Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, III/2005

Brevi considerazioni sulla decorrenza della prescrizione 
dell'azione risarcitoria nei confronti del medico chirurgo

 

Giulia Carlozzo *

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONESeconda Sezione Civile – sentenza 28 gennaio 2004, n.1547Pres. Calfapietra - Rel. Settimi; C. c. B.[1]

 

(1) Le domande di risarcimento del danno da responsabilità aquiliana e da responsabilità contrattuale si fondano su elementi di fatto diversi sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo in relazione, non solo all’accertamento della responsabilità, ma anche della determinazione dei danni; incorre, pertanto, in vizio di ultrapetizione il giudice d’appello che, in mancanza di gravame sul punto, qualifichi come domanda di responsabilità extracontrattuale una domanda proposta a titolo di  responsabilità contrattuale.

 

(2) Nell’ordinamento italiano la responsabilità professionale del medico, a differenza di quanto avviene negli ordinamenti dell’area del common law, ove persiste la tendenza a radicare la predetta responsabilità nell’ambito della responsabilità aquiliana (torts), si inquadra nell’ambito contrattuale.

 

(3) Alla responsabilità contrattuale del medico per il danno alla persona, causato da imperizia nell’esecuzione di un’operazione chirurgica, si applica l’ordinario termine di prescrizione decennale, con decorrenza dal momento del verificarsi del fatto lesivo, e non da quello della manifestazione esteriore della lesione. [2]

 

 

****************

 

1. – Fattispecie. Tizio e Caia, coniugi, con atto notificato nel 1996, convenivano in giudizio Mevio, medico, invocando il loro diritto al risarcimento del danno a causa della lesione del diritto all’integrità psicofisica alla procreazione ed alla serenità familiare.

Segnatamente, l’attore nel 1971 e nel 1983 era stato sottoposto, da altro medico, a due interventi chirurgici per asportazione di cisti nell’epididimo del testicolo destro in esito ai quali il passaggio degli spermatozoi rimaneva interrotto; analogo intervento veniva effettuato nel maggio 1985 dal convenuto, Mevio.

I coniugi esponevano che il convenuto aveva effettuato l’intervento chirurgico (nel maggio 1985) senza la dovuta diligenza e che non aveva avvertito l’attore dei rischi cui andava incontro.

Il convenuto eccepiva preliminarmente l’eccezione di prescrizione, essendo decorsi più di dieci anni dal primo atto di costituzione in mora (1996) e, nel merito, contestava la insussistenza della colpa professionale.

Il giudice di primo grado rigettava la domanda proposta dagli attori in accoglimento dell’eccezione di prescrizione.

La Corte, sull’appello proposto dai coniugi, in riforma della sentenza non definitiva di primo grado, dichiarava non prescritta l’azione risarcitoria proposta dagli appellanti.

In particolare i giudici di appello ritenevano che gli attori, con gli atti introduttivi del primo e del secondo grado del giudizio, non avessero escluso l’esercizio dell’azione extracontrattuale unitamente a quella contrattuale, in quanto il concorso di entrambe le forme di responsabilità è ammissibile quando si tratti di un medesimo fatto che violi contemporaneamente: sia diritti che spettano alla persona indipendentemente da un contratto o da un rapporto giuridico preesistente, sia diritti che derivano da un contratto e, comunque, da un vinculum iuris già esistente.

Ciò premesso, la Corte di Appello riteneva che, essendo venuta meno una delle due azioni per ragioni ad essa relative (la prescrizione) restava tuttavia ferma l’altra, vale a dire quella di natura extracontrattuale.

In quest’ultima eventualità, il termine di prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui “il fatto” si è verificato, ai sensi dell’art. 2947 c.c. da intendersi come momento di esteriorizzazione del danno. [3]

La Corte di Appello osservava inoltre che, se il danno rimane occulto, cioè nell’ipotesi in cui si tratti del c.d. danno lungolatente, il termine di prescrizione inizia a decorrere soltanto dal momento della sua manifestazione esteriore.

2. – La decisione della Cassazione. Avverso questa decisione viene proposto ricorso alla Corte di Cassazione, che, accogliendolo, dichiara la prescrizione del diritto e cassa la sentenza impugnata senza rinvio ai sensi dell’art. 384, comma I, c.p.c. [4]

La decisione che si annota contiene vari spunti di riflessione. In particolare, si soffermerà l’attenzione sul vizio di ultrapetizione nel quale è incorsa la Corte di Appello senza tralasciare l’erronea qualificazione della responsabilità del medico come extracontrattuale, piuttosto che contrattuale. Tutto ciò in relazione alla decorrenza della prescrizione.

Con riferimento al vizio di ultrapetizione, la Corte di Cassazione è dell’avviso che il giudice del merito ha il dovere di accertare e valutare il contenuto della pretesa dell’attore. Essa risulta desumibile dalla natura delle vicende dedotte dalla parte istante e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio. Occorre tenere conto, poi, del provvedimento richiesto in concreto, con il limite della corrispondenza della pronuncia alla richiesta. Peraltro, come rileva la stessa S.C., nella specie la domanda era stata introdotta dagli attori, qualificata e decisa dal giudice come domanda di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale.

Qualificare in termini di responsabilità extracontrattuale una domanda espressamente proposta in termini di responsabilità contrattuale (non senza considerare anche l’erroneità stessa della qualificazione) integra il vizio di ultrapetizione, in quanto è precluso al giudice di secondo grado procedere d’ufficio ad una nuova qualificazione della domanda.[5]

Ma al di là della questione del vizio di ultrapetizione, a detta della Suprema Corte, ha errato la Corte di Appello nel qualificare la responsabilità del medico come aquiliana. Al riguardo, la stessa Corte di Cassazione in altre pronunce ha inquadrato la responsabilità del medico come contrattuale, affermando che “la responsabilità del medico dipendente ospedaliero deve qualificarsi contrattuale, al pari di quella dell’ente gestore del servizio sanitario, non già per l’esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio insorto tra le parti, bensì in virtù di un pregresso rapporto di fatto originato dal ‘contatto’ sociale.” [6]

La parte della decisione sulla quale si ritiene adesso di soffermarsi riguarda la decorrenza del termine di prescrizione.

Nella decisione annotata la S.C., agendo come giudice di merito, ha dato evidenza alla colpevole ignoranza del danneggiato, e ciò in considerazione sia dei precedenti analoghi interventi operatori subiti, sia del fatto che lo stesso è un medico.

Conseguentemente la Cassazione, sul presupposto della natura contrattuale della responsabilità del medico per imperizia, ha concluso che alla fattispecie va applicato l’ordinario termine di prescrizione che è quello decennale ex art. 2946 c.c. e che lo stesso termine inizia a decorrere dal momento della lesione.

Nel giungere ad una simile conclusione la S.C. ha portato alle estreme conseguenze il meccanismo logico seguito dalla Corte di Appello, ipotizzando che, se nella fattispecie concreta fosse applicabile il regime di decorrenza avanzato dalla Corte di Appello, e il danneggiato avesse avuto consapevolezza dell’illecito oltre venti anni dopo, la responsabilità del medico si sarebbe perpetuata in vita indefinitamente, con tutte le conseguenze che ne sarebbero potute derivare in ordine alla certezza dei rapporti giuridici.

 

3. – Sulla decorrenza della prescrizione. La prescrizione è un istituto di carattere generale, diretto, tra l’altro, ad assicurare la certezza del diritto. È strumento atto ad evitare che permanga all’infinito la possibilità della contestazione, principale causa di incertezza, sgombrando il campo da pretese esercitate tardivamente [7].

Per queste ragioni “la prescrizione accompagna il diritto nel suo cammino, è qualcosa di esterno ad esso, come una incombente minaccia; e ne danno conferma i termini solitamente lunghi, salvo speciali rapporti in cui la prescrizione acquista carattere presuntivo, avvicinandosi con ciò (senza naturalmente identificarsi) alla decadenza” [8].

Si comprenderà quindi l’importanza di individuare con certezza il momento da cui la prescrizione inizia a decorrere.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 2935 c.c. “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”; ossia dal giorno in cui essendo perfetto e potendo essere esercitato, non è, di fatto, esercitato dal suo titolare [9].

Per possibilità si intende quella “legale” o “giuridica” del suo esercizio, non costituendo ostacolo i c.d. “impedimenti di fatto” e le difficoltà che potrebbero semmai rendere più difficile in concreto l’esercizio del diritto [10].

L’esistenza del diritto è quindi condizione indispensabile per la decorrenza della prescrizione.

E’ altresì necessario che ricorra l’inerzia del titolare del diritto, da intendersi come “quel comportamento giuridico permanente che consiste nel non esercizio del diritto”. [11]

La decorrenza è impedita soltanto nei casi tassativi di sospensione. [12].

Le cause di sospensione sono previste dalla legge, esse rappresentano un impedimento che rende impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto[13].

Tornando alla decorrenza della prescrizione, inizialmente dottrina e giurisprudenza erano concordi nel considerare, quale momento iniziale del termine di prescrizione, l’esatto momento della lesione. Successivamente, alcune pronunce giurisprudenziali, hanno posto dei limiti al criterio sopra descritto.

Invero, riguardo a determinate fattispecie (che a breve verranno individuate), il termine di prescrizione non inizia a decorrere nel momento in cui si verifica il fatto lesivo, bensì in quel momento (successivo) in cui la lesione, nel suo manifestarsi, è naturalmente postergata.

In tale eventualità è necessario che il danneggiato provi le circostanze che impediscono l’immediata percezione della lesione.

Ad esempio in materia di trasfusioni, il diritto al risarcimento del danno per contagio di epatite post-trasfusionale decorre dall’accertamento della positività al virus dell’epatite C e della sua riconducibilità alle trasfusioni, essendo questo il momento in cui il danno si manifesta e diviene oggettivamente percepibile e riconoscibile [14].

Così come nel caso di danno alla salute causato dallo svolgimento dell’attività lavorativa, in questa ipotesi il termine di prescrizione dell’azione diretta a conseguire dall’Inail la rendita per inabilità permanente per malattia professionale decorre a partire dal momento in cui lo stato morboso di origine professionale è conoscibile da parte dell’assicurato [15].

In dette fattispecie è la manifestazione esteriore della lesione a costituire il momento determinante per la decorrenza del termine di prescrizione [16].

 

4. - Conclusioni. Con riferimento alla decisione in esame, una volta incanalata la questione nell’orbita della responsabilità contrattuale e fugando qualsiasi ulteriore incertezza in merito ad una eventuale ipotesi di responsabilità aquiliana, è possibile giungere alle conclusioni che seguono relativamente alla portata dell’art. 2935 c.c. con riferimento al momento da cui inizia a decorrere la prescrizione [17].

Nel percorrere l’iter giudiziario al quale è stato sottoposto il caso in esame, è possibile formulare due diversi criteri per l’individuazione del momento da cui inizia a decorrere la prescrizione: da un lato il momento in cui si verifica il fatto lesivo, dall’altro il momento in cui si ha la manifestazione esteriore della lesione.

Se si ritiene che la prescrizione sia un istituto di carattere generale diretto ad assicurare la certezza dei diritti, si comprenderà il motivo per cui è di fondamentale importanza rinvenire con certezza il momento da cui inizia a decorrere. Invero, la ragione della prescrizione non è tanto quella della certezza dei rapporti giuridici, quanto quella dell’opportunità dell’adeguamento della situazione di diritto alla situazione di fatto [18].

Sicuramente l’individuazione del momento iniziale nella lesione è di immediata percezione e lascia meno margini di dubbi, ma non si possono tralasciare tutte quelle fattispecie in cui la manifestazione esteriore della lesione è successiva all’evento dannoso. Nel caso in cui ciò si dovesse verificare, la decorrenza della prescrizione è naturalmente postergata a quel momento di conoscenza della lesione. Purché ciò, in sede di eventuale contenzioso, venga debitamente provato.

In ogni caso una simile circostanza non rientra nella fattispecie esaminata (come giustamente afferma la S.C.); in questa, essendo la lesione immediatamente percepibile, il termine di prescrizione inizia a decorrere dall’esatto momento in cui viene posto in essere il fatto lesivo che la determina, inoltre, lo stato di ignoranza della lesione è colpevole, considerati i precedenti del danneggiato, ossia il complesso di patologie sofferte in precedenza dall’appellante che lo avevano costretto a ben tre interventi chirurgici della stessa natura e la professione medica svolta.




[*] Dottoressa in giurisprudenza.

[1] La Sentenza è pubblicata, oltre che in questa rivista, anche in Giur. it., 2004, 1581, con nota di Righetti I., Ancora un revirement   della Cassazione sul dies a quo della prescrizione dell’azione risarcitoria nel danno lungolatente: un segnale per le Sezioni Unite?, l’A., soffermandosi sull’aspetto del danno lungolatente, mette in evidenza il contrasto sorto in seno alla Cassazione in relazione ai criteri da seguire per l’individuazione del dies a quo, in siffatte fattispecie, aderisce al principio affermato dalla S.C. secondo il quale, quando si versa in ipotesi di danno lungolatente, si deve procedere immediatamente ad una attenta valutazione della diligenza dello stesso attore, per verificare se l’inerzia di costui deve essere imputata a sua esclusiva colpa.

Si trova altresì pubblicata in Danno e resp., 2004, 389, con nota di Monateri P., la prescrizione e la sua decorrenza dal fatto: una sentenza da elogiare, il quale, invece, descrive il profilo della prescrizione dell’azione risarcitoria extracontrattuale.

[2] Le prime due massime sono state curate dall’autore, la terza è la massima ufficiale. 

[3] Tale orientamento si è andato consolidando in giurisprudenza nel corso degli anni; al riguardo cfr. Cass., 9.5.2000, n. 5913, in Dir. ed economia assicuraz., 2000, 1226, secondo la quale “L’art. 2947 c.c., 1° comma statuisce che - il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato - ; detta norma va letta nel sistema in cui si pone e cioè va coordinata con le norme cardini della responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.) e della decorrenza della prescrizione in generale (art. 2935 c.c.); in altri termini il diritto al risarcimento del danno sorge non per effetto della sola esistenza del fatto illecito, e quindi della condotta dell’agente, ma per effetto del danno che questa condotta ha causato; conseguentemente il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile;(…)”; successivamente nello stesso senso, cfr. Cass., 13.12.2002, n. 17832.

[4] Così recita l’art. 384, I comma, c.p.c. (comma così sostituito dall’art. 66, l. 26 novembre 1990, n. 353) :“La Corte, quando accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, enuncia il principio al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi ovvero decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto”.
       [5]
  Cfr. in conformità, Cass., 15 maggio 2001, n. 6712 “Il potere-dovere del giudice di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire il nomen iuris al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, anche in difformità rispetto alle deduzioni delle parti, trova un limite – la cui violazione determina un vizio di ultrapetizione – nel divieto di sostituire l’azione proposta con una diversa, perché fondata su fatti diversi o su una diversa causa petendi,  con la conseguente introduzione di un diverso titolo accanto a quello posto a fondamento della domanda, e di un nuovo tema di indagine; il potere di qualificazione della domanda nei gradi successivi al primo va, inoltre, coordinato con i principi propri del sistema della impugnazioni, sicché, con riferimento all’appello, deve ritenersi precluso al giudice di secondo grado di mutare d’ufficio, in mancanza di gravame sul punto, la qualificazione operata dal giudice”.

[6] Cfr. Cass., 22 gennaio 1999, n. 589; in Foro it., 1999, I, 3332, con nota di Lanotte, L’obbligazione del medico dipendente è un’obbligazione senza prestazione o una prestazione senza obbligazione? L’A., aderendo in pieno alla decisione del giudice di legittimità, individua nell’obbligo di cura del professionista-dipendente, un vinculum che lo lega al paziente, capace di inquadrare la responsabilità del medico nella responsabilità contrattuale, benché non si intraveda alcun obbligo di prestazione. Invero, a detta dell’A., sembrerebbe che la responsabilità prenda forma non nel momento in cui si assume l’obbligazione, ma in un secondo momento, ossia dopo l’esecuzione dell’attività professionale diretta a migliorare lo status quo del paziente.

[7] Cfr. Vitucci, voce Prescrizione (dir. civ.), L’efficacia preclusiva della prescrizione, Enc. Giuridica Treccani, vol. XXIV, Roma, 1991, 1; Minervini E., La prescrizione ed i “terzi”, Napoli, 1994.

[8] Sul sunto, Satta S., Estinzione del processo e decadenza, in Temi – Rivista di giurisprudenza italiana, 1968, 19.

[9]  Cfr. Vitucci, voce Prescrizione (dir. priv.),  Enc. del dir., vol. XXXV, Milano, 1986, 66 ss.; Id, La prescrizione, Tomo I, in Il Codice Civile, Commentario dir. da Schlesinger, Milano, 1990.

[10] Al riguardo cfr. Vitucci, Istituzioni di diritto privato, a cura di Mario Bessone, Torino, 1999, 1228; nello stesso senso cfr. RosselliVitucci, La prescrizione e la decadenza, in Trattato di Diritto Privato, dir. da Rescigno P., Tomo II, Vol. XX, Torino 1985 , 403 e ss.

[11] Per un maggiore approfondimento cfr. Vitucci, voce Prescrizione (dir. priv.), cit., 63; Capponi, Gli impedimenti all’esercizio dei diritti nella disciplina della prescrizione, in Riv. dir. civ., 1996, I, 721 ss.

[12] Sul punto cfr. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 2004, 239, dove si legge “se il diritto, inizialmente o per un certo periodo, non si può esercitare si ha la sospensione”.

[13] Per tutti cfr. Santoro – Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, settima edizione, 1962, 117, dove si legge “Le circostanze che sospendono la prescrizione suppongono, a differenza di quelle che la impediscono, che il diritto possa farsi valere, e soltanto l’esercizio sia ostacolato o reso difficile da una speciale condizione giuridica, in cui si trovi il titolare, o da una speciale relazione giuridica, esistente tra il titolare e il soggetto passivo”. Il legislatore prevede la sospensione della prescrizione: tra i coniugi; tra chi esercita la potestà e le persone che vi sono sottoposte; tra tutore e minore e così via in tutti gli altri casi tassativi elencati negli artt. 2941 e 2942 c.c.

[14] T. Roma, 10.3.2004, in Foro it., 2004, I, 2893.

[15]  Cass., sez. lav., 23.8.2004, n. 16613, in Foro it., 2004, I, 2893. 

[16] La Corte di Cassazione, nella fattispecie esaminata, non ha attribuito rilevanza al mero fatto che il danneggiato non avrebbe avuto immediata percezione dell’asserito danno, circostanza peraltro non provata e comunque colpevole considerato che la lesione, nel caso di specie, era immediatamente percepibile con l’ordinaria diligenza.

[17] Grasso, voce Prescrizione, in Enc. del dir., XXXV, Milano, 1986, 62 e 73.

[18] Santoro Passarelli, Dottrine generali, cit., 113.

 

 

 

Data di pubblicazione:  3 ottobre  2005