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Vol. IV/2006

 

 

 

Casella di testo:  Rivista di Diritto dell'Economia, dei Trasporti e dell'Ambiente
	                                                                         
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La nuova disciplina delle società cooperative

Francesca Mancuso

 

 

1.- Introduzione a) Le origini. b) La previsione costituzionale. c) L'intervento riformatore. d) La cooperativa come società. e) Lo scopo mutualistico. f) Duplicità di rapporti. g) La fase evolutiva.

2.- Le principali novità della riforma a) L'autonomia statutaria. b) Cooperative a mutualità prevalente e non. c) Società cooperative e società lucrative. d) I connotati essenziali delle cooperative. e) I requisiti della mutualità prevalente.

3.- La costituzione e la partecipazione a) La disciplina. b) Atto costitutivo, statuto e regolamenti. c) La responsabilità dei soci. d) I soci cooperatori. e) I soci finanziatori. f) I possessori di strumenti finanziari.

4.- L'entrata e l'uscita dalla società a) L'ammissione. b) Il recesso. c) L'esclusione. d) La morte del socio. e) Il trasferimento della quota e delle azioni.

5.- Gli organi sociali a) L'assemblea generale. b) La rappresentanza in assemblea. c) Le assemblee separate. d) Le assemblee speciali. e) I sistemi di amministrazione. f) L'organo di controllo. g) I controlli esterni.

6.- Gli altri istituti a) I ristorni. b) Le riserve e gli utili. c) Le modificazioni dell'atto costitutivo. d) La trasformazione. e) Lo scioglimento. f) Il gruppo cooperativo paritetico. g) Le mutue assicuratrici.

 

 

1.- Introduzione

a) Le origini

Nato in Inghilterra nel 1844, per iniziativa dei lavoratori che si organizzavano al fine di eliminare il "padrone capitalista"[1], il fenomeno cooperativistico si afferma ben presto anche presso la piccola borghesia e presso gli imprenditori interessati a conseguire i vantaggi di una reciproca collaborazione.

Con l'evolversi dei tempi e dell'economia, infatti, il movimento cooperativo perde la sua originaria natura di organizzazione di classe, sorta a fianco del sindacato contro lo sfruttamento esercitato dai capitalisti a danno del proletariato, e si assiste al nascere delle prime cooperative (edilizie) (tra coloro che aspirano a conseguire la proprietà della casa di abitazione a prezzi più accessibili), delle cooperative tra intellettuali (quali attori teatrali, che si fanno impresari di se stessi, e giornalisti, che gestiscono in proprio testate di giornali) e delle cooperative tra esercenti attività di impresa (di tipo agricolo o industriale).    

Stranamente, però, tale forma di organizzazione, già presente in varie realtà economiche fin dalla metà dell'800, non è stata prevista dai nostri codici di commercio di quell'epoca, per trovare specifica disciplina solo all'interno del codice civile del 1942, accanto alle società di tipo lucrativo.

Di contro, la società cooperativa è l'unica, fra tutte le società regolate dal nostro ordinamento giuridico, ad essere contemplata dalla Costituzione, che ne riconosce la funzione sociale.

Pertanto, volendo procedere ad una disamina dell'istituto di cui sopra, alla luce anche della recente riforma del diritto societario, non si può prescindere da un importante riferimento normativo, qual'é quello dell’art. 45 della nostra Carta costituzionale[2].

 

b) La previsione costituzionale

Il legislatore costituzionale, pienamente consapevole della rilevanza della cooperazione all’interno della nostra Repubblica, quale fenomeno connotato dallo scopo mutualistico e dall’assenza di fini speculativi, ne ha constatato la idoneità a soddisfare interessi collettivi e definisce compito della legge quello di promuoverne[3] e favorirne[4] l’incremento con i mezzi più idonei, e di assicurarne, con gli opportuni controlli[5], il carattere e le finalità[6].

Nella specie, il testo della norma, unitamente al riconoscimento che essa opera, consente di affermare una stretta indissolubilità tra la cooperazione ed i caratteri che la legge vi ricollega (il carattere di mutualità e l’assenza di fini di speculazione privata), al punto da individuarli come veri e propri elementi essenziali del fenomeno cooperativo[7].

L’art. 45 Cost., infatti, lungi dal limitarsi ad una semplice presa d’atto, si spinge sino a prescrivere imperativamente i connotati obbligatori del fenomeno, in mancanza dei quali non sarebbe possibile ravvisare alcuna forma di <cooperazione>. La qual cosa permette di ritenere che la norma costituzionale ha voluto abbracciare ogni possibile manifestazione del fenomeno cooperativistico, rivolgendosi ad una cooperazione tout court.

Riservandoci di esaminare più avanti i contenuti della mutualità e delle finalità antispeculative, si rende necessario ancora un accenno alla disposizione costituzionale che, nella seconda parte del suo primo comma, attribuisce alla legge ordinaria il compito di incentivare la cooperazione, da un lato, e di garantirne il carattere (mutualistico) e le finalità (non speculative), dall’altro.

Una riserva di legge, quindi, che mira a promuovere la cooperazione, procedendo agli opportuni controlli, al precipuo scopo di assicurare che il modello cooperativo, oggetto di disciplina, non perda i propri connotati essenziali[8].

Fra essi quelli di maggior rilievo sono costituiti: a) dalla rilevanza della persona dei soci; b) dalla limitazione delle quote di partecipazione e degli utili da distribuire; c) dalla variabilità del capitale sociale e d) dai principi di democraticità[9].

 

c) L'intervento riformatore

Ciò premesso, il panorama normativo in cui s’inquadrano e trovano collocazione le società cooperative risulta oggi rinnovato da un recente intervento riformatore che ha introdotto, con particolare riferimento al nostro istituto, un corpo organico di norme che subentra alla disciplina disarticolata prima vigente[10].

La riforma del diritto societario, non limitandosi a novellare tutte le disposizioni codicistiche, ha provveduto ad integrarle, inserendo tra esse anche alcune delle prescrizioni precedenti, in parte rimodellandole[11].

Pertanto, la ricostruzione della disciplina e del sistema normativo, relativi entrambi alle società cooperative, costituisce attualmente operazione alquanto complessa, che deve essere effettuata tenendo conto, da un lato, delle novellate disposizioni del codice, di cui al titolo VI del libro V, rubricato, appunto, <Delle società cooperative e delle mutue assicuratrici>, ma anche, dall'altro lato, degli articoli (anch’essi rinnovati dalla riforma) in materia di società per azioni e di società a responsabilità limitata, a seconda che alle società cooperative tornino applicabili, rispettivamente, le une o le altre disposizioni[12]; e tutto ciò con le inevitabili differenze, che è possibile riscontrare soprattutto in tema di governance e di organizzazione interna[13].

Né, infine, si potrà prescindere dal considerare la legislazione speciale, relativa a determinati settori di attività, che trova ancora oggi rinnovato riconoscimento all’art. 2520[14] del codice civile e che, pertanto, è rimasta sostanzialmente inalterata.

Da siffatta premessa, è facile intuire la complessità del quadro normativo di riferimento con il quale oggi ci si deve confrontare nello studio delle società cooperative.

 

d) La cooperativa come società

Degna di nota è, innanzitutto, la collocazione sistematica delle cooperative, le quali continuano ad essere disciplinate nel più ampio contesto delle società ed in coda alle società di tipo lucrativo.

Non v’è dubbio, infatti, che le cooperative sono esse stesse società, a nulla rilevando la svista del legislatore che, nell'intento di dettare una nozione generale del contratto di società, all'art. 2247 c.c. ha fatto espresso riferimento "allo scopo di dividere gli utili", che mal si attaglia alla categoria delle società di tipo mutualistico.

La giustificazione di ciò va ricercata nell'avere lo stesso riprodotto pedissequamente, sotto la <nozione> di società, il disposto di cui all'art.1697 c.c. del 1865, secondo cui: "La società è un contratto col quale due o più persone convengono di mettere insieme qualche cosa in comune, al fine di dividere il guadagno che ne potrà derivare", così adattando alle società moderne il concetto di società civile di cui all'abrogato apparato codicistico[15], nel quale, però, il concetto di bisogno era più ampio di quello indicato nell'art.2247 c.c.

Che nella specie si è in presenza di società in senso tecnico-giuridico trova agevole conferma nel fatto che le cooperative sono, innanzi tutto, unità di produzione o di scambio, destinate ad operare sul mercato ed in grado di competere -o, in termini meno ottimistici, di reggere la concorrenza- con le società capitalistiche[16].

Ed è proprio la prossimità del genere di appartenenza che giustifica l’applicazione anche alle società in discorso delle norme generali e comuni ad ogni impresa c.d. collettiva[17].   

Dal che la possibilità di affermare che la società cooperativa rappresenta il punto di equilibrio tra due realtà, quella imprenditoriale, capace di competere sul mercato, e quella mutualistica, a  carattere prevalentemente non lucrativo e sociale.

 

e) Lo scopo mutualistico

Come è stato rilevato da più parti, manca nel nostro codice una qualsivoglia nozione di mutualità[18] o indicazione che valga a dare un'idea di cosa debba intendersi per scopo mutualistico. Dal che la necessità di fare riferimento alla Relazione al codice civile secondo la quale lo scopo che caratterizza le società cooperative consiste "nel fornire beni o servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri della organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato" (n.1025).

La stessa relazione, poi, non manca di evidenziare la grande varietà delle cooperative, corrispondente ai particolari bisogni che esse sono destinate a soddisfare, con la conseguente impossibilità per il codice di regolarle interamente e la necessità di affiancare lo stesso alla legislazione speciale. Il primo si limita, infatti, a fornire gli schemi più generali, mentre la seconda detta il regolamento giuridico dei singoli tipi, previsti per essere adattati alle esigenze delle varie categorie.

In funzione di queste ultime, è possibile individuare una molteplicità di società cooperative che vengono classificate come edilizie,  di consumo, di lavoro, agricole, di produzione, bancarie (di credito e risparmio), di pesca, di trasporto, di mutuo soccorso, sociali e via dicendo[19].

In tutte, il fine da realizzare consiste nel conseguimento del maggior vantaggio possibile, grazie alla sostituzione della gestione capitalistica dell'impresa con l'auto-gestione da parte dei partecipanti all'organizzazione societaria in qualità di produttori, utenti o lavoratori.

 

f) Duplicità di rapporti

In quanto partecipi della cooperativa, i soci intrattengono rapporti con la stessa, rapporti che valgono a consentire loro il conseguimento della finalità  propria del tipo di attività svolta. Dal che la necessità di configurare una duplice categoria di rapporti: quelli di tipo sociale (tutti simili tra di loro, in quanto relativi all'assunzione della qualità di socio da parte dei singoli partecipanti alla società) e quelli di tipo negoziale (che variano a secondo che il socio acquisti dalla società beni di consumo, venda alla stessa i prodotti della propria azienda, acquisisca un bene immobile, stipuli un contratto di lavoro, intrattenga rapporti di deposito di denaro o di finanziamento e quant'altro, a seconda dell'oggetto della cooperativa).

A ben guardare, però, tale duplicità di rapporti non è configurabile in tutte le società con scopo mutualistico, ben potendosi verificare anche l'eventualità che il c.d. rapporto negoziale si identifichi con il rapporto societario (come avviene, ad es., nelle mutue assicuratrici, in cui l'essere partecipe della società si identifica con il rapporto di assicurazione che si instaura con la stessa, a differenza di quanto accade, di contro, nelle cooperative di assicurazione, in cui il titolare del rapporto sociale stipula con la società un diverso rapporto che è quello assicurativo).

Come si vedrà meglio nel prosieguo del presente lavoro, la contrapposizione dei due tipi di rapporto viene in rilievo specie in tema di scioglimento del vincolo sociale limitatamente ad ogni singolo socio.

 

g) La fase evolutiva

Nella sua originaria concezione, la cooperativa è una società a mutualità essenzialmente pura, prevedendosi soltanto la possibilità di inserire, accanto ai soci cooperatori, elementi tecnici ed amministrativi nella misura massima del 12% (fatta eccezione soltanto per le mutue assicuratrici, alle quali potevano partecipare -fin dall'inizio- anche i soci sovventori).

Successivamente, la crisi del settore e l'avvertita esigenza di assicurare, anche alle società cooperative, adeguate forme di finanziamento hanno indotto il legislatore ad estendere a quasi tutte le cooperative (fatta eccezione per le cooperative edilizie) la categoria dei suddetti soci sovventori  (ex art. 2548 c.c.) ed a creare la categoria degli azionisti di partecipazione cooperativa (con caratteristiche analoghe a quelle degli azionisti di risparmio, introdotti nelle società con azioni quotate in borsa)[20].

E' così che, per effetto della legge di riforma del 1992, viene prevista, per la prima volta, la possibilità di partecipare ad una cooperativa con finalità speculative, alla sola condizione che lo scopo mutualistico della  società rimanga prevalente.

Accade, infatti, che la società, grazie all'intervento di soci finanziatori, riesce a potenziare la propria attività lucrativa (lucro oggettivo) per il migliore conseguimento dello scopo mutualistico, comprimendo soltanto il lucro soggettivo (dei soci), grazie all'introduzione di una serie di limiti nella partecipazione e nella distribuzione degli utili[21].

Con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n.6, i sistemi di finanziamento delle società cooperative sono stati ulteriormente ampliati, introducendosi la possibilità -per dette società- di emettere obbligazioni e strumenti finanziari secondo la disciplina prevista per le società per azioni.

 

2.- Le principali novità della riforma

a) L'autonomia statutaria

Quanto premesso ci conduce all’analisi delle principali novità introdotte dal d. lgs. 6/2003 [22].

Per cominciare, all’interno del contesto appena delineato, la recente riforma ha attribuito nuovi e ampi spazi all’esercizio dell'autonomia statutaria, la quale trova pieno riconoscimento già al momento della scelta e definizione del modello di riferimento della società di nuova costituzione.

Basta una veloce lettura delle primissime norme del codice per “inciampare” sui novelli poteri conquistati dalla volontà sociale. 

Accanto alla delineazione di un contenuto <minimo> inderogabile dell’atto costitutivo delle cooperative -che, ai sensi dell’art. 2521 c.c. deve rivestire la forma dell’atto pubblico-, la norma ritaglia un nuovo spazio alla libertà negoziale dei soci, i quali potranno liberamente individuare le “regole per lo svolgimento dell’attività mutualistica”, sino a prevedere che la stessa si diriga anche verso soggetti terzi.

Inoltre, è sempre l’atto costitutivo che indica le modalità e le percentuali massime di attribuzione dei dividendi tra i soci cooperatori, ai sensi dell’art. 2545-quinquies c.c., e che può individuare nuove ipotesi di esclusione dei soci, in aggiunta a quelle legali (art. 2533, co.1, n.1, c.c.).

In seno all'atto costitutivo, i soci indicano le forme di convocazione dell'assemblea, in quanto deroghino alle disposizioni di legge, fissano i quorum costitutivi e deliberativi  e prevedono la possibilità di votare per corrispondenza  o mediante altri mezzi di comunicazione, come fax o e-mail (art. 2538, co.5 e co.6, c.c.).

Ed ancora, si considerino le disposizioni che attribuiscono all’assemblea nuove competenze in ordine: a) alla destinazione degli utili di esercizio non imputati a riserva legale, né assegnati a fondi mutualistici (art. 2545-quater c.c.); b) alla attribuzione dei ristorni [23] (art. 2545-sexies c.c.); c) all’eventuale approvazione dei regolamenti, deputati a disciplinare lo svolgimento dell’attività mutualistica tra soci e società (art. 2521, ult. co., c.c.); d) all’assunzione delle decisioni sui reclami eventualmente proposti avverso il diniego di ammissione di nuovi aspiranti soci (art. 2528 c.c), e via dicendo.

Si rileva, infine, che la riforma riconosce, completando così le previsioni a favore dei poteri sociali, il diritto dei soci[24] di esaminare il libro delle adunanze, delle deliberazioni del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo, laddove esistente, se a richiederlo sia un decimo del numero complessivo dei soci o un ventesimo per le cooperative con più di tremila soci[25].

Da quanto detto, emerge indubbiamente quanto numerose siano le disposizioni che il legislatore ha innescato nel codice per favorire un particolare grado di coinvolgimento dei soci nelle decisioni ed, in qualche modo, nel controllo della società cooperativa[26].

 

b) Cooperative a mutualità prevalente e non

Ciò premesso, il principale punto di partenza da cui prendere l’abbrivio per rappresentare l’attuale normativa, e che conforma l’intera disciplina delle società cooperative, è costituito dal concetto di mutualità il quale, seppur non fornito di una appropriata definizione dal legislatore del 2003, si pone come uno dei principali tratti distintivi delle <nuove> cooperative[27].

In termini non del tutto innovativi rispetto al passato[28], la riforma sembra essere riuscita nell’obiettivo, già formulato in sede di legge delega, di attuare un’opportuna distinzione tra una cooperazione c.d. <protetta> -vale a dire agevolata fiscalmente- ed una cooperazione non agevolata.

A tal fine, la nuova disciplina codicistica introduce espressamente una società cooperativa <a mutualità prevalente>, accanto ad una cooperativa c.d. <diversa> [29].  

La discriminazione che sembrerebbe conseguire al suddetto sdoppiamento, in apparente contrasto con l’art. 3 della Carta costituzionale, gode in realtà di sufficienti motivazioni, idonee a salvare la suddetta distinzione da possibili, quanto scontate, accuse di incostituzionalità.

E’ di immediata intuizione, infatti, come il favor fiscale riservato alle società a mutualità prevalente troverebbe ampia giustificazione proprio nella particolare natura delle stesse le quali, ispirando la propria gestione a principi rigorosamente democratici e orientandola verso scopi non lucrativi, indiscutibilmente occuperebbero una posizione di maggiore svantaggio concorrenziale sul mercato e questo non solo rispetto alle società lucrative, ma anche nel confronto con le cooperative <diverse> [30].

L’individuazione dei due modelli di cooperative, apparsi di recente nel novellato codice civile, può avere sollevato, legittimamente, il dubbio che si trattasse di due distinte categorie, del tutto autonome l’una dall’altra e rispondenti a logiche e discipline del tutto differenti[31].

In verità, per quanto le due fattispecie usufruiscano di regole in parte diversificate, è possibile affermare che le stesse appartengono al medesimo genus della cooperazione[32].

In questo senso si esprime, a chiari termini, la stessa Relazione Ministeriale di accompagnamento al d. lgs. del 2003 laddove, nel definire i rapporti tra le cooperative costituzionalmente riconosciute e le cooperative diverse, afferma che già da una corretta interpretazione della legge delega traspare quanto “l’alternativa non sia tra cooperative riconosciute e non cooperative; ma tra due sottocategorie di imprese mutualistiche ascrivibili allo stesso genere”, offrendo a sostegno una serie di argomentazioni.

Tra queste, il fatto che la distinzione in parola si basa su semplici opzioni di natura statutaria (quali l’inserimento di clausole di non lucratività) e gestionale (come la prevalenza dell’attività mutualistica), che presuppongono l’esistenza di un modello di base comune ad entrambe.

Ed ancora, il dato che la legge delega riservi alle cooperative costituzionalmente riconosciute le agevolazioni di carattere tributario, lasciando che le restanti agevolazioni[33], non rimosse dalla legge delega, continuino ad applicarsi all’insieme delle cooperative (comprese quelle diverse), darebbe prova di una concezione sostanzialmente unitaria della cooperazione “con diversificazioni interne al fenomeno in termini di maggiore o minore meritevolezza; ma mai di inclusione o espulsione dalla fattispecie” [34].   

Pertanto, ciò che nello spirito della riforma legittimerebbe la distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e cooperative diverse sarebbe solo la maggiore <meritevolezza> delle prime, e la rilevanza della distinzione tra le due (sotto)categorie sarebbe limitata esclusivamente al piano dell’accesso alle agevolazioni tributarie[35]; vigendo, per il resto, per tutte le società cooperative, uno statuto “complessivamente privilegiato, ma non costituzionalmente disparitario”, perché riconducibile ad un sistema di imprese caratterizzato da una funzione sociale[36].

 

c) Società cooperative e società lucrative

Ed è proprio nel particolare scopo perseguito dalle cooperative che può ravvisarsi l’elemento di distinzione tra le società mutualistiche e gli altri tipi di società.

In altri termini, pur essendo identico in entrambe lo scopo-mezzo, vale a dire l’esercizio in comune di una determinata attività economica, diverso risulta invece lo scopo-fine, costituito quest'ultimo -nelle società lucrative- dalla produzione di utili da distribuire fra i soci  e -nelle società cooperative- dall’offerta ai propri soci di beni o servizi tali da soddisfare (a condizioni più vantaggiose di quelle del mercato)[37] un comune preesistente bisogno economico[38], mentre la distribuzione degli utili eventualmente prodotti, in queste ultime, non può che avvenire in misura estremamente limitata.

Nella specie, il prevalente scopo perseguito dai soci cooperatori sarebbe, conseguentemente, non il perseguimento della più alta remunerazione possibile del capitale investito, ma la realizzazione delle proprie particolari esigenze (di un lavoro, di una casa, di un credito, ecc..) attraverso un risparmio di spesa, ad esempio, per i beni o servizi acquistati dalla propria società (come avviene nelle cooperative di consumo ed edilizie), o una maggiore retribuzione per i beni o servizi ceduti alla stessa (come accade nelle cooperative di produzione e lavoro).

Tutto ciò sarebbe reso possibile, nella gran parte dei casi, dalla eliminazione, nell'ambito dell'attività sociale, dell’intermediario <speculatore> e dalla conseguente ridistribuzione ai soci del profitto spettante a quest’ultimo, il che consentirebbe il suddetto vantaggio economico per i soci cooperatori, destinatari dei beni o dei servizi sociali[39].

Come già detto, pertanto, le cooperative conseguono un lucro c.d. oggettivo e non anche un lucro soggettivo (a favore dei suoi soci), con il quale la natura mutualistica delle società cooperative risulterebbe in qualche modo incompatibile.

Per il resto, lo stretto collegamento tra la cooperazione e lo scopo mutualistico emerge già dalle norme introduttive della disciplina codicistica, laddove si afferma che “le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico” (art. 2511 c.c.), e si ribadisce che “ l’indicazione di cooperativa non può essere usata da società che non hanno scopo mutualistico” (art. 2515, co.2, c.c.).

 

d)  I connotati essenziali delle cooperative

Come già anticipato, però, il concetto di mutualità (e di scopo mutualistico) non è stato definito dal legislatore, anche se la dottrina, che sinora si è espressa sulla riforma, non ha avuto dubbi nell’identificare lo scopo mutualistico con una <gestione di servizio> in favore dei soci, vale a dire un’attività esercitata <con i soci e nell’interesse dei soci>[40].

Non è escluso, però, che la società cooperativa possa svolgere la propria attività anche in favore di soggetti terzi, attuando in tal modo una mutualità c.d. spuria, in contrapposizione alle società che rivolgono la propria attività esclusivamente nei confronti dei propri soci (c.d. mutualità pura).

Che la cooperativa debba porsi al servizio dei soci, soddisfacendone i relativi bisogni in termini prevalenti se non addirittura esclusivi rispetto ai terzi, si desume da parecchi indici normativi della legge di riforma.

In primis, dall’art. 2521 c.c., a tenore del quale è possibile per la cooperativa dirigere la propria attività anche nei confronti dei terzi, ma solo nei limiti in cui ciò sia espressamente previsto dall’atto costituivo, dovendosi altrimenti ritenere tale attività assolutamente vietata; la stessa norma obbliga, altresì, ad una indicazione specifica dell’oggetto sociale con riferimento ai requisiti e agli interessi dei soci

A ciò si aggiungono le regole che disciplinano la divisione degli utili, i criteri per la ripartizione  dei ristorni  e le norme dettate in tema di assegnazione delle riserve (artt. 2545-quinquies e 2545-sexies c.c.).

Il novellato art. 2511 c.c., oltre allo scopo mutualistico, pone sin dall'inizio -tra i connotati essenziali delle cooperative- un ulteriore elemento (dapprima inserito nell'abrogato art. 2520 c.c.), costituito dalla <variabilità del capitale>. 

Pertanto, a differenza di quanto previsto per le società di capitali le quali, sotto questo profilo, si presentano come società a <capitale fisso>, viene ribadito che le cooperative non si avvalgono di un capitale rigorosamente determinato nel suo ammontare, né le sue eventuali modificazioni -in aumento, per l’ingresso di nuovi soci, o in diminuzione, per la relativa uscita- comportano alcuna modificazione dell’atto costitutivo (art. 2524 c.c.).

In tal modo, la cooperativa viene dotata di una struttura aperta, che facilita l’ingresso di nuovi soci ed il recesso di quanti non siano più interessati all’attività mutualistica.

In altri termini, con la variabilità del capitale sociale, il legislatore del 2003 ha palesemente inteso confermare un altro dei principi cardine del fenomeno cooperativistico: il principio c.d. della <porta aperta>[41], il quale -pur non trovando un esplicito riconoscimento all’interno del  codice civile- è innegabile che abbia ispirato il legislatore nell’elaborazione di un vasto numero di norme[42].

E’ indubbio, infatti, che l’ingresso di nuovi soci risulti, in un simile contesto, notevolmente agevolato e attuabile senza limiti di numero, non dovendo incontrare l’ostacolo dell’ammontare predefinito del capitale sociale.

Con particolare riguardo al numero dei soci, la riforma ha introdotto un numero minimo, valido per tutte le cooperative, fatte salve pochissime eccezioni di cui alle leggi speciali (art. 2522, ult. co., c.c.)[43].

L’art. 2522 c.c. impone, infatti, che il numero dei soci non sia inferiore a nove, stabilendo, al contempo, l’ammissibilità di società con almeno tre soci, ma a condizione che gli stessi siano persone fisiche[44] e che si avvalgano della disciplina delle società a responsabilità limitata[45].

 

e) I requisiti della mutualità prevalente

Tornando al concetto di mutualità prevalente, l’odierna disciplina affida agli articoli 2512 e 2513 c.c l’arduo compito di individuare i requisiti della <prevalenza> ed i criteri necessari per l’accertamento della stessa.

Conseguentemente, la prima delle due norme indica come cooperative a mutualità prevalente quelle che: 1) svolgono l’attività prevalentemente in favore dei soci; 2) si avvalgono prevalentemente delle prestazioni lavorative dei soci; 3) si avvalgono prevalentemente degli apporti di beni o servizi da parte dei soci.

La disposizione successiva pone l’obbligo, per amministratori e sindaci, di documentare nella nota integrativa al bilancio la condizione di prevalenza sulla base dei seguenti parametri[46]: a) i ricavi dalle vendite dei beni e dalle prestazioni di servizi verso i soci siano superiori al cinquanta per cento del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni; b) il costo del lavoro dei soci sia superiore al cinquanta per cento del totale del costo del lavoro; c) il costo della produzione per servizi ricevuti dai soci, o per beni conferiti dai soci, sia superiore al cinquanta per cento del totale dei costi dei servizi, o delle merci o materie prime acquistate o conferite.

In altri termini, il criterio che il legislatore ha prescelto per la determinazione della prevalenza è stato quello quantitativo, da definirsi in base al tipo di attività svolta dalla società.

Infine, non può prescindersi da un riferimento all’art. 2514 del codice civile, il quale disciplina i requisiti essenziali ed obbligatori delle cooperative, individuandoli nei particolari limiti alla distribuzione dei dividendi ed alla remunerazione degli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori; nonché nel divieto di distribuzione ai soci cooperatori delle riserve ed, infine, nell’obbligo di devoluzione (in caso di scioglimento o di trasformazione) ai <fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione> dell’intero patrimonio sociale, dedotti il capitale e gli eventuali dividendi maturati[47].  

I suddetti limiti alla distribuzione degli utili costituiscono, pertanto, previsione statutaria obbligatoria per le cooperative a mutualità prevalente, a differenza delle cooperative <altre>, per le quali varrebbero criteri alternativi.

Per queste ultime, infatti, l’intervento riformatore ha previsto un duplice limite da osservarsi nella ripartizione degli utili: il primo di natura statutaria, essendo lo statuto deputato ad indicare una percentuale massima ripartibile; il secondo di natura legale, in forza del quale la distribuzione potrebbe operarsi solo nel caso in cui  l’indebitamento della società non ecceda un quarto del patrimonio netto (art. 2545-quinquies, co.2, c.c.).

3.- La costituzione e la partecipazione

a) La disciplina

La regola di carattere generale è nel senso che alle società cooperative, se non è previsto diversamente, si applicano -in quanto compatibili[48]- le disposizioni dettate sulla società per azioni. Le parti possono prevedere di assoggettare la cooperativa alla disciplina della società a responsabilità limitata nei casi in cui il numero dei soci sia inferiore a venti o l'attivo dello stato patrimoniale non sia superiore a un milione di euro (art. 2519 c.c.). Come già visto, la cooperativa è obbligatoriamente assoggettata alle disposizioni riguardanti la s.r.l. nel caso in cui il numero dei soci sia inferiore a nove ma superiore a tre. A quest'ultimo riguardo, infatti, è appena il caso di ricordare che la riforma del 2003 ha abrogato l'art. 21 della L.266/97, che aveva introdotto la c.d. "piccola cooperativa", riconducendo le società di dimensioni ridotte nell'alveo delle società cooperative in genere, con l'obbligo -per quelle preesistenti- di trasformarsi nel tipo di cooperativa di cui all'art. 2522, co.2, c.c.

"La cooperativa cui si applicano le norme sulla società a responsabilità limitata può offrire in sottoscrizione strumenti privi di diritti di amministrazione (non partecipativi) solo a investitori qualificati", di cui all'art. 111-octies,  disp. att. (art. 2526, ult. co., c.c.).

In ogni caso, sono fatte salve le leggi speciali dettate con riguardo a particolari categorie di cooperative, per le quali possono trovare applicazione anche le norme del codice solo se ed in quanto compatibili (art. 2520 c.c.).  

Quando si parla di leggi speciali occorre distinguere tra la normativa cui rinvia l’art. 2520 c.c. ed il gruppo di cooperative, per così dire speciali, cui si rivolge l’art. 223-terdecies delle norme di attuazione.

Nel primo caso, la norma si occupa di attrarre nel proprio campo di applicazione tutta la vasta cerchia di cooperative regolate dalle leggi speciali, facendo salva la normativa precedente. Lo scenario che si apre al riguardo rappresenta una categoria aperta, idonea a contenere non solo ogni tipo di cooperativa che risulti già contemplata da norme di diritto speciale (si pensi alle cooperative edilizie, di produzione e lavoro, alle cooperative sociali, alle cooperative di consumo, alle cooperative di assicurazione ecc.) ma anche ogni altra cooperativa cui in futuro il legislatore intenda rivolgere una disciplina specialistica[49].

Quanto, invece, alla seconda norma, è attraverso di essa che il legislatore della riforma ha escluso dalla nuova disciplina le banche popolari, le banche di credito cooperativo ed i consorzi agrari, stabilendo che, limitatamente ad essi, rimanga in vigore la normativa previgente.

In particolare, le prime due (banche popolari e banche di credito cooperativo) esaurirebbero la categoria delle cooperative cui è riservato l’esercizio dell’attività bancaria, e la relativa disciplina risulta racchiusa nel Testo unico delle leggi bancarie e creditizie (d. lgs. 1 settembre 1993 n.385, artt. 28 e ss.). Quanto, invece, ai consorzi agrari, l’art.223-terdecies li sottrae all’applicazione della disciplina riformata, assoggettandoli alla normativa precedente, sopravvissuta solo come disciplina speciale di quei particolari organismi consortili.

 

b) Atto costitutivo, statuto e regolamenti

L’indicazione dei partecipanti alla cooperativa (siano anche soggetti giuridici diversi dalle persone fisiche)[50] e di tutti gli elementi relativi alla denominazione sociale[51], alla sede[52] ed all’oggetto della cooperativa, ai suoi organi, ai criteri di ripartizione di utili e ristorni, al valore dei versamenti eseguiti e dei beni conferiti, nonché alle condizioni di ammissione, eventuale recesso ed esclusione dei soci è interamente  rimessa all’atto costituivo.

Quest'ultimo, oltre a rivestire la forma dell’atto pubblico, è soggetto al normale deposito presso l'ufficio del registro delle imprese a cura del notaio rogante entro dieci giorni dalla stipula (con l'iscrizione, la società acquista la personalità giuridica, ai sensi dell'art. 2331 c.c.).

Per le società cooperative a mutualità prevalente, è inoltre prevista l'iscrizione in un apposito albo tenuto presso il Ministero delle attività produttive (i cui effetti si sostanziano nella possibilità  di accedere alle agevolazioni di legge)[53]

Di particolare rilevanza è la previsione, nello stesso atto costitutivo, dell’eventuale attività che la cooperativa intende svolgere con soggetti terzi, atteso che la mancanza della stessa preclude l'esercizio di detta attività.

Le norme relative al funzionamento della società sono contenute nello statuto, che si considera parte integrante dell'atto costitutivo anche nei casi in cui formi oggetto di atto separato.

Una nuova fonte normativa dei rapporti tra la società ed i soci è poi costituita dai regolamenti, "che determinano i criteri e le regole inerenti allo svolgimento dell'attività mutualistica" (art. 2521, ult. co., c.c.).

Gli stessi possono costituire parte integrante dell'atto costitutivo ovvero essere predisposti dagli amministratori, in un momento successivo alla costituzione della società, e sottoposti all'approvazione dell'assemblea, che delibera con le maggioranze previste per l'assemblea straordinaria.

 

c) La responsabilità dei soci 

A parte le cooperative pure -che sono costituite solo ed esclusivamente da soci cooperatori- possono partecipare a tutte le altre società cooperative (a mutualità prevalente e non), anche i soci sovventori, gli azionisti di partecipazione cooperativa, i soci finanziatori ed altri sottoscrittori di titoli di debito (obbligazionisti)[54].

I soci cooperatori partecipano alla società in quanto appartenenti ad una determinata categoria di soggetti ovvero in possesso di particolari requisiti, con esclusione di coloro i quali svolgono, per loro conto, un'attività economica in concorrenza con la cooperativa[55].

A differenza della precedente legislazione, la qualifica di soci cooperatori non espone gli stessi alla eventuale responsabilità per le obbligazioni sociali. La legge di riforma del 2003 ha eliminato, infatti, la vecchia distinzione tra cooperative con soci a responsabilità limitata e cooperative con soci illimitatamente responsabili, disponendo -senza lasciare spazio a possibili alternative- che per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (art.2518 c.c.).

Manca, invece, un analogo intervento riformatore sulla responsabilità dei soci e dei loro eredi nei confronti della società, per la quale si prevede, senza alcun radicale cambiamento, la responsabilità del socio uscente per il pagamento dei conferimenti non versati.

La sola novità consiste nella riduzione del  periodo di permanenza di detto obbligo di pagamento dagli originari due anni ad un anno e nell'obbligo, verso la stessa società -in caso di sua insolvenza ed entro lo stesso periodo di tempo-, di rispondere nei limiti di quanto ricevuto per la liquidazione della quota o per il rimborso delle azioni (art. 2536 c.c.).

Restando in tema di responsabilità, il legislatore del 2003, nel ribadire l'impossibilità per il creditore particolare del socio di procedere esecutivamente nei suoi confronti (aggredendo la quota o le azioni di partecipazione alla cooperativa), ha ritenuto, altresì, di abolire il potere, che si riconosceva al suddetto creditore particolare, di impedire -opponendovisi- l'eventuale decisione di proroga della società[56].

Un'altra notazione riguarda l'inapplicabilità, nella fattispecie che ne occupa, degli artt. 2471 e 2471-bis c.c., dettati in tema di espropriazione, pegno, usufrutto e sequestro della partecipazione. In tutti i casi, infatti, si tratterebbe di consentire -anche per effetto della vendita all'asta della quota o delle azioni del socio debitore- il subingresso di altri soggetti nella società, la qual cosa risulta incompatibile con il sistema cooperativistico, avuto riguardo alla necessaria sussistenza dei requisiti di ammissione.   

 

d) I soci cooperatori

Nell'ambito della categoria dei soci cooperatori (la più importante ed addirittura essenziale per qualsiasi tipo di cooperativa) distinguiamo le persone fisiche ed i soggetti diversi da esse, i soci-imprenditori ed i soci-in formazione ovvero in prova.

In linea di principio, ciascun socio-persona fisica non può avere una quota societaria superiore a centomila euro, né tante azioni il cui valore nominale superi tale somma[57].

Nelle società con più di cinquecento soci, l'atto costitutivo può elevare il superiore limite sino al due per cento del capitale sociale.

In ogni caso i suddetti limiti non si applicano qualora oggetto dei conferimenti siano beni in natura o crediti; nei casi di assegnazione delle riserve disponibili e di ripartizione dei ristorni mediante aumento proporzionale delle quote sottoscritte e versate o mediante l'emissione di nuove azioni (nella misura massima del venti per cento del valore originario nel solo caso di assegnazione delle riserve disponibili, ex art. 2545-quinquies, co. 3, c.c.) e con riferimento ai soci diversi dalle persone fisiche ed ai sottoscrittori di strumenti finanziari dotati di diritti di amministrazione (c.d. partecipativi).

Ai soci-persone giuridiche l'atto costitutivo può attribuire più voti, fino ad un massimo di cinque, in relazione all'ammontare della quota oppure al numero dei loro membri.

I soci-imprenditori, presenti nelle cooperative in cui i soci realizzano lo scopo mutualistico attraverso l'integrazione delle rispettive imprese o di talune fasi di esse, a differenza degli altri possono avere attribuito, dall'atto costitutivo, il diritto di voto "in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico", mentre lo statuto fissa un limite -per il voto plurimo spettante a siffatta categoria di soci- "in modo che nessuno di essi possa esprimere più del decimo dei voti in ciascuna assemblea generale". In ogni caso, i voti complessivamente attribuiti ai soci-imprenditori non possono superare il terzo dei voti spettanti a tutti gli altri soci (art. 2538, co.4, c.c.).

A differenza di ogni altro socio, il socio-imprenditore individuale può farsi rappresentare in assemblea anche dal coniuge, dai parenti entro il terzo grado e dagli affini entro il secondo grado, che collaborino all'impresa (art. 2539, co.2, c.c.).

Per quanto concerne i soci c.d. in prova o soci-apprendisti, l'atto costitutivo ne può prevedere l'ammissione in una categoria speciale, in ragione dell'interesse che essi hanno alla loro formazione ovvero al successivo inserimento nell'impresa societaria.

Il loro numero non può superare il terzo del numero totale dei soci-cooperatori e possono essere ammessi a godere dei diritti spettanti a questi ultimi al termine di un periodo di apprendistato o di attesa non superiore a cinque anni (art. 2527, co.3, c.c.).

La dottrina non ha mancato di intravedere in questa disposizione un'ipotesi di, seppur parziale, deroga ai principi affermati per l'ammissione dei soci alla cooperativa, nella misura in cui consentirebbe l'inserimento all'interno della stessa di soggetti che, al momento del loro ingresso, non sarebbero in possesso dei requisiti richiesti. Sennonché, la previsione di una categoria speciale escluderebbe la parificazione di questi soggetti ai veri e propri soci-cooperatori, né appare corretto intravedere una sorta di automatismo nell'ingresso dei suddetti allo scadere dei cinque anni, dovendosi ritenere che il passaggio da una categoria all'altra debba avvenire, sempre e comunque, previo accertamento della sussistenza, in capo ai soci da ammettere, dei requisiti personali di cui all'atto costitutivo.  

 

e) I soci finanziatori

I soci sovventori conferiscono risorse ricevendo in cambio azioni nominative, trasferibili e privilegiate nella remunerazione dell'investimento così effettuato (fino al due per cento in più rispetto agli altri soci).

L'atto costitutivo può attribuire a ciascuno di essi più voti, fino ad un massimo di cinque, in relazione all'ammontare del conferimento, e l'ammontare dei voti attribuiti complessivamente ai soci sovventori non deve -in ogni caso- superare un terzo dei voti spettanti a tutti i soci.

In quanto soci, i sovventori sono soggetti alle regole societarie e possono essere nominati amministratori a condizione che la maggioranza degli amministratori sia sempre costituita da soci cooperatori[58]. I fondi costituiti con i conferimenti di denaro provenienti dai soci sovventori costituiscono quota parte del capitale sociale sulla cui modalità di funzionamento, in mancanza di previsioni statutarie, delibera l'assemblea.

Le società cooperative, che abbiano adottato procedure di programmazione pluriennale finalizzate allo sviluppo ed all'ammodernamento aziendale, possono emettere azioni di partecipazione cooperativa, che sono prive del diritto di voto ma privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale (alla stregua di quanto già previsto per le azioni di risparmio introdotte con la legge 216/1974).

Agli azionisti di partecipazione cooperativa spetta, infatti, una remunerazione maggiorata del due per cento, rispetto a quella delle quote e delle azioni dei soci cooperatori; all'atto dello scioglimento della società, gli stessi hanno diritto di prelazione nel rimborso del capitale versato ed in caso di perdita del capitale sociale ne risentono nei limiti della parte eccedente il valore nominale complessivo delle altre azioni o quote.

L'ammontare di questa particolare categoria di azioni non può essere superiore al valore contabile delle riserve indivisibili e del patrimonio netto risultanti dall'ultimo bilancio; devono essere offerte in opzione, almeno per la metà, ai soci ed ai lavoratori dipendenti della società e possono essere al portatore, a condizione che siano interamente liberate. 

 

f) I possessori di strumenti finanziari

Per la prima volta viene statuito che anche l'atto costitutivo di una società cooperativa possa prevedere l'emissione di strumenti finanziari e di obbligazioni, secondo la corrispondente disciplina delle società per azioni (art. 2526 c.c.).

L'obiettivo del legislatore è stato quello di consentire alle cooperative di raccogliere capitale di rischio, soddisfacendo in tal modo il sempre crescente bisogno di disponibilità finanziarie per competere con le imprese concorrenti.

I possessori di strumenti finanziari  possono essere interni od esterni alla società.

Ai primi, l'atto costitutivo riconosce diritti amministrativi, mentre i secondi sono portatori soltanto di diritti patrimoniali.

Ai possessori di strumenti finanziari partecipativi, in ogni caso, non può essere attribuito più di un terzo dei voti spettanti ai soci presenti o rappresentati in ciascuna assemblea generale ed il loro diritto di recesso è disciplinato dagli artt. 2437 e ss. c.c.

Se lo statuto lo prevede, i possessori di strumenti finanziari hanno il diritto di eleggere fino ad un terzo degli amministratori e dei componenti dell'organo di controllo (artt. 2542, co.4, e 2543, co.3, c.c.).  

Avuto riguardo ai diritti patrimoniali, questi non incontrano limiti di sorta, fatta eccezione soltanto per gli strumenti finanziari sottoscritti da soci cooperatori, ai quali non può essere riconosciuta una remunerazione superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi (vale a dire due punti e mezzo in più rispetto a buoni fruttiferi postali, per un totale, quindi, di quattro punti e mezzo in più rispetto a questi ultimi).

Anche in tema di diritti di voto plurimo, il possesso di strumenti finanziari da parte di soci cooperatori comporta il rispetto dei limiti determinati dall'atto costitutivo.

4.- L'entrata e l'uscita dalla società

a) L'ammissione

Gli artt. 2527 e 2528 c.c. si inseriscono in modo del tutto innovativo nella normativa codicistica, disciplinando per la prima volta i "requisiti" dei soci e dettando le regole per l'ammissione degli stessi all'interno della cooperativa[59].

Nel rimettere alla piena autonomia statutaria la determinazione delle condizioni di ammissione dei soci, la prima di dette norme prevede, al contempo, che i criteri così individuati siano non discriminatori coerenti con lo scopo mutualistico e l'attività economica svolta.

Ed ancora: i requisiti soggettivi diventano elemento essenziale dell'atto costitutivo che, ai sensi dell'art. 2521, n.6, c.c., deve indicare i requisiti e le condizioni per l'ammissione dei soci, individuando, cioè, la categoria produttiva o il ceto sociale dei cui interessi la cooperativa intende farsi portatrice e, conseguentemente, gli elementi idonei a comprovare l'appartenenza dell'aspirante socio alla categoria prescelta.

Al di là delle poche indicazioni illustrate, manca una definizione dettagliata dei requisiti soggettivi dei soci cooperatori e l'unico caso in cui il legislatore si esprime al riguardo ha contenuto puramente negativo, laddove fa divieto di ammettere all'interno della società quanti esercitino in proprio imprese in concorrenza con la cooperativa cui gli stessi sono interessati.

L’art. 2528 c.c., dal canto suo, nel dettare le regole ed i criteri di ingresso, si conforma pienamente a quello che abbiamo definito come uno dei principi cardine delle cooperative: il principio della <porta aperta>.

Infatti, il modello adottato dal legislatore del 2003 lascia trasparire una piena apertura della cooperativa al progressivo ingresso in società di tutti quanti, aspiranti soci, siano in possesso dei necessari requisiti[60]. In tal senso va visto l’obbligo di motivazione che la norma pone a carico degli amministratori nei confronti del soggetto non ammesso, e l’ulteriore onere di illustrare, nella relazione al bilancio, le determinazioni assunte in ordine all’ammissione di nuovi soci (art. 2528, ult. co., c.c.)[61].

Sulla domanda di ammissione deliberano gli amministratori i quali, in caso di ammissione, devono comunicare la deliberazione all'istante e curarne l'annotazione nel libro dei soci, mentre, nel caso di rigetto, hanno l’obbligo di motivarla entro sessanta giorni e darne comunicazione all'interessato. A partire dalla suddetta comunicazione -o, sarebbe stato meglio dire, dal momento della sua ricezione- l’aspirante socio ha facoltà -entro sessanta giorni- di proporre reclamo all’assemblea, la quale ha il compito di deliberare sulle domande non accolte[62].

E’ dubbio se l’assemblea, nel caso in cui deliberi in senso positivo, abbia il potere di procedere essa stessa all’ammissione del socio o se, invece, ciò resti appannaggio esclusivo dell’organo amministrativo, il quale avrà, comunque, l’obbligo di conformarsi alla delibera assembleare, dandovi esecuzione[63].

Ciò premesso, è certo che l’ammissione alla cooperativa non possa configurarsi come un vero e proprio diritto soggettivo dell’aspirante socio, né, pertanto, è possibile configurare un obbligo a contrarre a carico della società, trattandosi in entrambi i casi di semplici atti di autonomia contrattuale[64].

Così come la domanda d’ingresso nella cooperativa è null’altro che una proposta contrattuale, la delibera di ammissione ha natura di accettazione in senso tecnico e, quindi, di atto di autonomia privata, come tale incoercibile e insindacabile da parte dell’autorità giudiziaria.

Allo stesso modo, la clausola dell’atto costitutivo che prevede i requisiti di ammissione dei nuovi soci non avrebbe il valore di un’offerta al pubblico, come tale vincolante, essendo rivolta esclusivamente nei confronti degli organi interni alla cooperativa, affinché curino di attenervisi.

Infine, si prevede per il nuovo socio l’obbligo di versare un sovrapprezzo -laddove previsto[65]- oltre all’importo delle quote o azioni.

 

b) Il recesso

Quanto, invece, alle ipotesi opposte all'ingresso nella società e che si sostanziano nello scioglimento parziale del rapporto sociale, queste possono aver luogo nei casi di recesso (art. 2532 c.c.), di esclusione dalla società (art. 2533 c.c.) e di morte del socio -fatti salvi i casi in cui l’atto costitutivo disponga la continuazione del rapporto sociale con gli eredi- (art. 2534 c.c.).

Dall’analisi della normativa sul recesso, emerge chiaramente l’ampio margine che la legge riconosceva, e riconosce tutt’ora, all’autonomia statutaria.

L’art. 2532 c.c. dispone, infatti, che il recesso è consentito in tutti i casi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo. Ciò è spiegabile proprio in relazione alla particolare natura della società cooperativa la quale, da un lato, appare dominata dal principio della <porta aperta> e, dall’altro, si presenta come una società a <capitale variabile> che, come tale, avverte meno intensamente l’esigenza di tutelare l’integrità del proprio capitale.

La disciplina codicistica del recesso sembrerebbe sostanzialmente immutata, fatta eccezione per l'introduzione del divieto di un recesso parziale (ammesso, nelle società per azioni dall'art. 2437 c.c.) e per l'estensione a questa fattispecie di un procedimento analogo a quello previsto in tema di trasferimento della quota o delle azioni (di cui si dirà più avanti). Dispone, infatti, la superiore norma che la dichiarazione di recesso deve essere comunicata con raccomandata alla società, affinché gli amministratori la esaminino entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione. In caso di accoglimento, il recesso ha effetto -per quanto concerne il rapporto sociale- dalla data di comunicazione del provvedimento, mentre -per i rapporti mutualistici tra socio e società- lo stesso esplica effetti (ove la legge o l'atto costitutivo non preveda diversamente) con la chiusura dell'esercizio in corso, se comunicato tre mesi prima, o con la chiusura dell'esercizio successivo, in caso contrario[66].

Se non sussistono i presupposti legali o statutari del recesso, gli amministratori ne danno immediata notizia al socio, il quale ha diritto di proporre opposizione avanti il tribunale entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione.      

Per le ipotesi di recesso di tipo legale, occorre rinviare alla disciplina propria delle società per azioni (art. 2437 c.c.) o, rispettivamente, delle società a responsabilità limitata (art. 2473 c.c.), a secondo del modello adottato dalla cooperativa.

 

c) L'esclusione

Per quanto riguarda l’esclusione, la competenza a deliberare spetta di regola agli amministratori, tranne il caso in cui l’atto costitutivo la riconosca all’assemblea.

A differenza dell'art. 2473-bis c.c., che rinvia alle sole ipotesi di esclusione per giusta causa previste dall'atto costitutivo, l'art. 2533 c.c. affianca, ai casi previsti dall'atto costitutivo, l'esclusione  per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico, nonché le ipotesi di mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società, di inidoneità a svolgere l'opera conferita o di perimento della cosa da trasferire alla società  (ex art. 2286 c.c.) e, per finire, l'esclusione per sopravvenuto fallimento del socio (ex art. 2288, co.1, c.c.).

La stessa norma, inoltre, prevede che, ai casi di esclusione espressamente elencati, vada aggiunta l’ipotesi del socio che non esegua in tutto o in parte il pagamento delle quote o azioni sottoscritte (art. 2531 c.c.).

In tutti i casi, si tratta di esclusione facoltativa (l'esclusione può aver luogo), non essendo prevista alcuna ipotesi di esclusione obbligatoria o di diritto.

La stessa deve essere deliberata dagli amministratori o dall'assemblea ed il socio escluso può proporre opposizione al tribunale[67], alla stessa stregua di quanto già disposto dalla normativa precedente (art. 2527 c.c.), ma con l'allungamento dei relativi termini da trenta a sessanta giorni.

A differenza dell'ipotesi di recesso, in cui il legislatore -ai fini del verificarsi dell'evento- distingue tra rapporti sociali e rapporti mutualistici tra socio e società, nel caso di esclusione, qualora l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti (art. 2533, co.4, c.c.).

 

d) La morte del socio

Avuto riguardo all'ultima delle fattispecie di scioglimento parziale del rapporto sociale, v’è da dire che, nel nuovo sistema come sopra riformato, le regole dettate per il caso di morte del socio restano in sostanza invariate, ribadendosi il diritto degli eredi alla liquidazione della quota o al rimborso delle azioni del socio defunto, salvo poche precisazioni in ordine alla eventuale prosecuzione del rapporto sociale con gli eredi stessi, consentita dall'atto costitutivo esclusivamente nei confronti di soggetti che siano in possesso dei requisiti previsti per l'ammissione alla società[68].

Come i soci uscenti, anche gli eredi del socio defunto hanno diritto alla liquidazione della partecipazione sociale.

L’art. 2535 c.c. dispone in generale che la liquidazione debba avvenire secondo i criteri stabiliti nell’atto costitutivo, sulla base del bilancio di esercizio in cui si sono verificati il recesso, l’esclusione o la morte del socio.

La suddetta liquidazione comprende, oltre alla quota o alle azioni, il rimborso del sovrapprezzo eventualmente versato, nei limiti in cui sussista ancora nel patrimonio sociale e sempre che non sia stato destinato ad aumento gratuito del capitale.

Infine, si dovrà tenere conto delle eventuali perdite imputabili al capitale e procedere proporzionalmente alla relativa riduzione. 

Il pagamento deve essere effettuato entro il termine di sei mesi dall'approvazione del bilancio, mentre per la frazione della quota o per le azioni assegnate al socio in sede di distribuzione di dividendi e di riserve divisibili ovvero di ripartizione di ristorni, l'atto costitutivo può prevedere la liquidazione o il rimborso, unitamente agli interessi legali, rateizzati entro un termine massimo di cinque anni (art. 2535, ult. co., c.c.).

 

e) Il trasferimento della quota e delle azioni

L'uscita del socio dalla società può aversi, oltre che nei casi di cui sopra, per l'avvenuto trasferimento a terzi della sua quota o delle azioni.

A tal riguardo, va subito precisato che siffatta eventualità può verificarsi solo in caso di espressa autorizzazione da parte degli amministratori a seguito di richiesta da formularsi, da parte dell'interessato, a mezzo lettera raccomandata.

Il provvedimento che concede o nega l'autorizzazione deve essere comunicato al socio entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della richiesta. In mancanza di comunicazione entro il suddetto termine, si forma una specie di silenzio-assenso, con la facoltà per l'interessato di procedere al trasferimento della propria partecipazione sociale[69].

L'eventuale diniego deve essere motivato ed avverso lo stesso è possibile proporre opposizione al tribunale entro sessanta giorni, che decorrono dalla data di ricevimento della comunicazione.

Qualora l'atto costitutivo vieti la cessione della quota o delle azioni, la legge riconosce al socio il diritto di recedere dalla società con preavviso di tre mesi e dopo che siano decorsi due anni dall'ingresso del socio nella società (art.2530, ult. co., c.c.).

Si tratta di disposizioni che, per un verso, legittimano il recesso in tutti i casi in cui sia preclusa al socio la possibilità di uscire dalla società per effetto del trasferimento della propria quota di partecipazione e, per altro verso, intendono dare serietà e concretezza alla sottoscrizione dell'atto costitutivo da parte di chi entra a fare parte di una società ben conoscendo l'esistenza della clausola che vieta quella cessione.

5.- Gli organi sociali

a) L'assemblea generale

Passando alla disciplina degli organi sociali, si deve prima di tutto richiamare ancora una volta la possibilità, riconosciuta alle società cooperative, di adottare alternativamente il modello delle società per azioni o quello delle società a responsabilità limitata[70], la qual cosa influirà inevitabilmente anche sulla disciplina degli organi.

Pertanto, laddove la cooperativa aderisca al modello della s.p.a., usufruirà degli stessi organi sociali, con poche significative deviazioni.

Quanto all’assemblea, si confermano -anche dopo la riforma- la legittimazione a parteciparvi di coloro che risultano iscritti da almeno tre mesi nel libro dei soci[71] ed il principio capitario di <una testa-un voto>, per cui ciascun socio ha diritto ad un solo voto, qualunque sia il valore della quota o il numero delle azioni possedute (art. 2538 c.c.). 

Una deroga è prevista, come già visto in precedenza, per i soci-persone giuridiche, ai quali l’atto costitutivo può riconoscere più di un voto (mai oltre i cinque), e per le cooperative in cui i soci realizzino lo scambio attraverso l’integrazione delle rispettive imprese (c.d. cooperative di produzione), nelle quali il diritto di voto può essere attribuito anche in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico, entro il limite massimo di un decimo dei voti di ciascuna assemblea generale e, complessivamente, di un terzo dei voti dei soci presenti o rappresentati (art. 2538, co.4, c.c.).

E’ opportuno ricordare che, nell’attuale impianto normativo, tutte le volte in cui si parla di soci con diritto di voto dovrà farsi riferimento, ormai, non più esclusivamente ai soci cooperatori, ma anche ai soci sovventori, ai quali il diritto di voto era già riconosciuto in forza dell’art. 4 della l. 59/92 ed ai quali, oggi, è lo stesso statuto che può attribuirlo, ex art. 2526 c.c.

A tal proposito, si ricorda che laddove gli strumenti finanziari siano attribuiti agli stessi cooperatori il diritto di voto incontrerà i limiti determinati dall'atto costitutivo.

Le maggioranze richieste per la costituzione di tutte le assemblee, ordinarie e straordinarie, in prima ed in seconda convocazione, così come i quorum deliberativi, sono determinate dall'atto costitutivo e vengono calcolate secondo il numero dei voti spettanti alle varie categorie di soci.

Volendo trattare del ruolo dell'assemblea generale, va subito osservato che la portata dello stesso è strettamente collegata al sistema di amministrazione adottato dalla cooperativa.

E' vero, infatti, che il suddetto ruolo risulta molto più ampio in presenza del sistema di amministrazione tradizionale, mentre si restringe nei casi di sistema monistico o dualistico. Nel primo caso, l'assemblea perde il potere di nomina dell'organo di controllo interno, che passa al consiglio di amministrazione, mentre, nel secondo caso, alcune competenze assembleari passano al consiglio di sorveglianza (quali la nomina e la revoca del consiglio di gestione, l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e l'approvazione del bilancio).

L'applicazione, infine, della disciplina dettata per le società per azioni comporta -tra l'altro- la competenza dell'assemblea (nelle società prive del consiglio di sorveglianza) a deliberare sulle autorizzazioni per il compimento di atti da parte degli amministratori, dei quali questi ultimi assumono comunque la piena responsabilità (art.2364, n.5, c.c.).   

 

b) La rappresentanza in assemblea 

Riguardo alle specifiche novità introdotte dalla riforma, si può senza dubbio affermare che uno degli obiettivi che il legislatore delegato ha sicuramente realizzato  è quello di favorire la partecipazione dei soci alle delibere assembleari[72], e ciò ha fatto ricorrendo a due espedienti: l’ampliamento delle possibilità di delega del voto e la valorizzazione delle assemblee separate.

In tema di rappresentanza e di voto per delega, crescono, infatti, le possibilità di rappresentanza dei soci in assemblea (da cinque a dieci), pur mantenendosi ferma la regola che la delega sia rivolta esclusivamente nei confronti di soci, con la nuova eccezione per il socio-imprenditore, cui si è già avuto modo di accennare, al quale è riconosciuta la facoltà di essere rappresentato anche dal coniuge, dai parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo, che collaborino nell’impresa (art.2539, ult. co., c.c.).

Questa previsione, eccezionale rispetto al principio che all'assemblea non possono partecipare soggetti che non siano soci della cooperativa, sembrerebbe potersi spiegare con l’opportunità di garantire l’esercizio del potere di rappresentanza in favore di soggetti in qualche misura coinvolti nella gestione dell’impresa, e come tali non del tutto <terzi> rispetto alla società, né estranei alla stessa o agli interessi con essa perseguiti.

Ancora, si conferma la possibilità -se previsto nell’atto costitutivo- di esprimere il proprio voto per corrispondenza, con la novità che lo stesso può essere trasmesso facendo ricorso anche ai più moderni mezzi di telecomunicazione.

In tal modo, si consente ai soci di intervenire anche a distanza, rafforzando ancora una volta la partecipazione sociale.

 

b) Le assemblee separate

Per quanto riguarda le assemblee separate, si tratta di un meccanismo che consente una formazione progressiva della volontà assembleare, distribuita in due distinte fasi: quella delle assemblee separate, che deliberano sulle stesse materie all’ordine del giorno dell’assemblea generale, e quella successiva dell’assemblea generale. Siffatto sistema, già sperimentato in precedenza, da un lato, incentiva la partecipazione sociale, altrimenti scoraggiata dalla influenza marginale del singolo in contesti particolarmente allargati, e, dall’altro, agevola il raggiungimento dei quorum richiesti, altrimenti più difficili da realizzare.

Il ricorso, di regola facoltativo, a questo tipo di assemblee (rispetto a specifiche materie ovvero in presenza di particolari categorie di soci) diventa obbligatorio in due ipotesi: per le cooperative con più di tremila soci che svolgono l’attività in più province, e per quelle che abbiano oltre cinquecento soci e realizzino più gestioni mutualistiche (art. 2540, co.2, c.c.).  

La disciplina prevede l’individuazione di soci delegati dalle assemblee separate per la partecipazione all’assemblea generale, garantendo al contempo la proporzionale rappresentanza delle relative minoranze.

Gli altri partecipanti alle assemblee separate, che non siano stati eletti come delegati, mantengono il diritto di partecipare all'assemblea generale, ma senza diritto di voto.

Inoltre, si è posto il principio della non impugnabilità delle delibere adottate dalle assemblee separate, consentendosi, soltanto, l’impugnazione delle decisioni dell’assemblea generale anche da parte dei soci assenti o dissenzienti nelle assemblee separate, ma a condizione che la mancanza dei voti dei soggetti delegati dalle assemblee separate irregolarmente tenute avrebbe comportato il venir meno delle maggioranze richieste per l’assemblea generale[73].

Nel disciplinare specificatamente le assemblee separate, il legislatore ha perduto l'occasione di risolvere almeno alcuni dei numerosi problemi già sollevati sotto la passata legislazione. Rimane in dubbio, infatti, se i delegati abbiano l'obbligo o meno di votare in assemblea generale secondo il mandato ricevuto; se gli stessi debbano esprimere un voto che sia proporzionale o meno al numero dei partecipanti all'assemblea separata che li ha nominati o, quanto meno, in proporzione ai propri deleganti (di maggioranza o di minoranza); ed ancora  se il numero complessivo dei delegati debba essere proporzionale al numero dei soci che avevano diritto di partecipare all'assemblea separata ovvero dei soli soci che vi hanno effettivamente partecipato.

Per finire, l'ultimo comma dell'art. 2540 c.c. esclude l'ammissibilità di assemblee separate nelle società cooperative quotate nei mercati regolamentati, in dipendenza della polverizzazione del capitale presso il pubblico dei risparmiatori.

 

d) Le assemblee speciali

Un discorso a parte va fatto per le assemblee speciali dei possessori di strumenti finanziari. Dispone l’art. 2541 c.c. che i possessori di strumenti finanziari privi del diritto di voto si riuniscono in assemblee speciali, per ciascuna categoria di titoli, per deliberare su specifiche questioni ivi elencate ed in particolare  sulla nomina e revoca del rappresentante comune.

Più specificatamente, le competenze legali delle assemblee speciali di che trattasi si possono così riassumere: 1) approvazione delle deliberazioni dell'assemblea della società cooperativa che pregiudichino i diritti della categoria di appartenenza (funzione dell'assemblea è quella di assumere le opportune determinazioni a tutela dei diritti dei suoi partecipanti); 2) esercizio dei diritti di amministrazione o patrimoniali stabiliti dall'atto costitutivo ai sensi dell'art.2526 c.c., compreso il rispetto delle condizioni cui è sottoposto il trasferimento degli strumenti finanziari posseduti; 3) la già citata nomina e revoca del rappresentante comune della categoria interessata, nonché l'azione di responsabilità nei confronti dello stesso per gravi irregolarità e/o per l'inosservanza dei doveri che gli derivano dalla legge e dal mandato ricevuto; 4) costituzione, amministrazione e relativo rendiconto di un fondo spese, necessario alla tutela dei comuni interessi dei possessori degli strumenti finanziari  appartenenti alla categoria in questione; 5) eventuali controversie dei possessori di strumenti finanziari appartenenti a quella determinata categoria con la società cooperativa, con particolare riguardo alle decisioni da adottare in ordine a ciascuna di esse, alle relative transazioni o possibili rinunce; 6) qualsiasi altro oggetto di interesse comune.

Il potere di convocazione delle assemblee speciali spetta agli amministratori della società ed al rappresentante comune della relativa categoria, i quali hanno facoltà di provvedervi tutte le volte che lo ritengano necessario, mentre sono tenuti ad effettuarla ogni qual volta lo richieda almeno un terzo dei possessori degli strumenti finanziari interessati.

Il rappresentante comune ha inoltre l'obbligo di dare esecuzione alle deliberazioni dell'assemblea speciale e di tutelare, nei rapporti con la società cooperativa, gli interessi comuni dei possessori di strumenti finanziari  che lo hanno eletto.

Allo stesso rappresentante comune compete il diritto di esaminare il libro dei soci  della società cooperativa ed il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'assemblea generale, compreso quello di ottenere i relativi estratti, nonché il diritto di assistere all'assemblea della società cooperativa e di impugnarne le deliberazioni (sempre che le stesse pregiudichino gli interessi comuni della categoria che egli rappresenta).

Di assemblee speciali è possibile parlare anche con riguardo agli azionisti di partecipazione cooperativa ed agli obbligazionisti della società.

Ai sensi dell'art.6 della l. 59/92, tutt'ora in vigore, l'assemblea speciale dei possessori delle azioni di partecipazione cooperativa delibera anch'essa sulla nomina e revoca del rappresentante comune, sull'approvazione delle deliberazioni dell'assemblea della società cooperativa che pregiudicano i diritti della categoria, sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul relativo rendiconto nonché sugli altri oggetti di interesse comune.

I restanti commi dello stesso articolo ricalcano quelli del citato art. 2541 c.c., con la precisazione che le spese sostenute dal rappresentante comune nell'esercizio dei propri diritti sono imputate al fondo di cui sopra.

Per l'assemblea speciale degli obbligazionisti è d'uopo il richiamo all'art. 2415 c.c., nel quale -in aggiunta alle competenze proprie delle altre assemblee speciali- troviamo il potere di deliberare sulle modificazioni delle condizioni del prestito. Per il resto non ci sembra ci sia nulla di particolare da ricordare, fatta eccezione, naturalmente, per l'inapplicabilità di quelle statuizioni che mal si conciliano con la disciplina delle società cooperative.          

 

e) I sistemi di amministrazione

Come si è avuto modo di ricordare, la società cooperativa -in quanto soggetta, in linea di massima, alla disciplina delle società per azioni- può adottare uno dei sistemi di amministrazione previsti, per quel tipo di società, dal d. lgs. 6/2003.

Si tratta, come tutti sanno, di affiancare, al sistema di governance tradizionale (costituito dal consiglio di amministrazione, cui si accompagna il collegio sindacale) il c.d. sistema dualistico (che è basato su un consiglio di gestione ed un consiglio di sorveglianza) (artt. 2409-octies e ss., c.c.) ed il sistema monistico (caratterizzato da un consiglio di amministrazione con al suo interno un comitato per il controllo sulla gestione) (artt. 2409-sexiesdecies e ss., c.c.).

A ciò si aggiunga che le norme dettate in tema di società cooperative attengono esclusivamente alla struttura dell'organo di gestione, dovendosi, per i relativi poteri, fare rinvio alle disposizioni facenti parte della disciplina delle società per azioni.

L'art. 2542 c.c., intestato al consiglio di amministrazione, fissa i due principi cardine che governano la relativa disciplina, prevedendo: a) che la maggioranza degli amministratori sia scelta tra i soci cooperatori[74], essendo venuta meno la regola che imponeva la totalità di cooperatori; b) che la nomina della maggioranza degli amministratori sia, in ogni caso, riservata all’assemblea[75] (art. 2542 c.c.).

Si conferma, quindi, l’interesse del legislatore a garantire che la direzione della cooperativa rimanga prevalentemente nelle mani di persone interessate personalmente all’attività mutualistica.

La stessa norma prevede la possibilità che l'atto costitutivo attribuisca agli appartenenti alle diverse categorie di soci il potere di nominare uno o più amministratori in proporzione dell'interesse che ciascuna categoria ha nell'attività sociale, con il limite massimo, per i possessori di strumenti finanziari, di eleggere fino ad un terzo del numero degli amministratori.

Lo stesso limite vale laddove la cooperativa abbia adottato il sistema di amministrazione dualistico, nel senso che ai possessori di strumenti finanziari è precluso di eleggere più di un terzo dei componenti del consiglio di sorveglianza e più di un terzo dei componenti del consiglio di gestione[76], ovvero il sistema monistico, nel senso che i possessori di strumenti finanziari possono eleggere fino ad un terzo dei componenti del consiglio di amministrazione, ai quali, però, è vietato attribuire deleghe operative e senza che gli stessi possano fare parte del comitato esecutivo.

Nel caso di sistema dualistico, i componenti del consiglio di sorveglianza, eletti dai soci cooperatori-persone giuridiche, devono essere scelti tra le persone da loro indicate, mentre quelli eletti dai soci cooperatori-persone fisiche devono essere scelti tra i soci cooperatori. Ma quid iuris se tra i soci cooperatori non vi è nessun revisore contabile, con la conseguente impossibilità di rispettare il disposto di cui all'art. 2409-duodecies, co.4, c.c.?  

Indipendentemente, infine, dal sistema di amministrazione adottato, l'art. 2544 c.c. pone il divieto, per gli amministratori, di delegare le seguenti materie di loro esclusiva competenza: emissione di obbligazioni convertibili (se ed in quanto compatibili con il sistema cooperativistico), redazione del bilancio, aumento del capitale sociale, convocazione dell'assemblea per perdita del capitale, redazione progetto di fusione o di scissione, ammissione ed esclusione di soci ed esame delle domande di recesso, tutte le decisioni che incidono sui rapporti mutualistici con i soci, materie queste tutte previste dalla succitata norma, alle quali devesi aggiungere la predisposizione dei regolamenti ex art. 2521, ult. co., c.c.

 

f) L'organo di controllo     

La formulazione della norma relativa all'organo di controllo evidenzia la possibilità che lo stesso possa mancare anche nelle cooperative soggette alla disciplina dettata per le società per azioni[77]. La nomina del collegio sindacale, infatti, è prevista come obbligatoria solo nei casi in cui il capitale sociale sia superiore al minimo fissato dall'art. 2327 c.c., se per due esercizi consecutivi siano stati superati due dei limiti indicati dal primo comma dell'art. 2435-bis c.c. e quando la società cooperativa emette strumenti finanziari non partecipativi. In quest'ultimo caso, inoltre, i componenti del collegio sindacale devono avere i requisiti di onorabilità e professionalità sanciti dal Testo Unico sugli investimenti finanziari (l.58/98, successive modifiche ed integrazioni)[78].

Nei casi in cui la società non si doti dell'organo di controllo interno, il controllo contabile dovrà essere affidato ad un revisore esterno, con il contestuale aumento dei poteri di controllo da parte dei soci.

Questi ultimi, in ogni caso, sempre che non siano in mora nei conferimenti e la cooperativa sia soggetta alla disciplina delle società per azioni, hanno il diritto di esaminare ed estrarre copia del libro dei soci e del libro delle adunanze. Gli stessi, inoltre, quando rappresentino un decimo del numero complessivo ovvero un ventesimo dei partecipanti alle cooperative con più di tremila soci, hanno il diritto di esaminare (attraverso un rappresentante comune, eventualmente assistito da un professionista di sua fiducia) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione e il libro delle deliberazioni del comitato esecutivo, se esistente (art. 2545-bis c.c.).   

In mancanza di qualsiasi riferimento alla composizione dell'organo, si applica, anche in tema di cooperative, il disposto di cui all'art. 2397 c.c., in virtù del quale il collegio sindacale si compone di tre o cinque membri, con l'obbligo di nomina anche di due sindaci supplenti. Posto che almeno un membro effettivo ed uno supplente devono essere scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili, appare opportuno ritenere applicabile anche la previsione normativa secondo cui i sindaci possono anche non essere soci della cooperativa.

L'art.  2543 c.c. introduce, in termini fortemente innovativi, l’attribuzione del diritto di voto nell'elezione dell'organo di controllo (non per testa ma) in relazione alla partecipazione al capitale o allo scambio mutualistico ed inoltre  riserva, nei limiti in cui lo statuto lo preveda, la nomina di un terzo dei sindaci ai possessori di strumenti finanziari dotati di diritti di amministrazione[79].

Sia per gli amministratori che per i sindaci è previsto, infine, il già citato obbligo di relazionare, in sede di approvazione del bilancio di esercizio, sui criteri seguiti per il conseguimento dello scopo mutualistico (art. 2545 c.c.).

Si ricorda, infine, che la disciplina dei vari organi di controllo dovrà integrarsi, poi, con i necessari rinvii alla normativa sulla s.p.a. e sulla s.r.l., in base al modello adottato dalla cooperativa.

 

g) I controlli esterni

Rinnovando radicalmente il sistema precedente, imperniato esclusivamente sulle autorizzazioni, la vigilanza e gli altri controlli sulla gestione stabiliti dalle leggi speciali,  il d. lgs. 6/03 ha esteso alle cooperative anche il controllo giudiziario, che l’art. 2409 c.c. riservava alle sole società per azioni.

La normativa attuale sottopone, pertanto, le cooperative ad un complesso sistema di controlli esterni di competenza, da un lato, dell’autorità governativa e, dall’altro, dell’autorità giudiziaria[80].

Un doppio binario, quindi, amministrativo e giudiziario, che per evitare duplicazioni ed interferenze di sorta si conforma al criterio della prevenzione, ponendosi i due tipi di controllo in rapporto di reciproca esclusione.

Più precisamente, l’art. 2545-quinquiesdecies, co.3, c.c. prevede che il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori i sindaci e l’autorità di vigilanza, dichiari improcedibile il ricorso eventualmente inoltrato per uno dei fatti previsti dall'art. 2409 c.c. laddove per quegli stessi fatti la detta autorità di vigilanza abbia già nominato un ispettore o commissario. E, analogamente, l’autorità amministrativa dovrà sospendere il procedimento dalla medesima iniziato nel caso in cui il tribunale abbia già nominato un ispettore o un amministratore giudiziario.

Avuto riguardo alla vigilanza governativa, la stessa è di competenza del Ministero delle attività produttive e può essere espletata -su delega del Ministro- dall'Associazione nazionale di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, alla quale la cooperativa risulta iscritta.

Il controllo di natura amministrativa ha lo scopo di verificare la sussistenza del requisito di mutualità e di garantire il regolare funzionamento amministrativo e contabile della società. Con la conseguenza che all'autorità competente ad esercitare il controllo spetta il compito di intervenire tutte le volte in cui si accerti l'esistenza di una qualsiasi irregolarità nella struttura o nella gestione della cooperativa.

Il codice civile disciplina dettagliatamente i poteri dell’autorità governativa attribuendo alla stessa quello di: 1) revocare amministratori e sindaci (affidando la gestione societaria ad un commissario, determinandone i poteri e la durata)[81], nel caso di irregolare funzionamento della società o di irregolarità nelle procedure di ammissione dei soci; 2) sciogliere la società cooperativa che non persegua lo scopo mutualistico, non sia in condizione di raggiungere gli scopi che si era prefissata o che per due anni non abbia depositato il bilancio di esercizio o non abbia compiuto alcun atto di gestione[82]; ed infine 3) sostituire i liquidatori, o chiederne la sostituzione al tribunale nel caso di nomina giudiziaria, laddove ravvisi irregolarità o particolari ritardi nello svolgimento della liquidazione ordinaria della cooperativa[83] (artt. 2545-sexiesdecies, 2545-septiesdecies e 2545-octiesdecies c.c.).

L’art. 2545-quaterdecies c.c. rimanda, per il resto, alle leggi speciali dettate con riferimento ai singoli settori, ma indipendentemente dalle dimensioni delle singole cooperative interessate[84].

Passando all'esame del controllo giudiziario, lo stesso può essere attivato dai soci che siano titolari di un decimo del capitale sociale o rappresentino un decimo del numero complessivo dei partecipanti alla cooperativa. Nelle società cooperative con più di tremila soci, legittimati a proporre il ricorso al tribunale sono tanti soci che rappresentino un ventesimo del numero complessivo (in esso computando anche i soci finanziatori).

Se presenti nell'organizzazione interna della società, il procedimento di cui all'art.2409 c.c. può essere attivato anche dal collegio sindacale, dal consiglio di sorveglianza o dal comitato per il controllo sulla gestione, nonché -nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio- dal pubblico ministero.

Motivo della denuncia può anche essere il semplice sospetto di gravi irregolarità nella gestione da parte degli amministratori, che possano arrecare danno alla società.

 Il relativo ricorso deve essere notificato anche all'autorità di vigilanza per gli opportuni provvedimenti, da adottare nel rispetto del già citato principio di prevenzione.

Il tribunale adito, una volta sentiti gli interessati in camera di consiglio, può ordinare l'ispezione dell'amministrazione della società e, nei casi più gravi, revocare gli amministratori ed eventualmente i sindaci, procedendo alla nomina di un amministratore giudiziario.

Quest'ultimo, alla scadenza del proprio incarico, rende conto al tribunale che lo ha nominato di quanto accertato e del proprio operato, convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e dei sindaci, ovvero, qualora ne ricorrano i presupposti, per la messa in liquidazione della società.

6.- Gli altri istituti

a) I ristorni

Attuando le indicazioni della legge delega e colmando la precedente lacuna in materia, il legislatore della riforma ha finalmente assicurato al codice civile una disciplina dettagliata e attenta dei ristorni, pur non fornendolo di una qualche definizione dell'istituto.

Nel tentativo, quindi, di ricostruirne il relativo contenuto, si può dire che i ristorni rappresentano lo strumento attraverso cui la società cooperativa, che intrattenga rapporti con i terzi, attribuisce ai propri soci il c.d. vantaggio mutualistico[85], in proporzione alla quantità e qualità dei rapporti che ha intrattenuto con gli stessi.

Nella specie, detta attribuzione, se operata in maniera <diretta>, può consistere nel rimborso ai soci di una parte del prezzo pagato alla cooperativa per l’acquisto dei prodotti o dei servizi dalla stessa resi ovvero in una integrazione della retribuzione corrisposta dalla cooperativa per le prestazioni ricevute[86]

Si diceva in maniera <diretta> perché l’art. 2545-sexies c.c. contempla altresì la possibilità di operare una ripartizione dei ristorni in via <indiretta>[87], avvalendosi cioè di modalità alternative quali, ad esempio, un aumento proporzionale delle rispettive quote, l’emissione di nuove azioni (anche in deroga ai limiti fissati dall'art.2525 c.c.) ovvero mediante l’emissione di strumenti finanziari[88].

Ciò premesso, ci si è posti da più parti la domanda se l’attribuzione dei ristorni costituisca o meno, per i soci della cooperativa, un vero e proprio diritto, non avendo il legislatore fornito alcuna indicazione al riguardo.

La dottrina dominante, però, aderendo all’orientamento della giurisprudenza[89], ha escluso che possa parlarsi di diritto soggettivo.

Decisiva, al riguardo, sembra essere la Relazione al d.lgs. 6/03, la quale appalesa l’intento del legislatore di adottare una versione solo sintetica della norma, scartando al contempo la formulazione di previsioni che attribuiscano ai soci un diritto assoluto ai ristorni.

Le ragioni sono poi esplicitate nel timore che il riconoscimento di una legittima pretesa a prestazioni di favore potesse porre i soci in condizioni di antagonismo nei confronti della cooperativa, pregiudicando in tal modo l’interesse sociale.

Pertanto, si è previsto che spetti all’atto costitutivo di stabilire i criteri di distribuzione dei ristorni, con l’unico limite che ciò avvenga proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici (art. 2545-sexies c.c.).

Ed è proprio in relazione al suddetto limite che deve essere letto l’obbligo delle cooperative di riportare separatamente nel bilancio i dati relativi all’attività svolta con i soci [90]. Così facendo, infatti, si pongono le premesse per garantire una corretta pratica del ristorno, effettivamente proporzionata agli scambi e che non celi forme di ridistribuzione del capitale investito e, quindi, di utili. 

Ciò detto, per quanto non vi sia alcun appiglio legislativo che consenta di riconoscere ai soci un diritto soggettivo al ristorno, non si può negare che il relativo interesse trovi comunque una tutela, seppur indiretta, in tutte quelle previsioni imperative orientate al riconoscimento e alla valorizzazione della natura mutualistica delle cooperative, prima tra tutte la collocazione dello scopo mutualistico tra gli elementi essenziali e immancabili delle cooperative. 

 

b) Le riserve e gli utili

La disciplina dei ristorni è affiancata dalle norme sugli utili, nell’ambito delle quali affiora la distinzione tra riserve divisibili e non.

L’art. 2545-ter definisce le "riserve indivisibili" come quelle di cui la legge o lo statuto  vietano la ripartizione tra i soci (dal che la distinzione tra <riserve legali> e <riserve statutarie>) e che, a norma dello stesso articolo, possono essere utilizzate per la copertura delle perdite sociali[91] solo dopo l’utilizzo delle "riserve disponibili" e di quelle che la società aveva destinato ad operazioni di aumento di capitale. Pertanto, neanche in caso di scioglimento della società, le "riserve indisponibili" potranno essere suddivise tra i soci, dovendo essere inderogabilmente devolute ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (art. 2514, sub lett. d, c.c).

La legge destina alle <riserve legali> il trenta per cento[92] degli utili netti annuali della cooperativa, e ciò a prescindere dall’ammontare eventualmente raggiunto dal fondo medesimo[93].

L'ammontare e le forme di costituzione delle <riserve statutarie> trovano, ovviamente, la loro regolamentazione nello statuto che, come già detto, si considera sempre parte integrante dell'atto costitutivo (art. 2521, co.4, c.c.).  

 "L'assemblea determina, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 2545-quinquies, la destinazione degli utili non assegnati ai sensi del primo e del secondo comma" (art. 2545-quater c.c.). La destinazione di detti utili a riserve comporta la costituzione delle c.d. <riserve volontarie>.

Per quel che concerne le "riserve divisibili", è l'atto costitutivo che prevede le modalità di distribuzione delle stesse, autorizzando l'assemblea ad assegnarle ai soci attraverso l'emissione di strumenti finanziari in loro favore, mediante aumento proporzionale delle quote sottoscritte e versate, ovvero mediante l'emissione di nuove azioni nella misura massima complessiva del venti per cento del valore originario  (indipendentemente dai limiti di cui all'art.2525 c.c.).

In caso di scioglimento parziale del rapporto sociale, le "riserve divisibili" possono essere assegnate -se lo statuto non prevede diversamente- attraverso l'emissione di strumenti finanziari, mentre devono essere assegnate con siffatta modalità qualora il rapporto tra il patrimonio netto e il complessivo indebitamento della società sia inferiore ad un quarto.

L’art. 2514, lett. c), c.c. vieta la distribuzione delle riserve tra soci soltanto nell’ambito delle cooperative a mutualità prevalente, gettando le basi di un doppio regime delle riserve, a seconda che si tratti di cooperative agevolate o cooperative <diverse>.

In questo quadro, s’inseriscono i limiti alla distribuzione degli utili in favore dei soci, distinguendosi anche in tal caso tra cooperative a mutualità prevalente e non.  

E’ sempre l’art. 2514 che, nel selezionare i requisiti delle prime, pone il divieto (sub lett. a), da inserire tassativamente nello statuto, di procedere ad una distribuzione dei dividendi oltre un certo limite, individuato (come già evidenziato in precedenza) nell’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.

Vale, invece, per tutte le cooperative la facoltà di procedere alla distribuzione dei dividendi -diretta o indiretta- solo a condizione che il rapporto tra il patrimonio netto e l’indebitamento della società sia superiore ad un quarto (limite che non si applica ai possessori di strumenti finanziari).

Per le cooperative <diverse> si dispone, infine, che sia l’atto costitutivo a determinare le modalità e la percentuale massima di ripartizione dei dividendi, lasciando quindi ai soci assoluta libertà di manovra.

L’unica condizione restrittiva in merito è quella, cui si accennava poc’anzi, relativa al rapporto tra patrimonio netto e indebitamento complessivo della società.

 

c) Le modificazioni dell'atto costitutivo

Si tratta di mutamenti del contenuto del contratto sociale che, pur incidendo sulla struttura organizzativa, non comportano la trasformazione della società.

Contrariamente a quanto è avvenuto nell'ambito delle società per azioni -con riguardo alle quali la riforma del 2003 ha portato alla modifica della rubrica della Sezione X da "modificazioni dell'atto costitutivo" in "modificazioni dello statuto"-, in tema di cooperative, la Sezione V ha mantenuto la dizione "Delle modificazioni dell'atto costitutivo".

Ciò detto, la legge rinvia alla disciplina dettata all'art. 2436 c.c., introducendo per il resto una ipotesi specifica di modificazione, che è tipica delle società cooperative.

 E' appena il caso di ricordare, infatti, che le modificazioni dell'atto costitutivo possono essere le più svariate, riguardando questa o quella previsione dell'atto costitutivo o dello statuto (che del primo è parte integrante), senza che ciascuna di esse debba comportare una specifica disciplina.

Avuto riguardo alle modifiche che hanno per oggetto il capitale sociale, se da un canto il principio di variabilità dello stesso non esclude, anche nell'ambito delle società cooperative, eventuali deliberazioni di aumento, con diritto di opzione o sollecitazione all'ingresso di nuovi soci (art.2524, co.3, c.c.), per altro verso non consente di configurare ipotesi di modificazioni che abbiano per oggetto la riduzione del capitale ex art. 2446 c.c.

Resta il fatto che le deliberazioni che comportano una modifica dell'atto costitutivo devono essere adottate dall'assemblea in seduta straordinaria e che le stesse sono soggette all'omologazione, da parte del notaio rogante, ed alla pubblicità mediante iscrizione nel registro delle imprese.

L'espresso richiamo dell'art.2436 c.c. comporta, tra l'altro, l'applicazione -anche nella fattispecie che ne occupa- del principio secondo cui la deliberazione di modifica non produce effetti se non dopo l'iscrizione di cui sopra (art.2436, co.5, c.c.).

Inoltre, per rendere più agevole la conoscenza del nuovo contenuto dell'atto costitutivo o dello statuto, la stessa norma prescrive l'obbligo -dopo ogni modifica- di deposito nel registro delle imprese del testo integrale dell'atto nella sua redazione aggiornata.

Per quel che concerne l'ipotesi specifica di modifica dell'atto costitutivo di una società cooperativa, l'art.2545-octies c.c. prevede l'eventualità che la stessa perda la qualifica di cooperativa a mutualità prevalente.

Tale evenienza si verifica -come si è avuto già modo di riferire- allorquando, per due esercizi consecutivi, non venga rispettato anche uno solo dei criteri di prevalenza di cui all'art.2513 c.c., ovvero quando siano modificate le previsioni statutarie di cui all'art.2514 c.c.

In questi casi, gli amministratori (sentito il parere del revisore esterno, se esistente) devono redigere il bilancio al fine di determinare il valore effettivo dell'attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili e ciò in vista della futura destinazione delle stesse ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.

Lo stesso bilancio è soggetto a verifica e deve riportare un giudizio <senza rilievi> da parte di una società di revisione.

Costituiscono, altresì, ipotesi di modificazione dell'atto costitutivo la fusione e la scissione della società, disciplinate rispettivamente agli artt. 2501-2505-quater c.c,. e

2506-2506-quater c.c., che trovano applicazione, con gli opportuni adattamenti, anche nei casi in cui detti fenomeni interessino una società con scopo mutualistico.

Un solo dato ci sembra di assoluto rilievo, tale da essere ricordato in questa sede: nonostante il generico rinvio alla disciplina dettata per le altre società, contenuto nell'art.2545-novies c.c., devono ritenersi vietate, in relazione alle società cooperative a mutualità prevalente, le fusioni c.d. eterogenee, tra le dette cooperative e le società di tipo lucrativo.  

 

d) La trasformazione  

L’istituto della trasformazione delle cooperative, introdotto per la prima volta nel codice dal d.lgs. 6/03, è disciplinato dagli artt. 2545-decies e ss. c.c. e la sua previsione costituisce un'assoluta, improrogabile necessità.

Infatti, prima della riforma del 2003, nulla prevedeva il codice al riguardo[94], determinando le conseguenti perplessità circa la possibilità, per le cooperative, di essere parti di un qualsivoglia procedimento di trasformazione.

Com'è noto, il nostro legislatore era intervenuto sull'argomento all'interno della l. 17.2.1971 n.126, che all'art.14 aveva disposto il divieto per le cooperative di trasformarsi in società di capitali.

La ratio di siffatta disposizione andava ricercata nell'intento di precludere alle società che avessero usufruito delle agevolazioni e degli aiuti previsti dalla legge di sfruttarli successivamente a fini speculativi.

Restava, però, in dubbio se la preclusione della trasformazione limitatamente al mutamento di tipo della società da cooperativa in lucrativa valesse ad escludere solo siffatta fattispecie o se, invece, dovesse essere interpretata estensivamente fino a negare qualsiasi forma di trasformazione eterogenea, compresa quella della società lucrativa in cooperativa, sul rilievo che alle due forme societarie corrispondesse una diversità causale, incompatibile con il semplice mutamento del tipo .

L’art. 2545-decies c.c. ha individuato, finalmente, una soluzione di compromesso[95], consentendo la trasformazione esclusivamente alle cooperative a mutualità non prevalente e, quindi, proprio a quelle società cui è inibito l’accesso ad una parte considerevole delle agevolazioni (nella specie, quelle di carattere tributario)[96].

La trasformazione diventa, quindi, appannaggio esclusivo delle cooperative non agevolate fiscalmente, che conquistano finalmente il diritto di adottare una qualunque delle forme societarie previste dal codice, abbandonando i panni della cooperazione [97].

Non si può fare a meno di rilevare, però, come il meccanismo appena delineato sia, nella sostanza, molto più facile da aggirare di quanto a prima vista si è indotti a ritenere.

Basti considerare che l’art. 2545-octies c.c. prevede la perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente nel caso in cui, per due esercizi consecutivi, la società non abbia rispettato le condizioni per la prevalenza o abbia modificato le clausole statutarie obbligatorie[98].

E' sufficiente, quindi, che si verifichino le condizioni di legge perché la cooperativa possa liberamente fare luogo alla propria trasformazione, non essendoci più alcun impedimento di tipo ostativo.

Per quanto riguarda la delibera di trasformazione (di competenza dell'assemblea straordinaria), la norma prevede tre possibili tipi di maggioranze: a) il voto favorevole di due terzi dei soci, se questi sono meno di cinquanta; b) almeno la metà dei soci, se il loro numero varia da cinquantuno a diecimila; c) quando i soci sono più di diecimila, l'atto costitutivo può prevedere che la trasformazione sia deliberata con il voto favorevole dei due terzi dei votanti, a condizione che i presenti in assemblea (personalmente o per delega) rappresentino almeno il venti per cento dei soci.

 Per effetto della trasformazione, i soci dissenzienti possono esercitare il diritto di recesso previsto dagli artt. 2437 e 2473 c.c. (rispettivamente, per le società per azioni e per le società a responsabilità limitata) e gli strumenti finanziari emessi con diritto di voto vengono convertiti in partecipazioni ordinarie (quote o azioni), conservando gli eventuali privilegi.

Come già accennato in precedenza, con la delibera di trasformazione, la società devolve ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione il valore effettivo del patrimonio (comprensivo dei valori non espressi in bilancio, come avviamento, plusvalenze immobiliari e cespiti di varia natura)[99], dedotti il capitale versato e rivalutato ed i dividendi non ancora distribuiti. L'importo da dedurre può essere, eventualmente, aumentato fino a raggiungere l'ammontare minimo del capitale della nuova società.

Ai fini di cui sopra, gli amministratori hanno l'obbligo di accompagnare la proposta di deliberazione di trasformazione con una relazione giurata a firma di un perito designato dal tribunale, che valga ad attestare il valore effettivo del patrimonio sociale (art. 2545-undecies, ult. co., c.c.). 

 

e) Lo scioglimento

Analogamente a quanto previsto dal precedente art. 2539 c.c., poi sostituito dall'attuale art. 2545-duodecies, la società cooperativa si scioglie -in linea di massima- per le stesse cause previste per le società di capitali.

La norma sopra citata, infatti, richiama le cause di scioglimento di cui all'art. 2484 c.c., con l’unica eccezione della riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, essendo la qualcosa del tutto incompatibile con la variabilità del capitale sociale, tipica delle società mutualistiche nelle quali (come, del resto, espressamente previsto dalla stessa disposizione) solo la perdita totale del capitale sociale vale a determinarne lo scioglimento.

Sono, invece, cause di scioglimento specifiche dell'istituto in esame: 1) la riduzione del numero dei soci al di sotto del minimo legale (nove in generale, o tre per le cooperative obbligatoriamente soggette alla disciplina della s.r.l.), se non reintegrato entro un anno (art. 2522, co.3, c.c.); 2) la liquidazione coatta amministrativa, disposta dall’autorità governativa nel caso di insolvenza della società (art. 2545-terdecies c.c.) e 3) per atto dell'autorità di vigilanza (da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale e da iscriversi nel registro delle imprese), qualora si accerti che la società non persegua lo scopo mutualistico o non sia in condizioni di raggiungere gli scopi per cui è stata costituita, od ancora non abbia depositato il bilancio di esercizio o non abbia compiuto atti di gestione per due anni consecutivi. Con lo stesso provvedimento, la detta autorità procede alla nomina di uno o più commissari liquidatori.

Qualora la società cooperativa abbia come oggetto l'esercizio di un'attività commerciale, la stessa può essere assoggettata alla procedura fallimentare con gli stessi effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa.

In tal caso, vige il principio della prevenzione, secondo cui la dichiarazione di fallimento preclude la possibilità di assoggettare la stessa società alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, mentre l'emissione del provvedimento di liquidazione preclude l'eventuale sentenza dichiarativa di fallimento.  

Come anticipato in precedenza, in caso di scioglimento (similmente a quanto già visto per l'ipotesi di trasformazione), per le cooperative a mutualità prevalente sussiste l’obbligo di procedere alla devoluzione del residuo attivo ai fondi mutualistici (dedotti il capitale versato, rivalutato, ed i dividendi eventualmente maturati e non distribuiti).

Nel corso della liquidazione, l'autorità governativa che accerti irregolarità o un eccessivo ritardo nello svolgimento della stessa può procedere alla sostituzione dei liquidatori o farli sostituire dal tribunale, se nominati dall'autorità giudiziaria.

"Fatti salvi i casi di liquidazione per i quali è intervenuta la nomina di un liquidatore da parte dell'autorità giudiziaria, l'autorità di vigilanza dispone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, per la conseguente cancellazione dal registro delle imprese, dell'elenco delle società cooperative in liquidazione ordinaria che non hanno depositato i bilanci di esercizio relativi agli ultimi cinque anni" (art.2545-octiesdecies, co.2, c.c.).

I creditori e gli altri interessati, entro il termine perentorio di giorni trenta dalla data della su citata pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, possono inoltrare istanza motivata all'autorità di vigilanza affinché la stessa consenta la prosecuzione della liquidazione.

Trascorso inutilmente il superiore termine ovvero in caso di rigetto della domanda di prosecuzione, il conservatore del registro delle imprese, a seguito di comunicazione da parte dell'autorità di vigilanza, provvede alla cancellazione della società cooperativa dal registro medesimo (art.2545-octiesdecies, co.3, c.c.).   

 

f) Il gruppo cooperativo paritetico

Non v’è dubbio che nella nuova disciplina manca una previsione specifica dei consorzi tra cooperative (noti anche sotto il nome di cooperative di secondo grado), potendosi affermare soltanto che gli stessi possono dirsi assorbiti dalla normativa codicistica la quale, pur non definendoli espressamente, li presuppone e li disciplina.

Con il nuovo art. 2545-septies c.c., infatti, il legislatore si è preoccupato di regolamentare, peraltro solo parzialmente, il c.d. gruppo cooperativo paritetico[100], indicandolo, però, come un insieme di cooperative, appartenenti anche a categorie differenti, che decidono di regolare (anche in forma consortile) la direzione o il semplice coordinamento delle rispettive imprese a mezzo di un contratto, del quale la norma detta il contenuto minimo da rispettare.

Da quel poco che è dato evincere dall'articolo in questione, è già possibile indicare i principali elementi caratteristici del nuovo istituto, vale a dire il potere direzionale, o di semplice coordinamento, di un’impresa rispetto alle altre e la possibilità di fondare il suddetto potere su di un semplice accordo contrattuale: vale a dire <aggregazioni di tipo orizzontale> (anziché, come di regola accade, partecipazioni di controllo in una o più società subordinate, che vanno sotto il nome di <aggregazioni di tipo verticale>)[101].

Sicuramente più complesso è il quadro normativo in cui il gruppo cooperativo paritetico si è inserito[102] e nel quale numerose sono le norme dedicate ai consorzi cooperativi ed alle diverse forme di aggregazione che ivi trovano riconoscimento.

Per accennare solo alle principali, si richiamano: 1) gli artt. 27, 27-bis e 27-ter della Legge Basevi, che disciplinano figure poco omogenee tra loro, quali le cooperative complesse, le cooperative ammesse agli appalti di opere pubbliche ed i consorzi di cooperative per il coordinamento della produzione e degli scambi[103]; 2) l’art. 27-quinquies della stessa legge, come riformato dalla l. 72/83, che riconosce espressamente la partecipazione delle cooperative quali soci di società di capitali[104]; 3) l’art.25 del d. lgs. n. 127/1991, che pone l’obbligo di redigere il bilancio consolidato anche per le cooperative e mutue assicuratrici che controllino una società di capitale.

Quanto a quest’ultimo richiamo, si osservi come l’obbligo di cui sopra implicitamente preveda la possibilità anche per una cooperativa di porsi al vertice di veri e propri gruppi di società.

Per il resto, come è dato ricavare anche dalle altre norme citate, non sussistono più dubbi in ordine alla possibilità di una partecipazione delle cooperative a società, come quelle di capitali, che presentino un connotato causale essenzialmente diverso.

Per quanto, infatti, non sia mancato in dottrina chi ha evidenziato che una simile partecipazione dovesse contemplare inevitabilmente dei limiti, insiti nel concetto stesso di mutualità, sino ad escludere una partecipazione che avesse un carattere esclusivamente speculativo, è altrettanto incontestabile che non desti perplessità alcuna una partecipazione al <gruppo> che aiuti la cooperativa a realizzare più agevolmente i propri scopi mutualistici.    

A tal proposito, è appena il caso di rilevare come il timore che la partecipazione in società lucrative potesse snaturare l’essenza delle cooperative non ha, a ben guardare, ragion d’essere, sol che si consideri come gli utili realizzati dalle società partecipate, pur affluendo nelle casse della società partecipante, non potrebbero da questa essere impiegati se non conformemente allo scopo mutualistico.

In altri termini, ciò che può dirsi incompatibile con la natura delle cooperative sarebbe non tanto l’eventuale lucro oggettivo realizzato ma, semmai, il lucro soggettivo, cioè la ridistribuzione degli utili tra i soci al di là dei limiti in cui la stessa risulta  ammessa nelle società in esame[105].

In questo contesto, il gruppo cooperativo paritetico non è altro che una figura che si è  aggiunta alle altre già esistenti, rimaste valide in quanto non assorbite né soppresse.

Lo stesso "gruppo" si identifica, come si diceva, in una aggregazione <omogenea>, costituita cioè da società tutte cooperative che si organizzano negozialmente sotto la direzione di una di esse.

Ed è proprio in un contratto che il suddetto potere direzionale trova origine.

E’ appena il caso di rilevare, infatti, come il principio paritario di una testa-un voto renda improbabile che una simile posizione di controllo possa fondarsi su un potere effettivo di una cooperativa sulle altre, come avviene nei gruppi di tipo verticale[106].

L’art. 2545-septies c.c., come dicevamo all'inizio del paragrafo, definisce il contenuto minimo obbligatorio[107] del contratto, il quale deve far menzione, specificamente: della durata[108]; della cooperativa demandata a dirigere il gruppo (indicandone i relativi poteri); dell'eventuale partecipazione di altri enti pubblici e privati; dei criteri e delle condizioni di adesione e recesso dal gruppo; nonché dei criteri di compensazione nella distribuzione dei vantaggi derivanti dall’attività comune.

L'adesione ad un gruppo deve essere pubblicizzata mediante deposito in forma scritta dell'accordo di partecipazione presso l'albo delle società cooperative.  

Infine, la norma riconosce il diritto di ciascuna cooperativa di recedere dal gruppo, senza oneri di alcun tipo, qualora l’adesione ad esso renda le condizioni dello scambio pregiudizievoli per i propri soci[109].

 

g) Le mutue assicuratrici

Al termine della nostra analisi si pongono gli artt. 2546-2548 c.c. sulle mutue assicuratrici.

Trattasi di società particolari, costituite tra soggetti che, esposti ad un medesimo rischio, intendono tutelarsi assicurandosi contro un danno eventuale, a condizioni più favorevoli rispetto a quelle praticate sul mercato dalle compagnie di assicurazione. 

La riforma ha lasciato sostanzialmente invariata la precedente normativa[110] la quale, nel ribadire lo stretto rapporto tra la qualità di socio e quella di assicurato, pone immediatamente in luce la principale differenza tra le società di mutua assicurazione e le ordinarie cooperative di assicurazione.

Infatti, in queste ultime il socio che intenda assicurasi dovrà stipulare un autonomo contratto di assicurazione con la società -pagando i relativi premi- (nel qual caso usufruirà comunque di condizioni più favorevoli rispetto a quelle di mercato in quanto socio della cooperativa).

Siffatte fattispecie, inoltre, consentono alle relative società di svolgere la propria attività assicuratrice sia a favore dei propri soci che nei confronti di soggetti terzi.

Nelle mutue assicuratrici, invece, le due qualità di socio e assicurato non possono prescindere l’una dall’altra.

Pertanto, la qualità di socio si acquista proprio in dipendenza della stipula del contratto di assicurazione.

Di conseguenza, sarebbe del tutto incompatibile con la natura delle mutue lo svolgimento in qualunque forma dell’attività anche verso soggetti estranei alla compagine sociale.

La particolare struttura delle società di mutua assicurazione fa sì che il pagamento del premio da parte del socio rappresenti allo stesso tempo il versamento del conferimento.

Infine, necessaria conseguenza di quanto fin qui esposto è che, nelle cooperative di assicurazione, il venir meno del rapporto di assicurazione non vale a incidere sul rapporto sociale il quale, pertanto, potrà perfettamente permanere anche a prescindere dal primo, mentre nelle mutue assicuratrici le vicende del rapporto di assicurazione condizionano la sopravvivenza, o meno, del rapporto sociale.

Per quanto riguarda il regime della responsabilità, a norma dell’art. 2546 c.c le obbligazioni sono garantite dal patrimonio sociale, con ciò escludendosi qualunque coinvolgimento dei soci, i quali saranno tenuti soltanto al pagamento dei contributi fissi o variabili, entro il limite massimo determinato dall'atto costitutivo.

Ancora, il patrimonio della società risulta costituito dai conferimenti versati dai soci a titolo di premio assicurativo e, laddove ciò non bastasse, da particolari fondi di garanzia, previsti dall’atto costitutivo, e composti sia dai contributi degli stessi soci assicurati sia da quelli di soggetti terzi, non assicurati presso la società medesima ma riconosciuti come soci.

Si tratta, nella specie, dei già citati soci <sovventori>, la cui presenza all’interno delle mutue assicuratrici è stata confermata dall'attuale normativa, la quale ha ritenuto di estenderla a tutte le cooperative.

Anche qui valgono, pertanto, gli stessi limiti già incontrati per le società cooperative in genere. Si prevede, infatti, che l’atto costitutivo possa attribuire ai suddetti soci più di un voto pro capite, ma entro il limite massimo di cinque, e sempre a condizione che i voti complessivi dei soci sovventori siano inferiori al totale dei voti degli assicurati (art. 2548, co.3, c.c.) [111].

Sulla stessa linea si colloca l’ultima disposizione in materia, che consente anche ai sovventori di esser nominati amministratori, purché la maggioranza del consiglio di amministrazione rimanga composta da soci assicurati (art. 2548, ult. co., c.c.).

Secondo quanto espressamente previsto dall'art. 2547 c.c., anche le mutue assicuratrici sono soggette alle autorizzazioni, alla vigilanza ed agli altri controlli stabiliti dalle leggi speciali sull'esercizio dell'assicurazione[112], e sono regolate dalle norme stabilite per le società cooperative, in quanto compatibili con la loro natura.



[1] La prima cooperativa, costituita sotto la denominazione: Società cooperativa equalitaria dei pionieri di Rochdale, era una cooperativa di consumo, gestita da operatori tessili per la vendita di generi alimentari.

[2] "La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei  e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità".

[3] Come è avvenuto con la creazione delle Associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, che gestiscono i Fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.

[4] Grazie alle agevolazioni fiscali e tributarie, nonché alle agevolazioni di natura previdenziale ed alle sovvenzioni creditizie.

[5] Da parte anche dell'autorità governativa.

[6] Per una analisi dettagliata dell’art. 45 Cost., cfr.: A. Nigro, Rapporti Economici, in Commentario alla Costituzione, G. Branca (a cura di), Bologna-Roma, 1980, pp.1-68.

[7] Altri elementi caratteristici dell'istituto è possibile individuare nella rilevanza della persona dei soci , nell'affermazione dei principi di democraticità, oltre, naturalmente, alla variabilità del capitale ed ai limiti di partecipazione, di cui si dirà più diffusamente nel testo.

[8] E ciò perché è proprio in funzione dei suddetti connotati che l’ordinamento sceglie di agevolare la cooperazione: pertanto, il venir meno degli stessi toglierebbe ogni ragion d’essere alla normativa di favore.

[9] Ravvisabili nella parità di trattamento (art. 2516 c.c.), nella individuazione dei criteri di ammissione "secondo criteri non discriminatori" (art. 2527 c.c.) e nella regola di massima: "una testa un voto" (art. 2538, co.2, c.c.).

[10] Dopo la c.d. Legge Basevi (1577/47), il legislatore è intervenuto più volte nel nostro settore, disciplinando anche vari aspetti del mondo cooperativistico.

Ricordiamo, in particolare, il D.P.R. 601/73, in tema di agevolazioni fiscali; la L. 904/77, sulle riserve indivisibili; le Leggi 17/2/1981, n.127, e 19/3/1983, n.73, modificative della legge Basevi,; la c.d. Legge Marcora (27/2/1985, n.49); la L. 28/2/1986, n.43, sulla occupazione giovanile; la L. 8/11/91, n.381, che disciplina le cooperative sociali; la legge di riforma 31/1/1992, n.59; la L. 7/8/1997, n.266, sulla piccola società cooperativa e, più di recente, le Leggi 21/12/1998, n.448, 21/12/2000, n.388 e 3/4/2001, n.142.

[11] Nella specie, la riforma del 2003, sotto certi aspetti, è intervenuta sulla vecchia Legge Basevi, modificando alcune delle disposizioni in essa contenute (vedasi, ad es., il nuovo art. 2512 c.c., nonché l’art.223- sexiesdecies disp.att.), mentre per altro verso ha mantenuto in vita buona parte delle previsioni di cui alla legge di riforma 59/92 (specie in tema di soci sovventori ed azionisti di partecipazione cooperativa).  

[12] Secondo quanto disposto dall’art. 2519 c.c., alle società cooperative si applicano, in quanto compatibili e per quanto non previsto dal relativo titolo, le norme sulla società per azioni.

L'atto costitutivo può prevedere che trovino applicazione le norme relative alle società a responsabilità limitata soltanto nelle società cooperative con un numero di soci cooperatori inferiore a venti ovvero con un attivo dello stato patrimoniale non superiore ad un milione di euro. Se il numero dei soci è inferiore a nove, fino ad un minimo di tre (costituiti solo da persone fisiche), la cooperativa è obbligatoriamente soggetta alla disciplina della S.r.l. (art.2522 c.c.). 

[13] Va da sé che l’innesco delle regole appartenenti ai due modelli di riferimento (società per azioni e società a responsabilità limitata) non potrà farsi se non nel pieno rispetto delle specificità proprie e dei principi tipici delle società cooperative, la qualcosa non potrà prescindere, quindi, dal necessario coordinamento delle suddette normative con la disciplina dettata nel titolo VI e le previsioni, laddove vigenti, della legislazione speciale.  

[14] Il quale fa salve le leggi speciali relative a determinate categorie di cooperative.

[15] Cfr.: R. Mancuso, La società: una nozione in continua evoluzione, in Le Società, 2006, p.23.

[16] Non a caso l'art. 2517 c.c. sancisce che le disposizioni del titolo VI non si applicano agli enti mutualistici diversi dalle società.

[17] Dal che il richiamo a numerose disposizioni relative anche ad altri tipi di società.

[18] Volendo approntare una qualche definizione del concetto di mutualità, è possibile configurarla come la reciproca collaborazione per il conseguimento diretto (senza intermediari) di uno scopo comune, consistente nel perseguimento di una utilità economica, nell'ottenimento di un servizio, nel soddisfacimento di un bisogno di varia natura o nell'affermazione della dignità umana.

[19] Di particolare interesse ci sembra, in un contesto comunitario in cui l'attività professionale viene sempre più ricondotta nell'alveo delle attività economiche, la l. 142/2001 che ha introdotto, per la prima volta, la possibilità di costituire cooperative tra lavoratori autonomi.

[20] "Le società cooperative, che abbiano adottato nei modi e nei termini stabiliti dallo statuto procedure di programmazione pluriennale finalizzate allo sviluppo e all'ammodernamento aziendale, possono emettere azioni di partecipazione cooperativa prive del diritto di voto e privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale" (art. 5, co.2, L. 31 gennaio 1992, n.59).

[21] Le azioni di partecipazione cooperativa possono essere emesse per un ammontare non superiore al valore contabile delle riserve indivisibili o del patrimonio netto risultanti dall'ultimo bilancio certificato ed hanno diritto ad una remunerazione maggiorata del 2% rispetto a quella delle quote o delle azioni dei soci della cooperativa.

[22] Si ricorda che il d.lgs. 2003 n.6, predisposto dalla Commissione Vietti, ha dato attuazione alla legge delega del 3 ottobre 2001, n.366,  contenente i principi ed i criteri direttivi della riforma delle società di capitali e delle società cooperative.

[23] Nel caso di specie, è opportuno sottolineare che il potere decisionale dell’assemblea si spinge sino alla possibilità di deliberare modalità diverse di attribuzione dei ristorni, per esempio mediante aumento delle quote, emissione di nuove azioni o emissione di strumenti finanziari (cfr. art. 2545-sexies c.c.).  

[24] Ma solo nelle cooperative cui si applichi la disciplina delle società per azioni.

[25]Al contempo, si privano dei suddetti diritti coloro che risultano inadempienti in relazione ai conferimenti societari o alle obbligazioni contratte con la società (cfr. art. 2545-bis c.c).

[26]A tal riguardo, è opportuno evidenziare, però, come i particolari poteri che l’art. 2528 c.c. attribuisce all’assemblea, relativamente all’ammissione di nuovi soci, non trovino alcun pendant in materia di recesso ed esclusione degli stessi.

[27] La nozione di mutualità rimane, pertanto, confermata nella reciproca collaborazione per il conseguimento diretto di uno scopo comune che può consistere in una utilità economica, nel soddisfacimento di un bisogno di varia natura o nell’affermazione di un interesse sociale.

[28] Sotto questo profilo, infatti, anche sotto il regime della normativa previgente si prevedeva una cooperazione agevolata laddove s’ispirasse ai requisiti mutualistici di cui all’art.26 della <Legge Basevi>, e una cooperazione non agevolata che dai suddetti requisiti prescindeva.

[29] A tal proposito, il decreto legislativo 6/03 si discosta dalla terminologia della legge delega, la quale, diversamente, parlava di <cooperazione costituzionalmente riconosciuta> (art.5, co.1, lett.b), L. n.366 del 2001). 

[30] Cfr. G.Tatarano, Mutualità e gestione di servizio nelle cooperative: i principi nella riforma del diritto societario, in Notariato, 2002, p.123.     

[31] I criteri di individuazione della prevalenza vengono determinati, come si dirà meglio nel testo, in relazione all'entità delle attività svolte, al volume dei rapporti ed ai relativi valori (artt. 2512 e 2513 c.c.).

[32] Riteniamo di potere affermare che il riordino delle varie disposizioni porta alla creazione di un corpo organico di norme volto a disciplinare il fenomeno cooperativo nella sua interezza. Ne sono la riprova la persistenza dell'obbligo, in capo a tutti i tipi di cooperative, di versare il 3% degli utili netti mensili ai Fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione e di devolvere agli stessi, in caso di scioglimento, l'intero patrimonio, dedotto il capitale versato e rivalutato ed i dividendi già maturati e non distribuiti.

Lo stesso obbligo vige per le società c.d. <diverse> in caso di trasformazione in società lucrative. 

[33] Ad esempio, incentivi e agevolazioni di carattere finanziario, previdenziale, lavoristico ecc.

[34] La riprova del superiore assunto è costituita dal rilievo secondo cui l'introduzione e la soppressione delle clausole statutarie, previste dall'art.2514 c.c. per la sussistenza della prevalenza, possono essere deliberate in assemblea senza che ciò comporti la trasformazione della società (vedasi al riguardo il combinato disposto di cui all'art. 2514, ult. co. c.c. e art. 2545-octies c.c.).

[35] Si veda l’art. 233-duodecies, co. 6, disp. att.e trans.

[36] Com’è ovvio, al di là della suddetta differenziazione sul piano tributario, vige, per le cooperative a mutualità prevalente, una specifica disciplina civilistica.

[37] Cfr. G.F. Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, 2004, Torino, p. 207 ss.

[38] Ad esempio, il bisogno del lavoro, della casa, di generi di consumo, di credito, ecc.

[39] Si pensi a chi entra a far parte della cooperativa allo scopo di acquistare dei beni ad un prezzo minore di quello di mercato (cooperative di consumo); di ottenere un lavoro ad una retribuzione maggiore di quella che si otterrebbe da una omologa impresa ordinaria (cooperative di lavoro); di poter fruire di un servizio, risparmiando sulle spese (cooperative di produzione e consumo); o, infine, di divenire proprietario di un appartamento  (cooperative edilizie) ecc.

[40] Cfr. V. Buonocore, Le società mutualistiche, in Istituzioni di diritto privato, a cura di M. Bessone, Cap.LXXXVI, Torino, 2000, pp.1055. e ss.

[41] Sul tema, si veda più avanti nel testo, sub 4/a.

[42]Un immancabile corollario della variabilità del capitale sociale è rappresentato dalla mancata previsione della costituzione per pubblica sottoscrizione, rientrando nella disciplina generale di tutte le cooperative la possibilità di incrementare liberamente la partecipazione alla società anche dopo la sua costituzione. 

[43] Avuto riguardo alle cooperative di lavoro (almeno 15 soci), alle cooperative di consumo (50 soci) ed alle cooperative di credito e risparmio (non meno di 200 soci).

[44] La norma stabilisce, altresì, che nel caso di attività agricola siano soci anche le società semplici. 

[45] Se il numero dei soci scende al di sotto del minimo fissato dall'art. 2522, co.1 e co.2, c.c., esso deve essere integrato nel termine massimo di un anno, trascorso il quale la società si scioglie di diritto e deve essere posta in liquidazione (art. 2522, co.3, c.c.).

[46] Per le cooperative agricole, la norma stabilisce che la condizione di prevalenza sussiste quando la quantità o il valore dei prodotti dei soci sono superiori al cinquanta per cento.

[47] La mancanza anche di una sola delle su citate previsioni fa venir meno la prevalenza del carattere di mutualità e la società cooperativa è assoggettata alla disciplina delle c.d. "società diverse".

[48] Tra le norme sicuramente non compatibili ricordiamo: gli artt. 2325, co.2, 2326, 2327, 2328, 2329, 2341 bis, lett  c), 2344 (perché in contrasto con l'art.2531), 2346, co. 6, 2351, 2354, 2355, 2355 bis, 2362, 2366, 2368 (fatto salvo l'ultimo comma), 2369 (tranne il co.2), 2462, co.2, 2463 (perché in contrasto con l'art. 2521), 2466, co.1 (perché in contrasto con l'art. 2531), 2469, co.2 (perché in contrasto con l'art. 2530), 2470, co.2, 2471 e 2471 bis (perché in contrasto con l'art.2537), 2473 (perché in contrasto con l'art. 2535), 2479-bis, co. 2 e co. 4 (perché in contrasto con l'art.2538).

[49] Si ricordino anche la l. 3 aprile 2001, n.142: Revisione della legislazione in materia cooperativa, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore; e la l. 8 novembre 1991, n.381, per le cooperative sociali.

[50] Fatta eccezione per le cooperative con un numero di soci inferiore ad otto.

[51] Ai sensi dell'art. 2515 c.c., la denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società cooperativa, che può essere utilizzata esclusivamente da società che hanno scopo mutualistico.

[52] Per la quale è necessaria soltanto l'indicazione del comune, senza la specificazione dell'indirizzo.

[53] Analoga pubblicità -in una sezione a parte dello stesso albo- è prevista anche per le cooperative <diverse>, senza, però, gli effetti di cui sopra.

[54] I soci sovventori e gli azionisti di partecipazione cooperativa, introdotti dalla legge 31 gennaio 1992, n.59, non sono espressamente disciplinati dal codice civile che, però, lascia in vigore le disposizioni antecedenti la riforma del 2003, in quanto compatibili.

Per una disamina delle novità introdotte dalla l. 59/92 si rinvia a S. Mazzarese, Le nuove norme in materia di società cooperative della legge n.59/92, in Contratto e impresa, 1992, 781 ss.

[55] L'atto costitutivo può prevedere altri casi di incompatibilità.

[56] Quanto alle ragioni di tale soppressione, la relazione al d.lgs. 6/2003 chiarisce che il diritto di opposizione del creditore è apparso rimedio eccessivo, in considerazione della particolare funzione sociale delle cooperative.

[57] Ciascuna quota ed azione non può avere un valore nominale inferiore a venticinque euro o superiore a cinquecento euro (art.2525 c.c.).

[58] Siffatte previsioni obbediscono all'intento del legislatore di impedire che il gruppo dei soci sovventori possa prendere il sopravvento nella gestione della società.

 

[59] In verità, già con la Legge Basevi  il legislatore, nel tentativo di individuare un criterio generale per la partecipazione omogenea dei soci alle cooperative, aveva disposto che gli stessi fossero lavoratori ed esercitassero l'arte o il mestiere connesso alla specialità della cooperativa di appartenenza. A tale previsione si aggiungevano poi quelle proprie della legislazione speciale.

[60] La qualcosa, come già visto, non necessiterebbe di alcuna modifica nell’atto costitutivo, in ordine al capitale sociale, trattandosi di società a capitale variabile.

[61] Nel caso di specie, la disposizione codicistica appare equivoca, laddove non chiarisce se il suddetto onere di relazione previsto per gli amministratori debba riguardare (esclusivamente) le ragioni a fondamento dell’ammissione di nuovi soci –come sembrerebbe essere- oppure (anche) le ragioni relative alla non-ammissione degli aspiranti soci, la qualcosa sembra invece di potersi escludere, tenuto conto del già esistente obbligo di motivare l’eventuale rigetto.

[62] Pertanto, è indubbio come il provvedimento di rigetto, per quanto ingiustificato, rimarrebbe giudizialmente inattaccabile da parte dell’aspirante socio, come d’altronde lo sarebbe il provvedimento di diniego dell’assemblea (si veda più avanti nel testo). 

[63] A tal proposito, non è mancato chi, negando ogni possibilità per l’assemblea di sostituirsi all’organo amministrativo, ha limitato la portata della norma ritenendo che rimanga compito degli amministratori di procedere all’ammissione, adeguandosi alle indicazioni assembleari, e dimettendosi invece nell’ipotesi in cui queste appaiano illegittime (Cfr., G. Bonfante, La riforma della Commissione Vietti, in Le Società, n.11, 2002, p.1337.

[64] Cfr. F. Galgano, Le nuove società di capitali e cooperative, in Il nuovo diritto societario, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, vol. XXIX, Tomo I, 2004, Padova, pp.516 e ss.

[65] Ai sensi del nuovo art. 2528 c.c., non solo la previsione del sovrapprezzo diventa facoltativa, potendo lo stesso essere escluso nello statuto o per autonoma determinazione assembleare, ma la stessa viene adesso sottratta agli amministratori, cui rimane il solo potere di farne proposta all’assemblea. 

[66] Ciò a differenza di quanto disposto per la esclusione, la quale -come si dirà nel testo-  determina la immediata risoluzione anche dei rapporti mutualistici pendenti, fatta salva la possibilità dell’atto costitutivo di derogare (art.2533, co.4, c.c.).

 

[67] La suddetta opposizione non è atto idoneo a sospendere l’esecuzione della delibera di esclusione, essendo necessario comunque un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

[68] In quest'ultimo caso, gli eredi, se più di uno, hanno l'obbligo di nominare un rappresentante comune salvo che la quota sia divisibile e la società (non si sa bene se attraverso l'atto costitutivo di essa, l'assemblea o gli amministratori) consenta la divisione (art. 2534, co.3, c.c.).

[69] Con la disciplina come sopra articolata il legislatore ha inteso favorire la trasferibilità delle quote o delle azioni  nel rispetto del più volte richiamato principio della "porta aperta".

[70] Il modello della s.r.l. è riservato esclusivamente a cooperative con un numero di soci inferiore a venti o con un attivo dello stato patrimoniale non superiore ad un milione di euro (art. 2519, u.c., c.c.).

[71] Con ciò volendosi impedire agli amministratori di manipolare le maggioranze consentendo l'ammissione di nuovi soci in via strumentale a determinate assemblee.

[72] Su cui si veda indietro nel testo, pp.9 e ss.

[73] In mancanza di una espressa disciplina legislativa è opportuno prevedere norme statutarie che risolvano le seguenti questioni: a) obbligo dei delegati di votare secondo il mandato ricevuto; b) proporzionalità del diritto di voto in assemblea generale rapportato al numero dei partecipanti alle singole assemblee separate e dei delegati; c) numero complessivo dei delegati in proporzione al numero dei delegati o degli aventi diritto di partecipazione alle singole assemblee separate.

[74] Ovvero tra le persone indicate dai soci cooperatori-persone giuridiche.

[75] In relazione all'eventualità che l'atto costitutivo attribuisca allo Stato o ad enti pubblici la possibilità di nominare uno o più amministratori.

[76] Siffatta previsione risulta di difficile interpretazione se si considera che la nomina dei componenti del consiglio di gestione spetta al consiglio di sorveglianza (art. 2409-novies, co.3, c.c.).

[77] La nomina dell'organo di controllo è mantenuta come obbligatoria dalle leggi speciali dettate in materia di Banche popolari  e di Banche di credito cooperativo.

Inoltre è prassi prevedere un Collegio di probiviri, la cui competenza rimane limitata, in applicazione dell'art. 2544 c.c., per quanto concerne le dispute sull'ammissione, recesso ed esclusione dei soci, nonché in materia di rapporti mutualistici con la società.

[78] La ratio di quest’ultima previsione si rinviene nell’esigenza di dotare la società di un organo di controllo a tutela dei soggetti terzi coinvolti nella cooperativa.

[79] Analogamente a quanto previsto dall'art.2542, co.4, c.c. per i componenti del consiglio di amministrazione.

[80] Si ricorda che la soggezione delle cooperative al controllo esterno è innanzitutto principio di carattere costituzionale, laddove l’art. 45 Cost. individua negli <opportuni controlli> lo strumento per garantire il rispetto del carattere della cooperazione ed il raggiungimento delle relative finalità.

[81] "Al commissario possono essere conferiti, per determinati atti, anche i poteri dell'assemblea, ma le relative deliberazioni non sono valide senza l'approvazione dell'autorità governativa" (art. 2545-sexiesdecies, co. 2, c.c.); inoltre, "ove l'importanza della società cooperativa lo richieda, l'autorità di vigilanza può nominare un vice commissario che collabora con il commissario e lo sostituisce in caso di impedimento" (art.2545-sexiesdecies, co.1, c.c.).

[82]Al suddetto provvedimento di scioglimento viene data pubblicità attraverso la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e l’iscrizione nel registro delle imprese (art. 2545-septiesdecies c.c.).

[83]Anche in tal caso, si procede alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’elenco delle società in liquidazione ordinaria che non abbiano depositato i bilanci di esercizio degli ultimi cinque anni: ciò per consentire ai creditori o ai soggetti interessati di richiedere formalmente, entro il termine perentorio di trenta giorni, la prosecuzione della liquidazione della società. In mancanza, l’autorità di vigilanza dispone la cancellazione della società dal registro delle imprese (art. 2545-octiesdecies c.c.).

[84] Il riferimento è, in particolare, alla c.d. Legge Basevi, (artt.2 e ss. d.l.c.p.s. 1577/1947).

[85] Vantaggio mutualistico cui si era già accennato nel testo, definendolo come un risparmio di spesa o una maggiore retribuzione dei soci per i prodotti o servizi resi.

[86] Accade, infatti, che nei casi in cui la società cooperativa intrattenga rapporti anche con i terzi, è obbligata ad adottare i prezzi di mercato senza possibilità di fare distinzione a seconda che l'operazione economica o commerciale sia posta in essere con un socio o con un terzo estraneo. In siffatta situazione, il socio è costretto a fornire o ricevere la stessa prestazione nella misura identica a quella del terzo, con la conseguente necessità di pervenire al conseguimento del vantaggio mutualistico utilizzando i sistemi della restituzione o dell'integrazione. 

[87] L’organo competente ad individuare le modalità di ripartizione risulta essere ancora una volta l’assemblea, sulla scia dei nuovi spazi conquistati, con la riforma, dalla volontà sociale.

[88] Altra modalità di attribuzione dei ristorni è costituita dall'emissione di azioni di sovvenzione (destinate al finanziamento di un piano pluriennale di sviluppo e ammodernamento aziendale delle cooperative) sempre che lo statuto ne preveda l'emissione (art.4 l. 59/92).

[89] In tal senso, cfr. Cass.8 settembre 1999, n.9513.

[90] Si ricordi, infatti, che anche alle cooperative è dato di indirizzare la propria attività anche nei confronti di soggetti terzi, nei limiti in cui ciò sia espressamente previsto dall’atto costitutivo.

[91] Siffatta previsione induce a ritenere che certi vincoli che esistono nelle società cooperative sono disposti anche a garanzia dei terzi e non soltanto per il soddisfacimento di esigenze mutualistiche.

[92] Per le Banche di credito cooperativo la percentuale è elevata al 70%.

[93] E ancora, l’art. 2545-quater, co.2, c.c. riserva una quota degli utili netti annuali ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione –questa volta a prescindere da uno scioglimento della cooperativa- nella misura determinata dalla legge, che ai sensi dell'art. 11, co.4, l. 59/92 risulta essere del tre per cento.

In merito, si confronti una recente sentenza, con la quale la Suprema Corte ha evidenziato come il suddetto obbligo di devoluzione (nella misura del tre per cento) gravi indistintamente su tutte le cooperative, senza che la previsione del comma 1 dell’art.11, l. 59/92, (secondo il quale le cooperative inottemperanti decadono dai benefici fiscali e di altra natura) valga a trasformare il suddetto obbligo generalizzato in un obbligo rivolto solo alle coop. <beneficiate>, o, addirittura, in un onere da assolvere per poter fruire di benefici, posto che la suddetta previsione di decadenza è solo un modo per rafforzare l’obbligo generalizzato di cui sopra, e non è inteso ad attribuire ad esso una portata riduttiva (Cass.05/5599).

 

[94] In questo quadro s’inseriva, anzi, il divieto assoluto di trasformazione posto dall’art.14 della c.d. Legge Basevi.

[95]  Cfr. G. Bonfante, Cooperative: la riforma trova un compromesso sulla trasformazione, in Diritto e pratica delle Società, 2003, n.5, pp.6 e ss.

[96] Con la definita ammissibilità anche della trasformazione delle società di tipo lucrativo in società cooperative (art. 2500-septies c.c.)

[97] La norma in esame estende la possibilità per le società cooperative <diverse> di trasformarsi anche in consorzi. Stranamente, invece, la stessa norma non prevede le altre possibili forme di trasformazione di cui all'art.2500-septies c.c. e più specificatamente quelle in associazioni e fondazioni che tra gli enti ivi previsti sono quelli più similari alle cooperative.

[98] In particolare, la norma prevede l’obbligo degli amministratori di redigere un bilancio al fine di valutare il patrimonio effettivo da imputare a riserva indivisibile la quale, come vedremo, dovrà essere imputata ai fondi in caso di successiva trasformazione.

[99] Secondo quanto previsto dall'art.223-quinquiesdecies disp. att., le cooperative che, alla data del 1° gennaio 2004, non risultano disciplinate dai principi della mutualità (ai sensi dell'art.14 D.P.R. 29/9/1973, n.601) possono deliberare la trasformazione senza che trovi applicazione la devoluzione del patrimonio ai fondi mutualistici.

 

 

[100] Trattasi, invero, di una aggregazione di società, collegate dal punto di vista economico, che mantengono la loro autonomia giuridica e che si organizzano per l’esercizio di un’attività caratterizzata da una direzione unitaria.

[101] Com'è noto, la nozione generale di gruppo si identifica in ogni aggregazione di organismi imprenditoriali (collegati a livello organizzativo e dal punto di vista economico, ma indipendenti sotto il profilo giuridico) per l'esercizio di un'attività comune (anche solo in alcuni settori operativi), caratterizzata da una direzione unitaria. In una sola battuta: coordinamento economico organizzativo ed autonomia giuridica. 

[102] Con riferimento ai gruppi cooperativi paritetici, si cfr. A. Zoppini, I gruppi cooperativi (modelli di integrazione tra imprese mutualistiche e non nella riforma del diritto societario), Rivista delle società, 2005, pp.760-782.

[103] Si tratta, nella specie, di una figura che deve ritenersi ormai assorbita dai c.d. consorzi tra imprenditori di cui agli artt.2602 e ss., c.c.

[104]La norma fa riferimento al c.d. gruppo cooperativo eterogeneo, così denominato perché vede una cooperativa alla guida di un gruppo di società lucrative.

[105] Si veda, in tal senso, F. Galgano, Le nuove società di capitali e cooperative, in Il nuovo diritto societario, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Tomo I, Torino, 2004, pp. 526 e ss.

[106] In tal senso, G.F. Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, Torino, 2004, p.225.

[107] Ma nulla prevede la norma per l’ipotesi in cui manchi una delle suddette indicazioni.

[108] Ricordandosi al riguardo che, se il gruppo è costituito a tempo indeterminato, deve ammettersi il diritto di recesso di ciascun socio, decorsi due anni dalla costituzione.

[109] La qual cosa si verifica allorquando la società che esercita attività di direzione deliberi una trasformazione o una modifica del suo oggetto sociale che alterino in modo sensibile le condizioni economiche dei partecipanti al gruppo.

 Altre ipotesi di recesso sono configurabili nei casi di condanna, di fallimento e di durata del contratto a tempo indeterminato. 

[110] L’unica novità in materia si ha con riguardo alla disciplina applicabile. Infatti, nel vigore della normativa previgente, alle mutue assicuratrici risultava applicabile quella delle società a responsabilità limitata. Oggi, l’art.2547 c.c. dispone l’applicazione delle norme sulle cooperative, in quanto compatibili.     

 

[111] Anche in tal caso, le ragioni del divieto stanno nel timore che i soci sovventori possano prendere il sopravvento nella gestione della società, e assecondare i propri scopi lucrativi.

[112] L'attività assicurativa in genere è assoggetta al controllo del Ministero dell'industria. del commercio e dell'artigianato, nonché al controllo dell'Istituto di Vigilanza per le Assicurazioni Private e di interesse collettivo (IsVAP), per i quali si rinvia alla l. 12 agosto 1982, n.576 e l. 9 gennaio 1991, n.20.

 

 

Data di pubblicazione: 6 giugno 2006.