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Vol. V/2007

RIVISTA DI DIRITTO DELL’ECONOMIA,

DEI TRASPORTI E DELL’AMBIENTE

 

 

Normativa interna, comunitaria ed internazionale in tema di sversamento o

trattamento di rifiuti idrocarburici provenienti da navi

Stefania Bevilacqua*

 

Premessa. Nell’ambito dell’intero corpo normativo avente ad oggetto la tutela dell’ambiente marino dall’inquinamento da idrocarburi, un cospicuo numero di norme concerne anche la prevenzione dall’inquinamento sistematico od operativo, dovuto allo sversamento in mare di acque contaminate nel corso delle operazioni di lavaggio delle cisterne delle navi (slop), di acque di zavorra ovvero di acque di sentina. Quest’ultimo tipo di inquinamento, provocato, in particolar modo, da navi adibite al trasporto di idrocarburi, può produrre effetti sull’ambiente altrettanto gravi quanto quelli generati da cause accidentali.

Tali miscele contenenti idrocarburi, derivanti sia da residui che vengono prodotti dalla nave durante l’esercizio della navigazione che da residui del carico della nave, sono classificati dal legislatore nazionale come rifiuti, annoverati più in particolare tra i rifiuti pericolosi[1] ed assoggettati ad una specifica procedura che riguarda la loro gestione. Occorre tuttavia rilevare che l’evoluzione della disciplina in materia non ha trovato una sistemazione organica, ma risulta invece caratterizzata dall’emanazione di disposizioni transitorie che hanno prodotto l’effetto di derogare di volta in volta alla disciplina generale in materia ambientale.

Ed allora occorre verificare preliminarmente se secondo la normativa vigente questi residui possono essere sversati in mare oppure debbano essere trattati secondo apposite procedure.

Occorre premettere che tale disciplina è il risultato di norme internazionali e nazionali in materia; le norme interne, a loro volta, sono per lo più attuative di norme comunitarie.

 

La disciplina internazionale- Muovendo dalle fonti di origine internazionale, com’è noto, storicamente, un primo tentativo organico di lotta all’inquinamento ha riguardato proprio gli idrocarburi, con la Convenzione di Londra del 1954 “Oilpol 1954”emendata nel 1962. Attualmente, sempre sul piano internazionale, la Convenzione Marpol del 1973 aggiornata da un Protocollo del 1978 (ratificata con l. 29 settembre 1980 n. 662 e l. 4 giugno 1982 n. 438) rappresenta la principale fonte pattizia in materia di inquinamento marino provocato da navi.

La convenzione ha introdotto una dettagliata normativa diretta a ridurre e prevenire l’inquinamento marino dovuto dall’immissione volontaria o accidentale di tutte le sostanze che possono mettere in pericolo la salute umana, le risorse biologiche, paesaggistiche od ogni altra utilizzazione del mare.

L’allegato I alla convenzione contiene la procedura tecnica riguardante lo scarico in mare di idrocarburi provenienti dalle cisterne di una nave e determina i limiti e le modalità di discarica in mare delle miscele.

Ad eccezione dei residui di idrocarburi, c.d. morchie, per i quali (ai sensi della norma 9 comma 6) vige il divieto di scarico in mare e l’obbligo di conservazione a bordo ovvero di scarico negli impianti di raccolta previsti dalla norma 12 dello stesso allegato, la convenzione contiene un regime meno restrittivo ammettendo deroghe al divieto di scarico, deroghe che sono più rigorose nel caso in cui la nave si trovi nelle zone speciali indicate dalla stessa convenzione.

Secondo la norma internazionale - che si applica alle navi battenti bandiera di uno Stato parte della convenzione e a tutte le navi, indipendentemente dalla bandiera, in navigazione nelle acque territoriali italiane - è infatti ammesso lo scarico di miscele di idrocarburi quando la nave è in navigazione o è al di fuori delle acque territoriali o la quantità scaricata è in una certa percentuale massima ammessa.

Per quanto riguarda l’acqua di zavorra, la contaminazione è ormai ridotta essendosi le navi, secondo le regole Marpol, dotate di idonee cisterne destinate a contenere esclusivamente zavorra, al fine di prevenire quella che era una delle fonti principali di inquinamento marino e cioè lo sversamento in mare di acque di zavorra contaminata da sostanze nocive.

Con riferimento alla discarica in mare delle acque di sentina, la norme pattizia consente lo scarico attraverso il separatore di sentina.

La vigenza di tale disciplina che consente alle navi di scaricare in acque internazionali quantità sia pur minime di elementi inquinanti (durante le operazioni di pulizia delle cisterne o lo scarico della zavorra) nell’osservanza di una complessa serie di requisiti, è stata peraltro sancita dalla Corte di Cassazione a sezioni unite con sentenza del 22 luglio 1998[2] ponendo fine ad una questione che ha dato luogo ad interpretazioni non univoche in dottrina e ad applicazioni difformi in giurisprudenza in tema di contrasto tra norma nazionale e convenzione internazionale.

Tali operazioni consentite dalla norma internazionale erano infatti vietate dalla normativa interna (l. 31 dicembre 1982 n. 979, recante disposizioni per la difesa del mare) il cui art. 16 prevedeva, per le navi italiane, un divieto assoluto di scarico in mare di idrocarburi e di altre sostanze nocive contenute nell’allegato A della stessa legge. Il disposto dell’art. 16 è poi completato da quello dell’art. 17, il quale dispone la comminazione di sanzioni penali anche nel caso in cui lo scarico avvenga oltre il mare territoriale. La Suprema Corte ha ritenuto che le norme della Convenzione Marpol, una volta entrate in vigore hanno introdotto una causa di liceità in grado di incidere sul fatto tipico descritto dagli artt. 16 e 17 della l. 979/82 così da far escludere – essendosi verificata una vera e propria abolitio criminis – che lo scarico in mare di sostanze nocive eseguito in osservanza della convenzione marpol costituisce reato. Una diversa interpretazione porrebbe, peraltro, secondo la Cassazione problemi di contrasto con il principio di ragionevolezza costituzionalmente garantito, anche perché negli stessi spazi marini internazionali le  navi battenti bandiera straniera sarebbero soggette ad una normativa meno rigorosa.

Solo incidentalmente, non potendomi soffermare su aspetti che derivano dalla lettura della motivazione della sentenza, credo che debba riconoscersi che nella materia ambientale le convenzioni internazionali nella parte contenente i precetti negativi debbano servire semplicemente da limite minimo di comportamento come ora è espressamente previsto dalla convenzione delle NU sul diritto del mare di Montego Bay del 1982[3].

 

Le norme in materia ambientale - In attuazione di precise indicazioni comunitarie, ed in particolare delle direttive comunitarie 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, il nostro ordinamento si era dotato disciplina organica sulla gestione dei rifiuti contenuta nel d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ora abrogato dal testo unico sull’ambiente emanato con d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152[4] e successive modifiche[5], recante norme in materia ambientale[6].

Secondo la recente novella legislativa, rientra nella definizione di rifiuto ex art. 183 comma 1 lett. a)[7] qualsiasi sostanza che soddisfi due criteri: l’uno oggettivo, l’altro soggettivo[8]. Oggettivo in quanto la sostanza dovrà essere compresa tra le categorie dell’allegato alla parte quarta del decreto stesso[9] ovvero al CER; soggettivo in quanto è necessaria l’azione del soggetto che potrà essere spontanea (“si disfi”, “abbia deciso”) o conseguente ad uno specifico obbligo di disfarsene.

Una volta qualificata la sostanza quale rifiuto, la norma prevede l’applicazione di misure più rigorose, anche sotto il profilo sanzionatorio, correlate al grado di pericolosità dello stesso.

Con particolare riferimento ai rifiuti idrocarburici provenienti da navi, essi sono classificati rifiuti pericolosi e sono regolamentati da normative speciali rimaste in vigore anche dopo l’emanazione del testo unico ambientale.

 

La disciplina nazionale - Passando ad analizzare la disciplina interna in materia di prevenzione dall’inquinamento operativo delle navi, le norme di riferimento sono, oltre la legge di recepimento della Convenzione Marpol, la legge di difesa del mare già citata ed il d. lgs. 24 giugno 2003 n. 182.

La l. 979/1982, prevede che le acque di zavorra e di lavaggio delle petroliere possano essere trattate da navi appositamente costruite ed attrezzate per la raccolta di questi materiali. L’utilizzazione di queste navi è consentita previa convenzione tra il Ministro dei trasporti e l’armatore.

È nel quadro della politica comunitaria sull’ambiente marino che si inquadra la direttiva n. 2000/59/CE[10] del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2000 sugli impianti di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico attuata nel nostro ordinamento con d.lgs. 182/2003.

Giova rilevare per inciso che con la direttiva 2005/35/CE[11] (del 7 settembre 2005 del Parlamento europeo e del Consiglio), relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni, l’Unione Europea si è dotata di un apparato sanzionatorio al fine di armonizzare l’attuazione della Convenzione Marpol negli Stati membri.

Il d.lgs. 24 giugno 2003 n. 182[12] riveste una particolare importanza in quanto rappresenta una norma di raccordo tra la Marpol e il decreto Ronchi.

L’obiettivo del legislatore è quello di “ridurre gli scarichi in mare, in particolare quelli illeciti, dei rifiuti e dei residui del carico prodotti dalle navi che utilizzano porti situati nel territorio dello Stato” ponendo l’obbligo alle navi di conferire tali sostanze negli impianti di raccolta (che erano già stati previsti dalla norma 12 dell’allegato I alla Marpol) da realizzarsi nei porti a cura dell’autorità portuale o, laddove non istituita, dell’autorità marittima.

Questa norma che prevede un’apposita regolamentazione per la gestione dei residui prodotti dalla nave, definisce rifiuti ai sensi dell’art. 2 comma 2: i rifiuti prodotti dalla nave (residui diversi dai residui del carico) ed i residui del carico. Tra i primi sono comprese le acque di sentina e tra i secondi le acque di lavaggio e le acque di zavorra qualora venute a contatto con il carico o suoi residui.

Fino all’emanazione del d.lgs 182/2003 le miscele di idrocarburi non venivano assoggettate alla disciplina dei rifiuti prevista dalla legislazione ambientale, di conseguenza non si parlava di gestione dei rifiuti delle navi nel senso previsto dall’art. 6, lett. d) del decreto Ronchi ovvero di “raccolta, trasporto, recupero e smaltimento …”.

I residui prodotti dalla nave ed i residui del carico venivano infatti o scaricati in mare o nei depositi costieri che ricevevano il carico della nave, limitandosi alla mera raccolta. Con l’entrata in vigore del d.lgs 182/2003 questi ultimi impianti non sono più autorizzati a riceverli[13].

Nonostante la vigenza del d.lgs 182/2003[14], a rendere non pienamente efficace l’attuazione della norma di derivazione comunitaria è, tuttavia, la disciplina che deroga all’obbligo di conferimento dei rifiuti prodotti dalla nave (obbligo che ricade sul comandante della nave).

La nave può infatti proseguire verso il successivo porto di scalo senza aver effettuato il conferimento, qualora abbia capacità di stoccaggio, previa autorizzazione da parte dell’autorità marittima, finendo con l’ammettersi, attraverso il richiamo esplicito alle norme di diritto internazionale, lo scarico in mare secondo le previsioni della convenzione Marpol, che, come abbiamo visto, sono meno rigorose e, contravvenendo, di conseguenza a quella che era la ratio della norma. Non esiste una disposizione che consenta di verificare se al successivo porto di arrivo la nave ottemperi all’obbligo del conferimento.

Sotto il profilo dell’armonizzazione con la norma comunitaria, non sembra tuttavia che il nostro legislatore si sia discostato dalla direttiva n. 2000/59 che, nei considerando, aveva previsto la deroga, al fine di conciliare gli interessi di un funzionamento fluido del trasporto marittimo con la tutela dell’ambiente.

Il comma 2 dell’articolo 7 attribuisce, peraltro, all’Autorità marittima il potere di far conferire alla nave i rifiuti prodotti prima che la nave lasci il porto, qualora ritenga che nel porto di conferimento previsto non sono disponibili impianti adeguati o nel caso in cui detto porto non è conosciuto e sussiste il rischio che i rifiuti vengano scaricati in mare.

Sul punto è da rilevare che la già citata direttiva 2005/35/CE non ancora in vigore, che riguarda il profilo sanzionatorio,  prevede delle misure di controllo dell’applicazione dei divieti di scarico di sostanze inquinanti per le navi che si trovano nel porto di uno Stato membro o in transito, basate su un sistema di informazioni tra Stati.

Ritornando al d.lgs. 182/2003, giova però rilevare che ad incidere notevolmente sulla portata innovativa di questo provvedimento ed a creare un quadro piuttosto disorganico è intervenuta la l. 27 febbraio 2004 n. 47[15] che all’art. 10 bis, comma 1, consente “nuovamente” (ma non oltre il 31 dicembre 2005) agli impianti destinatari dei carichi di effettuare il recupero delle frazioni oleose previa autorizzazione al trattamento delle acque reflue industriali secondo la procedura di cui al d.lgs. 152/99[16].

L’esigenza di emanare una disposizione che consentisse agli impianti costieri di continuare a ricevere il materiale si rese anche necessario tenendo conto delle difficoltà di attuazione del decreto legislativo sugli impianti portuali[17]. Da un lato v’è la difficoltà di natura tecnica relativa all’espletamento della gara da parte dell’autorità, portuale o marittima, dall’altro la debole domanda all’ingresso nel mercato, da parte dei soggetti gestori degli impianti.

Quest’ultimo aspetto è, peraltro, strettamente legato ai criteri per la determinazione delle tariffe per il conferimento dei rifiuti contenuto nell’allegato IV. Sono previsti distinti criteri a seconda della tipologia di rifiuti. Per quelli prodotti dalle navi, l’importo della tariffa è composto da una quota fissa che è indipendente dall’utilizzo degli impianti portuali (e che dovrà coprire almeno il 35% dei costi) ed una quota correlata al quantitativo ed al tipo di rifiuti effettivamente conferiti. Con riferimento ai residui del carico la tariffa è invece posta a carico delle sole navi che utilizzano gli impianti. Probabilmente stabilendo l’obbligatorietà del pagamento per tutte le navi indipendentemente dal conferimento, si potrà prescindere dell’obbligatorietà del conferimento e rendere economicamente conveniente l’ingresso dei gestori nel mercato.

Infine, queste miscele contenenti idrocarburi sono state classificate rifiuti pericolosi e seguono un’apposita procedura.

Con Decreto del ministro dell’ambiente e della tutela del territorio del 17 novembre 2005, n. 269 si sono individuati i rifiuti pericolosi provenienti dalle navi che è possibile ammettere alle procedure semplificate. Il regime semplificato costituisce un beneficio concesso per legge agli impianti di cui all’art. 52 cod. nav., i quali non devono essere in possesso di autorizzazione per l’attività di recupero dei rifiuti essendo richiesta una comunicazione da inviare alla Provincia (secondo il vecchio regime). L’art. 216 del recente d.lgs 152/2006 secondo comma, ripartisce le competenze tra provincia e sezione regionale dell’albo gestori ambientali.

Il d.m. n. 269/2005, che trova ancora applicazione fino all’emanazione dei regolamenti attuativi del testo unico ambientale[18] - nonostante sia una norma tecnica di attuazione di un testo normativo abrogato- disciplina le procedure di recupero agevolato dei rifiuti pericolosi indicati nell’art. 1, tra i quali le acque di zavorra venute a contatto con il carico o con i suoi residui, le acque di lavaggio e le acque di sentina delle navi.

L’unica novità introdotta dall’art. 232, comma 2, del testo unico ambientale è che gli impianti che ricevono acque di sentina sottoposte ad un trattamento preliminare possono accedere alle procedure semplificate, fermo restando che le materie prime e i prodotti ottenuti devono possedere le caratteristiche indicate nell’allegato del decreto 182/2003 nel testo modificato dalla novella legislativa.



* Ricercatore di diritto della navigazione, Università di Palermo. Il presente scritto riproduce, con aggiornamenti, la relazione svolta al Convegno su “Biotecnologie per il recupero di aree marine contaminate da petrolio. Aspetti scientifici, industriali e normativi”, Messina, 15 settembre 2005.

[1] I rifiuti pericolosi sono assimilati alle merci pericolose per quanto concerne il regime normativo in materia di trasporto via mare e la disciplina del carico, scarico trasbordo deposito e maneggio in aree portuali. La Corte di Cassazione sez. III con sentenza 28 febbraio – 29 aprile 2003, n. 393, decidendo su un caso che riguardava l’esecuzione delle operazione di raccolta delle acque di sentina e di smaltimento da parte di un soggetto (bettolina) non in possesso dell’autorizzazione prescritta dal Decreto Ronchi, ha affermato che l’equiparazione alle merci non opera con riferimento alle ordinarie operazioni di raccolta e di smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi nel corso e in conseguenza della navigazione. In giurisprudenza v. anche Cass. sez. III pen. 12 marzo 2003 in Il foro italiano, 2004, II, 243 e segg. con nota di Paone, Sullo smaltimento di acque di sentina e in  Dir mar, fas.2, 508-517, con nota di Miccichè, Brevi note in tema di smaltimento di acque di sentina in ambito portuale, e cass. Sez III, pen. 9 ottobre 2003, sentenza n. 38567. L’assimilazione alle merci pericolose è peraltro contenuto nell’art. 265, comma 2 del d.lgs 152/2006.

[2] In Dir. trasp. 1999, fasc.2, 613 con nota di Rosafio, Sulla successione di leggi nel tempo: legge sulla difesa del mare e Convenzione Marpol. In chiave critica, esprimendo perplessità relative ad alcune parti della motivazione della sentenza, v. Camarda, L’evoluzione della normativa internazionale e nazionale vigente in materia della sicurezza della navigazione e prevenzione dall’inquinamento marino, in Riv. Giur. Amb., 2001, 718.

[3] La Convenzione delle NU sul diritto del mare, firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 (entrata in vigore in Italia il 12 febbraio 1995) disciplina anche i poteri degli stati in materia di lotta all’inquinamento da navi. In particolare, per quanto riguarda il potere di uno stato di regolamentare le navi battenti la sua bandiera in modo più restrittivo di quanto stabilito pattiziamente, la norma di riferimento è l’art. 211 par. 2.  Dalla lettura di questo articolo, emerge con chiarezza che, ai sensi del diritto internazionale, uno Stato parte della convenzione Marpol, adottata in sede IMO (e pertanto rientrante tra le regole o norme internazionali generalmente accettate attraverso la competente organizzazione internazionale indicate dall’art. 211.2 della convenzione delle NU sul diritto del mare) può legittimamente adottare norme più severe, rispetto ad essa, per le navi della stessa nazionalità.

[4] Il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, all’art. 264,  comma 1, lett. l), ha inoltre abrogato l'art. 14 del D.L. 8 luglio 2002 n. 138 (convertito da l. 8 agosto 2002 n. 178) che forniva la nozione di rifiuto.

[5] D. lgs. 8 novembre 2006, n.284 recante Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale. L’entrata in vigore del d.lgs. 152/2006 è differito, con riferimento alla sola parte II del decreto stesso, al 31 luglio 2007.

[6] L’art. 264, lett. i) prevede la vigenza e l’applicazione dei provvedimenti attuativi del d.lgs. 22/1997 sino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del testo unico.

[7] Tale normativa - attraverso il rinvio all'Allegato A), che riproduce l'Allegato I della direttiva n. 75/442/CEE e della direttiva n. 2006/12/CE - riporta l'elenco delle 16 categorie di rifiuti individuate in sede comunitaria. Il primo elemento essenziale della nozione di “rifiuto”, nel nostro ordinamento, è costituito dall'appartenenza ad una delle categorie di materiali e sostanze individuate nel citato Allegato A). Giova rilevare tuttavia che l'elenco delle 16 categorie di rifiuti in esso contenuto non è esaustivo ed ha un valore puramente indicativo.

[8] V. Miccichè, op. cit., 511.

[9] L’art. 184, comma 4, dispone che sino all’emanazione del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive con il quale si provvede ad istituire l’elenco europeo dei rifiuti (conformemente all’art. 1, comma 1, lett. a) della direttiva 75/442/CE ed all’art. 1, par. 4, della direttiva 91/689/CE, di cui alla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000), continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla direttiva del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio del 9 aprile 2002. In particolare ci si riferisce all’elenco europeo dei rifiuti. Sull’argomento v. Beltrame, Il nuovo catalogo europeo dei rifiuti (decisione 2000/532/ce e succ. mod.) e le modifiche al sistema di classificazione dei rifiuti pericolosi introdotte nel nostro ordinamento dalla c.d. legge obiettivo (Nota a Cass. sez. III pen. 30 maggio 2002) in Riv. Giur. Amb., 2003, fasc. 2  pag. 340 – 349.

[10] v. Deiana, Problematiche giuridiche della raccolta e gestione nei porti dei rifiuti prodotti dalle navi, in Raccolta e gestione nei porti dei rifiuti prodotti da navi, Atti del convegno di Civitavecchia 11 febbraio 2005, Cagliari, 2006, 21.  

[11] v. Salamone, La Direttiva (CE) n. 2005/C 25E/03 sull’armonizzazione del sistema sanzionatorio previsto al fine di aumentare la sicurezza marittima e migliorare la protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento provocato dalle navi, in Diritto e Diritti, http://www.diritto.it/materiali/europa/comm_dir_ce2005C25E03.pdf.

[12] v. Grigoli, Un apprezzabile progetto normativo per ovviare ai perniciosi effetti degli scarichi in mare dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico, in Giust. Civ., 2004, 285 e segg..

[13] In realtà l’art. 10 bis l. 27 febbraio 2004 n. 47, come peraltro è stato chiarito dalla Circolare 9 marzo 2004, n. 1825, ha sottratto al regime del decreto Ronchi le acque di lavaggio, di sentina e di zavorra non segregata prodotte dalle navi fino al 31 dicembre 2005.

[14] L’art. 232 del testo unico sull’ambiente rinvia infatti al d.lgs. 182/2003 sugli impianti portuali, la regolamentazione in materia di rifiuti prodotti dalle navi e di residui del carico.

[15] Di conversione del decreto legge 24 dicembre 2003 n. 355.

[16] Previsto dal d.lgs 152/99 così come modificato dal d.lgs. 2000 n. 258, ora non più in vigore.

[17] v. Deiana, op.cit.,

[18] Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio ha disposto l’inefficacia di diciassette decreti ministeriali, attuativi del d. lgs. 152/2006 derivante dalla mancata registrazione alla Corte dei conti, in GURI serie gen., 26 giugno 2006.

 

Data di pubblicazione: 7 febbraio 2007.