Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, 2003/1

 

Titoli di partecipazione nelle società cooperative *

di Elvira La Loggia Albanese **

 

 

Il sistema cooperativo ha subito, nel corso degli anni, una serie di modifiche strutturali che hanno contribuito a trasformarne l’originaria configurazione.

Le agevolazioni a queste concesse, l’evolversi del sistema economico, e le mutate esigenze hanno via via avvicinato questa forma associativa al modello di società lucrativa sotto il profilo anche della sua organizzazione e dei mezzi di finanziamento.

Dalla emanazione del codice del 1942 ad oggi una sere di interventi parziali hanno dato luogo ad una disciplina frazionata e frammentaria, per cui l’esigenza di rivedere l’intera materia era stata già avvertita ancora prima dell’ultima riforma codicistica del 2003.

Sorte come figure contrapposte all’impresa capitalistica, le società cooperative si sono a poco a poco avvicinate a quest’ultima fattispecie, sulla considerazione che la società cooperativa, prima di essere cooperativa è, innanzi tutto una impresa, destinataria, quindi di norme comuni ad ogni impresa collettiva, e, pertanto, come unità di produzione e di scambio, destinata ad operare nel mercato.

Così, all’art 2, comma 1 lett. a della delega n. 366/2001, appare chiaro come l’obiettivo prioritario, perseguito poi, dal legislatore con la riforma del 2003 sarebbe stato quello di valorizzare l’aspetto imprenditoriale di tutte le società, oltre ad assicurare per le cooperative (art. 5 comma 1 lett. a) il perseguimento della funzione sociale e dello scopo mutualistico

Il generale richiamo, poi, contenuto nel codice (art. 2516 previgente, art. 2519 nuovo) alla normativa delle S.p.A, in quanto compatibile, ha fatto sì che la società cooperativa venisse considerata una società di capitali pur se modificata in alcuni suoi elementi.

Nell’impresa cooperativa deve, quindi, conciliarsi il concetto di impresa, con lo scopo mutualistico che la caratterizza: scopo mutualistico che il legislatore del 1942 si è astenuto dal definire, e che anche nel nuovo testo della riforma viene inteso solo in termini antitetici allo scopo lucrativo.

La possibilità che nelle cooperative potessero essere realizzati, anche, interessi di tipo lucrativo è stata da sempre considerata una eventualità eccezionale: ogni strumento, quindi, diretto a realizzare una funzione di finanziamento è stato ritenuto incompatibile con la intrinseca natura di questo tipo di società, e con la finalità propria di tale impresa, mirata a soddisfare unicamente interessi di categoria.

Per provvedere al finanziamento delle cooperative, si è quindi dovuto superare quella diffidenza iniziale di considerare le partecipazioni finanziarie nel contesto cooperativistico, come uno svilimento dello scopo mutualistico.

Conciliare l’esigenza di disporre di ingenti capitali per potere essere competitivi sul mercato, con la finalità mutualistica del sistema cooperativo, ha comportato, quindi, la ricerca di un necessario punto di equilibrio che consentisse, da un lato di provvedere ad un valido sistema di finanziamento per superare la cronica sottocapitalizzazione delle cooperative, e, dall’altro a non vanificare lo scopo mutualistico che le caratterizza.

 

 Già il legislatore del 1942, aveva previsto la figura dei soci sovventori (art 2548 cod. civ.), per le mutue assicuratrici, nell’ambito delle quali maggiormente era avvertita la necessità dell’apporto di soci che, senza essere cooperatori o assicurati, conferissero danaro in società; ma proprio a causa dell’introduzione di questa figura, la mutualità veniva considerata “spuria”.

 

Questa prima apertura verso forme di finanziamento esterno, non è rimasta, comunque, isolata, e l’originario concetto di mutualità, cui si era riferito il legislatore del ‘42 ha continuato a subire modifiche nel corso del tempo, anche in considerazione che una mutualità “pura” non sarebbe stata neanche vantaggiosa per i soci, e che la possibilità di un apporto esterno, offrendo beni e servizi a terzi, sarebbe tornata a vantaggio dei soci, senza per questo intaccare quello che sarebbe rimasto lo scopo principale della cooperativa e, cioè, procurare beni o servizi o occasioni di lavoro ai soci cooperatori.

Ancora prima dell’attuale riforma, infatti, la legge n. 59/1992 aveva introdotto forme di finanziamento diversificate nell’ambito della cooperativa, pur non facendo riferimento, espresso a “strumenti finanziari” per consentire proprio un maggiore reperimento di capitali.

Le innovazioni previste dalla legge e che si articolano, in particolare, su tre previsioni, introducono nel sistema la figura dei:

-                 soci sovventori (art.4)

-                 soci di partecipazione cooperativa (art 5)

-                 prestito dei soci (art 10)

La posizione dei soci sovventori, è stata oggetto di particolare attenzione da parte della dottrina: si tratta di una categoria di soci che pur non partecipando agli scopi mutualistici persegue una forma di investimento, contribuendo al tempo stesso al finanziamento della società.

 

 La legge stabilisce che i conferimenti dei soci sovventori sono rappresentate da azioni nominative trasferibili (comma 4) , e, quindi, possono essere acquistati anche dai soci cooperatori; possono, altresì, essere corredate di diritti diversi rispetto a quelle ordinarie, potendo essere riconosciuta alle stesse una prelazione o una preferenza nella ripartizione degli utili, e in sede di liquidazione (comm.6).

 La norma (art 4, comma 6), limitando il “tasso di remunerazione” che non può essere maggiorato in misura superiore al 2% rispetto a quello stabilito per gli altri soci, ha messo un freno alla partecipazione di soci sovventori con fini esclusivamente speculativi, oltre a sottolineare la natura di finanziamento dell’apporto dei soci sovventori.

Per evitare, poi, che il socio sovventore possa avere un maggiore peso nell’attività gestionale della società, l’atto costitutivo può attribuire allo stesso più voti anche in relazione all’ammontare dei conferimenti, ma non oltre i cinque, e comunque i voti ad esso spettanti non potranno mai superare il terzo dei voti spettanti agli altri soci (art 4 comma 2).

Anche ai soci sovventori possono essere dati poteri amministrativi, ma la maggioranza degli amministratori deve essere costituita da soci cooperatori (art 4 comma 3).

 

Altra forma di finanziamento prevista dalla legge 59/92 sono le azioni di partecipazione cooperativa (art 5), che possono essere emesse nell’ambito di un programma di ammodernamento aziendale, statutariamente previsto.

Tali azioni, sono strutturate sul modello di quelle di risparmio: sono privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale.

 Ai possessori delle azioni di partecipazione spetta (comma 7) una remunerazione maggiorata del 2% rispetto a quella delle quote, o delle azioni dei soci cooperatori.

 In sede di scioglimento della società (comma8).hanno diritto di prelazione nel rimborso del capitale per l’intero valore nominale.

 L’ammontare complessivo delle azioni di partecipazione cooperativa non può superare il valore contabile delle riserve indivisibili (comma 4) o del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio.

 Le azioni possono essere emesse al portatore se interamente liberate, e devono (comma 5) essere offerte in opzione, in misura non inferiore alla metà, ai soci ed ai lavoratori dipendenti della società, i quali possono sottoscriverle superando anche i limiti di possesso a loro spettanti.

A fronte di tali privilegi, i possessori delle azioni di partecipazione cooperativa non hanno diritto di voto, non possono essere nominati amministratori, e dalla legge non vengono indicati neanche come “soci” ma come “possessori” delle azioni di partecipazione, a differenza di come si esprime la legge riguardo ai “soci sovventori”.

La mancata qualifica di soci per i possessori delle azioni di partecipazione può trovare la sua giustificazione nella considerazione che questo apporto è legato all’adozione, da parte della società, di un piano di programmazione pluriennale per lo sviluppo e l’ammodernamento aziendale. e quindi, assume maggiormente l’aspetto di un finanziamento finalizzato a tale scopo, limitato anche nel tempo.

 Come per gli azionisti di risparmio è prevista, anche per questa categoria, una assemblea speciale e la nomina di un rappresentante comune.

 

L’art 10 della legge 59/1992 prevede poi, come altra forma di finanziamento, il prestito sociale. Le operazioni devono essere previste nello statuto, e deve essere indicato lo scopo a cui dovrà servire.

E’ una forma di finanziamento che prescinde dal godimento dei benefici legati alla mutualità, ma consente una valida remunerazione del capitale investito per la minore tassazione degli interessi.

 

All’art.11 la legge ha, poi, previsto l’istituzione dei fondi mutualistici finalizzati alla promozione ed allo sviluppo della cooperazione. Alla costituzione ed al finanziamento dei fondi è destinata una quota degli utili annuali delle cooperative.

I fondi possono assumere partecipazioni in società cooperative o in società da queste controllate.

Con la previsione del socio sovventore, di sostegno all’attività cooperativa, si sono, quindi, introdotti, nella compagine cooperativa, interessi prettamente lucrativi, accanto a quelli mutualistici che stanno alla base del sistema cooperativo.

 

Alle società cooperative è consenta, anche, l’emissione delle obbligazioni (art 58 l. n. 488/1998)

Nonostante questa apertura verso forme di finanziamento diversificate mirate proprio ad incrementare la capitalizzazione delle imprese cooperative per una maggiore loro competitività, non si può dire che con la legge 59/1992 si siano raggiunti i risultati sperati, né che sia creato un mercato dei titoli cooperativi.

 

Con la riforma societaria del 2003, il legislatore, nel considerare unitario, per alcuni aspetti, il fenomeno cooperativo, ha operato una duplicazione tipologica tra cooperative a “mutualità prevalente” e non, riscontrando tale caratteristica in quelle che operano “prevalentemente” con i soci, ed a cui la legge riserva le agevolazioni fiscali previste dalle legislazioni speciali, come dispone l’art 223 duodicies comma 6 disp att.).

La preoccupazione, infatti, che questi benefici potessero essere portati al di fuori del sistema cooperativo, ha spinto il legislatore a ritenere meritevoli degli stessi solo le realtà minori, trascurando anche quell’aspetto della mutualità, che, trascendendo da interessi immediati dei soci è orientata verso finalità di pubblica utilità ( c.d.mutualità esterna)..

Fuori, quindi, dal tale contesto della “mutualità prevalente” restano, le cooperative c.d. “diverse” che pur non partecipando allo statuto privilegiato di quelle a “mutualità prevalente”, sono sempre sottoposte alla normativa generale delle cooperative ed allo stesso impianto organizzativo

La qualifica di cooperativa “diversa” non esclude, quindi la collocazione della stessa all’interno del fenomeno cooperativo, e la finalità mutualistica e non lucrativa della sua attività.

Pur nella unicità dei contenuti, la nuova normativa ha creato, quindi, delle differenziazioni all’interno della stessa categoria.

Il criterio della “mutualità prevalente”, non alterando l’essenza della cooperativa, permette, offrendo servizi e terzi, di migliorare quelli resi ai soci, utilizzando in maniera ottimale le potenzialità dell’azienda.

Scartato è stato invece, il criterio della c.d mutualità “pura”, cioè quello di riservare, le agevolazioni alle cooperative che avessero operato esclusivamente con i soci e per i soci: la scelta di tale sistema avrebbe avuto il senso di una condanna di queste società ad una cronica sottocapitalizzazione, anche se, poi, agevolate dal punto di vista fiscale.

La “prevalenza” lascia, invece, spazio alla cooperativa di operare non esclusivamente per i soci ma solo “prevalentemente” per questi, consentendo che l’attività possa essere svolta, anche a favore di terzi, il cui apporto è indispensabile, come fonte di autofinanziamento della società.

La linea scelta del legislatore del 2003, segue quella già tracciata in precedenza dalla legge 59/1992, e ciò comporta che nell’ambito delle società cooperative a “mutualità prevalente”, accanto allo scopo mutualistico si affermi anche uno scopo lucrativo con il conseguimento di utili: tale scopo, però, è, e deve essere, secondario rispetto a quello mutualistico che deve restare, comunque, prevalente.

La introduzione della figura del socio finanziatore, e la possibilità di emissione strumenti finanziari estesa a tutte le cooperative, non solamente a quelle “diverse”, sono ulteriori indizi di una volontà legislativa di considerare il fenomeno cooperativo nella sua unicità, pur nella diversità di alcune prerogative.

La legge delega (n. 366/2001), pertanto, nel dare mandato al governo di prevedere per le cooperative (art 5 comma 2 lett. b) la possibilità, i limiti e le condizioni di emissione di strumenti finanziari, partecipativi e non, dotati di diversi diritti patrimoniali ed amministrativi, proprio al fine di incentivare il ricorso al mercato di capitali, non ha escluso da tale possibilità le c.d. società cooperative “ costituzionalmente riconosciute”, cioè quelle che svolgono la loro attività “prevalentemente” a favore dei soci.

Se si ritiene, infatti, così come già evidenziato, che la società cooperativa, è innanzi tutto una impresa, non poteva non applicarsi a tutto il fenomeno cooperativo anche l’art. 2 comma 1 lett. a) della legge delega che prevede, come obiettivo prioritario della riforma, quello di favorire la nascita, la crescita, e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni ed internazionali dei capitali.

D’altra parte, una interpretazione restrittiva dell’art 5 comma 2, lett b) della legge delega , da intendersi, quindi, come riferita alle sole cooperative “diverse” da quelle a “mutualità prevalente”, avrebbe relegato queste ultime fuori dalla competitività del mercato.

Il fenomeno cooperativo, pur se variamente articolato, resta sempre un fenomeno unitario, e tale lo ha considerato il legislatore del 2003 dando la possibilità di emissione di strumenti finanziari a tutte le cooperative, pur se con previsioni differenziate a seconda che l’emittente sia una cooperativa a “mutualità prevalente” o meno.

Ma le società cooperative si trovano ora a dover scegliere tra una attività diretta “prevalentemente” a favore dei soci per godere delle previste agevolazioni fiscali, o restare fuori da tale previsione, per raggiungere limiti dimensionali ottimali che consentano di competere con le altre imprese, perdendo, però, quei benefici.

Probabilmente a optare per la “mutualità prevalente” saranno le cooperative minori, quelle cioè che maggiormente possono venire attratte dai benefici offerti dall’ordinamento, mentre per le altre cooperative potrebbe non essere conveniente optare per tale sistema, ove avranno raggiunto limiti dimensionali maggiori, e quindi, più competitività nel mercato.

Va, comunque rilevato che, anche come “diverse” le cooperative non solo dovranno mantenere quei requisiti di natura strutturale che li distingue, ma potranno anche godere di tutti quegli altri incentivi che genericamente l’ordinamento prevede e riserva a questa categoria.

 

Per il requisito della “prevalenza” il legislatore del 2003 ha adottato un criterio numerico, per cui questo si ritiene raggiunto quando l’attività mutualistica con i soci sia superiore al 50% dell’intera attività svolta dalla società.

Il criterio numerico potrebbe, però non risultare equo se si pensa che molti fattori, estranei alla volontà della società, potrebbero modificare questo equilibrio: un esempio per tutti potrebbe essere quello relativo alle cooperative agricole di trasformazione e commercializzazione dei prodotti, che hanno trovato, nel recente d.lgl 228/2001 una loro qualificazione come impresa agricola, dopo molti contrasti dottrinari, che si sono avuti con la normativa previgente.

L’attività svolta da queste cooperative, potrebbe, infatti, venire fortemente condizionata dagli imprevedibili rischi che caratterizzano l’attività imprenditoriale agricola: rischi di natura biologica, legati, quindi, alla vita delle piante o degli animali, rischi anche atmosferici, che possono portare alla distruzione del prodotto che avrebbero dovuto conferire i soci.

In questi casi la cooperativa potrebbe venirsi a trovare, per motivi indipendenti dalla propria volontà, nella necessità, di non potere rispettare la percentuale stabilita per la sua qualificazione di “mutualità prevalente”, perché costretta ad approvvigionarsi presso terzi.

Perderebbe allora questo carattere? O sarà sufficiente, in questi casi appellarsi ai regimi derogatori della prevalenza previsti all’art.111 undecies delle disp. Att,. e Trans del codice?

 

 I titoli tradizionali di partecipazione alle cooperative restano sempre le quote e le azioni (art 2525) la cui disciplina è, per quanto compatibile, analoga a quella delle S.p.A (art 2525, comma 5) con alcune limitazioni riguardanti le azioni non completamente liberate, e con l’esclusione della possibilità di emettere particolari categorie di azioni.

 

Oltre alle azioni ed alle obbligazioni la riforma consente, come già evidenziato, ad ogni tipo di cooperativa l’emissione di “strumenti finanziari” (art 2526). La legge non ne specifica la tipologia, ma, genericamente, prevede la categoria.

 

Una nozione molto dettagliata di cosa intendere per “strumento finanziario” è contenuta all’art 1, com.2 del T.U.F. ( l. n. 58/1998).

Lo “strumento finanziario” va però inquadrato nel contesto in cui viene conferito, e quindi nell’ambito del sistema cooperativo.

Il significato che potrebbe allora darsi all’espressione generica usata dal legislatore potrebbe essere quello di un qualsiasi titolo che venga apportato da un soggetto che non sia socio cooperatore, e quindi qualsiasi risorsa finanziaria che venga apportata in cooperativa.

In realtà, però la nozione di “strumento finanziario” che traspare dalla normativa sembra essere quella che si avvicina alla tipologia dell’obbligazione regolata dall’art 2410c.c, e la cui disciplina può applicarsi a qualsiasi strumento finanziario, comunque denominato, che condizioni i tempi, e l’entità del rimborso del capitale, all’andamento della società.

Gli “strumenti finanziari” che possono trovare ingresso nelle cooperative, quindi possono essere oltre alle varie tipologie di obbligazioni, ordinarie e convertibili, anche quelle che nella prassi societaria possono, nascere dall’autonomia privata.

 

La norma, che introduce la figura del “socio finanziatore”, lascia all’autonomia statutaria stabilire i diritti amministrativi e patrimoniali attribuibili ai possessori di strumenti finanziari, e le relative limitazioni:

- ai soci non può essere attribuito più di un terzo dei voti spettanti all’insieme dei soci presenti o rappresentati in ciascuna assemblea generale (art. 2526, comma 2);

-                 né possono eleggere più di un terzo degli amministratori (art. 2542, comma 4);

-                 e più di un terzo dell’organo di controllo (art. 2543, comma 3);

-                 se è stato scelto il sistema dualistico più di un terzo dei componenti del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione, (art 2544, comma 2);

-                 in caso di adozione, da parte della società, del sistema di amministrazione monistico (2544, comma 3) i componenti del consiglio di amministrazione eletti dai possessori di strumenti finanziari, non possono esser superiori ad un terzo, e ad essi non possono essere attribuite deleghe operative, né gli stessi possono far parte del comitato esecutivo.

 

La limitazione di voto per i soci finanziatori a “non più di un terzo” sottolinea la volontà legislativa di non permettere a questa categoria di soci, che la loro partecipazione assuma un carattere sostanzialmente speculativo prevalendo, quindi, su quello mutualistico.

 

L’atto costitutivo può, poi, prevedere, che gli strumenti finanziari possano essere offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori: in questo caso il diritto di voto che li riguarda deve essere limitato (2538, comma 2).

 

In caso di trasformazione di cooperativa non a “mutualità prevalente” in società lucrativa (art. 2545 decies, comma 3), gli strumenti finanziari con diritto di voto vengono convertiti in partecipazioni ordinarie o in azioni privilegiate.

 

Per gli strumenti finanziari privi di diritto di voto viene prevista una assemblea speciale ed un rappresentante comune a tutela dei loro interessi (art 2541)

 

La produzione di servizi anche a favore di terzi, e quindi, il conseguimento di utili comporta la previsione di un criterio di divisione degli stessi, differentemente articolato per quelle a “mutualità prevalente” e per le altre cooperative.

Per le prime a “ mutualità prevalente” l’art 2514 stabilisce un divieto generale di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentati di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.

Inoltre, un divieto particolare per gli strumenti finanziari, offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori, stabilisce che questi non potranno essere remunerati (comma 1, lett. b) in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi, e che non possono essere distribuite agli stessi le riserve.

 

Per le altre cooperative non a mutualità prevalente l’art. 2545 quinquies, comma 1 lascia all’autonomia statutaria stabilire la percentuale massima di ripartizione dei dividenti tra i soci cooperatori, mentre un limite viene imposto per l’utile di bilancio che può essere distribuito, nella percentuale massima fissata dallo statuto, solo se l’indebitamento non eccede un quarto del patrimonio netto della società.

Questo limite vale anche per l’attribuzione ai soci delle riserve disponibili, mentre il divieto non è applicabile ai possessori di strumenti finanziari.

 

In tutte le cooperative, poi, dovrà essere destinato il 30% degli utili netti annuali al fondo di riserva legale (art 2545 quater), mentre altre riserve indivisibili possono essere disposte per statuto (art 2545 ter)

 

Un ulteriore quota degli utili netti annuali, va, inoltre, corrisposta ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (art. 2545 quater, comma 2).

 Ciò che residua dopo tali accantonamenti potrà essere distribuito ai soci, come dividendo.

 

Ai possessori di “strumenti finanziari” vengono riconosciuti, diritti amministrativi diversificati, ma comunque, mai in misura proporzionale all’apporto di capitali.

 

In virtù, poi, del generale richiamo alla normativa relativa alle società per azioni, contenuto all’art 2519 devono ritenersi estensibili alle cooperative le altre forme di finanziamento previste per quel tipo di società, come il patrimonio destinato ad un unico affare (art 2447 bis comma 1, lett a), il finanziamento destinato ad un unico affare (art 2447 decies).

 

Con la prima forma di finanziamento (patrimonio destinato ad un unico affare) la società costituisce uno o più patrimoni destinati ad un unico affare, stabilendo che al rimborso totale o parziale del finanziamento saranno destinati i proventi dell’affare stesso o una parte di essi. Nella sostanza con questa forma di finanziamento si viene a costituire una nuova società.

 

Con il finanziamento destinato ad un unico affare (art. 2447 decies), si provvede al reperimento di captali con l’apporto di terzi.

 Al rimborso del finanziamento si può provvedere con i proventi dell’affare stesso.

 La società, inoltre, deve prestare, garanzie di corretta e tempestiva realizzazione dell’operazione, e deve indicare nel contratto quella parte di proventi destinati al rimborso, nonché i tempi massimi dello stesso.

 I proventi dell’operazione costituiscono patrimonio separato da quello della società e da quello relativo ad ogni altra operazione.

 La legge dispone poi, che i creditori sociali, sino al rimborso del finanziamento, possono esercitare, per tutelare i loro diritti esclusivamente azioni conservative sui beni strumentali destinati alla realizzazione dell’operazione.

 

Alle cooperative, poi, che hanno optato per la disciplina delle s.r.l. è data la possibilità di offrire in sottoscrizioni “strumenti finanziari” solo ad investitori qualificati (art 2526, comma 4).

Per “investitori qualificati”, ai sensi dell’art 111 octies delle norme di att. del cod. civ. devono intendersi i fondi mutualistici ed i fondi pensione costituiti dalle società cooperative.

 

Per quanto attiene alle altre fonti di finanziamento, la normativa relativa alle s.r.l prevede, all’art. 2467 norme particolari per il “ finanziamento dei soci”, e, all’art 2483 la disciplina dei titoli di debito: questi ultimi, se previsti dall’atto costitutivo, possono essere sottoscritti solo da investitori particolarmente qualificati, in grado di valutare effettivamente il rischio..

 

CONCLUSIONI

Gli strumenti finanziari che consentono l’apporto di capitali alle cooperative sono molteplici, alcuni attribuiscono la posizione di socio ai sottoscrittori, altri sono solo remunerativi del capitale, ma conferiscono qualche potere amministrativo, altri attribuiscono una posizione garantita dalla separazione patrimoniale.

Alle cooperative è lasciata la scelta tra i vari sistemi.

 Le previste forme di finanziamento possono facilitare la ricapitalizzazione delle cooperative per un loro rilancio sui mercati e per una loro maggiore competitività. Questo richiede, però, trasparenza e garanzie di solidità per trovare consensi tra gli investitori, creando, in tal modo, un mercato finanziario della cooperazione.



* Relazione al Seminario su “I Titoli di partecipazione nella s.p.a. e nelle società cooperative”, Facoltà di Economia, 25 ottobre 2003.

** Dipartimento di Diritto dell’Economia e dell’Ambiente, Università degli studi di Palermo.

 

 

data di pubblicazione: 12 novembre 2003