Normativa
interna, comunitaria ed internazionale in tema di sversamento o
trattamento di
rifiuti idrocarburici provenienti da navi
Stefania Bevilacqua*
Premessa. Nell’ambito
dell’intero corpo normativo avente ad oggetto la tutela dell’ambiente marino
dall’inquinamento da idrocarburi, un cospicuo numero di norme concerne anche la
prevenzione dall’inquinamento sistematico od operativo, dovuto allo sversamento
in mare di acque contaminate nel corso delle operazioni di lavaggio delle
cisterne delle navi (slop), di acque di zavorra ovvero di acque di sentina.
Quest’ultimo tipo di inquinamento, provocato, in particolar modo, da navi
adibite al trasporto di idrocarburi, può produrre effetti sull’ambiente
altrettanto gravi quanto quelli generati da cause accidentali.
Tali
miscele contenenti idrocarburi, derivanti sia da residui che vengono prodotti
dalla nave durante l’esercizio della navigazione che da residui del carico
della nave, sono classificati dal legislatore nazionale come rifiuti,
annoverati più in particolare tra i rifiuti pericolosi[1]
ed assoggettati ad una specifica procedura che riguarda la loro gestione.
Occorre tuttavia rilevare che l’evoluzione della disciplina in materia non ha
trovato una sistemazione organica, ma risulta invece caratterizzata
dall’emanazione di disposizioni transitorie che hanno prodotto l’effetto di
derogare di volta in volta alla disciplina generale in materia ambientale.
Ed
allora occorre verificare preliminarmente se secondo la normativa vigente
questi residui possono essere sversati in mare oppure debbano essere trattati
secondo apposite procedure.
Occorre
premettere che tale disciplina è il risultato di norme internazionali e
nazionali in materia; le norme interne, a loro volta, sono per lo più attuative
di norme comunitarie.
La disciplina internazionale- Muovendo dalle
fonti di origine internazionale, com’è noto, storicamente, un primo tentativo
organico di lotta all’inquinamento ha riguardato proprio gli idrocarburi, con
La
convenzione ha introdotto una dettagliata normativa diretta a ridurre e
prevenire l’inquinamento marino dovuto dall’immissione volontaria o accidentale
di tutte le sostanze che possono mettere in pericolo la salute umana, le
risorse biologiche, paesaggistiche od ogni altra utilizzazione del mare.
L’allegato
I alla convenzione contiene la procedura tecnica riguardante lo scarico in mare
di idrocarburi provenienti dalle cisterne di una nave e determina i limiti e le
modalità di discarica in mare delle miscele.
Ad
eccezione dei residui di idrocarburi, c.d. morchie, per i quali (ai sensi della
norma 9 comma 6) vige il divieto di scarico in mare e l’obbligo di
conservazione a bordo ovvero di scarico negli impianti di raccolta previsti
dalla norma 12 dello stesso allegato, la convenzione contiene un regime meno
restrittivo ammettendo deroghe al divieto di scarico, deroghe che sono più
rigorose nel caso in cui la nave si trovi nelle zone speciali indicate dalla
stessa convenzione.
Secondo
la norma internazionale - che si applica alle navi battenti bandiera di uno
Stato parte della convenzione e a tutte le navi, indipendentemente dalla
bandiera, in navigazione nelle acque territoriali italiane - è infatti ammesso
lo scarico di miscele di idrocarburi quando la nave è in navigazione o è al di
fuori delle acque territoriali o la quantità scaricata è in una certa
percentuale massima ammessa.
Per
quanto riguarda l’acqua di zavorra, la contaminazione è ormai ridotta essendosi
le navi, secondo le regole Marpol, dotate di idonee cisterne destinate a
contenere esclusivamente zavorra, al fine di prevenire quella che era una delle
fonti principali di inquinamento marino e cioè lo sversamento in mare di acque
di zavorra contaminata da sostanze nocive.
Con
riferimento alla discarica in mare delle acque di sentina, la norme pattizia
consente lo scarico attraverso il separatore di sentina.
La
vigenza di tale disciplina che consente alle navi di scaricare in acque
internazionali quantità sia pur minime di elementi inquinanti (durante le
operazioni di pulizia delle cisterne o lo scarico della zavorra)
nell’osservanza di una complessa serie di requisiti, è stata peraltro sancita
dalla Corte di Cassazione a sezioni unite con sentenza del 22 luglio 1998[2]
ponendo fine ad una questione che ha dato luogo ad interpretazioni non univoche
in dottrina e ad applicazioni difformi in giurisprudenza in tema di contrasto
tra norma nazionale e convenzione internazionale.
Tali
operazioni consentite dalla norma internazionale erano infatti vietate dalla
normativa interna (l. 31 dicembre 1982 n. 979, recante disposizioni per la
difesa del mare) il cui art. 16 prevedeva, per le navi italiane, un divieto
assoluto di scarico in mare di idrocarburi e di altre sostanze nocive contenute
nell’allegato A della stessa legge. Il disposto dell’art. 16 è poi completato
da quello dell’art. 17, il quale dispone la comminazione di sanzioni penali
anche nel caso in cui lo scarico avvenga oltre il mare territoriale.
Solo
incidentalmente, non potendomi soffermare su aspetti che derivano dalla lettura
della motivazione della sentenza, credo che debba riconoscersi che nella
materia ambientale le convenzioni internazionali nella parte contenente i
precetti negativi debbano servire semplicemente da limite minimo di
comportamento come ora è espressamente previsto dalla convenzione delle NU sul
diritto del mare di Montego Bay del 1982[3].
Le norme in materia ambientale - In attuazione
di precise indicazioni comunitarie, ed in particolare delle direttive
comunitarie 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e
94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, il nostro ordinamento
si era dotato disciplina organica sulla gestione dei rifiuti contenuta nel d.
lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ora abrogato dal testo unico sull’ambiente emanato
con d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152[4] e
successive modifiche[5],
recante norme in materia ambientale[6].
Secondo
la recente novella legislativa, rientra nella definizione di rifiuto ex art.
183 comma 1 lett. a)[7]
qualsiasi sostanza che soddisfi due criteri: l’uno oggettivo, l’altro
soggettivo[8].
Oggettivo in quanto la sostanza dovrà essere compresa tra le categorie
dell’allegato alla parte quarta del decreto stesso[9]
ovvero al CER; soggettivo in quanto è necessaria l’azione del soggetto che
potrà essere spontanea (“si disfi”, “abbia deciso”) o conseguente ad uno specifico
obbligo di disfarsene.
Una volta qualificata la sostanza quale rifiuto, la
norma prevede l’applicazione di misure più rigorose, anche sotto il profilo
sanzionatorio, correlate al grado di pericolosità dello stesso.
Con
particolare riferimento ai rifiuti idrocarburici provenienti da navi, essi sono
classificati rifiuti pericolosi e sono regolamentati da normative speciali
rimaste in vigore anche dopo l’emanazione del testo unico ambientale.
La disciplina nazionale - Passando ad
analizzare la disciplina interna in materia di prevenzione dall’inquinamento
operativo delle navi, le norme di riferimento sono, oltre la legge di
recepimento della Convenzione Marpol, la legge di difesa del mare già citata ed
il d. lgs. 24 giugno 2003 n. 182.
La l.
979/1982, prevede che le acque di zavorra e di lavaggio delle petroliere
possano essere trattate da navi appositamente costruite ed attrezzate per la
raccolta di questi materiali. L’utilizzazione di queste navi è consentita
previa convenzione tra il Ministro dei trasporti e l’armatore.
È nel
quadro della politica comunitaria sull’ambiente marino che si inquadra la
direttiva n. 2000/59/CE[10]
del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2000 sugli impianti di
raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico attuata nel
nostro ordinamento con d.lgs. 182/2003.
Giova
rilevare per inciso che con la direttiva 2005/35/CE[11]
(del 7 settembre 2005 del Parlamento europeo e del Consiglio), relativa
all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per
violazioni, l’Unione Europea si è dotata di un apparato sanzionatorio al fine
di armonizzare l’attuazione della Convenzione Marpol negli Stati membri.
Il
d.lgs. 24 giugno 2003 n. 182[12]
riveste una particolare importanza in quanto rappresenta una norma di raccordo
tra
L’obiettivo
del legislatore è quello di “ridurre gli scarichi in mare, in particolare
quelli illeciti, dei rifiuti e dei residui del carico prodotti dalle navi che
utilizzano porti situati nel territorio dello Stato” ponendo l’obbligo alle
navi di conferire tali sostanze negli impianti di raccolta (che erano già stati
previsti dalla norma 12 dell’allegato I alla Marpol) da realizzarsi nei porti a
cura dell’autorità portuale o, laddove non istituita, dell’autorità marittima.
Questa norma che prevede un’apposita
regolamentazione per la gestione dei residui prodotti dalla nave, definisce
rifiuti ai sensi dell’art. 2 comma 2: i rifiuti prodotti dalla nave (residui
diversi dai residui del carico) ed i residui del carico. Tra i primi sono
comprese le acque di sentina e tra i secondi le acque di lavaggio e le acque di
zavorra qualora venute a contatto con il carico o suoi residui.
Fino
all’emanazione del d.lgs 182/2003 le miscele di idrocarburi non venivano
assoggettate alla disciplina dei rifiuti prevista dalla legislazione
ambientale, di conseguenza non si parlava di gestione dei rifiuti delle navi
nel senso previsto dall’art. 6, lett. d) del decreto Ronchi ovvero di
“raccolta, trasporto, recupero e smaltimento …”.
I
residui prodotti dalla nave ed i residui del carico venivano infatti o
scaricati in mare o nei depositi costieri che ricevevano il carico della nave,
limitandosi alla mera raccolta. Con l’entrata in vigore del d.lgs 182/2003
questi ultimi impianti non sono più autorizzati a riceverli[13].
Nonostante
la vigenza del d.lgs 182/2003[14],
a rendere non pienamente efficace l’attuazione della norma di derivazione
comunitaria è, tuttavia, la disciplina che deroga all’obbligo di conferimento
dei rifiuti prodotti dalla nave (obbligo che ricade sul comandante della nave).
La nave può infatti proseguire verso il successivo
porto di scalo senza aver effettuato il conferimento, qualora abbia capacità di
stoccaggio, previa autorizzazione da parte dell’autorità marittima, finendo con
l’ammettersi, attraverso il richiamo esplicito alle norme di diritto
internazionale, lo scarico in mare secondo le previsioni della convenzione
Marpol, che, come abbiamo visto, sono meno rigorose e, contravvenendo, di
conseguenza a quella che era la ratio della norma. Non esiste una
disposizione che consenta di verificare se al successivo porto di arrivo la
nave ottemperi all’obbligo del conferimento.
Sotto
il profilo dell’armonizzazione con la norma comunitaria, non sembra tuttavia
che il nostro legislatore si sia discostato dalla direttiva n. 2000/59 che, nei
considerando, aveva previsto la deroga, al fine di conciliare gli interessi di
un funzionamento fluido del trasporto marittimo con la tutela dell’ambiente.
Il
comma 2 dell’articolo 7 attribuisce, peraltro, all’Autorità marittima il potere
di far conferire alla nave i rifiuti prodotti prima che la nave lasci il porto,
qualora ritenga che nel porto di
conferimento previsto non sono disponibili impianti adeguati o nel caso in cui
detto porto non è conosciuto e sussiste il rischio che i rifiuti vengano
scaricati in mare.
Sul
punto è da rilevare che la già citata direttiva 2005/35/CE non ancora in
vigore, che riguarda il profilo sanzionatorio,
prevede delle misure di controllo dell’applicazione dei divieti di
scarico di sostanze inquinanti per le navi che si trovano nel porto di uno
Stato membro o in transito, basate su un sistema di informazioni tra Stati.
Ritornando
al d.lgs. 182/2003, giova però rilevare che ad incidere notevolmente sulla
portata innovativa di questo provvedimento ed a creare un quadro piuttosto
disorganico è intervenuta la l. 27 febbraio 2004 n. 47[15]
che all’art. 10 bis, comma 1, consente “nuovamente” (ma non oltre il 31
dicembre 2005) agli impianti destinatari dei carichi di effettuare il recupero
delle frazioni oleose previa autorizzazione al trattamento delle acque reflue
industriali secondo la procedura di cui al d.lgs. 152/99[16].
L’esigenza
di emanare una disposizione che consentisse agli impianti costieri di continuare
a ricevere il materiale si rese anche necessario tenendo conto delle difficoltà
di attuazione del decreto legislativo sugli impianti portuali[17].
Da un lato v’è la difficoltà di natura tecnica relativa all’espletamento della
gara da parte dell’autorità, portuale o marittima, dall’altro la debole domanda
all’ingresso nel mercato, da parte dei soggetti gestori degli impianti.
Quest’ultimo
aspetto è, peraltro, strettamente legato ai criteri per la determinazione delle
tariffe per il conferimento dei rifiuti contenuto nell’allegato IV. Sono
previsti distinti criteri a seconda della tipologia di rifiuti. Per quelli
prodotti dalle navi, l’importo della tariffa è composto da una quota fissa che
è indipendente dall’utilizzo degli impianti portuali (e che dovrà coprire
almeno il 35% dei costi) ed una quota correlata al quantitativo ed al tipo di
rifiuti effettivamente conferiti. Con riferimento ai residui del carico la
tariffa è invece posta a carico delle sole navi che utilizzano gli impianti.
Probabilmente stabilendo l’obbligatorietà del pagamento per tutte le navi
indipendentemente dal conferimento, si potrà prescindere dell’obbligatorietà
del conferimento e rendere economicamente conveniente l’ingresso dei gestori
nel mercato.
Infine,
queste miscele contenenti idrocarburi sono state classificate rifiuti
pericolosi e seguono un’apposita procedura.
Con
Decreto del ministro dell’ambiente e della tutela del territorio del 17
novembre 2005, n. 269 si sono individuati i rifiuti pericolosi provenienti
dalle navi che è possibile ammettere alle procedure semplificate. Il regime
semplificato costituisce un beneficio concesso per legge agli impianti di cui
all’art. 52 cod. nav., i quali non devono essere in possesso di autorizzazione
per l’attività di recupero dei rifiuti essendo richiesta una comunicazione da
inviare alla Provincia (secondo il vecchio regime). L’art. 216 del recente
d.lgs 152/2006 secondo comma, ripartisce le competenze tra provincia e sezione
regionale dell’albo gestori ambientali.
Il
d.m. n. 269/2005, che trova ancora applicazione fino all’emanazione dei
regolamenti attuativi del testo unico ambientale[18]
- nonostante sia una norma tecnica di attuazione di un testo normativo
abrogato- disciplina le procedure di recupero agevolato dei rifiuti pericolosi
indicati nell’art. 1, tra i quali le acque di zavorra venute a contatto con il
carico o con i suoi residui, le acque di lavaggio e le acque di sentina delle
navi.
L’unica
novità introdotta dall’art. 232, comma 2, del testo unico ambientale è che gli
impianti che ricevono acque di sentina sottoposte ad un trattamento preliminare
possono accedere alle procedure semplificate, fermo restando che le materie prime e i prodotti ottenuti devono
possedere le caratteristiche indicate nell’allegato del decreto 182/2003
nel testo modificato dalla novella legislativa.
* Ricercatore di diritto della navigazione,
Università di Palermo. Il presente scritto riproduce, con aggiornamenti, la
relazione svolta al Convegno su “Biotecnologie per il recupero di aree
marine contaminate da petrolio. Aspetti scientifici, industriali e normativi”, Messina,
15 settembre 2005.
[1] I rifiuti pericolosi sono assimilati alle merci
pericolose per quanto concerne il regime normativo in materia di trasporto via
mare e la disciplina del carico, scarico trasbordo deposito e maneggio in aree
portuali.
[2] In Dir.
trasp. 1999, fasc.2, 613 con nota di Rosafio,
Sulla successione di leggi nel tempo: legge sulla difesa del mare e Convenzione
Marpol. In chiave critica, esprimendo perplessità relative ad alcune parti
della motivazione della sentenza, v. Camarda,
L’evoluzione della
normativa internazionale e nazionale vigente in materia della sicurezza della
navigazione e prevenzione dall’inquinamento marino, in Riv. Giur. Amb., 2001, 718.
[3]
[4] Il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, all’art.
264, comma 1, lett. l), ha
inoltre abrogato l'art. 14 del D.L. 8 luglio 2002 n. 138 (convertito da l. 8
agosto 2002 n. 178) che forniva la nozione di rifiuto.
[5] D. lgs. 8 novembre 2006, n.284 recante Disposizioni
correttive e integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante
norme in materia ambientale. L’entrata in vigore del d.lgs. 152/2006 è
differito, con riferimento alla sola parte II del decreto stesso, al 31 luglio
2007.
[6] L’art. 264, lett. i) prevede la vigenza e
l’applicazione dei provvedimenti attuativi del d.lgs. 22/1997 sino alla data di
entrata in vigore dei provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del
testo unico.
[7] Tale normativa - attraverso il rinvio all'Allegato
A), che riproduce l'Allegato I della direttiva n. 75/442/CEE e della direttiva
n. 2006/12/CE - riporta l'elenco delle 16 categorie di rifiuti individuate in
sede comunitaria. Il primo elemento essenziale della nozione di “rifiuto”, nel
nostro ordinamento, è costituito dall'appartenenza ad una delle categorie di
materiali e sostanze individuate nel citato Allegato A). Giova rilevare
tuttavia che l'elenco delle 16 categorie di rifiuti in esso contenuto non è esaustivo
ed ha un valore puramente indicativo.
[8] V. Miccichè,
op. cit., 511.
[9] L’art. 184, comma 4, dispone che sino
all’emanazione del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive con il quale
si provvede ad istituire l’elenco europeo dei rifiuti (conformemente all’art.
1, comma 1, lett. a) della direttiva 75/442/CE ed all’art. 1, par. 4, della
direttiva 91/689/CE, di cui alla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3
maggio 2000), continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla direttiva
del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio del 9 aprile
[10] v. Deiana, Problematiche
giuridiche della raccolta e gestione nei porti dei rifiuti prodotti dalle navi,
in Raccolta e gestione nei porti dei rifiuti prodotti da navi, Atti
del convegno di Civitavecchia 11 febbraio 2005, Cagliari, 2006, 21.
[11] v. Salamone,
[12] v. Grigoli,
Un apprezzabile progetto normativo
per ovviare ai perniciosi effetti degli scarichi in mare dei rifiuti prodotti
dalle navi e dei residui del carico, in Giust.
Civ., 2004, 285 e segg..
[13] In realtà l’art. 10 bis l. 27 febbraio 2004 n. 47, come peraltro è stato chiarito dalla
Circolare 9 marzo 2004, n.
[14] L’art. 232 del testo unico sull’ambiente rinvia
infatti al d.lgs. 182/2003 sugli impianti portuali, la regolamentazione in
materia di rifiuti prodotti dalle navi e di residui del carico.
[15] Di conversione del decreto legge 24 dicembre 2003
n. 355.
[16] Previsto dal d.lgs 152/99 così come modificato dal
d.lgs. 2000 n. 258, ora non più in vigore.
[17] v. Deiana, op.cit.,
[18] Il Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio ha disposto l’inefficacia di diciassette decreti ministeriali,
attuativi del d. lgs. 152/2006 derivante dalla mancata registrazione alla Corte
dei conti, in GURI serie gen., 26 giugno 2006.
Data di
pubblicazione: 7 febbraio 2007.