Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e
dell’ambiente, 2003/1
Titoli
di partecipazione nelle società cooperative *
di
Elvira La Loggia Albanese **
Sorte
come figure contrapposte all’impresa capitalistica, le società cooperative si
sono a poco a poco avvicinate a quest’ultima fattispecie, sulla considerazione
che la società cooperativa, prima di essere cooperativa è, innanzi tutto una
impresa, destinataria, quindi di norme comuni ad ogni impresa collettiva, e,
pertanto, come unità di produzione e di scambio, destinata ad operare nel
mercato.
Così,
all’art 2, comma 1 lett. a della delega n. 366/2001, appare chiaro come
l’obiettivo prioritario, perseguito poi, dal legislatore con la riforma del
2003 sarebbe stato quello di valorizzare l’aspetto imprenditoriale di tutte le
società, oltre ad assicurare per le cooperative (art. 5 comma 1 lett. a)
il perseguimento della funzione sociale e dello scopo mutualistico
Il
generale richiamo, poi, contenuto nel codice (art. 2516 previgente, art. 2519
nuovo) alla normativa delle S.p.A, in quanto compatibile, ha fatto sì che la
società cooperativa venisse considerata una società di capitali pur se modificata
in alcuni suoi elementi.
Nell’impresa
cooperativa deve, quindi, conciliarsi il concetto di impresa, con lo scopo
mutualistico che la caratterizza: scopo mutualistico che il legislatore del
1942 si è astenuto dal definire, e che anche nel nuovo testo della riforma
viene inteso solo in termini antitetici allo scopo lucrativo.
La
possibilità che nelle cooperative potessero essere realizzati, anche, interessi
di tipo lucrativo è stata da sempre considerata una eventualità eccezionale:
ogni strumento, quindi, diretto a realizzare una funzione di finanziamento è
stato ritenuto incompatibile con la intrinseca natura di questo tipo di
società, e con la finalità propria di tale impresa, mirata a soddisfare
unicamente interessi di categoria.
Per
provvedere al finanziamento delle cooperative, si è quindi dovuto superare
quella diffidenza iniziale di considerare le partecipazioni finanziarie nel
contesto cooperativistico, come uno svilimento dello scopo mutualistico.
Conciliare
l’esigenza di disporre di ingenti capitali per potere essere competitivi sul
mercato, con la finalità mutualistica del sistema cooperativo, ha comportato,
quindi, la ricerca di un necessario punto di equilibrio che consentisse, da un
lato di provvedere ad un valido sistema di finanziamento per superare la
cronica sottocapitalizzazione delle cooperative, e, dall’altro a non vanificare
lo scopo mutualistico che le caratterizza.
Già il legislatore del 1942, aveva previsto
la figura dei soci sovventori (art 2548 cod. civ.), per le mutue
assicuratrici, nell’ambito delle quali maggiormente era avvertita la necessità
dell’apporto di soci che, senza essere cooperatori o assicurati, conferissero
danaro in società; ma proprio a causa dell’introduzione di questa figura, la
mutualità veniva considerata “spuria”.
Questa
prima apertura verso forme di finanziamento esterno, non è rimasta, comunque,
isolata, e l’originario concetto di mutualità, cui si era riferito il
legislatore del ‘42 ha continuato a subire modifiche nel corso del tempo, anche
in considerazione che una mutualità “pura” non sarebbe stata neanche vantaggiosa
per i soci, e che la possibilità di un apporto esterno, offrendo beni e servizi
a terzi, sarebbe tornata a vantaggio dei soci, senza per questo intaccare
quello che sarebbe rimasto lo scopo principale della cooperativa e, cioè, procurare
beni o servizi o occasioni di lavoro ai soci cooperatori.
Ancora
prima dell’attuale riforma, infatti, la legge n. 59/1992 aveva introdotto forme
di finanziamento diversificate nell’ambito della cooperativa, pur non facendo
riferimento, espresso a “strumenti finanziari” per consentire proprio un
maggiore reperimento di capitali.
Le
innovazioni previste dalla legge e che si articolano, in particolare, su tre
previsioni, introducono nel sistema la figura dei:
-
soci
sovventori (art.4)
-
soci
di partecipazione cooperativa (art 5)
-
prestito
dei soci (art 10)
La
posizione dei soci sovventori, è stata oggetto di particolare
attenzione da parte della dottrina: si tratta di una categoria di soci che pur
non partecipando agli scopi mutualistici persegue una forma di investimento,
contribuendo al tempo stesso al finanziamento della società.
La legge stabilisce che i conferimenti dei
soci sovventori sono rappresentate da azioni nominative trasferibili (comma
4) , e, quindi, possono essere acquistati anche dai soci
cooperatori; possono, altresì, essere corredate di diritti diversi rispetto a
quelle ordinarie, potendo essere riconosciuta alle stesse una prelazione o una
preferenza nella ripartizione degli utili, e in sede di liquidazione (comm.6).
La norma (art 4, comma 6), limitando il
“tasso di remunerazione” che non può essere maggiorato in misura superiore al
2% rispetto a quello stabilito per gli altri soci, ha messo un freno alla
partecipazione di soci sovventori con fini esclusivamente speculativi, oltre a
sottolineare la natura di finanziamento dell’apporto dei soci sovventori.
Per
evitare, poi, che il socio sovventore possa avere un maggiore peso
nell’attività gestionale della società, l’atto costitutivo può attribuire allo
stesso più voti anche in relazione all’ammontare dei conferimenti, ma non oltre
i cinque, e comunque i voti ad esso spettanti non potranno mai superare il
terzo dei voti spettanti agli altri soci (art 4 comma 2).
Anche
ai soci sovventori possono essere dati poteri amministrativi, ma la maggioranza
degli amministratori deve essere costituita da soci cooperatori (art 4 comma
3).
Altra
forma di finanziamento prevista dalla legge 59/92 sono le azioni di
partecipazione cooperativa (art 5), che possono essere emesse
nell’ambito di un programma di ammodernamento aziendale, statutariamente
previsto.
Tali
azioni, sono strutturate sul modello di quelle di risparmio: sono privilegiate
nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale.
Ai possessori delle azioni di partecipazione
spetta (comma 7) una remunerazione maggiorata del 2% rispetto a quella delle
quote, o delle azioni dei soci cooperatori.
In sede di scioglimento della società
(comma8).hanno diritto di prelazione nel rimborso del capitale per l’intero
valore nominale.
L’ammontare complessivo delle azioni di
partecipazione cooperativa non può superare il valore contabile delle riserve
indivisibili (comma 4) o del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio.
Le azioni possono essere emesse al portatore
se interamente liberate, e devono (comma 5) essere offerte in
opzione, in misura non inferiore alla metà, ai soci ed ai lavoratori dipendenti
della società, i quali possono sottoscriverle superando anche i limiti di
possesso a loro spettanti.
A
fronte di tali privilegi, i possessori delle azioni di partecipazione cooperativa
non hanno diritto di voto, non possono essere nominati amministratori, e dalla
legge non vengono indicati neanche come “soci” ma come “possessori” delle
azioni di partecipazione, a differenza di come si esprime la legge riguardo ai
“soci sovventori”.
La
mancata qualifica di soci per i possessori delle azioni di partecipazione può
trovare la sua giustificazione nella considerazione che questo apporto è legato
all’adozione, da parte della società, di un piano di programmazione pluriennale
per lo sviluppo e l’ammodernamento aziendale. e quindi, assume maggiormente
l’aspetto di un finanziamento finalizzato a tale scopo, limitato anche nel
tempo.
Come per gli azionisti di risparmio è
prevista, anche per questa categoria, una assemblea speciale e la nomina di un
rappresentante comune.
L’art
10 della legge 59/1992 prevede poi, come altra forma di finanziamento, il
prestito sociale. Le operazioni devono essere previste nello statuto, e
deve essere indicato lo scopo a cui dovrà servire.
E’
una forma di finanziamento che prescinde dal godimento dei benefici legati alla
mutualità, ma consente una valida remunerazione del capitale investito per la
minore tassazione degli interessi.
All’art.11
la legge ha, poi, previsto l’istituzione dei fondi mutualistici
finalizzati alla promozione ed allo sviluppo della cooperazione. Alla
costituzione ed al finanziamento dei fondi è destinata una quota degli utili
annuali delle cooperative.
I
fondi possono assumere partecipazioni in società cooperative o in
società da queste controllate.
Con
la previsione del socio sovventore, di sostegno all’attività cooperativa, si
sono, quindi, introdotti, nella compagine cooperativa, interessi prettamente
lucrativi, accanto a quelli mutualistici che stanno alla base del sistema cooperativo.
Alle
società cooperative è consenta, anche, l’emissione delle obbligazioni
(art 58 l. n. 488/1998)
Nonostante
questa apertura verso forme di finanziamento diversificate mirate proprio ad
incrementare la capitalizzazione delle imprese cooperative per una maggiore
loro competitività, non si può dire che con la legge 59/1992 si siano raggiunti
i risultati sperati, né che sia creato un mercato dei titoli cooperativi.
Con
la riforma societaria del 2003, il legislatore, nel considerare unitario, per alcuni aspetti, il
fenomeno cooperativo, ha operato una duplicazione tipologica tra cooperative a
“mutualità prevalente” e non, riscontrando tale caratteristica in quelle che
operano “prevalentemente” con i soci, ed a cui la legge riserva le agevolazioni
fiscali previste dalle legislazioni speciali, come dispone l’art 223 duodicies
comma 6 disp att.).
La
preoccupazione, infatti, che questi benefici potessero essere portati al di
fuori del sistema cooperativo, ha spinto il legislatore a ritenere meritevoli
degli stessi solo le realtà minori, trascurando anche quell’aspetto della
mutualità, che, trascendendo da interessi immediati dei soci è orientata verso
finalità di pubblica utilità ( c.d.mutualità esterna)..
Fuori,
quindi, dal tale contesto della “mutualità prevalente” restano, le cooperative
c.d. “diverse” che pur non partecipando allo statuto privilegiato di quelle a
“mutualità prevalente”, sono sempre sottoposte alla normativa generale delle
cooperative ed allo stesso impianto organizzativo
La
qualifica di cooperativa “diversa” non esclude, quindi la collocazione della
stessa all’interno del fenomeno cooperativo, e la finalità mutualistica e non
lucrativa della sua attività.
Pur
nella unicità dei contenuti, la nuova normativa ha creato, quindi, delle
differenziazioni all’interno della stessa categoria.
Il
criterio della “mutualità prevalente”, non alterando l’essenza della cooperativa,
permette, offrendo servizi e terzi, di migliorare quelli resi ai soci, utilizzando
in maniera ottimale le potenzialità dell’azienda.
Scartato
è stato invece, il criterio della c.d mutualità “pura”, cioè quello di
riservare, le agevolazioni alle cooperative che avessero operato esclusivamente
con i soci e per i soci: la scelta di tale sistema avrebbe avuto il senso di
una condanna di queste società ad una cronica sottocapitalizzazione, anche se,
poi, agevolate dal punto di vista fiscale.
La
“prevalenza” lascia, invece, spazio alla cooperativa di operare non esclusivamente
per i soci ma solo “prevalentemente” per questi, consentendo che l’attività
possa essere svolta, anche a favore di terzi, il cui apporto è indispensabile,
come fonte di autofinanziamento della società.
La
linea scelta del legislatore del 2003, segue quella già tracciata in precedenza
dalla legge 59/1992, e ciò comporta che nell’ambito delle società cooperative a
“mutualità prevalente”, accanto allo scopo mutualistico si affermi anche uno
scopo lucrativo con il conseguimento di utili: tale scopo, però, è, e deve
essere, secondario rispetto a quello mutualistico che deve restare, comunque,
prevalente.
La
introduzione della figura del socio finanziatore, e la possibilità di emissione
strumenti finanziari estesa a tutte le cooperative, non solamente a quelle
“diverse”, sono ulteriori indizi di una volontà legislativa di considerare il
fenomeno cooperativo nella sua unicità, pur nella diversità di alcune prerogative.
La
legge delega (n. 366/2001), pertanto, nel dare mandato al governo di prevedere
per le cooperative (art 5 comma 2 lett. b) la possibilità, i limiti e le
condizioni di emissione di strumenti finanziari, partecipativi e non, dotati di
diversi diritti patrimoniali ed amministrativi, proprio al fine di incentivare
il ricorso al mercato di capitali, non ha escluso da tale possibilità le c.d.
società cooperative “ costituzionalmente riconosciute”, cioè quelle che
svolgono la loro attività “prevalentemente” a favore dei soci.
Se
si ritiene, infatti, così come già evidenziato, che la società cooperativa, è
innanzi tutto una impresa, non poteva non applicarsi a tutto il fenomeno cooperativo
anche l’art. 2 comma 1 lett. a) della legge delega che prevede, come
obiettivo prioritario della riforma, quello di favorire la nascita, la crescita,
e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati
interni ed internazionali dei capitali.
D’altra
parte, una interpretazione restrittiva dell’art 5 comma 2, lett b) della
legge delega , da intendersi, quindi, come riferita alle sole cooperative “diverse”
da quelle a “mutualità prevalente”, avrebbe relegato queste ultime fuori dalla
competitività del mercato.
Il
fenomeno cooperativo, pur se variamente articolato, resta sempre un fenomeno
unitario, e tale lo ha considerato il legislatore del 2003 dando la possibilità
di emissione di strumenti finanziari a tutte le cooperative, pur se con previsioni
differenziate a seconda che l’emittente sia una cooperativa a “mutualità
prevalente” o meno.
Ma le
società cooperative si trovano ora a dover scegliere tra una attività diretta
“prevalentemente” a favore dei soci per godere delle previste agevolazioni
fiscali, o restare fuori da tale previsione, per raggiungere limiti dimensionali
ottimali che consentano di competere con le altre imprese, perdendo, però, quei
benefici.
Probabilmente
a optare per la “mutualità prevalente” saranno le cooperative minori, quelle
cioè che maggiormente possono venire attratte dai benefici offerti
dall’ordinamento, mentre per le altre cooperative potrebbe non essere
conveniente optare per tale sistema, ove avranno raggiunto limiti dimensionali
maggiori, e quindi, più competitività nel mercato.
Va,
comunque rilevato che, anche come “diverse” le cooperative non solo dovranno
mantenere quei requisiti di natura strutturale che li distingue, ma potranno
anche godere di tutti quegli altri incentivi che genericamente l’ordinamento
prevede e riserva a questa categoria.
Per
il requisito della “prevalenza” il legislatore del 2003 ha
adottato un criterio numerico, per cui questo si ritiene raggiunto quando
l’attività mutualistica con i soci sia superiore al 50% dell’intera attività
svolta dalla società.
Il
criterio numerico potrebbe, però non risultare equo se si pensa che molti
fattori, estranei alla volontà della società, potrebbero modificare questo
equilibrio: un esempio per tutti potrebbe essere quello relativo alle
cooperative agricole di trasformazione e commercializzazione dei prodotti, che
hanno trovato, nel recente d.lgl 228/2001 una loro qualificazione come impresa
agricola, dopo molti contrasti dottrinari, che si sono avuti con la normativa
previgente.
L’attività
svolta da queste cooperative, potrebbe, infatti, venire fortemente condizionata
dagli imprevedibili rischi che caratterizzano l’attività imprenditoriale
agricola: rischi di natura biologica, legati, quindi, alla vita delle piante o
degli animali, rischi anche atmosferici, che possono portare alla distruzione
del prodotto che avrebbero dovuto conferire i soci.
In
questi casi la cooperativa potrebbe venirsi a trovare, per motivi indipendenti
dalla propria volontà, nella necessità, di non potere rispettare la percentuale
stabilita per la sua qualificazione di “mutualità prevalente”, perché costretta
ad approvvigionarsi presso terzi.
Perderebbe
allora questo carattere? O sarà sufficiente, in questi casi appellarsi ai
regimi derogatori della prevalenza previsti all’art.111 undecies delle disp.
Att,. e Trans del codice?
I titoli tradizionali di partecipazione
alle cooperative restano sempre le quote e le azioni (art
2525) la cui disciplina è, per quanto compatibile, analoga a quella delle S.p.A
(art 2525, comma 5) con alcune limitazioni riguardanti le azioni non
completamente liberate, e con l’esclusione della possibilità di emettere
particolari categorie di azioni.
Oltre
alle azioni ed alle obbligazioni la riforma consente, come già evidenziato, ad
ogni tipo di cooperativa l’emissione di “strumenti finanziari”
(art 2526). La legge non ne specifica la tipologia, ma, genericamente, prevede
la categoria.
Una
nozione molto dettagliata di cosa intendere per “strumento finanziario”
è contenuta all’art 1, com.2 del T.U.F. ( l. n. 58/1998).
Lo
“strumento finanziario” va però inquadrato nel contesto in cui viene conferito,
e quindi nell’ambito del sistema cooperativo.
Il
significato che potrebbe allora darsi all’espressione generica usata dal legislatore
potrebbe essere quello di un qualsiasi titolo che venga apportato da un
soggetto che non sia socio cooperatore, e quindi qualsiasi risorsa finanziaria
che venga apportata in cooperativa.
In
realtà, però la nozione di “strumento finanziario” che traspare dalla normativa
sembra essere quella che si avvicina alla tipologia dell’obbligazione regolata
dall’art 2410c.c, e la cui disciplina può applicarsi a qualsiasi strumento finanziario,
comunque denominato, che condizioni i tempi, e l’entità del rimborso del
capitale, all’andamento della società.
Gli
“strumenti finanziari” che possono trovare ingresso nelle cooperative, quindi
possono essere oltre alle varie tipologie di obbligazioni, ordinarie e convertibili,
anche quelle che nella prassi societaria possono, nascere dall’autonomia
privata.
La
norma, che introduce la figura del “socio finanziatore”, lascia
all’autonomia statutaria stabilire i diritti amministrativi e patrimoniali
attribuibili ai possessori di strumenti finanziari, e le relative limitazioni:
-
ai soci non può essere attribuito più di un terzo dei voti spettanti
all’insieme dei soci presenti o rappresentati in ciascuna assemblea generale
(art. 2526, comma 2);
-
né
possono eleggere più di un terzo degli amministratori (art. 2542, comma 4);
-
e
più di un terzo dell’organo di controllo (art. 2543, comma 3);
-
se è
stato scelto il sistema dualistico più di un terzo dei componenti del consiglio
di sorveglianza e del consiglio di gestione, (art 2544, comma 2);
-
in
caso di adozione, da parte della società, del sistema di amministrazione
monistico (2544, comma 3) i componenti del consiglio di amministrazione eletti
dai possessori di strumenti finanziari, non possono esser superiori ad un
terzo, e ad essi non possono essere attribuite deleghe operative, né gli stessi
possono far parte del comitato esecutivo.
La
limitazione di voto per i soci finanziatori a “non più di un terzo” sottolinea
la volontà legislativa di non permettere a questa categoria di soci, che la
loro partecipazione assuma un carattere sostanzialmente speculativo prevalendo,
quindi, su quello mutualistico.
L’atto
costitutivo può, poi, prevedere, che gli strumenti finanziari possano essere
offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori: in questo caso il diritto di voto
che li riguarda deve essere limitato (2538, comma 2).
In
caso di trasformazione di cooperativa non a “mutualità prevalente” in società
lucrativa (art. 2545 decies, comma 3), gli strumenti finanziari con diritto
di voto vengono convertiti in partecipazioni ordinarie o in azioni
privilegiate.
Per
gli strumenti finanziari privi di diritto di voto viene prevista una assemblea
speciale ed un rappresentante comune a tutela dei loro interessi (art 2541)
La
produzione di servizi anche a favore di terzi, e quindi, il conseguimento di
utili comporta la previsione di un criterio di divisione degli stessi, differentemente
articolato per quelle a “mutualità prevalente” e per le altre cooperative.
Per
le prime a “ mutualità prevalente” l’art 2514 stabilisce un divieto generale di distribuire
i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali
fruttiferi, aumentati di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente
versato.
Inoltre,
un divieto particolare per gli strumenti finanziari, offerti in sottoscrizione
ai soci cooperatori, stabilisce che questi non potranno essere remunerati
(comma 1, lett. b) in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo
previsto per i dividendi, e che non possono essere distribuite agli stessi le
riserve.
Per
le altre cooperative non a mutualità prevalente l’art. 2545 quinquies,
comma 1 lascia all’autonomia statutaria stabilire la percentuale massima di
ripartizione dei dividenti tra i soci cooperatori, mentre un limite viene imposto
per l’utile di bilancio che può essere distribuito, nella percentuale massima
fissata dallo statuto, solo se l’indebitamento non eccede un quarto del patrimonio
netto della società.
Questo
limite vale anche per l’attribuzione ai soci delle riserve disponibili, mentre
il divieto non è applicabile ai possessori di strumenti finanziari.
In
tutte le cooperative, poi, dovrà essere destinato il 30% degli utili netti
annuali al fondo di riserva legale (art 2545 quater),
mentre altre riserve indivisibili possono essere disposte per statuto (art 2545
ter)
Un
ulteriore quota degli utili netti annuali, va, inoltre, corrisposta ai
fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione
(art. 2545 quater, comma 2).
Ciò che residua dopo tali accantonamenti
potrà essere distribuito ai soci, come dividendo.
Ai
possessori di “strumenti finanziari” vengono riconosciuti, diritti amministrativi
diversificati, ma comunque, mai in misura proporzionale all’apporto di
capitali.
In
virtù, poi, del generale richiamo alla normativa relativa alle società per
azioni, contenuto all’art 2519 devono ritenersi estensibili alle cooperative le
altre forme di finanziamento previste per quel tipo di società,
come il patrimonio destinato ad un unico affare (art 2447 bis comma
1, lett a), il finanziamento destinato ad un unico affare
(art 2447 decies).
Con la
prima forma di finanziamento (patrimonio destinato ad un unico affare)
la società costituisce uno o più patrimoni destinati ad un unico affare,
stabilendo che al rimborso totale o parziale del finanziamento saranno
destinati i proventi dell’affare stesso o una parte di essi. Nella sostanza con
questa forma di finanziamento si viene a costituire una nuova società.
Con
il finanziamento destinato ad un unico affare (art. 2447 decies),
si provvede al reperimento di captali con l’apporto di terzi.
Al rimborso del finanziamento si può
provvedere con i proventi dell’affare stesso.
La società, inoltre, deve prestare, garanzie
di corretta e tempestiva realizzazione dell’operazione, e deve indicare nel
contratto quella parte di proventi destinati al rimborso, nonché i tempi
massimi dello stesso.
I proventi dell’operazione costituiscono
patrimonio separato da quello della società e da quello relativo ad ogni altra
operazione.
La legge dispone poi, che i creditori
sociali, sino al rimborso del finanziamento, possono esercitare, per tutelare i
loro diritti esclusivamente azioni conservative sui beni strumentali destinati
alla realizzazione dell’operazione.
Alle
cooperative, poi, che hanno optato per la disciplina delle s.r.l. è data la possibilità di offrire
in sottoscrizioni “strumenti finanziari” solo ad investitori qualificati (art
2526, comma 4).
Per
“investitori qualificati”, ai sensi dell’art 111 octies delle norme di
att. del cod. civ. devono intendersi i fondi mutualistici ed i fondi pensione
costituiti dalle società cooperative.
Per
quanto attiene alle altre fonti di finanziamento, la normativa relativa alle
s.r.l prevede, all’art. 2467 norme particolari per il “ finanziamento dei
soci”, e, all’art 2483 la disciplina dei titoli di debito: questi ultimi, se
previsti dall’atto costitutivo, possono essere sottoscritti solo da investitori
particolarmente qualificati, in grado di valutare effettivamente il rischio..
Gli
strumenti finanziari che consentono l’apporto di capitali alle cooperative sono
molteplici, alcuni attribuiscono la posizione di socio ai sottoscrittori, altri
sono solo remunerativi del capitale, ma conferiscono qualche potere amministrativo,
altri attribuiscono una posizione garantita dalla separazione patrimoniale.
Alle
cooperative è lasciata la scelta tra i vari sistemi.
Le previste forme di finanziamento possono
facilitare la ricapitalizzazione delle cooperative per un loro rilancio sui
mercati e per una loro maggiore competitività. Questo richiede, però,
trasparenza e garanzie di solidità per trovare consensi tra gli investitori,
creando, in tal modo, un mercato finanziario della cooperazione.
* Relazione al Seminario su “I Titoli di partecipazione nella s.p.a. e nelle società cooperative”, Facoltà di Economia, 25 ottobre 2003.
** Dipartimento di Diritto dell’Economia e dell’Ambiente, Università degli studi di Palermo.
data di pubblicazione: 12 novembre 2003