo stesso, il rispetto degli standard internazionali di sicurezza. L’Italia è stata uno degli ultimi paesi ad istituire il Registro internazionale per la registrazione delle navi adibite, appunto, ai traffici commerciali internazionali[10]. Invero, gli strumenti introdotti in materia fiscale e finanziaria non si sono dimostrati sufficientemente incisivi per rendere la flotta italiana veramente competitiva[11]. Ed inoltre, l’esclusione dall’ambito di applicazione del registro internazionale delle navi adibite al cabotaggio, consentita negli altri registri bis, ha creato notevoli sperequazioni di trattamento tra armatori italiani e altri armatori comunitari (soprattutto nell’ottica di sviluppo delle autostrade del mare, nel quadro delle politiche comunitarie dei trasporti e della rete transeuropea dei trasporti[12]). La recente introduzione della c.d. tonnage tax[13] e i recenti correttivi apportati alla legge istitutiva del registro bis, che hanno esteso a determinate condizioni i benefici riconosciuti da tale normativa ad alcune navi operanti nell’ambito del cabotaggio[14], contribuiranno sicuramente a rafforzare la competitività della flotta italiana. In dottrina, si auspica l’estensione a tutte le navi cabotiere della possibilità di iscriversi nel registro bis[15], restando in tal caso da interrogarsi sugli eventuali margini residuali di applicazione dei registri nazionali.

Al di là di questi aspetti, che richiederebbero ben più approfondita disamina, si vuole qui sottolineare come tali sistemi alternativi di registrazione non abbiano risolto il problema delle navi sub-standard battenti bandiera di convenienza.

Così - a fronte dei limiti del genuine link e della carenza dei controlli dei maggiori Stati di bandiera (almeno in termini di tonnellaggio registrato), nonché delle società di classificazione[16] -, è emersa l’esigenza di potenziare i controlli dello Stato del porto (il c.d. Port State Control), oltre che dello Stato costiero, per meglio garantire la tutela della sicurezza della navigazione e dell’ambiente marino[17]. A tal fine, si è diffuso il ricorso a strumenti internazionali di cooperazione regionale, sia per “comodità geografica” sia per meglio garantire lo scambio di informazioni attraverso appositi sistemi informativi. In tale contesto, l’esempio, forse, più significativo è dato dal c.d. Paris MoU[18], con cui un cospicuo numero di Stati (non solo europei) si impegna ad applicare le previsioni del Memorandum e dei suoi Annessi che ne costituiscono parte integrante e, in particolare, ad effettuare un numero annuale di ispezioni pari al 25% del numero medio annuo delle singole navi straniere approdate nei propri porti, calcolato in base agli ultimi tre anni civili per i quali sono disponibili statistiche. Ciò al fine di assicurare che, senza alcuna discriminazione riguardante la bandiera, le navi straniere che approdano nei porti di tali Stati, osservino gli standard dettati dai principali strumenti internazionali (relevant instruments) indicati dalla sezione 2 del MOU a tutela della sicurezza marittima[19].

Il controllo comporta l’espletamento di determinate procedure di ispezione che si distinguono in: a) un’ispezione iniziale (che comporta la visione dei documenti e certificati elencati nella sezione 2 dell’Annesso I); b) un’ispezione dettagliata cui si procede qualora ricorrano “fondati motivi” elencati a titolo esemplificativo dalla sez. IV dell’Annesso I e che comporta complesse verifiche tecniche; c) un’ispezione estesa per determinate tipologie di navi. Si tratta di misure che non solo si applicano nei confronti di tutte le navi, indipendentemente dalla bandiera, ma che anzi riguardano maggiormente proprio quelle navi che debbano ritenersi più a rischio, sia per tipologia che per performance di bandiera. Peraltro, questo sistema di controlli dello Stato di approdo ha determinato l’elaborazione di tre liste (black, grey and white lists) in cui vengono inseriti gli Stati di bandiera, a seconda delle ispezioni cui sono state sottoposte le loro navi e le detenzioni subite[20]. Si vuole, comunque, precisare che il complesso sistema del PSC, che si cercherà di delineare meglio attraverso l’esame della normativa comunitaria, costituisce in ogni caso uno strumento supplementare che non trasferisce allo Stato del porto le responsabilità degli Stati di bandiera che restano gli attori principali nel garantire l’applicazione della normativa sulla sicurezza della navigazione, come previsto dalla stessa Convenzione di Montego Bay (art. 94).

 

2. Lo strumento internazionale del Port State Control (PSC) nella normativa comunitaria

L’applicazione del PSC ha sicuramente sortito effetti positivi e l’esperienza acquisita nel tempo ha indotto la Comunità Europea ad introdurre, nel più ampio quadro del Paris MoU, un’apposita normativa volta ad introdurre procedure uniformi di ispezione e di fermo per garantire un livello costante di efficienza in tutti i porti ed evitare, al contempo, effetti distorsivi della concorrenza, attraverso l’insorgere di “porti di comodo”, in cui il controllo non venga effettuato o venga effettuato in maniera compiacente[21]. Si tratta della direttiva 95/21/CE del Consiglio del 19 giugno relativa al controllo delle navi da parte dello Stato di approdo (nel suo nuovo titolo[22]), più volte modificata per rendere sempre più efficace il PSC nei porti comunitari[23]. Più recentemente, significative modifiche sono state apportate dalla direttiva 2001/106/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 dicembre 2001[24] (oltre che dalla direttiva 2002/84/CE), tanto da comportare nel nostro Paese l’adozione di un nuovo regolamento di recepimento (D.M. 13 ottobre n. 305) che abroga il precedente decreto n. 432 del 19 aprile 2000 di recepimento della direttiva 95/21/CE[25].

Nel cercare di delineare, seppure nei tratti principali, le procedure di PSC, così come disciplinate dalla direttiva 95/21/CE come da ultimo modificata, vorrei procedere rilevando, dapprima, l’ampia portata dell’obiettivo che tale normativa si prefigge nell’art. 1: “contribuire a ridurre drasticamente il trasporto marittimo al di sotto delle norme nelle acque soggette alla giurisdizione degli Stati membri: - migliorando l’osservanza della legislazione internazionale e comunitaria pertinente in materia di sicurezza marittima, tutela dell’ambiente marino e condizioni di vita e di lavoro a bordo delle navi battenti tutte le bandiere; - definendo criteri comuni per il controllo delle navi da parte degli Stati di approdo e armonizzando le procedure di ispezione e fermo, tenendo in debito conto gli impegni assunti dalle autorità marittime degli Stati membri firmatari del protocollo di intesa di Parigi sul controllo da parte dello Stato di approdo (MoU)”.

La legislazione internazionale cui la norma fa riferimento e di cui si vuole migliorare l’osservanza da parte delle navi e dei relativi equipaggi è data, com’è noto, da un corposo numero di convenzioni richiamate nell’art. 2[26] (e relativi protocolli, successivi emendamenti e codici obbligatori “di volta in volta in vigore”[27]) volte a garantire la sicurezza della navigazione (nella sua tradizionale e consolidata accezione di safety) e che si traduce in un altrettanto cospicuo numero di certificati e documenti[28] da controllare nel corso dell’ispezione “iniziale” di cui all’art. 6, par. 1, della direttiva. La normativa comunitaria, in conformità al Paris MoU, prevede poi un’ispezione più dettagliata (secondo le procedure e gli orientamenti di cui all’Allegato IV) quando, a seguito della prima ispezione, l’ispettore consideri la sussistenza di “fondati motivi”[29] per ritenere che per le condizioni della nave, delle relative dotazioni o dell’equipaggio non ricorrano sostanzialmente i pertinenti requisiti di una Convenzione (art. 6, par. 2-3). Ancora è prevista un’ispezione estesa per determinate categorie di navi indicate dall’Allegato V sez. A della direttiva comunitaria, come da ultimo modificata, e secondo le procedure indicate dalla sez. C dello stesso Allegato (art. 7). Complessivamente, l’art. 5 della direttiva 95/21/CE prevede un impegno di ispezioni, incluse adesso anche quelle estese, pari ad almeno il 25% del numero medio annuo delle singole navi approdate nei suoi porti calcolato in base agli ultimi tre anni civili per i quali sono disponibili statistiche. La selezione delle navi da sottoporre ad ispezione è basata su un ordine di priorità determinato sull’indice di rischio che la nave presenta nel sistema informativo Sirenac[30] (art. 5, par. 2, lett. b). La Commissione, constatando come la soglia del 25% di ispezioni non sempre risulti rispettata da numerosi Stati membri, nonché un’applicazione non soddisfacente del sistema di priorità indicato nella normativa, ha proposto le modifiche (poi introdotte, come già detto, con la direttiva 2001/106/CE) volte a rendere obbligatorie le ispezioni su qualsiasi nave con un indice di rischio indicato dal SIRENAC superiore a 50 che non sia stata ispezionata nel corso del mese precedente (art. 5, par. 2, lett. a). Sono state rese, altresì, obbligatorie le ispezioni estese (prima facoltative sulla base dei “fondati motivi”) per le navi indicate nell’Allegato V sez. A (navi passeggeri, petroliere, portarinfusa, chimichiere e gasiere i cui requisiti costruttivi e di età siano quelli indicati dallo stesso Allegato V sez. A), qualora non siano state sottoposte a visita estesa da oltre un anno ed abbiano un fattore di priorità pari o superiore a 7 (art. 7, par. 4).

Quanto alle misure da prendere nel caso in cui un’ispezione estesa o dettagliata rilevi o confermi delle carenze - ed al di là del mero accertamento che tali carenze siano corrette secondo le convenzioni - è previsto il fermo della nave o l’interruzione dell’operazione per le quali sono emerse determinate carenze, secondo una valutazione discrezionale da effettuarsi applicando i criteri di cui all’Allegato VI, fino all’eliminazione del pericolo. E’, tuttavia, previsto il fermo obbligatorio qualora la nave non sia equipaggiata con dispositivi di registrazione dei dati di navigazione (Vdr), quando il loro uso è prescritto dall’Allegato XII, a meno che questa carenza non possa essere prontamente corretta presso il porto dove è stato disposto il fermo (art. 9, par. 3) Altra ipotesi di fermo è quella di cui all’art. 9 bis in caso di assenza dei certificati ISM, che può però essere revocato dall’autorità competente, per evitare la congestione del porto solo, qualora dall’ispezione non risultino altre carenze che giustifichino un fermo e informandone immediatamente le autorità competenti degli altri Stati membri (art. 9 bis, par. 2).

Ancora, la novella del 2001 - nell’intento di rafforzare l’azione nei confronti di quegli Stati di bandiera e società di classificazione che contribuiscono a mettere in pericolo la sicurezza della navigazione e l’ambiente marino - ha introdotto un apposito articolo (art. 7 ter) dedicato al rifiuto di accesso ai suoi porti da parte di uno Stato membro delle navi sottoposte a detenzioni multiple (navi oggetto di un provvedimento di fermo più di due volte nei 24 mesi precedenti in un porto di uno Stato firmatario del MoU e che battono bandiera di uno Stato che figura nella lista nera pubblicata nel rapporto annuale del MoU; navi oggetto di fermo più di una volta nei 36 mesi precedenti in un porto di uno Stato firmatario del MoU e battono bandiera di uno Stato designato “ad altissimo rischio” o “ad alto rischio” nella lista nera pubblicata nel rapporto annuale previsto dal MoU). Altri casi di rifiuto di accesso erano già previsti dagli artt. 9 bis e 11, par. 4, della direttiva 95/21/CE, cioè per le navi che eludono il fermo o che non raggiungono il cantiere navale per le riparazioni e per le navi non provviste di certificato ISM autorizzate a lasciare il precedente porto di approdo nel caso di cui all’art. 9 bis, par. 2 sopra citato.

Da questa breve disamina emerge, evidentemente, un aumento complessivo degli impegni di ispezione, ma anche la complessità, soprattutto tecnica, delle relative procedure che rendono fondamentale l’aspetto della qualificazione professionale degli ispettori autorizzati (PSCO). Il nuovo art. 4 della direttiva specifica, in tal senso, che le autorità marittime nazionali (cioè gli organismi di ispezione) devono essere dotate di “un organico adeguato e di ispettori qualificati”, i cui profili professionali sono individuati dall’art. 12 secondo i requisiti di cui all’Allegato VII. Ancora, per un’efficace applicazione delle misure di controllo, la normativa comunitaria pone l’accento sulla necessità di rafforzare sia la cooperazione tra le autorità competenti nello scambio delle informazioni sia il collegamento operativo tra queste e il sistema informativo Sirenac, la Commissione europea e il sistema Equasis[31] (art. 14), oltre a garantire la pubblicazione delle notizie di cui all’Allegato VIII, parte I, relative alle navi fermate alle quali sia stato rifiutato l’accesso in un porto, con cadenza quanto meno mensile (art. 15, par. 1). Pare rilevante notare che il novellato paragrafo 2 di tale ultima norma preveda in ogni caso la pubblicazione, tramite il sistema Sirenac ed Equasis, non solo delle informazioni dell’Allegato VIII, I e II ma anche di quelle sulle modifiche, sospensioni o revoca della classe di cui all’art. 15, par. 3 della direttiva 94/57/CE relativa alle disposizioni e alle norme comuni per gli organi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo sulle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni[32].

 

3. Port State Control e controlli di security

L’esigenza di assicurare la sicurezza marittima (nella sua più recente accezione di security) dinanzi alle gravi minacce di azioni illecite internazionali e, in particolare, di atti di terrorismo si è tradotta, come ormai noto, in un complesso sistema di protezione basato su un sistema di gestione della sicurezza tra nave e impianto portuale (inteso come interfaccia nave/porto) e sulla previsione di apposite misure preventive. Mi riferisco ai recenti emendamenti alla Convenzione SOLAS adottati il 12 dicembre 2002 dalla Conferenza diplomatica dell’IMO e, in particolare alla nuova normativa introdotta con il Capitolo XI.2 relativo alle misure speciali per migliorare la sicurezza marittima e con l’allegato Codice internazionale per la sicurezza delle navi e degli impianti portuali (codice ISPS)[33].

Non si intende in questa sede esaminare la complessa normativa sulla security marittima, se non per richiamare gli aspetti riguardanti il controllo sull’osservanza delle norme di security (di cui alla regola 9, Cap. XI-2 SOLAS) e, in particolare, il controllo delle navi nel porto (regola 9, par. 1 e 2), rilevando fin da adesso come tale controllo non rientri in un unico e più ampio concetto di PSC di cui alla regola n. 19 del Cap. I, che resta invece riferito esclusivamente alla safety (come di recente precisato sia in sede IMO che in sede MoU). 

Emerge, dunque, una seconda tipologia di competenza riguardante la security e facente capo ad un’apposita autorità competente che può anche coincidere con l’autorità marittima competente per il PSC, come accade in molti Paesi, tra cui l’Italia. L’autorità designata è, infatti, il capo del compartimento che esercita tali poteri attraverso funzionari qualificati, i c.d. duly authorised officers – DAO, appositamente autorizzati Comando Generale delle C.P.[34].

Il sistema di controllo di security delle navi nel porto è anch’esso basato su “fondati motivi”.  In sintesi, è prevista un’ispezione iniziale limitata alla verifica che a bordo della nave vi sia un certificato internazionale di sicurezza della nave (ISSC) o un certificato provvisorio di sicurezza della nave (IISSC) in corso di validità rilasciato a norma delle disposizioni della Parte A del Codice ISPS. Tale ispezione iniziale può essere svolta dagli stessi funzionari che effettuano il PSC di cui alla regola 19 Cap. I SOLAS (in tal senso, il Paris MoU, come da ultimo modificato nel maggio 2004, include tra i certificati da esaminare nell’ispezione iniziale anche l’ISSC).

Qualora esistano fondati motivi[35] per ritenere che la nave non soddisfi i requisiti prescritti dallo stesso Capitolo XI.2 o della parte A del Codice ISPS, è  prevista l’adozione da parte dei funzionari DAO di ulteriori misure di controllo quali l’ispezione, il ritardo o la detenzione della nave, le restrizioni di operazioni, ivi compreso il movimento della nave nel porto, ovvero la sua espulsione, oltre, in aggiunta o in alternativa, altre misure correttive o di minore impatto.

Anche il recente regolamento n. 725/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 relativo al miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali[36] richiama quanto disposto dalla regola 9 Cap. XI-2 SOLAS nel prevedere che il controllo del certificato ISSC può anche essere compiuto dagli ispettori di safety di cui alla direttiva 95/21/CE come da ultimo modificata, precisando che “quando il funzionario che effettua il controllo del certificato di cui al paragrafo 1 abbia seri motivi per ritenere che la nave non possiede i requisiti prescritti dalle misure speciali per migliorare la sicurezza marittima della Convenzione SOLAS e del Codice ISPS, ma non faccia capo ad un’autorità che in detto Stato membro è responsabile per l’esecuzione delle misure di cui ai paragrafi 1.2 e 1.3 della Regola 9 delle misure speciali per migliorare la sicurezza marittima della Convenzione SOLAS, ne fa immediatamente rapporto alla suddetta autorità di sicurezza”. Esigenze di chiarezza hanno poi determinato l’adozione da parte del Segretariato del MoU di un’apposita istruzione (37/2004/10) volta appunto a chiarire in tal senso il rapporto tra PSC e security.

Emerge, in conclusione, un intersecarsi di controlli che rende fondamentale il coordinamento dei controlli di safety e security ed un’effettiva collaborazione tra gli ispettori che li eseguono, soprattutto laddove le autorità competenti siano diverse. Ciò sia per evitare decisioni contrastanti che vanifichino gli stessi obiettivi di tutela della sicurezza che esse perseguono[37] - considerando peraltro che le esigenze di safety tendono a prevalere -, sia per evitare duplicazioni nei provvedimenti ed assicurare così la basilare esigenza di celerità dei traffici.  


* Il presente scritto è destinato agli Scritti in memoria di Elio Fanara e risulta aggiornato al giugno 2005.

** Assegnista di ricerca presso la Facoltà di Economia di Palermo.

[1] In materia, v. tra gli altri Lauria, Bandiere ombra e situazioni giuridiche di comodo, in Trasp., 1977, 83; Zunarelli, Le bandiere di convenienza e l’evolversi dei principi di libertà di navigazione e di commercio marittimo, in Dir. mar. 1980, 457; Manfrini, Il traffico marittimo nel diritto comunitario, Torino, 1994, 13; Li - Wonham, Registration of Vessels, in IJMCL, 1999, 139; Loffreda, Il registro internazionale italiano: luci e ombre, in Dir. trasp., 1999, 51.

[2] ZUNARELLI, Le bandiere di convenienza, cit., 457.

[3] Sulla forza della posizione giuridica assunta dai registri di convenienza, si consideri il parere espresso dalla Corte Internazionale di Giustizia, su richiesta dell’Assemblea dell’IMCO (ora IMO), circa la conformità o meno all’art. 28 lett. a) della Convenzione istitutiva dell’IMCO, della mancata elezione di Panama e Liberia al Comitato per la sicurezza marittima. In base a tale articolo, tale Comitato doveva essere formato da “the largest ship-owning nations”, tuttavia la Corte affermò la non praticabilità del criterio dell’effettiva proprietà del naviglio – proposto da molti Paesi – ed accolse come unico criterio discretivo quello del registered tonnage e ritenne il Panama e la Liberia legittimate ad essere rappresentate nel Comitato per la sicurezza marittima. Per un esame della sentenza, v. Monaco, Nota sulla composizione del Comitato della sicurezza marittima dell’IMCO, in Riv. dir. int., 1960, 679.

[4] Si tratta di una regola consolidata di diritto internazionale generale riconosciuta nel 1905 dalla Corte Permanente di Arbitrato e seguita, anche, dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, codificata poi nella Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 1958 (art. 5) e nella Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982 (art. 91).

[5] Una prima affermazione di tale principio, ma in una causa concernente problemi di cittadinanza di persone fisiche, venne dalla Corte Internazionale di Giustizia nel caso Liechtenstein c. Guatemala, sentenza del 6 aprile 1955, in Reports, 1955, 4 ss., codificato poi in modo espresso nella Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982 (artt. 91 e 94) che segue l’impostazione della Convenzione di Ginevra. Sul genuine link, come “rapporto in virtù del quale lo Stato deve essere in grado di esercitare la propria autorità”, v. Carbone, Legge della bandiera e ordinamento italiano, Milano, 1970, 19 e bibliografia ivi richiamata. V., più di recente,  Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare, 1° luglio 1999, sentenza nell’affare della M/V <<Saiga>> (Saint Vincent e Grenadine c. Guinea), in Riv. dir. int., 2/2000, p. 508 ss. che precisa, appunto, che nel richiedere un legame effettivo tra nave e Stato di bandiera si persegue il fine di assicurare un’attuazione più effettiva degli obblighi dello Stato di nazionalità della nave, non quello di stabilire criteri in base ai quali altri Stati possano contestare la validità di registrazione di una nave nello Stato di bandiera. Ne ha avuto, fino a questo momento, successo il tentativo, peraltro relativo, di stringere i freni con la Convenzione di Ginevra sulle condizioni per l’iscrizione delle navi del 7 febbraio 1986 che non ha ottenuto il necessario successo di ratifiche per entrare in vigore e che lasciava in ogni caso agli Stati un ampio margine di discrezionalità; sul punto v. Comenale Pinto, Il diritto uniforme e comunitario per la sicurezza dei trasporti marittimi con riguardo all’allargamento dell’Unione Europea, in http://www.dirittoestoria.it, 3/2004 e in Aa.Vv., La sicurezza marittima – un impegno comune, Taranto 2005, 321 ss., con riferimento alla politica di ammissione nei propri registri di alcuni dei nuovi Stati membri dell’UE (per esempio, Malta e Cipro) caratterizzata da maglie alquanto larghe.  In generale sulla Convenzione di Ginevra del 1986, v. McConnel, Business as Usual: An Evaluation of 1986 UN Convention on Conditions for Registration of Ships, in JMLC, 1987, 435; Egiyan, The Principle of Genuine Link and the 1986 UN Convention of Registration of Ships, in Mar. Pol., 1988, 314 ss.; Righetti, Bandiere di convenienza: pregi e difetti del progetto UNCTAD sull’immatricolazione delle navi, in Dir. Mar., 1984, 46; Manfrini, Il traffico marittimo nel diritto comunitario, cit., 18.

[6] Su tale aspetto e senza alcuna pretesa di esaustività, si richiama, in dottrina, Pescatore, Problemi giuridici attuali della sicurezza della navigazione, in Riv. dir. nav., 1963, I, 148; Righetti, Sicurezza della navigazione marittima, in Noviss. dig.  it., XVII/1967, 291; Leanza, Le Convenzioni internazionali in materia di sicurezza marittima, in Studi mar., 12/1981, 81; Righetti, Sicurezza della navigazione marittima, in Noviss. dig.  it., App. VII/1987, 208 ss.; Turco Bulgherini, Sicurezza della navigazione, in Enc. dir. XLII/1990, 461; Grigoli, Il problema della sicurezza nella sfera nautica - La sicurezza dei beni prodromici dell’esercizio nautico, I, Milano, 1989; Id., Il problema della sicurezza nella sfera nautica - La sicurezza dell’esercizio nautico, II, Milano, 1990; Corbino, Sicurezza della navigazione marittima, in Dig. comm., XIII/1996, 409; Arroyo, Problemi giuridici relativi alla sicurezza della navigazione marittima (con particolare riferimento al caso Prestige), in Dir. mar., 2003, 1193.

[7] Esistente fin dal periodo della prima guerra mondiale, la c.d. bareboat charter registration (detta anche registrazione parallela) è stata rivaluta dalla seconda metà degli anni ‘50, in uno sviluppo strettamente connesso con quello dei registri di comodo. La bareboat charter registration consente – almeno parzialmente – di frenare l’esodo delle flotte dei Paesi industrializzati dai registri d’origine e permette al proprietario del veicolo di gestire lo stesso sotto altra bandiera, pur permanendo la proprietà nel Paese d’origine. E’ noto, infatti, che la proprietà della nave permane in capo al soggetto al quale è riferita l’iscrizione nel registro di base; tuttavia in seguito alla locazione a scafo nudo della nave stessa ad un soggetto straniero (flagging out), lo status derivante dall’iscrizione di base diviene provvisoriamente inefficace (quanto allo stesso diritto di usare la bandiera) e la nave viene temporaneamente iscritta nel registro speciale delle navi locate dello Stato straniero cui il conduttore appartiene, con il contestuale diritto di battere temporaneamente la bandiera di quello Stato (flagging in). In Italia, l’istituto giuridico della bareboat charter registration è stato introdotto con la legge n. 234 del 14 giugno 1989, producendo effetti ritenuti per lo più positivi, anche se la coesistenza della registrazione parallela durante il periodo di flagging-in o flagging out può far sorgere problemi di diritto internazionale privato, in ordine alla legge da applicare alla nave. Cfr. Caliendo, Osservazioni in tema di <<bareboat charter registration>>, nazionalità e bandiera della nave nella l. 14 giugno 1989 n. 234, in Dir. mar., 1989, 379; Berlingieri, The New Italian Law on Temporary Registration of Bareboat Chartered Vessels, in JMLC, 1990, 199; Pescatore, Locazione di nave a scafo nudo e iscrizione nei registri <<speciali>>, in Foro it., 1992, V, 185; v., anche,  Polic Curlic, Registration of ships under bareboat charter with particular reference to dual registration, in Dir. mar., 1989, 415;  Emery, Provisional registration as an end in itself, in Lloyd’s List, 4 gennaio 1995; Ward, World Ship Register, (Lloyd’s List Special Report), in Lloyd’s List, 27 marzo, 1996. Per un’attenta disamina, v. Sisto-Valenti, L’internazionalizzazione della flotta mercantile italiana, cit., 925 ss.

[8] Si tratta di registri detti anche secondari, caratterizzati da un elevato grado di flessibilità per quanto riguarda le condizioni occupazionali dell'equipaggio. Esempi di questo tipo di registro navale sono quelli delle Isole Bermuda, delle Isole Cayman e dell'Isola di Man per il Regno Unito, delle Isole Kerguelen per la Francia, delle Antille olandesi per i Paesi Bassi, del Lussemburgo per il Belgio e delle Isole Faer Øer per la Danimarca.

[9] Tra i registri bis più competitivi si segnalano il Registro Internazionale di Madeira (MAR), istituito in Portogallo con d.l. n. 96/89 del 28 marzo 1989 e, ancora, il Registro Especial delle Canarie. Su quest'ultimo registro v., V. Morral, Creación de un Registro de buques en Canarias, in An. Der. Mar., 1993, 970; Arroyo, Compendio de Derecho Marítimo, Madrid, 2002, 120. Si consenta, altresì, un rinvio a Montebello, Bandiere di convenienza, sistemi di registrazione alternativi e Port State Control, in Trasp., n. 85/2001, 165 ss. V., anche, Monzani, Proposte per l’istituzione di un registro internazionale in Francia, in Dir. mar., 2004, 318 ss.

[10] V. d.lgs. 30 dicembre 1997 n. 457 convertito in legge 27 febbraio 1998 n. 30. Per un ampio esame dell’intera materia trattata nella legge, v. Berlingieri, Istituzione del registro internazionale e nuove norme in tema di requisiti di nazionalità e dismissione della bandiera, in Dir. mar., 1998, 529.

[11] Loffreda, Il registro internazionale italiano, cit., 1999, 52 ss..

[12] In tal senso, v. Boi, Autostrade del mare e problematiche giuridiche, in Dir. mar., 2004, 1593 ss.

[13] Si tratta di un regime impositivo forfetario basato sul tonnellaggio, già adottato da molti paesi europei, introdotto in Italia con d.lgs. n. 344 del 27 novembre 2003 e caldeggiato in sede comunitaria. Su tali aspetti, v. Boi, Armamento italiano e tonnage tax, in Dir. mar., 2004, 659 ss.

[14] Parziali deroghe al divieto di cabotaggio sono state introdotte, attraverso una serie di interventi normativi, piuttosto frammentari, susseguitesi nel tempo (v. art. 9, co. 5, l. n. 522/1999; art. 80, co. 44, l. n. 289/2002 e art. 39, co. 14 bis, l. n. 326/2003), con riferimento, in particolare, alle navi da carico di oltre 650 tonnellate di stazza lorda e nei limiti di un viaggio di cabotaggio mensile quando il viaggio di cabotaggio segua o preceda un viaggio in provenienza o diretto verso un altro Stato, qualora si tratti di navi provenienti da registri esteri o di nuova costruzione (la norma fa riferimento ai criteri di cui all'art. 2, comma 1, lettere b e c); ancora, il servizio di cabotaggio è consentito nel limite massimo di sei viaggi mensili o viaggi ciascuno con percorrenza superiore alle cento miglia marine, qualora tali unità derivino dalle matricole (il riferimento è ai criteri all'art. 2, comma 1, lettera a), e comma 1-bis). Si segnala, altresì, la l. n. 172/2003 recante “Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico” che all’art. 3, co. 1, prevede che “possono essere iscritte nel Registro internazionale di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, e successive modificazioni, ed essere assoggettate alla relativa disciplina, le navi con scafo di lunghezza superiore a 24 metri e comunque di stazza lorda non superiore alle 1.000 tonnellate, adibite in navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche”. Ancora, il comma 5 della stessa norma precisa che “alle navi di cui al comma 1 non si applica la limitazione concernente i servizi di cabotaggio disposta dall'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, e successive modificazioni”.  Su tale ultimo aspetto e sui dubbi applicativi che la norma da ultimo richiamata solleva, v. Abbate,  Alcune osservazioni sulla legge 8 luglio 2003, N. 172, “Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico”, in Dir. mar., 2004, 1144 ss.

[15] Così, Boi, Autostrade del mare, cit., 1593.

[16]Sul tema, v., tra gli altri, Camarda, Natura e responsabilità delle società di classificazione, in Mare, porti e reti infrastrutturali: per una nuova politica dei trasporti (Atti del Convegno CUST – Acireale, 27/31 agosto 2001), Messina, 2002, 339 ss.; Comenale Pinto, La responsabilità delle società di classificazione di navi,in Dir. mar., 2003, 3 ss.; Cossu, Competenza giurisdizionale e responsabilità delle società di classificazione di navi, in Dir. trasp., 2004, 838 ss..

[17] Sul punto v. Hare, Flag, Coastal & Port State Control, in Sea Changes, 16/1994, 57; Clarke, Port State Control or Sub-Standard Ships: Who is to Blame? What is to Cure?, in LMLCQ, 1994, 202. V. anche, Grigoli, Profili attuativi della politica di sicurezza marittima della Comunità europea, in Dir. mar., 1997, 717 ss.

[18] Si tratta del Paris Memorandum of Understanding on Port State Control firmato nel 1982 da quattordici Stati europei ed esteso adesso a venti Amministrazioni marittime. Si segnalano ancora il Memorandum of Understanding on Port State Control in the Asian Pacific Region (c.d. Tokio-MoU), in cui il Paris MoU ha lo status di Osservatore, così come l’Indian Ocean MoU e, ancora, il Black Sea MoU. Più recente è il Regional Memorandum of Understanding on Port State Control for the Mediterranean Countries firmato a Malta nel 1997.

[19] Si richiamano, in particolare la Convenzione internazionale sulla linea di carico del 1966 (Load Lines 1966) e il relativo Protocollo del 1988 (LL PROT 88); la Convenzione internazionale sulla salvaguardia della vita umana in mare del 1974 (SOLAS 74) e il relativo Protocollo del 1978 (SOLAS PROT 78); la Convenzione internazionale sulla prevenzione dall’inquinamento da navi del 1973, come modificata con il Protocollo del 1978 (MARPOL 73/78); la Convenzione internazionale sugli standard di addestramento, abilitazione e tenuta della guardia per i marittimi del 1978 (STCW 78); la Convenzione sulle regole internazionali per prevenire gli abbordi in mare del 1972 (CORLEG 72); la Convenzione internazionale sulla stazzatura delle navi del 1969 (TONNAGE 69); la Convenzione ILO n. 147 del 1976 sulle norme minime da osservare sulle navi mercantili del 1976 (ILO 147) ed il relativo Protocollo del 1996 (ILO 147 PROT 96); la Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per danni da inquinamento da idrocarburi, 1992 (CLC 92).

[20] V. Pollastrini, Le bandiere ombra come minaccia alla “security”, in Aa.Vv., Sicurezza marittima – un impegno comune, cit., 142 ss.

[21] In tal senso sono le indicazioni del Libro Bianco della Commissione La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte COM(2001)370, 93. V. Comenale Pinto, Il diritto uniforme e comunitario per la sicurezza dei trasporti marittimi, cit., 4.

[22] Nella sua formulazione originaria il titolo della direttiva, poi modificato dall’art. 1 della direttiva 2001/106/CE, riguardava l’attuazione di norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di approdo).

[23] Con la direttiva 98/25/CE del Consiglio, del 27 aprile 1998, si è inteso adeguare la normativa agli emendamenti alle Convenzione SOLAS 74, MARPOL 73/78, STCW 78 ed al MoU di Parigi, entrati in vigore nel frattempo. Si è poi evidenziato il preminente rilievo che assume il Codice internazionale di gestione della sicurezza e della prevenzione dell’inquinamento (codice ISM), adottato dall’IMO il 4 novembre 1993 ed entrato in vigore a livello internazionale il 1° luglio 1998 per tutte le navi passeggeri, petroliere, chimichiere, gasiere, portarinfuse e imbarcazioni ultrarapide di stazza lorda pari o superiore a 500 tonnellate. Successivamente, con la direttiva 98/42/CE della Commissione, del 19 giugno 1998, si è adeguata la disciplina comunitaria agli emendamenti entrati in vigore delle convenzioni, protocolli, codici e risoluzioni dell’IMO ed agli sviluppi nell’ambito del MoU. Si introduce il concetto di priorità assoluta per le navi indicate nell’Allegato I, sez. 1 (sono infatti modificati l’art. 5, par. 2. e l’All. I) rispetto al fattore di priorità ordinaria per le navi di cui all’All. I, sez. 2 . Con la direttiva 1999/97/CE della Commissione, del 13 novembre 1999, si è inteso migliorare il fattore di priorità ordinaria ed il sistema informativo e di circolazione di dati.

[24] Le carenze del regime di controllo dello Stato di approdo - emerse, soprattutto, in seguito al naufragio della m/c Erika del dicembre del 1999 – hanno appunto determinato l’introduzione di misure più restrittive con la direttiva 2001/106/CE che si inserisce nei c.d. Pacchetti Erika I e Erika II e, segnatamente, nel primo pacchetto. Sul punto, v., tra gli altri, Caligiore, Misure per garantire la sicurezza ambientale dei traffici marittimi dopo il naufragio della m/c Prestige, in La sicurezza in mare – Interrogativi urgenti e proposte dopo il caso Prestige (Atti Seminario Internazionale – Palermo, 15 marzo 2003), Palermo 2004, 20 ss.

[25] Invero, con sentenza dell’11 novembre 1999, nella causa C-315/98 tra Commissione delle Comunità Europee c/ Repubblica italiana, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (V sezione) aveva dichiarato lo Stato italiano inadempiente per non aver adottato le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 95/21/CE, non potendo costituire valido adempimento le diverse circolari prodotte dal Governo italiano per conformarsi agli obblighi imposti dal MoU e dalle diverse risoluzioni dell’IMO. Infatti, per giurisprudenza costante, tali circolari costituiscono semplice prassi amministrativa per natura modificabili con piena discrezione dell’amministrazione e prive di adeguata pubblicità né, ha rilevato la Corte, l’inadempimento viene meno per il fatto che il regolamento ministeriale di attuazione si trova in avanzata fase di approvazione.

[26] Si aggiunge ora, a seguito delle modifiche introdotte con la direttiva 2001/106/CE, la Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni provocati da inquinamento da idrocarburi del 1969, modificata dal Protocollo del 1992.

[27] Il riferimento alle norme internazionali “volta in volta in vigore” - introdotto con l’art. 4 della direttiva 2002/84/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica le direttive in materia di sicurezza marittima e di prevenzione dell'inquinamento provocato dalle navi e, in particolare, l’art. 2 della direttiva 95/21/CE - evita di dover procedere a frequenti modifiche della direttiva base, come avvenuto in passato (v. nota 17) necessarie per l’adeguamento agli aggiornamenti della normativa internazionale.

[28] Elencati, non in modo tassativo, dall’Allegato II della direttiva e che include adesso l’assicurazione o altra garanzia finanziaria che copra i danni da inquinamento da idrocarburi di cui alla CLC.

[29] Elencati a titolo esemplificativo nell’Allegato III della direttiva.

[30] Sistema informativo sulle navi sottoposte a controllo dello Stato di approdo costituito nell’ambito del MoU.

[31] Sistema europeo di informazioni sulle condizioni delle navi.

[32] Tale direttiva è stata poi modificata dalla direttiva 2001/105/CE ed attuata in Italia con d.lgs. n. 275 dell’11 agosto 2003. V. anche Circolare della Direzione generale della navigazione e del trasporto marittimo e interno, n. 06/OR/2004 del 21 aprile 2004.

[33] Sul punto v., tra gli altri,  Zunarelli – Tranchida, Evoluzione della normativa internazionale in materiali sicurezza marittima, in Sicurezza marittima – un impegno comune, cit., 41 ss.; Mellea-Pucci, L’adozione del codice internazionale “ISPS” per la sicurezza delle navi e degli impianti portuali, ivi, 195 ss.; Tellarini, La normativa adottata in sede IMO in materia di security marittima, in Dir. mar., 2003, 1102; Turco Bulgherini,L’integrazione nel sistema dei trasporti: tendenze evolutive e servizi coinvolti. Aspetti della navigazione marittima ed aerea, in Trasporti e globalizzazione: materiali per una ricerca (a cura di A. Xerri), Cagliari, 2004, 106; Viglietta – Papi, Safety e security:, aspetti evolutivi della sicurezza marittima, in Dir. trasp., 2005, 117 ss.

[34] V. D.M. 19 dicembre 2003 relativo all’adozione del documento di identificazione degli ispettori (Duly authorized officers) ai sensi della SOLAS 74 e del Codice ISPS che prevede che gli ispettori incaricati di salire a bordo delle navi o di accedere negli impianti portuali per effettuare i controlli in questione (ispettori debitamente qualificati tra quelli che già effettuano anche l’attività di PSC) sono muniti di apposito documento di identificazione rilasciato dal Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto che, tra l’altro, deve contenere l’espressa dichiarazione che il titolare del documento di identificazione è autorizzato ad effettuare ispezioni ai sensi del Capitolo XI (XI-1 e XI-2) della SOLAS 74.

[35] Tali fondati motivi ricorrono, ad esempio, quando: il certificato ISSC sia scaduto o invalido; il rilascio di un ISSC provvisorio avvenga al di fuori dei casi previsti; la nave operi ad un livello di security più basso del porto; si riscontri l’incapacità di comunicazione tra i componenti chiave dell’equipaggio; vi sia la prova di gravi carenze nel sistema di security (ad esempio mancanza di controllo degli accessi alla nave).

[36] Il regolamento (CE) 725/2004 intende costituire una base per l’interpretazione e l’applicazione armonizzate e per il controllo comunitario delle misure adottate in sede IMO nel 2002 sopra richiamate e che estende le misure previste dalla SOLAS per la sola navigazione internazionale anche alla navigazione nazionale prevedendo determinate scadenze temporali (art. 3). Si segnala, altresì, tra le azioni comunitarie in materia, il regolamento (CE) n. 724/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio recante modifiche al regolamento n. 1406/2002 che istituisce un’Agenzia europea per la sicurezza marittima e che aggiunge tra i compiti dell’Agenzia (oltre al controllo nel suo insieme del funzionamento del regime comunitario di PSC e all’assistenza tecnica alla Commissione per partecipare ai lavori degli organismi tecnici del MoU) quello di fornire assistenza tecnica alla Commissione nello svolgimento delle funzioni ispettive assegnatele dall’art. 9 del regolamento (CE) 725/2004. Ancora più di recente, la Commissione ha adottato il regolamento CE n. 884/2005 del 10 giugno 2005 che istituisce procedure per lo svolgimento di ispezioni della Commissione intese a controllare l’applicazione del reg. 725/2004 a livello degli Stati membri, dei singoli impianti portuali e delle società interessate.

[37] Si pensi, ad esempio, ad un’eventuale espulsione della nave dal porto che non tenga conto degli eventuali rischi di safety.

 

 

Data di pubblicazione:  14 dicembre 2005