Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, 2003/1

 

Diritti della persona e diritto al (pre)nome.

Riferimenti storico letterari e considerazioni giuridiche  *

 

Diego Ziino **

 

 

Sommario: 1. Premessa. 2. Il nome della persona nella sacra scrittura 3.0. Il cambiamento del nome: Abramo e Sara, Giacobbe, Simone. 3.1. La imposizione del nome come missione: Giovanni. 4. Alcuni esempi di mutamento, celamento o predestinazione del nome: nel mito Ulisse; nella letteratura Shakespeare, King Lear, As you like it, Twelfth night; Manzoni: I Promessi sposi; nella lirica e nella… varia umanità. 5. Profili storici – metodologici. 6. La crisi del diritto e della codificazione. 7. Il primato della persona nella esperienza legislativa. 8. La persona e il nome. 9. L’acquisto del diritto al prenome e la funzione. 10. L’attribuzione del prenome: il potere di scelta. 11. Le modifiche del prenome: la normativa vigente e l’orientamento giurisprudenziale. 12. Prenome e segni distintivi. 13. Un singolare caso di cronaca indice dei segni dei tempi.

 

          

   1. Premessa - Il nome comprende, nel linguaggio comune e sotto il profilo giuridico sia il nome personale o prenome, detto anche tradizionalmente nome di battesimo, sia il cognome o nome di famiglia, in quanto elementi necessari a distinguere l’individuo, la persona e quindi la persona fisica.

Prima di svolgere alcune considerazioni sul (pre) nome ci siano consentiti brevi estemporanei riferimenti storico-letterari sul nome.

  

   2.  Il nome della persona nella sacra scrittura - Molto diffusa è la credenza che il nome rappresenti, per così dire, una predestinazione strettamente legata al suo possessore. Se si conosce il nome di una persona, si può esercitare un influsso su di essa. Il nome che i genitori danno al loro bimbo esprime qualcosa delle aspettative che essi ripongono nel figlio. Quando gli uomini entrano in una nuova condizione, hanno bisogno di un nome nuovo. I nomi dei sovrani egiziani venivano scolpiti sui monumenti per garantire il prolungarsi della loro vita al di là della morte; perciò il peggiore castigo era la cancellazione del nome.

Avere un nome vuol dire significare qualcosa (Rt 4,14). “Essa lo chiamò Obed; egli fu il padre di Iesse, padre di Davide” (Rt 4,17). Il ricordo di colui, il cui nome è dimenticato, “sparirà dalla terra e il suo nome non si udrà più per la contrada (Gb 18,17). Dio completa la creazione chiamando per nome tutti gli astri e non ne manca alcuno” (Is 40,26), e incaricando l’uomo di dare un nome a ciascuno degli animali (Gen 2, 19s). I nomi dei primi uomini caratterizzano il loro essere. Adamo è la denominazione ebraica per “uomo”; la probabile relazione linguistica con adamah (terra del campo) è un elemento caratterizzante dell’uomo. Adamo chiamò la moglie Eva, “perché essa fu la madre di tutti i viventi” (Gen. 3, 20 ).

Nei linguaggi semiti la parola Caino significa “fabbro” ed è etimo­logicamente affine a qaniti (“ho generato”). Caino è il primo generato dalla madre dei viventi.

Il nome proprio caratterizza la persona. Davide viene invitato a non ven­dicarsi del malvagio Nabal, “perché egli è come il suo nome: stolto si chiama” (1 Sam 25, 25). Quando Dio cambia il nome di Abram (Gen 17, 5), di Sarai (Gen 17, 15) e di Giacobbe (Gen 32, 29), con questo esprime il fatto che egli ha assunto nel suo progetto la loro persona, la loro vita. Quando ci si impos­sessa di una città, le si impone il proprio nome (2 Sam 12, 28). Se Dio dà espres­samente il nome a un bambino, questo ha, per lo più, significato pro­fetico; così il profeta Osea deve chiamare la figlia “Non-amata”, per esprimere il rapporto fra Jhwh e l’infedele popolo d’Israele: “La donna concepì di nuovo e partorì/ una figlia ed il Signore disse a Osea/:”Chiamala Non amata, perché non amerò più/ la casa d’Israele,/ non ne avrò compassione, (Os 1, 6). Il nome del bimbo della profetessa moglie di Isaia – “Veloce-alla-preda, Svelto-al-bottino” – deve alludere all’imminente rovina di Damasco (Is 8, 1-4). I nomi dei gran­di peccatori “siano cancellati dal libro dei viventi e tra i giusti non siano iscritti” (Sal 69,29). In Israele l’imposizione del nome era associata alla circoncisione; presso gli ebrei la scelta del nome aveva una importanza speciale, poiché vigeva la cre­denza che il nome manifestasse la natura e in certo senso segnasse la sorte di colui che lo portava [1].

Il nome di Gesù venne indicato da un angelo ancor prima che egli fosse concepito nel seno materno (Lc 2, 21): si tratta di un riferimento alla sua paternità divina. La conversione di Saulo si manifesta anche nel suo nuovo nome, Paolo. Quando Gesù dà ai due fratelli Giacomo e Giovanni il soprannome di Boanerghes,  valer a dire “figli del tuono” (Mc 3, 17), questo fatto è la prova della loro impetuosità e della loro grande forza di testimonianza. Ai suoi discepoli Gesù dice: “Rallegratevi….che i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10, 20). Chi esce vincitore dalle lotte di questo mondo, sarà vestito di bianche vesti; non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli” (Ap 3, 5).

In Grecia  le nozze e le nascite davano luogo a feste e cerimonie: tra l’altro,  l’imposizione del nome che aveva luogo il decimo giorno dalla nascita (δεκα τη), assumeva il significato di riconoscimento della legittimità del figlio da parte del padre. Seguiva un riconoscimento ulteriore di carattere pubblico ed in forma solenne [2].          

L’antica concezione che il nome fosse in qualche modo in rapporto col destino del suo possessore (nomen est omen, “il nome è un augurio”) ha continuato a rilevare anche in epoca cristiana. Imponendo il nome dei santi cattolici del calendario ci si augura non solo la loro protezione per il bambino, ma anche la trasmissione delle loro virtù. In molti luoghi l’onomastico è festeggiato più del compleanno, poiché esso ricorda la rinascita nel battesimo. Al momento dell’accoglienza in una comunità religiosa e dell’assunzione al trono, il cambiamento di nome richiama il profondo cambiamento dell’essere.

 

   3.0. Il cambiamento del nome: Abramo e Sara, Giacobbe, Simone.- Il mutamento del nome, secondo un disegno imprescrutabile che viene dall’alto, lo troviamo nel vecchio testamento: “non ti chiamerai più  Abram / ma ti chiamerai Abramo / perché padre di una moltitudine / di popoli ti renderò” (Gn 17,5).

Per dimostrare che il patriarca è qui interamente in funzione del suo popolo, Dio cambia il suo nome: Abram diventa Abraham per significare, per assonanza con ab-hamion, “padre di una moltitudine”, e portare così, nel suo stesso nome, quello che gli offre la promessa: la ottenuta grazia di una discendenza.

Da questo punto in avanti il nome di Abramo diventa Abraham. Il cambiamento del nome indica l’ingresso di Abramo in un nuovo ordine di Provvidenza, cioè, in un rapporto di alleanza con Dio, a cui la circoncisione darà un’espressione esterna. Per questo motivo nel giudaismo posteriore si usò imporre il nome al momento della circoncisione (Lc 1, 59). Il cambiamento del nome indica sempre un particolare progetto di Dio sull’uomo; è come se Dio volesse dire: “Adesso sei un uomo nuovo e ti viene affidato un progetto nuovo che non è tuo, ma è mio”. Abraham, infatti, richiama il concetto di padre di una moltitudine.

Dio prendeva in pugno il patriarca e ne orientava il destino (Gn 2,19).

E’ cambiato anche il nome della sua sposa: Sarai diventa Sara (Gn 17,19), principessa, madre di principi e di re, che promette ai suoi discendenti il dominio regale.

…Riprese: Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con gli  uomini e con Dio e hai vinto! (Gn 32, 29). Il brano ricorda la lotta di Giacobbe con l’angelo. Giacobbe ne esce vittorioso pur restando zoppo, ma l’essere misterioso con cui ha lottato gli cambia nome: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele” perché Israele significa “Lottare con Dio”; Giacobbe vince la lotta con Dio solo nel senso che riesce a farsi benedire da Lui. (Cfr. Gen 32, 27).

Giacobbe si trova di fronte a “un uomo” con il quale deve lottare fisicamente, perché gli impedisce il cammino; nella lotta comprende che è un essere misterioso. L’essere misterioso gli chiede il nome e gliene impone uno nuovo: “Israele”, cioè “colui che è forte davanti a Dio”. Nelle circostanze del racconto, il nome nuovo è un presagio di vittoria.

Giacobbe (ora Israele), a sua volta, chiede il nome dell’essere misterioso, il quale rifiuta di rivelarglielo, però lo benedice, facendogli così intendere che il suo nome è benedizione ed è presenza che non uccide, e che dà la vita.

Ed allora Giacobbe si rende conto che l’essere misterioso è Dio e che, con la benedizione che gli ha dato, egli ha rilevato di essere il Dio della promessa.

Cosicché dall’episodio oscuro e denso di mistero ricaviamo due ulteriori considerazioni: Il nome di Dio non è rivelato e ciò secondo l’insegnamento biblico atteso che non può essere neppure veduto o compreso dall’uomo; di contro, il nome di Giacobbe è cambiato in quello di Israele [3].

Per restare nell’ambito delle Scritture nel nuovo Testamento, il più famoso ed incisivo mutamento di nome è quello dell’apostolo Pietro [4]. Gesù cambiò il nome a Simone, sostituendolo con quello di Cefa, il cui equivalente in greco è Pietro, la roccia.

In aramaico, la lingua parlata da Gesù, Pietro-pietra corrispondono ad un unico termine: Kefa di genere maschile; volendo conservare il genere in tutti e due i casi, si potrebbe dire: tu sei roccia e su questa roccia…In greco fu necessario distinguere Petròs e petra. Il nome Petròs e il corrispondente kefa, non erano ancora usati come nome proprio. Simone conosce adesso il valore del nuovo nome annunziatogli da Cristo fin dal primo incontro (Gv 1, 42); già il fatto di un mutamento di nome significava per lui l’orientamento verso un nuovo destino. Pietro, dunque, è costituito fondamento della Chiesa, qui concepita come un edificio, una casa di cui Gesù dice la mia Chiesa, come dirà il mio Regno: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne, né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. Ed io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. (Mt 16, 17-18).

Nella Bibbia mutare il nome significa prendere possesso di qualcuno, dare una direzione nuova alla vita.

 

   3.1 La imposizione del nome come missione: Giovanni. - Ed ancora, sempre nel nuovo Testamento, il nome diventa protagonista perché portatore di un messaggio e di un dono escatologico: ma l’angelo gli disse “non temere Zaccaria, la tua preghiera è stata accolta: infatti tua moglie Elisabetta ti darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Giovanni” (Lc 1,13), che significa “Jahvè è favorevole, misericordioso”.

Più tardi, durante il rito della circoncisione [5], quando veniva imposto il nome al neonato,  non viene dato quello di Zaccaria, come avrebbe suggerito la forza della tradizione e come avrebbe voluto il costume ebraico [6].

L’accordo tra Zaccaria ed Elisabetta, sulla scelta del nome Giovanni, non può non meravigliare i presenti, ma, nel contempo, tradisce la volontà dei fortunati genitori di ricordare, tramite il nome scelto, non la loro collaborazione alla nascita del figlio, ma l’iniziativa di Dio. Del resto, come sopra esposto, il nome di Giovanni era stato già suggerito dall’angelo a Zaccaria.

In tutta la storia biblica la imposizione di un nome da parte di Dio (o di Gesù) sta ad indicare l’elezione o la nomina a una funzione determinata.

Fin dalla sua nascita, portando il nome che Dio ha indicato attraverso l’angelo per lui, Giovanni si presenta come un eletto che deve compiere la missione che Dio gli ha affidata. Giovanni, infatti, è destinato ad essere il precursore di Gesù, colui che prepara la Sua venuta [7].

Ai due apostoli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, Gesù diede il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono (Mc. 3, 16,17), per sottolineare il carattere focoso dei due fratelli, la loro impetuosità e la loro grande forza di testimonianza. Basti ricordare il brano di Luca 9, 54: “Quando videro ciò – ossia la cattiva accoglienza riservata a Gesù in un villaggio di Samaria – i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. Ma Gesù si voltò e li rimproverò” [8].

 

    4. Alcuni esempi di mutamento, celamento o predestinazione del nome: nel mito Ulisse; nella letteratura: Shakespeare, King Lear, As you like it, Twelfth night; Manzoni: I promessi sposi; nella lirica e nella... varia umanità. -  C’è, poi, chi, per salvarsi muta il proprio nome. E’ il caso di Ulisse, il quale a Polifemo, che gli chiede il nome, famoso risponde “Nessuno è il mio nome: Nessuno mi chiamano” [9], e quando i ciclopi, accorsi alle grida di Polifemo, gli chiedono cosa lo molestasse, egli rispose: “Nessuno, amici, mi uccide con l’inganno, non con la forza” [10], sicché i ciclopi credettero che fosse solo, ed Ulisse rise “perché il nome mio e l’astuzia perfetta l’aveva ingannato” [11].

Anche così Ulisse consegnò il suo nome (…quello vero…) al mito, pur se poi Dante lo pone nel cerchio ottavo, bolgia ottava: quella dei consiglieri fraudolenti, che camminano interamente avvolti e chiusi da una fiamma [12].

Shakespeare più volte fa cambiare il nome ai protagonisti delle sue opere.

In King Lear Edgar, il figlio buono di Gloucester, incolpato dal fratello bastardo di cercare la morte del padre per assicurarsi l'eredità, fugge dalla casa paterna, si traveste da mendicante matto e prende il nome di "Poor Tom", cioè il nome che veniva dato ai matti vagabondi. Si rivelerà e riprenderà il suo nome quando si vendicherà delle crudeltà inflitte dal fratello al padre uccidendolo in duello.

In As You Like it  Rosalind viene scacciata dalla corte di Duke Frederick (dove è ospitata dopo che Frederick ha usurpato il ducato al padre) perché si è innamorata di Orlando, nemico di Frederick. Rosalind indossa abiti maschili e fugge con Celia, figlia di Frederick e inseparabile amica di Rosalind. Le due fanciulle si rifugiano nella foresta di Arden dove Rosalind prende il nome di Ganymede e Celia il nome di Aliena. Dopo molte peripezie, nella foresta incontreranno Orlando e Rosalind si rivelerà riprendendo il suo nome e gli abiti femminili solo quando sarà sicura dell'amore di lui.

In Twelfth Night  Viola, approdata sulle coste dell'Illiria dopo un naufragio, veste abiti maschili e prende il nome di Cesario per trovare un impiego presso il Duca Orsino. Questi, innamorato di Olivia, usa Cesario per corteggiarla, mandandole messaggi d'amore. Ma intanto Viola-Cesario si è innamorata di Orsino e Olivia respinge la corte del Duca perché si innamora di Viola negli abiti di Cesario. Dopo molte vicissitudini, tutto si risolverà quando Cesario rivelerà di essere Viola e il Duca, naturalmente, se ne innamora subito [13].

Alle volte il nome è indice di una pesante pressione psicologica, per realizzare un disegno ben preciso. E’ il caso della monaca di Monza, predestinata al convento già prima del concepimento e poi durante la gravidanza [14].

Alla stessa venne dato il nome di Gertrude perché risvegliasse  immediatamente la idea del chiostro: il nome era stato portato da una santa di alti natali.

Con le bambole vestite da monache come primi balocchi e con parole come madre badessa, pur senza mai dirle direttamente che doveva farsi monaca, il principe attuò una forma di eteronomia, atteso che la volontà della figlia non ha in sé la ragione della propria azione, ma le deriva da principi estranei alla propria volontà.

La eteronomia si oppone alla autonomia, che, è, invece, la capacità di determinarsi secondo leggi proprie.

Il principio della moralità risiede nella autonomia della volontà, vale a dire nella indipendenza della volontà da ogni motivazione estranea; conseguentemente l’eteronomia, che esclude una volontà autoregolatrice e fa dipendere la volontà da una motivazione estranea, è illegittima.

Come è noto, Gertrude, dopo la intercettazione della lettera da lei scritta al paggio, fu rinchiusa in una camera sotto la minaccia di un castigo oscuro, indeterminato e quindi più spaventoso e, per sfuggire alla minacciata più grave punizione [15], per Gertrude, contro la sua volontà arrivò al momento in cui “conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai o ripetere un si tante volte detto; lo ripeté, e fu monaca per sempre” [16].

L’epilogo della vicenda è fin troppo noto: Egidio non intimorito, anzi invogliato dall’empietà dell’impresa, un giorno osò rivolgerle la parola. La sventurata rispose.

Manzoni con una frase lapidaria e che sembra una lacrima, non esprime un giudizio etico, come se la vicenda di Egidio fosse la conclusione della tragedia di chi, desiderosa di affetti e di gioie miseramente mancati, per la volontà di altri, deve subire ancora una volta una volontà esterna.

Altri, invece, cambia il proprio nome per fini meno nobili.

Nel Rigoletto il duca di Mantova, seduttore e vincente, per conquistare Gilda si presenta come studente povero, con il nome di Gualtier Maldè e seduce la figlia del buffone (E’ il sol dell’anima).

Peraltro, già il tombeur de femmes per antonomasia Don Giovanni, seduttore, ma perdente, per cercare di conquistare la cameriera di donna Elvira, scambia i suoi abiti con quelli di Leporello [17], assumendone addirittura la identità, ed inizia una serenata (Deh, vieni alla finestra o mio tesoro), interrotta poi bruscamente [18].

La conoscenza del nome può anche essere la posta di un gioco mortale. E’ il caso di Calaf che, nella Turandot, dopo avere sciolto gli enigmi, che la principessa di morte e di gelo gli aveva proposto, non la vuole riluttante e piena di odio, bensì ardente d’amore.

Il principe la libera dal giuramento e propone un patto: egli morirà se la principessa, prima dell’alba, riuscirà ad indovinare il suo nome [19]. Dopo l’insuccesso di Turandot il principe le fa dono della vita e dice di essere Calaf figlio di Timur. Turandot davanti all’imperatore figlio del cielo, ai dignitari ed al popolo di Pechino annuncia e muta il nome del principe ignoto: il suo nome è amore.

Più volte i nomi hanno subito modifiche per ragioni  dinastiche. Giacomo VI regnò sulla Scozia fra difficoltà locali per dissensi religiosi e sotto l’incubo della potentissima vicina Elisabetta d’Inghilterra, alla quale, per il testamento di Enrico VIII, era destinato a succedere, e quando nel 1603 Elisabetta morì egli salì al trono d’Inghilterra come Giacomo I d’Inghilterra, sicché egli è conosciuto come Giacomo VI di Scozia e I d’Inghilterra [20].

Allo stesso modo il nipote (figlio del figlio Carlo) è conosciuto come Giacomo II d’Inghilterra e VII di Scozia.

Altre volte il cambiamento del nome è voluto dal titolare quando dolorosi avvenimenti ne segnano e ne mutano l’esistenza.

Oscar Wilde, che James Joyce definì il più arguto parlatore del secolo decimonono, subì l’onta del processo e dei lavori forzati per “gross indecency” nel carcere, prima, di Wandsworth e, poi, di Reading, dolorosa esperienza che in due anni lo segnò irrimediabilmente ed in maniera irreversibile. Quando il 19 maggio 1897 ne uscì, non era più lo stesso, non era colui che aveva improntato la vita al proprio motto Only the extraordinary survives, non era più Oscar Wilde ed allora, per il breve periodo di vita che gli restava, poco più di tre anni, si fece chiamare prima C.3.3, il suo numero di cella in carcere e, poi, Sebastian Melmoth, perché non era più extraordinary: con un corpo in disfacimento, con abiti dozzinali e in un alloggio miserabile non più a Londra, ma a Parigi, dove il 30 novembre 1900 morì.

E con il nome di Sebastian Melmoth nel 1901 furono dati, postumi, alle stampe i suoi Aphorism, che George Bernard Shaw definì una raccolta da tenere in libreria a fianco delle Massime di Larochefoucauld.

Anche in letteratura gli esempi di mutamento di nome sono molteplici: Georges Duroy, il protagonista di Bel-Ami [21], che dà luogo ad una scalata sociale ed economica nella Parigi della fine del XIX secolo, nobilita il proprio comune cognome e lo separa in Du Roy: “ Il giovane firmava adesso D. de Cantel la cronaca, Duroy, gli echi di cronaca, e Du Roy gli articoli politici che cominciava a presentare di tanto in tanto” (parte II, 1) “si precipitò incontro alla moglie del direttore; poi, stringendo la mano a Du Roy: - buongiorno, Bel-Ami” (parte II, III).

 

   5. Profili storici-metodologici. - Dopo le divagazioni che precedono, sembrano opportune alcune brevi riflessioni storico-metodologiche in particolare sulla figura della persona e sul mutamento della sua posizione da oggetto a soggetto autonomo di titolarità e che ha assunto il ruolo di protagonista.

Alle correnti illuministiche ed all’opera della rivoluzione francese fece seguito nel campo legislativo il codice napoleonico (1804), che innovò solennemente il diritto privato, ed al quale seguirono le codificazioni degli altri Stati dell’Europa continentale, largamente influenzate dal codice napoleonico [22].

Al code Napoléon fecero riferimento gli Stati preunitari, in tal modo venne notevolmente semplificata l’adozione di un unico codice con la realizzazione dell’unità del Paese [23].

Il diritto privato venne concepito come diritto del privato, come tutela dei diritti fondamentali, che al singolo individuo l’ordinamento giuridico riconosce come a lui già spettanti, per diritto di natura. Il soggetto stava al centro della considerazione legislativa: soggetto inteso essenzialmente come singolo individuo, come persona fisica.

Il soggetto viene preso in considerazione non già come subiectum, come un sottoposto al potere dello Stato, ma come il naturale titolare di un potere, che lo Stato doveva garantire, e soggetto era essenzialmente l’individuo, la persona fisica: ”il soggetto della storia non più in un’idea o nella ragione, ma nell’uomo con i suoi rapporti economici e sociali” [24].

Le aggregazioni sociali - ad eccezione della famiglia – erano viste con diffidenza dallo Stato, ed erano sottoposte a particolari forme autorizzative, diffidandosi di ogni riconoscimento di potere, che non avesse  come titolare la persona fisica, l’individuo.

Il fenomeno dei c.d. gruppi intermedi, che si collocano tra l’individuo e lo Stato, ha grande rilevanza sociale e caratterizza l’epoca contemporanea. Tuttavia è necessaria una organizzazione che permetta “di escludere che il gruppo sia semplicemente una somma di individui” [25].

Sotto il profilo giuridico - filosofico il diritto naturale appare sempre più chiaramente come termine contrapposto al diritto positivo nella dialettica evolutiva del diritto e come una méta che il diritto positivo persegue, senza potere mai raggiungerla appieno [26].

I singoli diritti naturali dell’uomo, i c.d. diritti innati, esistono positivamente nel riconoscimento che le leggi ne fanno entro i limiti segnati dalla tutela ad essi accordata [27].

Il riconoscimento dei diritti cc.dd. naturali dell’uomo è contenuto nel preambolo della Carta costituzionale tra i principi fondamentali ed alla loro tutela è dedicata tutta la parte prima della Costituzione stessa (artt. 13 – 54), nonché le norme sulla giurisdizione e, in particolare, l’art. 113, che prevede una strutturazione efficiente della tutela del privato cittadino contro gli atti illegittimi della pubblica Amministrazione.

L’attività privata era, per le codificazioni  del diciannovesimo secolo, essenzialmente la attività del singolo, costituendo l’individualismo  economico la base del sistema e delle teorie del liberalismo economico allora dominante.

Se il sistema codificato del secolo scorso tutelava formalmente il singolo individuo, lo lasciava però – come  è stato acutamente rilevato – nella sua sconsolata solitudine [28].

Sennonché, dall’inizio del diciannovesimo secolo ad oggi il sistema economico-sociale ha subito una evoluzione non sempre conforme, anzi notevolmente difforme dalle previsioni sulle quali era originariamente fondato il sistema giuridico delle codificazioni [29].

IRTI prende in esame la proliferazione delle leggi speciali e la crisi del codice civile, che, più che rappresentare un diritto esclusivo ed unitario dei rapporti privati, si presenta come diritto comune, luogo di quei principi generali che le altre leggi sviluppano e modificano [30].

Si è assistito ad una radicale modifica della tecnica legislativa e, continua l’A., la stessa interpretazione della legge non può più essere ragionata nei termini della scienza giuridica classica. Il “significato proprio delle parole” e la “intenzione del legislatore” – i due elementi, che dovrebbero rendere palese all’interprete il senso della legge (art. 12 comma 1 disp. prelim.) – acquistano un nuovo valore” [31].

Ogni discorso sui criteri ermeneutici e sui relativi temi e problemi può essere condotto o sul piano della teoria generale, o, invece, in funzione di un singolo diritto positivo. Vengono presentate non infrequentemente teorie sulla interpretazione che valgono specificatamente ed esclusivamente per un determinato ordinamento giuridico e non hanno la pretesa, né la capacità di valere per ordinamenti giuridici diversi. Siffatte teorie non hanno nulla a che fare con la scienza ermeneutica del diritto e rientrano interamente nella metodologia ermeneutica. Debbono perciò essere tenute distinte, in materia di interpretazione del diritto, teorie generali e teorie positive: le une riguardano ogni configurabile attività interpretativa per ogni configurabile ordinamento giuridico; le altre, invece, studiano gli speciali mezzi interpretativi che meglio si adattano alla conoscenza di un ordinamento giuridico determinato, o che – come avviene nell’art. 12 delle preleggi al nostro codice civile anche con riferimento all’interpretazione sistematica – sono espressamente predisposti, anche se spesso pleonasticamente, dallo stesso diritto positivo come vincolo alla interpretazione delle proprie disposizioni. Va da sé che soltanto le prime e non anche le seconde appartengono alla scienza teorica del diritto e alla sua teoria generale [32].

I principi generali, che guidano l’interpretazione e colmano le lacune della legge, sono attinti sempre meno dal codice civile e sempre più dalle c.d. leggi speciali, che “sottraggono a mano a mano intere m0aterie o gruppi di rapporti alla disciplina del codice civile, costituendo micro – sistemi di norme, con proprie ed autonome logiche” [33].

I giuristi per raggiungere i fini che sono propri della loro scienza, per interpretare cioè il diritto vigente, per svilupparlo secondo le esigenze mutevoli ed i bisogni sempre nuovi della vita sociale e per comporne le norme in armonico sistema, seguono regole determinate, applicano procedimenti logici particolari e speciali sistemi di ragionamento che non coincidono sempre con la logica empirica [34].

Il complesso di questo regolamento normativo forma la tecnica giuridica.

Tuttavia, giova ricordare che il tecnico deve cercare in tutti i modi di far sì che la costruzione giuridica imposta dalle disposizioni di legge risponda alla realtà sociale; ma, se i mezzi tecnici di cui egli dispone per l’interpretazione della legge, non consentono di conseguire tale risultato, non può tradire la propria missione, che è quella di indicare il diritto quale è, non quale dovrebbe essere. E’ quella la sua realtà, non questa. Diversamente operando, distinguendo con criteri arbitrari elaborazione scientifica ed elaborazione tecnica si perverrebbe ad una confusione tra la attività dell’interprete giurista e quella del legislatore [35].

L’interprete non è, né potrebbe essere un puro applicatore di formule, un automa; egli ha pure dei limiti, dei vincoli nell’esplicazione della sua attività ermeneutica. Operando diversamente la certezza del diritto - araba  fenice, vale a dire simbolo quasi irreale ed introvabile - diventerebbe mera utopia, illusione fantastica ed irrealizzabile. Senza precisi punti tecnici di riferimento avremmo il caos del linguaggio, dei concetti e degli istituti; tanto più che il profondo mutamento dei contenuti testuali esige una nuova metodologia.

Si è assistito negli scorsi anni a profondi mutamenti testuali. Questa distorsione metodologica è stata messa in luce da alcuni giuristi, ed in particolare da Nicolò, il quale, scrivendo dell’opera di Salvatore Pugliatti, afferma che questi “non nascose mai la sua insofferenza verso certi atteggiamenti di alcuni studiosi, e assistiamo ad una proliferazione di questo tipo di studi pronti a confondere, in una variopinta commistione, il piano sociologico e quello giuridico, o a strumentalizzare i valori giuridici per l’esaltazione di ideologie politiche. Oggi questo fenomeno è sempre più ricorrente e non può non riconoscersi che tanta parte di quella che appare essere la crisi del diritto, dipende da questa confusione e dallo scarso rigore, che induce a superficialità, ad approssimazioni e che spesso non permette di distinguere tra un contributo che pretenda di essere scientifico e qualsiasi articolo di un giornale più o meno impegnato. Molte persone che oggi scrivono e parlano di diritto, spesso con una presunzione non inferiore alla superficialità, farebbero bene a leggere e a meditare l’opera scientifica di Pugliatti per apprendere con umiltà come e con quali intenti si possa e si debba fare opera di scienza” [36] .

Gli interventi legislativi, particolarmente incisivi e notevoli dopo le due grandi guerre della prima metà del secolo scorso, hanno apportato anche nel sistema giuridico le profonde innovazioni sopra ricordate, che hanno dato al diritto privato una differente connotazione, più sensibile ai segni dei tempi ed alle istanze talora pressanti dirette ad una maggiore, nuova e differente tutela di situazioni giuridiche soggettive, soprattutto non patrimoniali e che attengono alla sfera della persona [37].

Questa innovazione ha riguardato in maniera rilevante il sistema dei diritti della persona e della famiglia [38].

 

   6. La crisi del diritto e della codificazione. - Il nome identifica la persona che ha il diritto soggettivo alla identità ed a distinguersi, a differenziarsi da tutti gli altri, perché ha il diritto a non essere confuso tra le altre [39]. Tale diritto rientra nella più ampia categoria dei diritti fondamentali che attengono alla persona umana per la quale è costituito l’ordinamento [40] .

Il concetto di persona ha subito storicamente un lungo processo nei suoi contenuti speculativi e giuridici, dando luogo a definizioni e profili talora fra loro in contrasto con riferimento pure al contesto storico e politico nel quale sono stati formulati: concetti, questi, sottoposti a dubbi, revisioni, incertezze e difficoltà [41]. Sotto il profilo giuridico, concetti come quelli di persona, soggetto, famiglia sono di difficile definizione, dipendendo il contenuto dal contesto politico, economico, sociale di riferimento ed ancora dalla confessione intesa quale religione distinta da tutte le altre per il suo credo: “storicità e relatività… escludono che alla definizione del concetto di famiglia possa attribuirsi un valore assoluto, mentre implicano con ogni evidenza l’opportunità – se non la necessità – di far leva esclusivamente sui modi di rilevanza concretamente riscontrabili in un determinato sistema  positivo" [42].

Il termine famiglia non si riferisce ad un concetto unitario, ma assume aspetti differenti, riguarda le persone legate direttamente o indirettamente tanto da un rapporto che nasce dal negozio di matrimonio, quanto anche da altri tipi di atti o fatti. Assume rilevanza giuridica la convivenza more uxorio, ed anche  di un rapporto di procreazione che può essere il risultato di una fecondazione artificiale eterologa.  Conseguentemente siamo in tema di fatti naturali, negozi giuridici, rapporti che nascono da un complesso di fatti differenti ed eterogenei [43].

La terminologia ha assunto nuove differenziazioni. La famiglia nucleare (genitori  e figli) ha sostituito la famiglia allargata, ed ha assunto nuovi contenuti: la famiglia di fatto riferita al fenomeno della convivenza more uxorio di due persone con l’eventuale presenza di figli naturali, priva di tutela costituzionale, ma che trova ugualmente tutela giuridica, anche se è una conquista lunga e difficile, ancora in fieri [44].

Storicamente la famiglia venne intesa come una istituzione compatta con carat-terizzazione giust-pubblicistica, come se fosse una istituzione semi pubblica, tra lo Stato e le situazioni giuridiche privatistiche, con la consequenziale formula “interesse della famiglia” (per esempio artt. 138 e ss. del codice del 1865); intendendosi quest’ultima non come un soggetto giuridico autonomo, ma come un’istituzione anche formalmente riconosciuta. Il successivo orientamento è stato quello di una privatizzazione sempre più palpabile della famiglia e del diritto di famiglia.

Basti porre attenzione alla formulazione dell’art. 143 c.c. che prevede i diritti ed i doveri reciproci dei coniugi, dichiarati inderogabili dall’art. 160 c.c., e in particolare nel secondo comma si parla di “interesse della famiglia” e nel terzo dei “bisogni della famiglia”.

A questo punto non è facile determinare quale sia l’interesse e quali siano i bisogni della famiglia, ritenuto che il termine famiglia indica realtà personali e comunitarie diverse [45].

Caratteristica della persona è la razionalità quale facoltà di ragionare, nel senso, quindi, della capacità dell’individuo di rendere chiaro a sè stesso ciò con cui è in relazione. In questa attività conoscitiva la persona si riconosce come unità nel senso di “principio vivente unitario”.

Nella storia del pensiero, a mano a mano che il concetto di persona è andato connotandosi e chiarendosi, si è sentito il bisogno di distinguerlo dal concetto di individualità con il quale era confuso, intendendo questo ultimo come “il polo” materiale dell’uomo e valido a renderlo diverso dagli altri, individualità intesa come sinonimo di singolarità fisica; pervenendosi alla persona, allorché si aggiunga il “polo” spirituale costituito da intelligenza, volontà ed amore [46].

 

7. Il primato della persona nella esperienza legislativa. - Il Code Napoléon, i codici civili preunitari ed il codice civile del 1865 non contemplavano in maniera esplicita il diritto al nome. La tutela è stata introdotta dal vigente codice civile (artt. 6, 7 e 8) e dalla Costituzione [47].

Il diritto al nome rientra nella sfera della persona, intesa come centro di una unitaria protezione, nonché di imputazioni di situazioni giuridiche soggettive, e che trova la sua prima tutela nell’art. 2 cost. ; con la conseguenza che trovano protezione nuovi valori ed interessi emergenti relativi a nuovi aspetti della personalità [48].

Dal punto di vista giuridico il nome serve a stabilire la identità del soggetto come tale ed è costituito dal cognome o nome patronimico, unito al prenome, cioè a quello che viene chiamato dalla legge tout court il nome.

Il diritto al nome rientra fra i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 cost.) contribuendo alla tutela della personalità dell’individuo ed è strettamente connesso ad altri diritti inviolabili quali quello all’immagine, all’identità personale e sessuale [49].

La categoria dei diritti inviolabili comporta la valenza degli stessi sia nei confronti dei pubblici poteri, sia nei confronti del potere privato, e loro caratteristica è l’originalità, l’indisponibilità, l’intrasmissibilità, e l’imprescrittibilità. Affermatosi il primato della persona nelle norme costituzionali (hominum causa omne ius constitutum est[50], atteso che è l’uomo il fine ultimo dell’ordinamento e non invece uno strumento per la realizzazione di fini ad esso superiori, si è avvertita l’esigenza di tutelare nuove forme di diritti propri della persona, sia in quanto singolo (sino ad arrivare alla teorizzazione ed alla tutela del danno biologico), sia in quanto appartenente a categorie sociali, o titolare di uno status: i lavoratori subordinati, i minori, le categorie protette, i consumatori [51].

La tutela della persona è la principale funzione del diritto, e tende ad espandersi per occupare nuovi spazi. Rientrano in questa tendenza le categorie degli standards qualitativi [52]; la dottrina giuridica italiana cita formule differenti che, per la maggior parte, si rifanno a dati normativi: “la correttezza nei rapporti privati e nell’attività della pubblica amministrazione; la buona fede, la lealtà, la fedeltà, la probità, il buon costume e l’ordine pubblico; il buon senso, il senso comune e la sensatezza, il comune senso della morale e il comune sentimento del pudore, la diligenza con i predicati della ordinarietà, della normalità e della mediatezza; la ragionevolezza e la razionalità; la non abusività nell’uso del diritto; l’equità” [53].

Si tratta di esemplicazioni tipiche di comportamento, che affondano le loro radici nella morale comune (i mores), secondo una valutazione di rilevanza giuridica [54].

 

8. La persona e il nome. - Come sopra esposto il nome è costituito dal prenome o nome di battesimo e dal cognome: questo identifica il soggetto nell’ambito della famiglia. L’acquisto del primo avviene sempre mediante atto di conferimento compiuto da determinati soggetti o da un pubblico organo quale l’ufficiale dello stato civile ( artt. 70-72 R.D. n° 1238 del 1939).

Il prenome distingue un soggetto dagli altri componenti il suo gruppo familiare che hanno lo stesso cognome. E', quindi, necessaria una scelta (causa), alla quale fa seguito un conferimento (effetto).

La legge detta norme affinché il soggetto abbia necessariamente un prenome (art. 29 c. 4 D.P.R. 3 novembre 2000 n° 396): “se il dichiarante non dà un nome al bambino, vi supplisce l’ufficiale di stato civile” e c. 5: “quando si tratta di bambini di cui non sono conosciuti i genitori, l’ufficiale dello stato civile impone ad essi il nome ed il cognome” [55].

La legge detta limiti all’attribuzione del nome (art. 34 D.P.R. n° 396 del 2000). Il nome civile ha la natura giuridica di un diritto della personalità, è strettamente legato alla persona fisica sin dalla nascita ed oltre la morte, atteso che la individua [56].

La generale tutela privatistica è prevista dall’art. 6 cod. civ., che così statuisce: “nel nome si comprendono il prenome ed il cognome”. Il diritto al nome è  tassativamente regolato dalla legge: “ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito”, ed il comma 3° conclude che “non sono ammessi i cambiamenti, aggiunte o rettifiche, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati [57].

Nel caso di filiazione legittima il cognome è attribuito per legge (art. 6, 1° c. cod. civ.), mentre il potere-dovere di imporre il nome al neonato è attribuito dalla legge a chi dichiara la nascita e, in primo luogo, ai genitori: la dichiarazione di nascita è resa indistintamente da uno dei genitori (art. 70 R.D. 9 luglio 1939 n. 1238 sull’Ordinamento dello stato civile che è l’originale fonte regolatrice della materia).

Il potere di scelta del prenome al neonato spettava, anteriormente alla riforma del diritto di famiglia, soltanto al padre, o, in caso di suo impedimento, alla madre.

A seguito delle modifiche introdotte in tema di esercizio della potestà parentale dalla legge di riforma del diritto di famiglia, il potere di scelta del prenome di un neonato spetta congiuntamente ad entrambi i genitori; in caso di contrasto tra gli stessi trova applicazione l’art. 316, 3° c. cod. civ., e quindi il ricorso al giudice, dato che la scelta del prenome implica una questione di particolare rilevanza.

Trovano applicazioni le disposizioni sulla rettificazione del prenome (artt. 167 e ss. R.D. 9 luglio 1939  n. 1238); è quindi necessario un ordinario giudizio di cognizione con il contraddittorio delle parti necessarie e con l’intervento del P.M.  Si tratta di una azione di status [58]. In tema di status [59] il legislatore ha adottato il criterio di valutare gli interessi meritevoli di tutela, attribuendo di volta in volta il potere di proporre l’azione, senza formulare una regola generale [60]. Secondo il nostro ordinamento possono essere trasmessi ereditariamente soltanto i diritti di natura patrimoniale e non quelle situazioni giuridiche soggettive che ineriscono strettamente alla persona del de cuius,  come gli status [61].

Dal combinato disposto delle disposizioni del codice civile (artt. 316 e ss.) e di quelle dell’ordinamento dello stato civile (artt. 67, 70, 71, 72, 167 e ss. R.D. 9 luglio 1939 n. 1238) si evince che la scelta del prenome è un potere-dovere, una estrinsecazione della potestà genitoriale.

Nel caso in cui uno dei genitori non condivida la scelta compiuta dall’altro, questi può agire in giudizio per tutelare i diritti della prole: perché la famiglia è una società di eguali [62].

 

   9. L’acquisto del diritto al prenome e la funzione. -  L’attribuzione del prenome e il conferimento dello stesso spetta congiuntamente ai genitori (artt. 316 e 317 bis), attenendo, la scelta all’ambito della potestà esercitata dagli stessi [63].

Ai sensi dell’art. 30 1° c. del cit. D.P.R. 396  del 2000 l’attribuzione del prenome è demandata al soggetto legittimato a dichiarare la nascita, ed è il frutto della scelta compiuta dai soggetti interessati al momento della compilazione dell’atto di nascita. Sul punto la legge attribuisce gli stessi diritti ad entrambi i genitori: “la dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori…” [64].

Nell’ipotesi di mancato accordo anteriormente all’attribuzione del prenome si potrà fare ricorso al Tribunale per i minorenni competente territorialmente, trattandosi di questione che attiene ad una parte essenziale del nome civile della persona e quindi di rilevante importanza.

Il secondo comma dell’art. 316 c.c. dispone che la potestà “è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori”. Il passaggio dalla vecchia patria potestà alla potestà di entrambi i genitori è stato definito come “uno dei punti più qualificanti dell’intera riforma” [65] (del diritto di famiglia).

L’esercizio della potestà è fondato sull’accordo, inteso come il reciproco consenso delle parti, che può essere tacito, vale a dire manifestato mediante comportamenti concludenti [66].

Il termine accordo non è usato in senso tecnico giuridico, bensì in quello empirico di pensare, sentire  ed agire in modo conforme ed in unione armonica.

Ed è stato ritenuto che l’accordo previsto dall’art. 316 c.c. è fuori dagli schemi relativi agli atti dispositivi che rientrano nell’ambito dell’autonomia privata “per la ragione fondamentale che qui la volontà dei coniugi deve essere diretta ad attuare l’interesse del figlio e costituisce, quindi, applicazione di un “ufficio” e non già un atto dispositivo di un diritto soggettivo. Di conseguenza dovrebbe essere estraneo agli accordi raggiunti qualsiasi carattere definitivo e quindi preclusivo di altre soluzioni che possano meglio tutelare l’interesse del figlio” [67].

Con una scelta di “politica legislativa”, in caso di disaccordo nell’esercizio diarchico della potestà, il legislatore ha previsto il rimedio “esterno”, ossia l’intervento dell’autorità giudiziaria esclusivamente se il contrasto riguarda “questioni di particolare importanza”.

Se sussiste l’incombente pericolo di un grave pregiudizio per il figlio, l’art. 316, 3° comma c.c. attribuisce al padre il potere temporaneo di adottare solo provvedimenti urgenti ed indifferibili, che sono di non facile individuabilità. La norma va interpretata restrittivamente, essendo una eccezione rispetto il criterio generale di eguaglianza dei genitori.

Non è possibile individuare i criteri nei quali fare rientrare la categoria ontologica delle questioni di “particolare importanza”. Si può astrattamente parlare di questioni che coinvolgono i diritti essenziali ed esistenziali del minore, come quelli relativi allo sviluppo ed alla sua crescita materiale e morale, ovvero ad esempio, le scelte relative all’istruzione scolastica, alla scelta della confessione e all’educazione religiosa, ovvero le scelte di importanza decisiva per lo sviluppo della personalità e le decisioni di vita tra le tante possibili.

Tra queste ultime rientra la scelta del prenome, che ha formato oggetto di pronunce giurisprudenziali delle quali si tratterà più avanti.

Il principio al quale occorre adeguarsi è quello dell’interesse preminente del minore [68], principio ribadito nel 5° comma 316 c.c., per la sua più conveniente individuazione nel contesto delle relazioni sociali  [69].

Seguendo un orientamento legislativo uniforme e consolidato, il legislatore non detta norme generali o di indirizzo, attesa la molteplicità della fattispecie, ma ricorre alla collaudata formula dell’interesse del figlio” [70].

La potestà dei genitori è un ufficio di diritto privato [71] previsto dalla legge per la protezione dell’incapace ed attribuito ai genitori per rendere possibile l’adempimento dei loro doveri, costituenti il contenuto della potestà.

L’interesse del figlio ha un duplice contenuto: morale o esistenziale [72], coinvolgendo il minore a livello di vissuto personale per lo sviluppo sereno della personalità dello stesso, ed un contenuto patrimoniale [73]. La potestà genitoriale è attribuita dalla legge nell’esclusivo interesse del minore.

A seguito della riforma del diritto di famiglia  è stato affermato il principio della diarchia nel senso che l’esercizio della potestà non è più del padre, ma “è affidato a due coppie di mani, che devono usare insieme il timone evitando contrasti ma anche il predominio dell’uno o dell’altro dei due” [74].

Più che di divisione del potere fra i genitori, sembra appropriato parlare di potere comune perché pertinente a due persone che devono agire insieme, in accordo. Le decisioni relative ai minori devono essere affrontate all’interno delle famiglie e risolte dai genitori; il contrasto, cioè il profilo patologico, ha rilevanza se la questione è di particolare importanza ed in tale fattispecie è possibile, come detto, il ricorso al giudice (3° c. art. 316 c.c.) [75]. L’istanza può essere proposta oralmente e direttamente, e non è necessaria l’assistenza di un difensore così, pure, in caso di reclamo alla Corte di Appello  [76].

  

    10. L’attribuzione del prenome: il potere di scelta. - Il  principio generale è quello della immutabilità del prenome: il diritto alla rettificazione del nome della persona trova il suo fondamento nel diritto che ha il soggetto alla propria esatta identità, tant’è che atti solenni, come quelli di stato civile, possono essere oggetto di rettificazione nell’ipotesi in cui non sono conformi al vero.

E’ compito della repubblica garantire il rispetto di quella identità sociale che il soggetto ha acquisito contro interferenze indebite che possano alterare questa sua posizione nel sociale  al punto da deformare  la identità assunta o acquisita [77].

Il secondo comma dell’art. 451 cod. civ. attribuisce soltanto valore presuntivo alle dichiarazioni rese dai comparenti all’ufficiale dello stato civile; conseguentemente, le dichiarazioni possono essere non veritiere od errate, e, quindi, anche se scritte nell’atto di stato civile, risultare prive di efficacia probatoria [78].

La normativa relativa alla rettificazione prevista dall’art. 454 c.c. è stata abrogata dal d.p.r. 3 novembre 2000 n° 396, Regolamento per la revisione e la semplificazione  dell’ordinamento dello stato civile, che all’art. 110 3° c. così recita: “sono abrogati… l’art. 454 del codice civile”.

Il procedimento è disciplinato dal titolo XI del cit. d.p.r. che regola le procedure giudiziali di rettificazione degli atti dello stato civile e delle correzioni (artt. 95-101) e che ha sostituito il procedimento giudiziale di rettificazione che veniva definito con sentenza del tribunale passata in giudicato e trascritta.

Il prenome attiene allo stato della persona soltanto se congiunto ad un cognome (art. 6, 2° c. cod. civ.).

Solo pochi eletti sono identificati con il solo nome e ciò per la loro assoluta, universale, singolare, grandezza: Michelangelo, Tiziano, Raffaello, Leonardo, Dante [79].

La regola è che la scelta del nome da imporre al neonato è libera e spetta a chi dichiara la nascita della persona all’ufficiale di stato civile (art. 71, 3° c. r.d. 09 luglio 1939 n° 1238). La legge prevede la possibilità del cambiamento del prenome e l’aggiunta di un prenome a quello che già si ha (art. 158 r.d. n° 1238 del 1939).

Il procedimento di modificazione del prenome è quello semplificato previsto dall’art. 96 del d.p.r. n° 396 del 2000, che prevede la domanda al Prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce.

 

   11. Le modifiche del prenome: la normativa vigente e l’orientamento giurisprudenziale. - Lo spartiacque legislativo è costituito dalla legge di riforma del diritto di famiglia e dalla modifica dell’art. 316 c.c.

La giurisprudenza, anteriormente alla riforma, ha ritenuto che il potere-dovere di imporre il prenome al neonato è attribuito dalla legge a chi dichiara la nascita (art. 70 Ord. Stato civile) [80].

A seguito della legge di riforma, nella divergenza tra i genitori, a chi spetta la scelta del prenome da dare al neonato?

Ad avviso di TRABUCCHI la priorità nell’esercizio di una comune facoltà va riconosciuta al padre. Per l’A. deve imporsi un sacrificio ad uno dei genitori, atteso il contrasto insorto: “e se un sacrificio deve imporsi, per una ragione di tradizione, per il fatto ……. che già al figlio viene attribuito il cognome del padre, non pensiamo che il riconoscimento fatto a favore del padre da una legge, sia pure anteriore alla nuova affermazione di parità tra i genitori, debba essere considerato come superato” [81].

Opinione sottoposta a critica da M. FINOCCHIARO, secondo cui: “se la famiglia è una società di eguali, non deve esserci più posto per dispotismi, anche se “illuminati” [82].

Il principio è che la potestà viene esercitata di comune accordo da entrambi i genitori. L’attribuzione del nome è una questione di particolare importanza che interessa il minore; conseguentemente in caso di contrasto sulla decisione da prendere è possibile il ricorso al giudice (art. 316, 3° c. cod. civ.) [83]. Sarà il Tribunale per i minorenni che attribuirà il potere di decisione al genitore che riterrà più idoneo a curare il prevalente interesse del figlio tenendo presente anche l’unità familiare, al fine di non acuire i contrasti tra i genitori [84].

A seguito delle modifiche introdotte dalla legge di riforma del diritto di famiglia il potere di scelta del prenome di un neonato spetta congiuntamente ad entrambi i genitori; in caso di contrasto tra gli stessi è previsto il ricorso al giudice a norma dell’art. 316, 3° comma cod. civ. (novellato), integrando la scelta del prenome una questione di particolare importanza [85].

La legge non prevede termini; tuttavia il ricorso al giudice deve rivestire il carattere della immediatezza ed il genitore ricorrente deve dimostrare la mancata adesione alla scelta del prenome, ovvero che quest’ultima è frutto di arbitrio o di non adeguata motivazione.

Il giudice competente è il Tribunale per i minorenni; tuttavia la soluzione del contrasto fra i genitori in ordine alla scelta del mutamento del nome del figlio minore, in pendenza di giudizio di separazione personale è affidata al giudice della separazione e cioè al Tribunale ordinario (art. 155 cod. civ.), trattandosi di “decisioni di maggior interesse” [86].

Nella fattispecie in cui la imposizione del prenome al neonato provenga, ad esempio, dalla levatrice ed il padre voglia far riscontrare la non corrispondenza fra il nome attribuibile al figlio e quello ad esso imposto, egli dovrà fare ricorso al procedimento camerale previsto per la rettificazione degli atti dello stato civile, mentre il contrasto tra i genitori nella scelta del nome del figlio sarà risolto in sede contenziosa [87].

Può anche avvenire che sia il titolare del prenome a chiederne il mutamento [88]. Nella fattispecie sottoposta al suo esame il Tribunale di Verona ha rigettato la domanda ed ha ritenuto che non sussistono i presupposti, i requisiti e le condizioni richieste dalla normativa a chi chieda solo per motivi ideali e politici, di mutare il prenome di Immacolata ricevuto dalla nascita e collegato alla confessione cattolica, nel prenome Claudia, anche se, di fatto già speso per lungo tempo [89].

 

   12. Prenome e segni distintivi. - L’usurpazione del nome intesa come l’uso illegittimo del nome altrui può assumere molteplici connotazioni e differenti manifestazioni, idonee a generare pregiudizio (art. 7, 1° c. cod. civ.)

La legge marchi (R.D. 21 giugno 1942 n° 929) all’art. 21 disciplina i marchi costituiti da nomi e ritratti di persona. Pur a seguito delle modifiche apportate con la novella del D. lg. 4 dicembre 1992 n° 480 la disciplina è rimasta in buona sostanza quella originaria.

Ma come si coordinano le disposizioni del codice civile (artt. 6, 7 e 8) con quelle sulla legge marchi (art. 21)? Per le prime nei paragrafi 8 e ss. sono stati riportati alcuni profili. In ordine alla disciplina dei marchi nominativi (e dei ritratti di persona), la legge marchi dà regole consolidate nel senso che i nomi anagrafici possono essere registrati come marchi, essendo lecita la scelta di un nome altrui e non è previsto un consenso preventivo del titolare del nome [90].

Per la registrazione del ritratto altrui (art. 21, 1° c. l.m.), il legislatore ha adottato un sistema più rigoroso, nel senso che “i ritratti di persone non possono essere registrati senza il consenso delle medesime”, costituendo il consenso un presupposto per la richiesta della registrazione in armonia con il più severo criterio previsto dall’art. 10 del cod. civ., che, oltre il pregiudizio dell’uso, contemplato dall’art. 7 cod. civ., prevede la tutela del ritratto anche nelle ipotesi in cui l’esposizione o la pubblicazione non consentita dell’immagine possa causare pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona o dei congiunti. Conseguentemente è necessario il consenso di tutti i congiunti, essendo sufficiente il dissenso di uno soltanto perché non si realizzi il presupposto della fattispecie.

Alla regola della lecita possibilità di registrazione di un nome altrui come marchio, la l.m. pone alcune limitazioni.

Una è prevista dall’art. 21, 2° c. prima parte, nel senso che se l’uso del nome è tale da “ledere la fama, il credito ed il decorso di chi ha diritto di portare tali nomi”, l’Ufficio può rifiutare la registrazione. Ed ancora l’Ufficio ha la facoltà di subordinare la registrazione al consenso del titolare del nome anagrafico (art. 21, 2° c. seconda parte l.m.). Infine l’Ufficio deve richiedere il consenso dell’avente diritto nell’ipotesi in cui i nomi di persona (e i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, le denominazioni e sigle di manifestazioni e quelle di enti ed associazioni non aventi finalità economiche, nonché gli emblemi caratteristici di questi) siano notori, cioè conosciuti e di pubblico dominio.

L’Ufficio non ha il dovere di richiedere il preventivo consenso del titolare del nome; tuttavia deve rifiutare il brevetto quando l’uso del marchio è tale da compromettere la fama, il decoro, l’onorabilità del nome. La concessione necessita del consenso dei soggetti indicati dall’art. 21 I comma l.m. [91].

Dopo l’accertamento della regolarità formale della domanda, l’ufficio deve preliminarmente accertare se la parola, figura o segno possono essere brevettati come marchio a norma degli artt. 16, 18, 20 e 21 l.m., e, quindi, se sussistono le ulteriori condizioni previste dalla legge (art. 23 e 24 l.m.) [92].

Al principio della liceità di utilizzazione del nome altrui il legislatore pone un altro limite, quello della notorietà, nel senso che occorre il preventivo consenso dell’avente diritto che può essere a titolo gratuito (ipotesi peregrina), o dietro corrispettivo da negoziare, sia nell’importo che nelle modalità di pagamento [93]. Ne consegue che il principio di liceità è escluso dal 3° comma del citato art. 21 per la tipologia dei marchi notori, per evitare usi illeciti o indebiti vantaggi.

Ma in che rapporti stanno le disposizioni del codice civile con quelle della l.m.? Quali sono i reciproci rapporti ed i rispettivi campi di applicazione in ordine alla utilizzazione come marchio di fatto o alla registrazione come marchio del nome anagrafico (prenome e nome) di altro soggetto? [94]

Ravà ritiene che le leggi in materia di nomi e di segni sono in gran parte sfuggite all’opera di codificazione, intesa come coordinamento sistematico ed incisivo dei testi, atteso che il legislatore sembra ignorare che il nome civile non è un nome scelto, è un nome “dato”, il cui uso come marchio potrà considerarsi una usurpazione [95].

L’impiego del nome altrui come marchio rientra nella ipotesi più ampia di uso del nome altrui per designare “una entità extra-personale” [96]; e l’uso pregiudizievole previsto dall’art. 21 l.m. viene parzialmente a coincidere con la nozione di pregiudizio di cui all’art. 7 c.c. [97]

E’ stato ritenuto che le disposizioni della l.m. si affiancano alla tutela civilistica del nome prevista dall’art. 7 cod. civ. [98]. Altri ritiene che le disposizioni relative alla registrazione dei nomi “si collocano al crocevia fra diritto civile (art.7 ss. c.c.) e le disposizioni sui marchi (2° e 3° comma dell’art. 21 l.m.)” [99]; o che la norma sulla registrazione non entra in conflitto con la tutela del nome di cui all’art. 7 cod. civ. [100], ovvero che la registrazione del nome altrui come marchio deve avvenire nel rispetto del diritto al nome (art. 7 c.c.); e l’uso del nome può essere illecito, in assenza di consenso, quando il brevetto è stato concesso senza “ledere la fama, il credito o il decoro della persona” [101].

La normativa del codice civile ( artt. 7, 8, 9)  si riferisce, in generale, alla ipotesi in cui il titolare del diritto al nome possa risentire “pregiudizio” dall’uso che altri “indebitamente” ne faccia [102].

Le due disposizioni (art. 7 c.c. e 21 l.m.) hanno ambito di applicazione differenti.

L’art. 7 tutela il nome da atti di utilizzazione di terzi illegittimi ed idonei a provocare un danno: tant'è  che è sufficiente la potenzialità del danno e il legislatore non menziona l’uso illecito, abusivo del nome altrui e il pregiudizio causato al titolare del nome  perché possano esperirsi le azioni cautelari e quella di usurpazione.

Nelle ipotesi di utilizzazione indebita del nome di una persona famosa come marchio al fine sfruttare la capacità di attrazione, il pregiudizio che questi subisce è in re ipsa, atteso che si realizza lo sfruttamento del valore evocativo del proprio nome [103].

L’art. 21 l.m. prevede, come regola generale, la possibilità e la liceità della registrazione di nomi di persona diversi da chi la chiede (pur con le riserve sopra esposte) [104]. L’uso è illecito quando si ledono alcune qualità della persona come la fama, la stima, il credito ossia la fiducia , la considerazione o il decoro inteso come l’onore, il prestigio della persona che ha il diritto di portare il nome [105].

Pertanto, salvo tali limitazioni, chi vuole inserire in un marchio un nome altrui non è tenuto a dimostrare di averne diritto.

La giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere diversi il contenuto precettivo e l’ambito di applicazione della disciplina codicistica che tutela il diritto al nome in relazione al pregiudizio, anche eventuale, derivante dall’uso indebito altrui, rispetto alla disciplina speciale dell’art. 21 l.m., che consente l’utilizzazione come marchio di un nome diverso dal proprio, con il solo limite che l’uso non sia tale da ledere l’altrui reputazione. Conseguentemente, per verificare se l’uso di un nome altrui adottato come marchio possa ritenersi – o meno – indebito, deve farsi riferimento esclusivamente alla l.m. e, quindi, con il solo limite che l’uso non comporti la lesione della fama, del credito e del decoro delle persone fisiche [106].

L’art. 21 l.m. va integrato con la disposizione dell’art. 22.2 l.m., che esclude la registrazione del marchio se la domanda è fatta in malafede [107].

Le due disposizioni hanno diverso contenuto e differente ambito di applicazione e sono utilizzabili per la tutela del prenome quando lo stesso ha una autonoma funzione individuante.

Perché un marchio possa evocare un prenome deve trattarsi di un prenome celebre, noto e dotato di carica attrattiva, atteso che la tutela che l’art. 7 c.c. assegna al nome civile opera sia per il prenome che per il cognome, anche autonomamente considerati, quando la funzione di individuazione della persona viene realizzata da uno soltanto degli stessi [108].

Quanto precede vale anche per lo pseudonimo che assolve alla funzione di segno distintivo della persona, se ha acquistato l'importanza del nome (art. 9 c.c.), ed allora godrà della tutela prevista dall'art. 7 [109].

L’uso del nome altrui come marchio sarà indebito se idoneo a ricollegare al titolare del nome fatti per lui disonorevoli: “a causa, ad esempio della composizione del marchio o dell’accostamento irriverente ad un certo genere di prodotti, o della possibilità che al titolare del nome venga ricondotta l’origine del prodotto, o ancora dell’eventualità che tale uso ingeneri nel pubblico la credenza che il titolare abbia concesso a terzi, dietro corrispettivo, l’uso del proprio nome come marchio” [110].

Un precedente risalente riguarda la tutelabilità del prenome Faruk isolatamente considerato, chiesta dall’ex sovrano d’Egitto Farouk Fuad contro una società italiana, che, senza il suo consenso, aveva brevettato ed usato tale nome per un proprio prodotto (surrogato di cioccolata in tavoletta) [111].

La giurisprudenza ha ritenuto applicabile la tutela dell’art. 7 c.c. ad ogni forma di uso del nome altrui e quindi anche al marchio. Sono ammesse l’autonoma tutela di ciascuno dei componenti il nome civile anche isolatamente considerati, purché idonei singolarmente ad identificare una persona, e la simultanea tutela  degli artt. 7 c.c. e 21 l.m., considerando quest’ultima come particolare applicazione della norma generale contenuta nella prima, con una sola differenza inerente al pregiudizio che può essere solo potenziale per il codice civile e deve, invece, sussistere per la legge sui marchi.

Il pregiudizio dall’uso del solo prenome, idoneo a ledere la fama, il credito ed il decoro del titolare, potrà verificarsi quando il prenome stesso è riferibile ad una determinata persona; ed occorre avere riguardo al luogo ed al tempo in cui l’uso è fatto in concreto [112]. L’art. 7 cod. civ. riconosce il diritto al nome nei suoi componenti: il cognome, che designa l’appartenenza alla famiglia, ed il prenome che completa tale designazione nell’ambito familiare. Di regola sono entrambi i componenti che svolgono la funzione di individuazione; tuttavia può avvenire che l’uno o l’altro siano da soli idonei (si pensi al cognome Ferrari, ovvero ai prenomi o pseudonimi Edoardo, Totò, Macario, Mina, Milva, Stanlio, Ollio) [113].

Diversa è la fattispecie in cui il prenome è comune ed è tale da escludere la sua riferibilità univoca ad una determinata persona, tenuto conto del luogo e del tempo in cui si è verificato il fatto.

Nell’ipotesi di lesione del decoro della persona si verifica uno degli impedimenti alla registrazione previsti dall’art. 21 l.m.; conseguentemente, il brevetto del marchio decade (art. 41 l.m.), e la decadenza può essere fatta valere dal titolare del diritto , così come disposto dal cit. art. 41.

Altro precedente, meno datato, di utilizzazione dello pseudonimo famoso è quello che riguarda il principe della risata: Totò [114]. In quella fattispecie una ditta dolciaria utilizzava un marchio, per distinguere i propri cioccolatini, composto da un disegno e da una particolare grafia in modo da formare la parola Totò e da richiamarne l’immagine. Si trattava di un marchio complesso; tuttavia, era univoco nel richiamo, sia nel segno grafico che nell’immagine caricaturale riprodotta, all’artista Totò. Il problema è quello di accertare se detta combinazione (segno grafico più elemento figurativo) permettesse la identificazione con l’artista Totò e quindi operasse un collegamento, un richiamo al personaggio famoso.

In tale ipotesi la notorietà del soggetto è indubbio che porti un beneficio in termini di clientela al produttore del bene. Si realizza uno sfruttamento, a fini commerciali, della celebrità di un soggetto con lesione dei suoi diritti della personalità.

 

   13. Un singolare caso di cronaca indice dei segni dei tempi. -  Nel mese di agosto 2002 i giornali si sono occupati di un singolare fatto di cronaca. In Campania, e più precisamente a Boscotrecase, in provincia di Napoli, un padre, in sede di dichiarazione di nascita, ha attribuito al figlio, il nome Varenne, che, come è noto, è il nome di un cavallo trottatore che ha vinto tutto ed è entrato nella leggenda [115].

La madre, all’oscuro del disegno del marito, venuta a conoscenza del fatto, è montata su tutte le furie e ha dichiarato di volere chiedere il cambiamento del prenome attribuito al figlio a sua insaputa [116].

Il padre giustificò il proprio comportamento e disse che voleva dare a suo figlio un nome vincente, un nome augurale e sinonimo di vittoria: nomen omen, che esprime il concetto del valore augurale dato dal nome e la locuzione viene attribuita alla persona la cui sorte sembra conforme al significato dello stesso.

 



* Il presente scritto è stato realizzato nell’ambito di una più ampia ricerca, in corso, effettuata con fondi erogati dall’Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Economia, sul tema: “Diritti della persona e diritto al nome”.     

** Dipartimento di Diritto dell’Economia e dell’Ambiente, Università degli studi di Palermo.

[1] Così testualmente: PUGLIATTI, La trascrizione, volume I, tomo I, La pubblicità in generale, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da CICU e MESSINEO, Milano, 1957, 167. L’A. porta l’esempio di Isaia LV, 11 e di Geremia XXIII, 29. I testi  citati  riguardano la forza della parola forte come il fuoco e che spacca la roccia.

[2] PUGLIATTI, La Trascrizione, loc. ult. cit.

[3] Anche il nome di Giosuè è frutto di un cambiamento. Quando Mosè inviò gli esploratori nella terra di Canaan (Nm. 13,1-33), li scelse da tutte le tribù per metterle tutte sullo stesso piano, in quanto simbolica presa di possesso della terra. Per la tribù di Efrain l’esploratore scelto è Osea figlio di Nun (Nm. 13,7), e Mosè “diede ad Osea, figlio di Nun, il nome di Giosuè (Nm. 13,16), che significa “Jahvè è salvezza”, ed egli fu successore di Mosè come condottiero degli ebrei nel periodo in cui penetrarono nel paese di Canaan e vi si insediarono.

Davide chiamò il figlio avuto da Betsabea Salomone. “Il Signore amò Salomone e mandò il profeta Natan, che lo chiamò Iadidia (che significa “vezzeggiato da Dio”) per ordine del Signore” (2 Sam. 12,25).

[4] Riportato, sia nei sinottici ( Mt. 16,18; Mc 3,16; Lc 6,14), che nel Vangelo di Giovanni (1,42). Vale la pena  inquadrare l’episodio e riportarlo per il suo effetto suggestivo: uno dei discepoli che seguiva Gesù era Andrea, il fratello di Simon Pietro. Andrea, incontrandosi con il fratello gli annunzia che Gesù è il Messia; e questo basta ad indurre Pietro a seguire Gesù, il quale “fissando lo sguardo su di lui disse tu sei Simone, il figlio di Giovanni, ti chiamerai Cefa (che vuol dire pietra)”. Il nome viene cambiato nel sopranome aramaico di “Kefa” grecizzato in kέφaς che significa “roccia”: il gioco di parole sarebbe questo: tu sei Kephas e su questa Kephas... (Mt. 16,17-19; Gv. 21,15-19).

[5] La cerimonia dell’imposizione del nome, in origine distinta dalla circoncisione, che era un rito di pubertà, ad un certo punto, venne a coincidere con questa:  PUGLIATTI La Trascrizione,  cit., 167.

[6] “lo volevano chiamare Zaccaria con il nome di suo padre. Ma sua madre intervenne dicendo: “no, si chiamerà Giovanni”. Le risposero: “non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”. Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e vi scrisse: “il suo nome è Giovanni”, e tutti ne furono meravigliati” (Lc. 1,59-63).

[7]  “E tu, bambino sarai chiamato profeta dell’Altissimo / perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade” (lc. 1,76 – 77); venne un uomo mandato da Dio / e il suo nome era Giovanni (Gv. 1,6).

[8] Per alcuni riferimenti biblici ringrazio S.E. Vincenzo Manzella, Vescovo di Caltagirone, che mi ha fornito numerose ed utili informazioni.

[9] Ουτις εμοί γ’ ò́νομα˙ Ουτιν δέ με κικλήσκουσι, IX, 365.

[10] “ω φίλοι, Ου̉τίς με κτείνει δόλω% ουδε βίηφιν”, IX, 408.

[11] ως ονομ’ εξαπάτησεν εμòν καὶ μητις αμύμων, IX, 414.

[12] Inf. XXVI, 76-142. Tuttavia Dante aveva l’ardente desiderio di interrogare Ulisse, sulle ultime sue vicende; il gran desiderio di udirlo parlare lo spinge a piegarsi verso quella fiamma: vedi che del desio vêr lei mi piego (69) e Virgilio scongiura l’ombra di Ulisse nascosta dentro la fiamma, di narrare la storia della sua morte e segue quindi il famoso racconto diverso assai dalla tradizione omerica.

La letteratura su Ulisse ed il suo mito è vastissima: da ultimo CITATI, La mente colorata. Ulisse e l’Odissea, Mondadori, Milano, 2002, recensito da BOITANI, l’Occidente narrato da Ulisse, in il Sole 24 ore domenicale, n° 245 dell’08 settembre 2002 p. 31: “è difficile trovare poesia dell’uomo più grande di questa, ma l’Odissea non ha fine.” Scrive DAL CORNO, Un oceano chiamato Omero, ibidem, n° 142 del 25 maggio 2003: Odisseo non è soltanto l’eroe di  una saga che risale ai primordi del mondo greco, assunto il nome di Ulisse, è divenuto il protagonista di un’immensa posterità, che attraverso Orazio, Dante, Pascoli, Joyce e quanti altri rimasero stregati dalla meraviglia del suo destino, “si estende fino ai nostri giorni in uno straordinario caleidoscopio della fantasia narrativa”. Il più recente commento “globale” ai poemi omerici è di ZAMBARBIERI, L’Odissea  com’è. Lettura critica, Led.- Edizioni Universitaria di lettere economia diritto, Milano 2003.

[13]  Per i riferimenti su Shakespeare ringrazio la professoressa Paola Pugliatti.

[14] Lasciamo parlare MANZONI: “quanti figlioli avesse [il Principe] la storia non lo dice espressamente, fa solamente intendere che aveva destinato al chiostro tutti i cadetti dell’uno e dell’altro sesso… la nostra infelice era ancor nascosta nel ventre della madre che la sua condizione era già irrevocabilmente stabilita. Rimaneva soltanto di decidersi se sarebbe un monaco o una monaca; decisione per la quale faceva bisogno, non il suo consenso, ma la sua presenza” (Cap. IX).

[15] L’episodio di Gertrude rientra per TORRENTE, Manuale di Diritto Privato IV, Milano, 1960, 160, nella fattispecie della violenza psichica (vis compulsiva) perché la vittima della violenza sceglie tra il male minacciato e la dichiarazione che le si intima di fare (c.d. eteronomia). Ciò che è rilevante, non è la violenza, quanto il timore (metus) (art. 1435 cc.) che essa provoca ed in quanto lo generi nella persona oggetto della minaccia.

 Sulla monacazione di Gertrude ed il timore reverenziale: M. ZIINO, Il Diritto Privato nei “PROMESSI SPOSI”, Rassegna Nazionale, fasc. I Firenze, 1916, dove a pagina 29 così si legge: “ Né mette conto spender troppe parole sulla natura della causa che tolse a Gertrude la libertà del volere. Fu sostenuto che non il semplice timore reverenziale, né d’altra parte la violenza costrinse Gertrude a farsi monaca, ma un quid più indeterminato per cui mancò la libertà del consenso; ma noi non crediamo erroneo parlare di metus reverentialis, facendo notare che qui, come in tante altre cose, non si possono fare tagli netti. Il metus reverentialis, pur rimanendo tale, può assumere l’importanza e la gravità della vis propriamente detta e produrre lo stesso effetto di questa, l’inefficacia del consenso…, onde nasce il timore che, non tenendone conto, si abbia a sperimentare la grave indignazione permanente del padre o duri trattamenti etc. L’apparente perplessità dei numerosi passi manzoniani, che all’argomento possono riferirsi, conferma la nostra osservazione circa l’impossibilità di distinzioni nette e rigorose: ora, infatti, si accenna chiaramente a violenza, minacce e terrore; ora si esclude che il padre e la famiglia di Gertrude usassero violenza vera e propria”.

In generale: SANTORO PASSARELLI, Dottrine Generali del Diritto Civile, Napoli, 1959, VI, 164: la violenza morale agisce sulla volontà negoziale determinandola in un senso, in cui non si determinerebbe, senza la violenza; D’AMICO, voce Violenza (Dir. Priv.), in Enc. del Dir.; XLVI, Milano, 1953, 854 e s. ed in part. n. 40; CRISCUOLI, Timore reverenziale approfittamento, in Riv.Trim. dir. proc. civ., 1988, 374 ss. ritiene che anche una violenza priva dei caratteri richiesti dalla legge, ed in particolare della gravità del male, se accompagnata da timore reverenziale, è sufficiente a rendere annullabile il negozio.

[16] Cap. X.

[17] Vò tentar la mia sorte,  ed ho pensato, /Già che siam verso sera, / Per aguzzare meglio l’appetito, / Di presentarmi a Lei con tuo vestito.(atto II, scena I).

[18] A proposito di nome celato, nelle lettere di Mozart a Costanze ritorna sempre la componente ignota, una figura, un uomo: N.N. enigmatico, ma presente. Questo misterioso N.N. non è sempre lo stesso, e appare Süssumayr proprio nell’ultimissimo documento epistolare di Mozart il poscritto della lettera a Costanze del 14 ottobre 1791: “… con N.N. fa quel che vuoi. Adieu…”. Ultima frase scritta da Mozart; HILDESHEIMER, Mozart, BUR Biografie, 3^ ediz.,  Milano, 1990, 362; “N.N. “Nomen Nescio” oppure “notetur nomen” o comunque si voglia intendere (originariamente forse numerus  negidius): troviamo questa abbreviazione sparsa ovunque nelle lettere che Mozart scrisse negli ultimi anni a Costanze. Oltre a Süssmayr, personaggio principale, vi si possono riconoscere almeno due altri uomini che si trovavano a Baden, inoltre un creditore, una persona sospetta, conoscente casuale. Talvolta troviamo due N.N. nella stessa riga, l’uno diverso dall’altro, come si ricava chiaramente dal contesto. Non sappiamo… chi potesse essere colui che provava “gusto” per Costanze. “N.N.: tu sai chi intendo: è una canaglia…” (2 giugno 1790). Chi può essere? “con N.N., secondo me, ti comporti troppo liberamente… così come N.N. quando era ancora a Baden- renditi conto che N.N. non si comporta con nessuna donna in maniera così grossolana come con te...” (agosto 1789). Chi sono questi due? E Costanze riusciva a distinguerli, sapeva subito a chi ci si riferiva? ;“HILDESHEIMER, Mozart, cit., 363.

In generale sull’epistolario tra Jhoannes Crysostomus Wolfgangus Theophilus, (lat. Amadeus), per i registri parrocchiali di Salisburgo, Mozart e suo padre Leopold: SCHIEDERMAIR, Mozart, Garzanti s.d., ma 1942, 150 e s, con a pag. 240 l’autografo di una lettera di Mozart al padre del 12 gennaio 1782; DAL FABBRO, Mozart, La vita. Scritti e appunti, 1945/1975, Feltrinelli, 28: “Leopoldo si decide ad una lunghissima lettera, tra il sermone e il memoriale, in cui la voce nobile e patetica del “vecchio genitor”, da baritono più che da violinista, ha la stessa vibrazione pomposa e un po’ bolza delle romanze melodrammatiche di Germont. Nessuna mozione d’affetto è risparmiata, nessun argomento logico è tralasciato che valga a distogliere il figlio dagli insani propositi e a farlo proseguire per Parigi: “… al punto in cui sei, non dipende che dal tuo buon senso diventare un musicista qualunque, in breve dimenticato, o un celebre maestro di cappella di cui la posterità abbia a ricordarsi. Bisogna scegliere tra il lasciarti infinocchiare da alcune donne e vegetar sulla paglia e il viver lieto e soddisfatto pieno di gloria, e lasciar questo mondo dopo aver prodigato onore e ausilio ai tuoi e avere ottenuto il rispetto da tutti… mio caro ragazzo come puoi lasciarti prendere da lusinghe del genere? Le tue lettere hanno un andamento di romanzo d’appendice” e così continua: “da Parigi, il nome e la fama di un uomo di genio si diffondono nel mondo intero. Là, i più grandi signori rispettano gli uomini della tua sorte; là scoprirai uno stile raffinato che ti farà rimettere a loro posto i nostri cortigiani e le nostre ragazze di Germania”. Divertente e viva è l’immagine di Da Ponte che lo stesso librettista di Mozart dà di se stesso nelle MEMORIE, Bur, Milano 1960, 122.

Per completare questa digressione, forse fuori tema, vale la pena di riportare quanto scrive LORENZO DA PONTE, nelle sue  MEMORIE cit., 107, in questo libro noioso per molti versi, contrariamente a quanto ritiene DAL FABBRO che lo definisce: “libro quanto mai piacevole” (op. cit., 77). Tornando a Da Ponte così egli parla di Mozart : “non andò guari, che vari compositori ricorsero a me per libretti, ma non ve n’eran in Vienna che due i quali meritassero la mia stima. Martini, il compositori allor favorito di Giuseppe e Volfango Mozzart, cui in quel medesimo tempo ebbi occasione di conoscere in casa del barone Vetzlar, suo grande ammiratore ed amico, e il quale, se bene dotato di talenti superiori forse a quelli d’alcun altro compositore del mondo passato, presente o futuro, non aveva mai potuto, in grazia delle cabale de’ suoi nemici, esercitare il divino suo genio in Vienna, e rimanea sconosciuto ed oscuro, a guisa di gemma preziosa, che, sepolta nelle viscere della terra, nasconde il pregio brillante del suo splendore”.

Per un accurato scandaglio dell’epistolario mozartiano: PAUMGARTNER, Mozart, Einaudi, Torino, 1997, in particolare a pag. 495 è riprodotta una lettera in italiano di Mozart ad un ignoto, forse proprio Da Ponte del 7 settembre 1991, nella quale così si legge profeticamente: “Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi, ma sarà quel che piacerà alla provvidenza”, ed al Maestro rimanevano ancora soltanto novanta giorni, nei quali compose quel che ci ha lasciato del Requiem (K 626), la Piccola cantata massonica (K 623), Die Zauberflöte (K 620), rappresentato il 30 settembre 1791, ed il 6 settembre 1791 il giorno prima della lettera era stata rappresentata la Clemenza di Tito.  In generale T DE WIZEWA e G. DE SAINT-FOIX, W.A. MOZART, II, Le Jeune maître, Paris, s.d.,  ma 1936, passim.

[19] Tre enigmi mi hai proposto! Tre ne sciolsi / Uno soltanto a te ne proporrò: / il mio nome non sai! Dimmi il mio nome / prima dell’alba, e all’alba io morirò. (Atto secondo, quadro secondo).

[20] Fu un re senza carattere, che giustificava l’epigramma che correva a quel tempo: “Elisabetta era una femmina ed era un re, Giacomo è un maschio ed è una regina”; DAVIES, Bibliography of British History Stuart Period, Oxford, 1928.

[21] Peraltro Maupassant è un esempio di nomen omen, atteso che vuol dire Mauvais Passant, ossia il Mal Passante “in fondo alle cui strade si trovavano la malattia, la pazzia e la morte relativamente precoce, a 43 anni, nel 1893” GRAMIGNA, Presentazione a Bel-Ami, Rcs Editori S.p.A. Milano, 2002, 7.

[22] Giova riportare quanto incisivamente scrive NICOLÒ, voce Codice Civile, in Enc. del dir. vol. VII, Milano 1960, 242,: “Del resto, la fedeltà del codice del 1865 al modello napoleonico, visibile sia nel disegno dell’opera, sia nel contenuto normativo dei singoli istituti, era stata, nel pensiero dei compilatori, il risultato di una consapevole scelta. A determinarla aveva contribuito non solo la coscienza che il codice Napoleone aveva tratto la sua fondamentale ispirazione dal diritto romano, che era appunto patrimonio comune della civiltà occidentale, ma altresì la constatazione della intensa vitalità del codice Napoleone, sia per le idee che in esso avevano trovato la loro organizzazione giuridica e che erano state la conquista duratura della rivoluzione francese, sia per la sua corrispondenza alle condizioni della società italiana, caratterizzata, sia pure con differenze notevoli tra regioni, dall’ascesa della borghesia e dal nuovo atteggiamento dei rapporti fra lo Stato e il cittadino, tra il principio di autorità e il principio di libertà”.

[23] Sul punto, altro insigne giurista così testualmente afferma: “Dalla interpretazione, che i Glossatori e i giuristi italiani ad essi posteriori (Commentatori) compirono della Compilazione giustinianea, e quindi su base prettamente romana, sorge il diritto comune: il quale si viene a grado a grado estendendo per tutta l’Europa, sino  a tanto che, nel secolo XVI, evento memorabile, è accolto, come legge vigente, in Germania. Dal diritto comune germogliano i Codici moderni: sia i meno recenti (Diritto Territoriale prussiano del 1794, Codice civile napoleonico del 1804, Codice austriaco del 1811), sia i più recenti e progrediti, quali il Codice civile per l’Impero Tedesco del 1900, il Codice  spagnuolo dell’89, il giapponese del ’98 ed, ultimo, lo svizzero del ‘907, che fu nel 1911 completato da un codice per le obbligazioni.

Il nostro codice del ’65 fu modellato sul Codice Napoleonico e si riattacca, quindi, attraverso il diritto comune, al diritto romano. Osservazioni analoghe valgono anche per il vigente Codice civile: sicché una conoscenza scientifica, e perciò necessariamente anche storica, delle norme e degli istituti, che vi sono accolti, si può soltanto attingere allo studio del diritto romano”. CHIAZZESE , Introduzione allo studio del diritto romano, Palermo s.d., ma 1961, 36 – 37; in generale ERMINI, Corso di diritto comune. I; Genesi ed evoluzione storica. Elementi costitutivi – Fonti, 2^ ed; Milano 1946.

[24] NICOLÒ, Esperienza scientifica. Diritto civile appunti per la relazione, in Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia, Milano 1981, 4.

[25] NICOLO’, Istituzioni di diritto privato, Milano , 1962, 66 n. 35.

[26] BARBERO, Sistema del diritto privato italiano, VI, vol. I, Torino, s.d., ma 1962, 13 dove così testualmente si legge:”il diritto ha le sue radici nella natura dell’uomo  e nella sua razionalità. Tutto il “diritto” anche quello “positivo”, se vuole essere “diritto”.  Non è “diritto” quello che, repugnando alla natura dell’uomo, venisse comunque proposto e imposto con questo nome”.

Diritto naturale inteso come diritto che ha per suo fondamento la natura e che quindi  proprio per tale fondamento  si distingue dal diritto positivo o jus in civitate positum, la cui fonte di produzione è invece empiricamente e storicamente individualizzata: il legislatore, il giudice, la comunità, secondo che si abbia produzione legislativa, giudiziaria o consuetudinaria del diritto: COTTA, voce Diritto naturale, in Enc. del dir., vol. XII, Milano, 1964, 647.

[27] ORESTANO, Diritti soggettivi e diritti senza soggettoLinee di una vicenda concettuale, in Jus, 1960, 149 ss.: “ ogni diritto esiste a causa della libertà morale insita in ciascun uomo. Perciò il concetto primitivo della persona, ossia del soggetto di diritti deve coincidere col concetto dell’uomo, e questa primitiva identità dei due concetti si può esprimere con la formula seguente: ogni singolo uomo, e solo l’uomo singolo è capace di diritto” (op. cit. 152). La difficoltà di porre la distinzione fra diritto e morale ha fatto dire a Jhering che essa costituisce il capo delle tempeste ed a Croce, il capo dei  naufraghi, P. CORSO, Preliminari ad uno studio sulle sanzioni, in Studi in memoria di Ludovico Barassi, Milano, s.d., ma 1966, 197, nt. 1.

[28] GIORGIANNI, Il diritto privato e i suoi attuali confini, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1961, 1, 399 ss. che attribuisce un significato “costituzionale” ai codici civili, nel senso che essi non si limitano a disciplinare semplici congegni tecnici più o meno perfetti o completi, ma raccolgono e fissano la filosofia della rivoluzione borghese. NICOLO’, voce Diritto civile, in Enc. del dir., vol. XII, Milano, 1964, 904 e ss. : sul problema dei principi del diritto civile e la costituzione l’A. ritiene che alcuni dei principi costituzionali, se anche dettati per la finalità di regolare la posizione dei cittadini nei confronti dello Stato, come il principio secondo il quale sono riconosciuti e garantiti i diritti inviolabili dell’uomo, al quale correlativamente si richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, o, come il principio di eguaglianza, hanno tale forza espansiva da incidere direttamente nell’ambito dei rapporti privati e da assumere la funzione di direttive fondamentali per la elaborazione e l’attuazione degli istituti civilistici (op. cit. 909); questa inserzione nel quadro delle garanzie costituzionali dei principi propri del diritto civile risponde alle nuove forme di vita organizzata e alle esigenze di una società che va acquistando un nuovo assetto.

[29] Fenomeno messo in luce da IRTI  “giurista colto ed arioso”, così definito da FALZEA nell’Atto negoziale nel sistema dei comportamenti giuridici, in Riv. dir. civ., 1996, I, 3. IRTI affronta la problematica in particolare nel saggio: L’età della decodificazione, Milano, s.d. ma 1979 (già prima in Diritto e società (1978, 613 ss.);ampiamente recensito da MODUGNO, Decodificazione, pluralità di micro-sistemi, uguaglianza (a proposito di un libro di Natalino Irti), in Giust. Civ. , 1980, II, 289 : il processo di decodificazione  iniziato dopo la prima guerra mondiale acquista “una giustificazione ed una significazione: non è più segno di disfacimento e di crisi, ma di ricostruzione e di programma”. NICOLO’ voce Diritto civile, cit. a proposito della decodificazione parla del “malinconico tramonto di un’epoca” (p. 909).

Ma riportare il “diritto” alla realtà naturale, ripudiando il  “positivismo”, che lo richiude nel codice, reso a un tempo culla e tomba di questa gran legge che ci sovrasta, senza un anelito agli spazi dorati dal sole, non vuol dire, d’altro canto, imparentarsi col “giusnaturalismo”; come ripudiare il “positivismo” non vuol dire negare il “diritto positivo”. Tanto poco c’è corrispondenza fra “diritto naturale” e “giusnaturalismo” , quanto poca ce n’è fra “diritto positivo” e “positivismo giuridico”, così testualmente BARBERO, Sistema del diritto privato italiano, cit. 23.

Per i profili storici: PETRONIO, La lotta per la codificazione, Torino 2002; l'A. prende in esame il problema: dalle codificazioni ai codici e dai codici ai concetti di codice.

[30] I codici civili assumono una diversa funzione. Essi rappresentano non più il diritto esclusivo ed unitario dei rapporti privati, ma il diritto comune, cioè la disciplina di fattispecie più ampie e generali”, come scrive nel punto testualmente NICOLO; Esperienza scientifica, cit.11, :” Non sembra siano emerse nuove problematiche generali se non quella della decodificazione, che però è un falso problema, se è vero che tale fenomeno l’aveva già registrato Locrè e, se mai, che esso si risolve nell’assegnare al giurista il compito di ricondurre ad unità il sistema, che non è certo una novità” (pag. 5).

[31] L’età della decodificazione, cit., 17; per  SCADUTO Sulla tecnica giuridica, in Riv. dir. civ., 1927, 239 (ristampato in SCADUTO, Diritto civile, a cura di A. PALAZZO, Città della Pieve (Perugia), 2002, vol. II., 691 e ss.): “non è possibile fare a meno della tecnica giuridica, giacché essa costituisce la stessa scienza del diritto” … “e che rientra nella tecnica legislativa la formulazione della norma nei termini che le sono propri” (op. cit. 241 nt. 3) … le finzioni interpretative invece mancano di giustificazione, quando siano basate su motivi di opportunità perché l’interprete  non può compiere quelle valutazioni di opportunità che rientrano nei poteri del legislatore (op. loc. ult. cit.).

Sul punto della tecnica legislativa alle volte andata a ramengo: PUGLIATTI, Aspetti nuovissimi di tecnica legislativa, in Studi in onore di Francesco Santoro-Passarelli, Napoli 1972, vol. III, 862 ss. Secondo l’A. la L. 5 giugno 1967, n. 431 (che introduceva con novella la adozione speciale) costituisce un ricco campionario dello spregio per la terminologia tecnica. In particolare la legge parla di uno “stato di adottabilità”, con un espressione barocca, nella quale è inserita la parolastato”, che costituisce uno dei termini più compromessi e discussi del diritto delle persone e del diritto di famiglia, con riflessi anche nel campo del diritto internazionale privato e del diritto penale” L’A. prende in esame anche altre leggi: la L. 31 dicembre 1962 n° 1860, sull’impiego pacifico della energia nucleare ed il  D.P.R. 13 febbraio 1964 n° 165 sulla sicurezza degli impianti e la protezione sanitaria dei lavoratore e delle popolazioni contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti dall’impiego pacifico dell’energia nucleare (cfr. più avanti nt. 41).

 

[32] FALZEA. Dalla scuola dell’apprendimento alla scuola dell’insegnamento, in Scritti in onore dell’Istituto tecnico commerciale “Antonio M. Jaci” di Messina nel CXX anniversario della fondazione (1862 – 1982)” Tomo I. Messina 1982, 193.

[33] IRTI, L’età della codificazione, cit. 25.

[34] “Dovunque è un metodo, un procedimento, ivi è una tecnica” ed ancora la tecnica giuridica può distinguersi anzitutto in tecnica legislativa e tecnica interpretativa: la prima è relativa ai regolamenti dei bisogni della vita sociale, la seconda abbraccia tutti i mezzi di interpretazione ed applicazione del diritto”: SCADUTO , Sulla tecnica giuridica, cit. 230 e s.  Riv. dir. civ., 1927; BIONDI Scienza giuridica e linguaggio romano in Jus, 1953, 13 ss. Per FALZEA: il criterio fondamentale sta nell’attenzione che l’interprete deve porre alla duplice componente di ogni fatto normativo:la componente formale, costituita dall’aspetto esteriore con il quale si presenta all’osservazione dell’interprete il fatto normativo; e la componente sostanziale “costituita dalla situazione di fatto che rappresenta il referente necessario di ogni regola giuridica. Dalla scuola dell’apprendimento. cit., 194.

[35] PUGLIATTI ritiene che è vano polemizzare sulle formule "interpretazione storico-evolutiva", "interpretazione teleologica", "uso alternativo" perché il diritto e la considerazione dei suoi valori vanno considerati nel complesso del loro ciclo vitale e con i requisiti che deve presentare l'attività di tutti gli operatori. L'A. così continua: " piuttosto è da tenere presente che le dette formule si prestano tutte, senza eccezione, ad essere polarizzate in opposte direzioni, secondo il modo con cui vengono adoperate e quindi sono strumenti ambigui e pericolosi se asserviti a questa o a quella tendenza particolare o addirittura personale", Il diritto ieri, oggi,  domani, in QQQuaderni per la didattica e la ricerca n° 9, Milano 1993, 19.

[36]  Presentazione, in Scritti in onore (rectius in memoria)  di Pugliatti, vol. I, t.1, Diritto civile, Milano 1978 VIII; “il giurista non può perciò dimenticare, se vuole fare veramente opera di scienza e non vuole fare il giornalista o il politologo, che egli ha dati limitati e che la sua attività è condizionata al rispetto della volontà  che si esprime attraverso la norma”: così testualmente NICOLO’, citato da FALZEA, Dalla scuola dell’apprendimento, cit.196. A proposito della proprietà: il diritto dei diritti, e delle spinte sociali ed economiche dirette ad alterarne ed a modificarne la natura giuridica, SANTORO PASSARELLI scrive che non si potrà arrivare alla trasformazione della proprietà da diritto soggettivo a funzione sociale – i due termini sono incompatibili come aveva avvertito Pugliatti – senza un mutamento dell’attuale assetto costituzionale, L’opera di Salvatore Pugliatti, La proprietà, in Riv. dir. civ. 1978 I, 575. “Chi non ricorda, ad es., la qualità attribuita al diritto di proprietà di essere elastico? La proprietà appare come un corpo che nel suo stato naturale esplica tutte le sue facoltà. I singoli diritti reali, invece, comprimono questo corpo senza alterarlo”: SCADUTO Sulla tecnica legislativa, cit. 243.

[37] PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Università degli Studi di Camerino Scuola di perfezionamento in diritto civile, JOVENE s.d. 257 e ss., in particolare sull’intuitus personae e la rilevanza della persona: GALASSO, La rilevanza della persona nei rapporti privati, Napoli 1974.

[38] Significativi e incisivi sono gli studi  di RESCIGNO, Persona e comunità, Bologna, 1966, ID., Capacità giuridica, in Nss. D.I.,  II, 1958, 874 ss., I.D., Situazione e status nell’esperienza del diritto privato, in  Attualità e attuazione della costituzione, Bari, 1979, 226 ss.; ed ancora BESSONE, FERRANDO, voce Persona Fisica (diritto priv.), in Enc. del dir., vol. XXXIII, Milano, 1983, 193 e ss. in part, 205 e ss. letteratura ivi cit.

[39] Per TOMMASINI, i diritti all’immagine, al nome, alla riservatezza, all’onore, definiscono “aspetti irrelati ; essi sono riconosciuti al soggetto in via preventiva e non con riferimento ad un singolo atto o effetto giuridico.  Il diritto alla identità è la posizione relativa del soggetto nella sua proiezione nel sociale, rispetto al complesso dei valori espressi e raffigurati nell’àmbito spaziale e temporale in cui si va sviluppando la sua personalità”: Identità personale tra immagine e onore: autonomia del valore ed utilità dello schema, in Rass. di. dir. civ.; 1985, 98.

[40]  I contributi sono stati assai numerosi. A titolo meramente indicativo: TOMMASINI, L’Identità dei soggetti tra apparenza  e realtà: aspetti di una ulteriore ipotesi di tutela della persona, in, Studi in memoria di L. Campagna, 1, Milano 1982, 607 ss.

Correttamente si è cercato di differenziare il concetto di identità personale rispetto alla immagine ed al nome: BAVETTA, Identità (Diritto alla), in Enc. del dir., XIX, Milano, 1970, 995 ss.

Per una disamina della problematica relativa al diritto al nome nel quadro della tutela della personalità ed in particolare sui rapporti fra il diritto al nome e gli altri diritti della personalità coma la identità personale: MACIOCE, Profili del diritto al nome civile e commerciale, Padova 1984, 46 ss.

Sul fondamento del diritto al nome: DOGLIOTTI, Le persone fisiche , in Trattato di diritto civile, diretto da RESCIGNO, Persone e famiglia, 2 t.1 1982, 107 e ss.

[41] E’ noto che omnis definitio in iure civili periculosa est: parum est enim, ut non subverti posset (D. 50,17, 202 – JAVOLENUS. 11 epist), testo definito incisivo ed oscuro insieme, malgrado la sua larghissima notorietà o forse, addirittura, a causa di essa, da ALBANESE, Definitio periculosa: un singolare caso di  duplex interpretatio, in Scritti in onore di Gioacchino Scaduto, vol. III, Padova 1970, 301.

Osserva PUGLIATTI, Spunti metodologici, in Grammatica e diritto, Milano, 1978, 235, n. 34, che le fonti romane ci hanno tramandato la regula di JAVOLENUS, ma il Digesto contiene un intero titolo (50, 16) che reca la rubrica: De verborum significatione, costituita da 246 frammenti, molti piuttosto estesi, “contenenti definizioni di parole ed espressioni assai varie”. Per l’A. non si può contestare l’utilità delle definizioni giuridiche, e la scienza giuridica non può farne a meno: “in un certo senso, anzi si dovrebbe dire che essa tende, come ogni scienza a formulare definizioni, le quali poi si risolvono in descrizioni sintetiche di concetti a cui corrispondono dei nomi; o se si vuole nella determinazione rigorosa del significato di termini tecnici. E’questa la meta di ogni sistema e la condizione di ogni discorso scientifico, op. cit., 235.

PUGLIATTI, Aspetti nuovissimi di tecnica legislativa, cit. 867: nel prendere in esame la legge 31 dicembre 1962, 1860, sull’impiego pacifico dell’energia nucleare, ritiene che detta legge contiene un “preludio” assai caratteristico: l’intero Capo I , consistente peraltro in un solo articolo, è costituito, come annuncia la sua rubrica, da “definizioni”. L’A. rileva ancora che di fronte a questo semplice annuncio chi ha pratica delle leggi e delle loro applicazioni, non può fare a meno di allarmarsi ricordando non solo l’ammonimento di JAVOLENUS sulla pericolosità della definizione, ma soprattutto le discussioni intorno alla legittimità e alla opportunità delle definizioni dei testi legislativi in generale, e quelle che continuamente si accendono in relazione alle singole definizioni legislative.

In generale sulla problematica della entificazione dei concetti giuridici cfr. le attualissime considerazioni di ORESTANO, voce Azione in generale, storia del problema, in Enc. del dir., vol. IV, Milano 1959, 785 ed in part. 811; ID, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto – linee di una vicenda concettuale, Jus, 1960, 149 ss. ed in particolare 190 ss.; CALAMANDREI, La relatività del concetto di azione, in  Studi sul processo civile V, Padova, 1947, 102; ed ancora, in generale, PUGLIATTI,  La giurisprudenza come scienza pratica, in  Riv. it. Scienze giur. , 1950, 76, ristampato in Grammatica e diritto, Milano 1978, 101 ss. rileva come quella giuridica non è solo “una logica legata alla storia”, ma  pure soltanto una delle “logiche” possibili. L’A. definisce la scienza giuridica come “un sistema aperto”: PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Riv. It scienze giur., 1948, 182, sul concetto in maniera specifica cfr. PARESCE, Il metodo e la teoria: Salvatore Pugliatti tra la logica giuridica e lo storicismo, in Riv., dir, civ. 1978, 541 e ss. e specificatamente 549, ID. Presentazione, in Grammatica e diritto, cit., V e ss.

 

[42] Così, testualmente, BARCELLONA, voce Famiglia, in Enc. del dir., 16, Milano, 1967, 780; CAMPAGNA, Famiglia legittima e famiglia adottiva, Milano 1966, 51  ss.;  in ordine alla rivoluzione subita dal concetto di famiglia sul terreno sociologico e su quello giuridico ed alla molteplicità di significati che la nozione può assumere in relazione al punto di vista che viene scelto di volta in volta per la indagine: BARCELLONA op. cit., 781 e ss. In particolare sulla concezione cattolica e le concezioni laiche, e per un excursus del modello di famiglia dal Code Napoléon al modello del codice italiano del 1942, e dalla Costituzione, alla riforma del diritto di famiglia: BESSONE, ALPA, D’ANGELO, FERRANDO, La famiglia nel nuovo diritto, Dai principi della  Costituzione alla riforma del codice civile, BOLOGNA, 1977, 7 e ss.; BESSONE, ROPPO, Il diritto di famiglia evoluzione storica e principi costituzionali, Lineamenti della riforma, Torino s.d., ma 1977, che, partendo dalla famiglia del codice napoleonico, esamina l’esperienza italiana nello Stato liberale e nel regime fascista per analizzare la riforma del diritto di famiglia. In particolare, sulla famiglia nella Costituzione: CATTANEO, Famiglia e matrimonio, in Il diritto di famiglia, III Filiazione e adozione, in Trattato diretto da BONILINI e CATTANEO, Torino s.d. ma 1997, 16 ss.

La bibliografica è amplissima; da ultimo: A. SCALISI,  La famiglia nella cultura del nostro tempo, in Riv. dir. fam., 2002, 701 e ss. ed ivi confronta la letteratura più aggiornata. L’A. conclude affermando che oggi la famiglia non ha bisogno di più diritto, di più leggi. “Il rapporto tra diritto e famiglia non deve essere sottovalutato, ma neppure sopravalutato, perché, se il diritto ha una funzione regolatrice e in senso lato pedagogico, è pur vero che la famiglia vive una sua autonoma dimensione, tanto da poter dire che quando nella famiglia entra il diritto, significa che è finito il “tempo felice”, quasi che il diritto nella famiglia segna il tempo della miseria” (op. cit., 723).

Sui rapporti personali nella famiglia e la loro evoluzione: FERRANDO, Il matrimonio, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU, MESSINEO, MENGONI, V, t.1. Milano 2002, 36 e ss.

[43] PUGLIATTI, La pubblicità nel nuovo diritto di famiglia, estratto da: “In jure praesentia, n. 1, Vibo Valentia, 1976, 72.

44 Da recente la Cassazione ha statuito che, nel ripartire la pensione di reversibilità, il giudice deve tener conto anche della convivenza, atteso che è vero che l’art. 9 della L. 898 del 1970 prevede che nella ripartizione della pensione di reversibilità occorre considerare la durata del matrimonio, tuttavia tale criterio non si pone come unico ed esclusivo parametro al quale conformarsi automaticamente e in base a un mero calcolo matematico; ed ancora che l’esistenza del periodo di convivenza prematrimoniale potrà essere considerata quale elemento da apprezzare per una compiuta valutazione delle situazioni  (19 febbraio 2003 n.2471, in Guida al diritto, 2003, n.14, 69 con nota di GALLUZZO ,Il parametro legato alla durata dei matrimoni non deve essere considerato l’unico possibile, 72;  MANASSERO, Nuovi spazi di tutela per i conviventi, in Giur. merito, 2003, 1327, che auspica un intervento del legislatore per la regolamentazione e la tutela delle coppie di fatto, atteso che, allo stato, per i conviventi vale l'apologo di Musil, secondo cui nella città di Cacania di fronte alla legge tutti i cittadini sono uguali, ma non tutti sono cittadini (pag. 1343).

 

[45] PUGLIATTI, La pubblicità nel nuovo diritto di famiglia, cit., 75.

[46] STEFANINI, v. Persona, in Enc. Fil., vol. IV, Firenze, 1967, 1504  e ss.; ID, Personalismo sociale, Roma 1952, 32.

Il più probabile significato originario di persona  fu quello di maschera teatrale, forse di derivazione etrusca, anche se incerta; e il rapporto potrebbe essere stato inverso o più complesso: ALBANESE, voce Persona,  in Enc. del dir., vol. XXXIII, Milano 1983, 170. In età classica il termine persona, nel senso di essere umano venne usato con valore tecnico dai giuristi romani, mentre in ambito giuridico in epoche più antiche si trova con lo stesso senso homo, anche se il termine assunse il significato di persona in condizione servile. “Nessuna tendenza analoga, si rileva per persona, che, al contrario, e termine che si sviluppa verso una maggiore astrattezza”: ALBANESE, op. e loc. ult. cit.

[47] DOGLIOTTI, Le persone fisiche , cit.: il codice civile del 1865 non regolava in alcun modo la tutela del nome; si tratta della esigenza di tutela della personalità, diritto che trova esplicito riferimento anche nella “Dichiarazione dei diritti del fanciullo”, dell’O.N.U., del 20 novembre 1959 (op. cit. 109).

Per MACIOCE, Tutela della persona e identità personale, Padova,1984, la norma di cui all’art. 2 cost., consente di accordare garanzia costituzionale ai valori della personalità anche non espressamente menzionati nel testo costituzionale purché trovino il loro fondamento su norme di diritto positivo e quindi espressamente tutelati nell’ordinamento. “Diversamente opinando il riferimento di cui all’art. 2 cost., si risolverebbe in un’indicazione estremamente generica dal contenuto indeterminato e impreciso, legittimando soluzioni non prive di ingiustificate conseguenze”  (op. loc. cit.) .

 

[48] NUZZO, voce Nome (dir. vig.), in Enc. del dir., XXVIII, Milano 1978. 304 “nel nostro ordinamento, la persona umana è un valore unitario,  in cui interessi, se pure possono essere isolati concettualmente,  conservano tuttavia, necessariamente, un comune punto di riferimento oggettivo e sono sostanzialmente solidali tra loro” (op. cit., 307).

[49] La Corte Costituzionale ha statuito, in motivazione, che  “ tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana, l’art. 2 cost. riconosce e garantisce anche il diritto alla identità personale” (sent. 3 febbraio 1994 n. 13, in Riv.dir. fam., 1994, 526, ed in Giust. civ., s.m. con nota di BONAMORE, Il diritto al nome, patrimonio irretrattabile della persona umana e segno distintivo della personalità.

In generale A. PIRAINO LETO, Il diritto ad essere se stessi, in Riv. dir. fam., 1990, 601; NUZZO, voce Nome (dir. vig.), cit., 307.

[50] L’aforisma di HERMOGENIANUS (libro primo iuris epitomarum), è contenuto nel Digesto di Giustiniano, (I, 5,2), e suona così: “Cum igitur hominum causa omne ius constitutum sit” rileva il carattere squisitamente umano del diritto ed indica un nesso inscindibile tra la vita dell’uomo e le regole giuridiche”, TOMMASINI, Soggetti e ordinamento giuridico, Segmenti del corso di diritto civile, Torino , 2000, XI.

La frase del giurista romano è stata più volte ricordata da Giovanni Paolo II, anche nel discorso avanti il Parlamento italiano, ed è stata ripetuta il 17 maggio 2003 in occasione del conferimento da parte dell'Università "La Sapienza" della laurea honoris causa in Giurisprudenza: la centralità della persona umana nel diritto, afferma il Pontefice, è espressa efficacemente dall'aforisma classico: hominum causa omne ius constitutum est, "ciò equivale a dire che il diritto è tale se è nella misura in cui pone a suo fondamento l'uomo nella sua verità". "E' una frase che nel corso della storia ha assunto diversi significati e si è posta alla base di differenti visioni giusnaturalistiche. Essa, in ogni caso ci ricorda costantemente che l'uomo è anche per il diritto un fine, non un mezzo, che esso, quindi, non può essere considerato come un individuo della specie, per l'unicità ed irripetibilità del suo essere": ANGELICI, Allocuzione, in occasione della laurea honoris causa  a Sua Santità Giovanni Paolo II, Roma, 2003, 16 dell'estratto; concetto ribadito da RESCIGNO, Laudatio, ibidem, 26, che rivendica la unicità ed irripetibilità di ciascun individuo, "al di là di ogni risorsa tecnica e di qualsiasi scoperta scientifica che renda più agevole, l'interrogarsi sul mistero della vita". La Allocuzione è la Laudatio sono pubblicate integralmente sull'Osservatore Romano, del 18 maggio 2003 (pag. 6), dove può leggersi anche il discorso di Giovanni Paolo II, in occasione della cerimonia,  e nel quale, il Papa, ha trattato  argomenti di grande rivelanza ed attualità come: il diritto alla vita, la titolarità dei diritti inviolabili dell'embrione quale essere umano, il diritto alla libertà religiosa, i diritti della famiglia, la presa di coscienza dei fondamentali diritti nei quali si rispecchia la dignità dell'umanità, ed il Pontefice così conclude: "gli uomini e le donne del terzo millennio sappiano iscrivere nelle leggi e tradurre nei comportamenti i valori perenni su cui poggia ogni autentica civiltà".

[51] TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, XXXI, Padova, 1990, 85 ss.; RESCIGNO, Manuale del diritto privato italiano, VII, Napoli 1987, 225 e ss. “La Costituzione innanzitutto  garantisce all’uomo lo svolgimento della personalità, e cioè le manifestazioni attive della persona e prima ancora la possibilità di determinarsi liberamente nello scegliere o nel perseguire  obbiettivi e mezzi della propria azione (v. gli artt. 2 e 3 cpv Cost.)”, op. cit., 227; SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, VI, Napoli 1959, 23, che identifica la persona con il soggetto di diritti; FALZEA Il soggetto nel sistema dei  fenomeni giuridici, Milano 1939; RESCIGNO, Persona e comunità, Bologna 1966, 102; BESSONE FERRANDO, voce Persona fisica (dir. Priv.), in Enc. del dir., XXXIII Milano 1983, 197: “con ciò si vuole fare riferimento al “primato” della persona nei confronti dello Stato, primato che è un dato ormai acquisito nella cultura moderna e che accomuna posizioni ideologiche molto distanti tra di loro”.

[52] FALZEA, Gli standars valutativi e la loro applicazione, in Riv. dir. civ., 1987, I, 1. L’A. mette in luce come l’attenzione non solo dei filosofi, ma anche dei teorici del diritto è stata attratta dal fenomeno dei modelli generali del comportamento sociale giuridicamente rilevante diversi da quei modelli particolari in cui consistono le comuni norme giuridiche.

Questi modelli, oggetto di studio dei giuristi nordamericani vengono designati come legal standars. ROSCOE POUND è stato il primo studioso di lingue inglese a ricercare una definizione della categoria ed ha enucleato gli esempi più specificativi: standard of reasonableness, standard of  fair conduct, standard of unfair.standard of  truthfulness, standard of due care, standard of due process of law (op. loc. cit.).

[53] FALZEA, Gli standards, cit. 2.

[54] In generale, CICCARELLO, Dovere di protezione e valore della persona, Milano 1988.

[55] DE CUPIS, I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e commerciale, II edizione vol. 4, Milano, 1982, 459: “per esprimere il concetto del conferimento la legge (art. 71 cit.) usa i termini dare ed imporre corrispondenti allo stesso concetto”. Per ANSALDO, Le persone fisiche, in Commentario al codice civile, diretto da SCHLESINGER, Milano, 1966, 278; la scelta del nome dovrebbe essere frutto di pieno accordo tra i genitori.

[56] DE SANTIS RICCIARDONE, voce Nome civile, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXI, Roma 1990, 1.

[57] Per le modifiche legali del prenome: LENTI, voce Nome e Cognome, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. I, Torino 1995, vol. XXII,  che prende in esame tre fattispecie: quella prevista dall’art. 72 ord. stat. civ., dall’art. 166 ed a seguito di mutamento di sesso; NUZZO, voce Nome (dir. vig.) cit., 304, ss.

[58] Che è quella “con cui si chiede al giudice una pronuncia sullo stato di una persona. “l’Autore pone poi la domanda: ma qual’è il significato di stato della persona (status) ? CICU, voce Azione di Stato, in Enc. del dir.,  IV, Milano 1959, 937  Ha essa un significato tecnico, rilevando che (op. e loc. cit.), il concetto di status consiste in quella particolare situazione giuridica in cui si trova la persona,  in quanto venga considerato come membro di un tutto organico; per cui il rapporto assume le caratteristiche di rapporto organico , in quanto lega i soggetti al conseguimento di un fine superiore di fronte a quei fini che l’individuo possa liberamente proporsi (op. cit., 938). Ed il valore tecnico del concetto di status sta proprio nel fatto che esso designa una particolare natura del rapporto giuridico; esso va qualificato come rapporto organico,  perché non vi domina la volontà, ma l’interesse che agli individui si presenta come interesse superiore, perciò, continua l’A., le azioni di stato si distinguono dalle azioni patrimoniali, ed ha una ragione la loro autonomia (op. cit., 939); NICOLO’, Istituzioni di diritto privato,  cit. 162, 65.

ALPA, Status e capacità. La costruzione giuridica delle differenze individuali, Bari 1993, in particolare pag. 56 ss., dove viene affrontata la problematica relativa ai concetti di status e persona nella Costituzione e nel codice civile. Per l’A. le Costituzioni moderne descrivono la persona in base al possesso originario dei valori, e la persona umana è intesa “come identificazione dei valori che l’ordinamento stesso pone come fondamentali per se stesso, come sua propria ragione di essere.” RESCIGNO, Situazione e status nell’esperienza del diritto in Riv, dir. civ., 1973, I, 213. Lo sforzo della dottrina di fornire una definizione dello status personale è stato messo in luce da ANASTASI, Considerazioni in tema di titolo dello “status” di figlio legittimo, in Riv. trim. dir. proc., civ. 1970, 493 e ss. Per L’A. lo status deriva da una situazione giuridica complessa  e gode di una tutela che può essere fatta valere erga omnes (op. cit. 501) ed è autonomo, rispetto alla situazione soggettiva, non identificandosi con gli effetti giuridici della fattispecie (op. cit. 500).

[59] La tendenza a riconoscere agli status il ruolo di tutela di situazioni giuridiche di vita e di differenziazione delle posizioni soggettive è stata messa in luce da LA ROSA, Minore età e soggettività, in Soggetti e ordinamento giuridico, a cura  di R. TOMMASINI, Torino 2000, 13. L’A. rileva che la figura dello status viene utilizzata per le posizioni soggettive che esigono rafforzata protezione  nella misura in cui il bisogno individuale di sicurezza prevale sulla tensione verso la libertà……. oltre agli status ufficiali  vanno, altresì, assumendo rilievo una molteplicità di status occulti, i “diversi”, i sieropositivi, i conviventi more uxorio , che rappresentano, ancora oggi una forma di ghettizzazione di gruppi di soggetti della società civile” (op. e loc. cit.).

Sul concetto di status inteso come la posizione assunta dalla persona quale parte di un rapporto: CRISCUOLI, Variazioni e scelte in tema di status, in Riv. dir. civ., 1984, 1, 175. L’A. esamina il panorama della dottrina “al di là della Manica” (BENTHAM , AUSTIN , ALLEN, GRAVESON, MAINE), e la problematica se lo status sia da considerare un term of art, o non, piuttosto, una legal  formula (op. cit. 171).

Da ultimo STANZIONE, Minorità e tutela della persona umana, in  Riv. dir. fam., 2000, 1 758 ss. , in particolare la bibliografia citata alla nt. 1.

[60] NICOLO’, In tema di trasmissibilità delle azioni di stato, Foro it. , 1947, I, 466 ed in particolare 467.

[61] Per due fattispecie particolari cfr. Tribunale di Palermo, 2 agosto 1968 con nota di D. ZIINO, Sulla legittimazione passiva nell’ipotesi di impugnazione di riconoscimento per difetto di veridicità di figlio naturale morto senza discendenti, in Giur. merito, 1969, 286, che ha ritenuto improcedibile  l’impugnazione per difetto di veridicità del figlio  naturale premorto senza discendenti; Tribunale di Biella, 11 giugno 1974 con nota di D. ZIINO In tema di capacità e status del nato morto, in Riv. dir. fam. 1975, 188, che ha ritenuto inammissibile l’azione di disconoscimento di paternità nei confronti del figlio nato morto.

[62] M. FINOCCHIARO, Ancora sulla potestà dei genitori e sull’imposizione del prenome al neonato, in Giust. Civ., 1981, 1, 1226, che esamina anche le ipotesi di accordi intervenuti tra i genitori circa il nome da dare al figlio prima ancora della nascita, accordi che l’A. considera nulli e non soltanto privi di ogni rilevanza giuridica perché conclusi da soggetti non legittimati, ed aventi ad oggetti diritti indisponibili e quindi non suscettibili di essere coattivamente eseguiti. Di contro, un accordo tra i genitori circa il nome da dare al neonato potrà essere vincolante tra le parti unicamente se raggiunto successivamente alla nascita del minore in quanto manifestazione dell’esercizio concreto della potestà sul figlio (p.1227); in nota a Cass. 9 maggio 1981 n. 3060 (ibidem, 1221),  che ha esaminato la fattispecie (anteriore alla legge 19 maggio 1975 n° 151) nella quale il padre era stato illegittimamente sostituito nell’esercizio di scelta del prenome del neonato,  senza che ricorressero i necessari presupposti della sostituzione, ed è stato ritenuto legittimato a chiedere la rettificazione del prenome.

 

[63] DE SANTIS RICCIARDONE, voce Nome Civile, cit. 3, secondo l’A. il conferimento del prenome deriva da un atto giuridico, dovuto, unilaterale, di natura personale.

Laddove in leggi relative ai rapporti amministrativi veniva richiesto (ante riforma) l’assenso del padre, deve richiedersi, a seguito della modifica introdotta, quello di entrambi i genitori: GIORGIANNI, Della potestà dei genitori, in Commentario CIAN OPPO TRABUCCHI, IV, Padova, 1992,  323, che a titolo esemplificativo riporta gli artt. 3 e 14 L. 1185 del 1967 per il rilascio del passaporto e per l’espatrio; per l’arruolamento nelle forze armate. Tuttavia l’eventuale diniego potrebbe contrastare con “l’interesse del minore” (art. 316 u. c. cod. civ.)

[64] LENTI voce Nome e Cognome cit., 139: “…il potere di attribuire il prenome spetta in via principale ai soli genitori, che lo esercitano di comune accordo, secondo la regola generale degli artt. 316 e 317 bis c.c., è la prima espressione della loro potestà  sul figlio”; ANSALDO Le persone fisiche cit. 278; BRECCIA Delle persone fisiche, in Commentario  del codice civile, a cura di SCIALOJA e BRANCA, ZANICHELLI- Foro it., 1988, 440 e ss.

[65] GIORGIANNI, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di CARRARO, OPPO, TRABUCCHI, T. i, p II Padova, 1977, 735, il quale così prosegue: “la previsione dell ‘esercizio congiunto sancito dall’art. 316 c.c. deve considerarsi attuazione di un principio generale ogni qualvolta viene attribuita ai due genitori, anche al di fuori della filiazione legittima, salvo che la legge ponga limitazioni, come fa per i genitori naturali nell’art. 317 bis  c.c. (op. e loco ult. cit.). Conseguentemente anche i genitori (coniugi) adottanti esercitano congiuntamente la potestà sul figlio adottivo.

[66] La dottrina ha ampiamente  sottolineato l’importanza delle modifiche dell’art. 316 c.c.: STANZIONE  Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Napoli 1979; DOGLIOTTI Patria potestà, diritti del minore e intervento del giudice, in Giur. merito, 1976, 1, 44; GIORGIANNI, Il controllo sull’esercizio della potestà dei genitori, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1979, 620; BELVEDERE L’autonomia del minore nelle decisioni familiari , in L’autonomia dei minori tra famiglia e società a cura di DE CRIOSTOFARO, BELVEDERE, Milano 1980, 321; ZATTI , Rapporto educativo e intervento del giudice, ibidem, 185.

 

 

[67] Così GIORGIANNI, Commentario alla riforma cit. 756.

[68] MACIOCE ritiene l’interesse del minore e la esigenza della sua tutela un valore immanente, ancorché non sempre determinante, “nel substrato di ogni rapporto familiare  e parafamiliare di cui sia partecipe il minore stesso”, Tutela civile della persona e identità personale, cit., 133.

Per V. SCALISI, Divorzio persona e comunità familiare, in Riv. dir. civ., 1984, 755 “l’interesse dei figli e il principio base dell’attuale legislazione familiare” (op. cit., 769), trattasi di una clausola che vincola ogni assetto  dei rapporti con i figli  e costituisce una “chiara prospettiva di tutela della loro personalità” (op. e loc. cit.).

[69] DOSI, Dall’interesse ai diritti del minore, in Scritti sul minore in memoria di FRANCESCA LAURA MORVILLO, Milano 2001, 149, in particolare nell’affidamento dei figli: art. 155 1° comma cod. civ. e 6 c.2 legge sul divorzio (op. cit. 159)  e nell’adozione (op. cit. 169). L’A. conclude affermando che la dottrina e la giurisprudenza soprattutto minorile ha portato ad un appiattimento della categoria interesse del minore “sempre più legato al soggettivismo e alla discrezionalità di chi la usa (op. cit.  176). DELL’ANTONIO, L’interesse del minore tra psicologia e diritto, in Riv. dir. fam.,  1986, 1350.

[70] A titolo esemplificativo: l’art. 155 c.c. a proposito dei provvedimenti riguardo ai figli in sede di separazione fa riferimento all’esclusivo interesse morale e materiale della prole, il criterio delle esigenze del minore è previsto in materia di affidamento preadottivo (art. 22, 2° c. L. 4 Maggio 1983 n° 184) e nell’interesse del minore può essere prorogato il termine di un anno di affidamento (art. 25, 3° c. L. 184 del 1983, cfr. l’art. 314/18 cod. cod. abrogato). Ai sensi dell’art. 262 cod. civ. il figlio minore riconosciuto da entrambi i genitori in tempi successivi può conservare il cognome della madre, che per prima l’ha riconosciuto, se ciò risponde meglio all’interesse del figlio in ordine alla identificazione personale nella cerchia sociale ove è vissuto col cognome materno nel lungo intervallo temporale tra il primo e il secondo riconoscimento (Trib. Min. di Perugia 1 Febbraio 2000, in Giur. Merito, 2000, 274 per più ampi riferimenti sull’art. 262 c.c. Sul punto RUSCELLO, La potestà dei genitori. Rapporti personali, in Commentario al codice civile diretto da SCHLESINGER, 1996, 84: secondo l’A., pur essendo richiamata  molteplici volte dal legislatore ai più diversi fini, la definizione dell’interesse del minore rimane incerta per l’assenza di indicazioni legislative sui criteri di determinazione, ed in nota 243 richiami dottrinari sul significato delle espressioni “interesse del minore”. SCARPA, CASALE, Azioni di stato, rettificazione degli atti dello stato civile ed interesse del minore, in  Riv. dir. fam., 1993, 215.

[71] BIANCA Diritto Civile II, La famiglia, le successioni , II ed. Milano 1989, 242: si tratta di un insieme di poteri-doveri che il genitore deve esercitare nell’interesse del figlio, in quanto, strettamente funzionalizzato all’interesse del minore ed alla formazione della sua personalità, l’esercizio della potestà si evolve nel corso della formazione della personalità del figlio.

[72] AMBROSINI, Dichiarazione giudiziale di paternità ed interesse del minore, in Riv. dir. fam., 1990, 1084, nota a Corte Costituzionale 20 luglio 1990 n. 341 (s.m.) che ha dichiarato illegittimo l’art. 274, comma 1° cod. civ., nella parte in cui non prevede che, per l’ammissibilità dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, il giudice deve accertare se sussiste l’interesse del minore. L’.A. ritiene necessario ed urgente un intervento del legislatore, auspicando che al Tribunale ordinario sia lasciata la competenza in ordine a tutte le azioni di stato, e che venga attribuito al Tribunale per i minorenni il potere di controllo sull’esercizio della rappresentanza del minore che si estrinsechi in azioni giudiziarie o in dichiarazioni di volontà che incidano sul suo status personale, in armonia con le norme (art. 320, 374 e 375 c.c.) “che prevedono un controllo sugli atti e le conseguenti azioni giudiziarie inerenti al patrimonio del soggetto minore di età”. (op. cit., 1089).

[73] Per RUSCELLO, La potestà dei genitori, cit. 83, l’esercizio dei poteri-doveri deve tendere a rimuovere gli ostacoli che impediscono la realizzazione della personalità del figlio, ed ancora quello del minore “ è un interesse eminentemente esistenziale, più che patrimoniale, e, perciò, dai contorni più sfumati” (op. cit., 84).

[74]  Così testualmente VERCELLONE, Principio di parità tra coniugi e potestà dei genitori, in Trattato di diritto di famiglia diretto di ZATTI , vol. II Filiazione, Milano 2002, 1057; ed anche GIORGIANNI Commentario alla riforma del diritto di famiglia cit. 757.

[75]  GIORGIANNI, Della potestà dei genitori, in Commentario al diritto italiano di famiglia, diretto da CIAN, OPPO TRABUCCHI, vol. IV Padova, 1992, 322, non ritiene che solo sulle questioni di particolare importanza la potestà debba essere esercitata d’accordo, atteso che “se è vero che il legislatore ha previsto un rimedio solo per quella ipotesi, ciò non significa che esso ritenga non applicabile il principio dell’accordo su queste questioni, ma ritenga solo che il disaccordo debba essere risolto nell'ambito stesso della famiglia” (op. e loco ult. cit.)

[76] GIARDINA, in Commentario al codice civile, diretto da CENDON, vol. I, Torino 1991, 641.

[77] Così testualmente: TOMMASINI, Identità personale tra immagine e onore, cit.,98.

[78] Per  ATTARDI, voce Atti di stato civile in Enc. dir. , vol. IV, Milano 1959, 89 ss., gli atti di stato civile hanno soltanto efficacia probatoria. L’A. nega agli atti di stato civile la forza di titolo dello stato (op. cit. 91).

[79] “La meritoria celebrità o la particolare notorietà di certi soggetti può rendere inoltre sufficiente il solo prenome ad individuare la persona, allo stesso modo in cui ciò può accadere, e anzi accade, assai più di frequente, se nel tempo la si è individuata soltanto attraverso il cognome (v. Moro, De Gasperi, Stalin, o Churchill)”: così, DE SANCTIS RICCIARDONE, voce Nome civile in Enc. giur. Treccani, vol. XXI, Roma 1990, 3.

[80] Cass. 28.10.1978 n° 4922, in Giur. it., 1979, 1, 1, 1540, con nota di TRABUCCHI, Il potere di imporre il nome al neonato.

[81] TRABUCCHI , Il potere di imporre, cit. 1543, secondo cui, se il padre ha l’obbligo primario di  fare la dichiarazione, di nascita, gli deve anche essere riconosciuta la facoltà  di presentare all’ufficiale di stato civile, insieme con la persona del figlio, anche il nome a lui attribuito e la ratio può ritrovarsi in quel residuo di norme (art. 316,  4 c. cod. civ.) che, nella ipotesi in cui  una scelta deve essere fatta, riconoscono ancora un minimo di preminenza paterna nell’esercizio delle potestà familiari.

[82]Ancora sulla potestà dei genitori e sulla imposizione del prenome al neonato, nota a Cass. 9 maggio 1981 n° 3060, in Giust. Civ.; 1981, 1, 1227.

[83] GIORGIANNI, Della potestà dei genitori, cit. 329, ritiene che, nell’ipotesi di contrasto tra i genitori in ordine al prenome da attribuire al figlio, è possibile il ricorso al giudice previsto dall’art. 316 3° c., cod. civ., trattandosi di decisione da prendere di comune accordo tra i coniugi, ed il 4° comma prevede che il giudice attribuisce il potere di decidere al genitore da lui ritenuto più idoneo a realizzare l’interesse del figlio.

Altro spunto sulla necessità dell’accordo può riscontrarsi nell’art. 144 cod. civ. In generale sull’accordo e l’obbligo di accordo: SANTORO-PASSARELLI, in Commentario del diritto italiano di famiglia, vol. II, Padova 1992, 521, nel senso che i coniugi devono considerarsi reciprocamente obbligati a trovare l’accordo (op. cit., 520), PARADISO, i rapporti personali tra i coniugi, artt. 143-148, in Commentario al Codice civile, diretto da SCHLESINGER, Milano, 1990, 137 ss., ed, in particolare in ordine agli accordi sugli affari “non essenziali” pag. 174; A.M. FINOCCHIARO Diritto di famiglia I Milano 1984, 282 .

FERRANDO, il matrimonio in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da CICU, MESSINEO, continuato da MENGONI, V, t. 1, Milano 2002: oggetto dell’accordo sono l’indirizzo della vita familiare e la fissazione della residenza, restando di competenza di ciascun coniuge le decisioni di carattere personale, e quelle che, pure influenti sulla vita familiare, possono considerarsi di libertà individuali (op. cit. 85,86).

[84] GIORGIANNI, Commentario alla riforma del diritto di famiglia, cit., 760.

[85] Cass. 9.05.1981 n° 3060, in Giust. civ., 1981, 1, 1227 con nota di M. FINOCCHIARO, Ancora sulla potestà dei genitori, cit.,  il quale, correttamente ritiene che è sufficiente che la madre non condivida la scelta compiuta dal partner e non accetti il prenome adottato dal padre perché possa legittimamente agire in giudizio per tutelare i propri diritti (op. ct., 1227).

Eventuali accordi anteriori alla nascita della prole sul nome da attribuire sono nulli e non sono suscettibili di essere eseguiti coattivamente. In generale FERRARI, Gli accordi relativi ai diritti e doveri reciproci dei coniugi, in Rass. dir. civ, 1994, 776 ss. .

[86] Cass. 20.09.1997 n° 9339, in Giust. Civ.; 1998, 1, 444 (con nota redazionale): che ha statuito la competenza funzionale del Tribunale ordinario e non per i minorenni, in regime di separazione dei coniugi e nel disaccordo degli stessi, per l’adozione delle decisioni di maggior interesse per i figli e la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 25, 1° c. cost. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 155, 3° c. cod. civ., C. Cost.  30.07.1980 n° 135, in Foro It., 1980, 1, 2961 con nota di ROMBOLI, Tortuosi itinerari della giurisprudenza costituzionale in tema di giudice  naturale.

[87] Cass. 7.09.1982 n° 4844, in Giust. civ., 1983, 1, 192, con nota di M. FINOCCHIARO, Ancora sulla imposizione del nome al neonato e rettificazione degli atti di stato civile.

[88] Mutatio nominis non fraudolosa, libero homini est permissa, così testualmente BALDO, citazione e fonte: SPAGNESI, voce Nome (storia), in Enc. del dir., XXVIII, Milano, 1978, 296, e nt. 40.

[89] Sentenza del 04. Dicembre 1999 in Fam. Dir., 2000, 280, con nota di PACIA DEPINGUENTE, Immacolata: un nome da cambiare;  ed il Tribunale ha anche ritenuto che, ove la modifica del nome venisse rimessa alla mera volontà del singolo, si potrebbe assistere, nell’arco di una vita, a molteplici cambiamenti legati, per restare al caso in esame, a possibili conversioni dal credo religioso professato ad altro credo, non rare ed anzi frequenti nella società attuale.

[90] Sul coordinamento tra le disposizioni civilistiche a tutela del nome (art. 7 c.c.)  e le norme della legge sui marchi d'impresa: RICOLFI, Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, Milano 1991, 213 ss.

[91] BONASI BENUCCI, Nome civile e marchio di impresa, in Riv. dir. comm., 1966, I, 424.

[92] L’adozione come segno di un nome o di un ritratto di persona afferisce ad una ipotesi di illiceità relativa del marchio, che ne determina la decadenza: ARE, voce Marchio (dir. priv.), in Enc. del dir.  vol. XXV, Milano 1979, 634.

[93] “La liceità dell’uso di un nome altrui e la legittimità del consenso della persona che porta quel nome discendono dal presupposto in base al quale il consenso è prestato: l’uso del nome o dell’immagine nei rapporti economici”: così SANTINI, I diritti della personalità nel diritto industriale, Padova, 1959, 164.

[94] Le tesi contrapposte in ordine alla correlazione fra l’art. 7 c.c. e l’art. 21 l.m., sono prese in esame da MACIOCE, Profili del diritto al nome civile e commerciale, cit. 103.

[95] RAVA’, Diritto industriale vol. 1°, Torino 1973,  109. Per l’A.  forse le parole del legislatore sono andate al di là della sua intenzione, e quindi è ragionevole ritenere che l’adozione del nome altrui come marchio richieda il “consenso dell’interessato alla pari dell’adozione del ritratto altrui; ciò a prescindere dal prudente arbitrio dell’Ufficio cui sembra rimettersi l’art. 21” (op. cit., 119). SPADA, Marchi denominativi: vicende d'una categoria giuridica, in Riv. dir. civ., 1969, 140 ss., già allora osservava che, se l'imprenditore spende il suo nome come marchio, "quel nome sarà, pei consumatori, solo il nome di un prodotto e, normalmente, non denuncerà loro affatto la personalità del 'creatore'. In breve apparirà come segno di fantasia".

Sul punto già in precedenza altro Autore ha affermato che “potrebbe forse apparire più equa, de jure condendo, una equiparazione della disciplina del nome a quella del ritratto, subordinandosi l’impiego del nome altrui nel marchio al preventivo consenso del titolare”, FERRARI, Osservazioni in tema di uso del nome altrui come marchio, in  Riv. dir. comm., 1962, II, 235, interpretazione dell’art. 21 l.m. sottoposta a critica da LEONINI,  Marchi famosi e marchi evocativi,Milano 1991, 342; CRUGNOLA, Uso come marchio del nome e del ritratto di una persona, in Riv dir. ind.  1983, I, 195 ed in part. 208 e s.

[96] MACIOCE, Profili del diritto al nome civile , cit. 104.

[97] MACIOCE, op. ult. cit. 106.

[98] ABRIANI in ABRIANI, COTTINO, RICOLFI, Diritto industriale, in Trattato di diritto commerciale, diretto da COTTINO, vol. II, Padova, 2001, 60 nt. 109.

[99] RICOLFI, in Diritto industriale e concorrenza, Torino, s.d., ma 2001, 114.

[100] VANZETTI, DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, III, Milano, 2000, 172; anche se l’art. 7 c.c. parla, in genere., di pregiudizio, ASCARELLI, è incline a dare all’art. 21 l.m. la stessa portata, potendo l’ufficio subordinare la concessione del brevetto al consenso della persona, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano 1960,  461 e ss.

[101] LEONINI, Marchi famosi e marchi evocativi, cit. 347.

[102] Così SENA che ritiene le norme del codice civile di portata più ampia di quelle della l.m. (art. 21.2 e 31) , atteso che “limitano il pregiudizio al caso in cui l’uso come marchio  del nome altrui sia tale da ledere la fama , il credito o il decoro di chi ha diritto di portare tale nome”, Il nuovo diritto dei marchi,  Milano, 1994, 83 nt.8.

[103] SCOGNAMIGLIO, Il diritto all’utilizzazione economica del nome e della immagine della persona celebre,  in Il diritto dell’informazione dell’informatica, 1988, 26, parla di sottrazione del valore che è possibile ricavare dall’uso del nome, così come l’uso indebito da parte di un terzo di un bene produttivo priva il proprietario del bene della utilità che poteva ricavarne per il tutto il periodo in cui l’illecito si è protratto “(op. e loc. cit.).

[104] Di particolare interesse è la interpretazione dell’art. 21 l.m. proposta da CARUSO, Temi di diritti industriale, Milano 2000, 62, che è opportuno riportare: “interpretando a contrario il secondo comma dell’art. 21 si desume che, di regola, è consentita l’adozione come marchio del proprio nome, anche se ciò possa ledere la fama, il credito o il decoro di soggetti omonimi che hanno il diritto di portare tale nome e che, in determinate ipotesi, potrebbero appunto risentire un pregiudizio dalla sua adozione come marchio da parte del terzo.”

La giurisprudenza ha ritenuto illegittimo l’uso del proprio nome patronimico come marchio pur se accompagnato da elementi differenziatori quando il nome già  è registrato da altro imprenditore per prodotti dello stesso genere; ciò in applicazione dell’art. 13, 2° c. l.m.: Cass. 15 sett. 1997 n° 9154, in Riv. diri. ind. 1998, II 195, con nota di PERON, Osservazioni in tema di marchio nominativo, 198. Per l’A. la interpretazione del S.C. trova conferma nell’art 13 l.m., che esclude per il marchio la possibilità della semplice differenziazione ed impone che il nome confondibile venga radicalmente eliminato, e rileva ancora, che di contro, per la ditta vige il criterio opposto (op. cit. 202). GUGLIELMETTI, Rapporti tra nomi e marchi, in Riv. dir. ind., 1953, I, 300.

Per M. ZIINO, Omonimia e concorrenza sleale (nota a App. Bologna 17.01.1923), in  Studi di diritto industriale, 1923, 149, il soggetto giunto per secondo ha l'obbligo di aggiungere differenziazioni, e ciò per un fine essenzialmente equitativo.

[105] Per FERRARI, Osservazioni in tema di uso del nome altrui, cit., 216, “Dell’onore l’art. 21 contempla sia il profilo oggettivo che quello soggettivo; al primo, che attiene alla considerazione sociale dell’individuo, e alla sua reputazione, si riconducono la fama ed il credito; al secondo, che riflette la coscienza che ogni individuo ha della propria dignità personale, si ricollega il decoro” (op. cit. 224 e s.), non richiedendosi per verificarsi la lesione del decoro che l’uso appaia “specificatamente diffamante o screditante, ma essendo sufficiente una generica mancanza di riguardo, un accostamento sconveniente, anche solo una pubblicità troppo appariscente e clamorosa” (op. cit.  227). Ed ancora il giudizio sulla potenzialità di lesione del decoro è relativo, attesa la tipica variabilità e relatività di questo particolare bene, che attiene in via immediata alla persona; conseguentemente il giudizio potrà essere formulato solo in concreto dal magistrato che esamina la fattspecie; “e ciò sia per quanto concerne l’uso che si assume lesivo, sia per quanto concerne la persona che si assume lesa”. Trattatasi di una valutazione obbiettiva indipendente dalla particolare suscettibilità del portatore del nome (op. e loc. ult. cit).

LIOTTA, voce Onore (diritto all’), in Enc. del dir., vol. XXX, Milano 1980, 202 e ss., riconduce l’onore alla tutela generalizzata della personalità.

[106] La fattispecie riguardava l’uso del cognome (rectius predicato) “del Grillo” contenuto nel brevetto per marchio di impresa “Marchesi del Grillo”, utilizzato nella commercializzazione di vini (Cass. 13.03.1998, n. 2735). Nello stesso senso (a proposito del sig. Franco Fido, che lamentava l’utilizzazione da parte della Telecom  della denominazione “Fido” per la distinzione e la pubblicizzazione sul mercato di un nuovo servizio telefonico, con conseguente dileggio nella cerchia degli amici), Trib. Torino ord. 5.03.1998: entrambe le pronunce in Riv. dir. ind., 1999, II 477 e ss., con nota di SPIAZZI, L’uso del nome nel rapporto fra codice civile e la legge sui marchi, 486 (in part. 488 e s.). Per l’A. la tutela del nome si estende anche ai casi di arbitraria e pregiudizievole attribuzione dello stesso ad un personaggio di fantasia, in un opera letteraria, teatrale o cinematografica, sempre però che ricorrano i requisiti dell’uso indebito e del pregiudizio, ivi compreso anche quello soltanto morale, cioè la lesione al decoro o alla reputazione che il nome compendia ed esprime (op. e loco. cit.); nello stesso senso: Cass. 6 aprile 1995 n°  4036, in Giur. it., 1996,  I, 1, 508;  Trib. Roma 29 genn. 1991, in Giur. annn.dir. ind. 1991, 415.

[107] “Norma di non facile applicazione, che può, tuttavia, essere utilizzata di fronte ad ipotesi ove è evidente la volontà di appropriarsi della notorietà o di danneggiare l’immagine altrui”:  SENA, Il nuovo diritto dei marchi, cit., 84.

[108] GIOIA, Diritto di marchio e omonimia, Torino s.d., ma 1999, pag. 144, nt. 140, mette in luce l'utilizzazione del prenome in funzione di segno di identificazione dell'attività economica soprattutto in quella c.d. "creative" e porta ad esempio lo stilista Valentino Garavani noto come Valentino.

[109]  Per ASCARELLI, Teoria della concorrenza, cit. 392 e s. il nome civile, pur potendo dirsi un segno distintivo non costituisce un bene autonomo, direttamente tutelato come tale, ma viene protetto come un attributo della stessa persona,  sotto questo profilo, : "lo stesso pseudonimo (al cui riguardo a volte si distingue lo pseudonimo-maschera e lo pseudonimo-réclame e per la pubblicazione di opere dell'ingegno sotto pseudonimo cfr. artt. 8,9,27, l. dir. aut.), per quanto possa, eventualmente riportarsi nella sua origine alla volontà dello stesso soggetto, è tutelato (art. 8) come il nome e non viene considerato  come un bene immateriale" (op. ult. cit. 393).  GIOIA, Diritto di marchio, cit., 142, n. 133 porta ad esempio Krizia, nome d'arte di Mariuccia Mandelli. Per DE SANTIS, Contratto di edizione, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da CICU e MESSINEO, vol. XXXI, t.1, Milano 1965, 23 nt. 21, sotto il profilo del diritto d'autore non esiste una sostanziale differenza tra lo pseudonimo, il nome d'arte (nom de plume), trattandosi, in entrambi i casi, di nome assunto in sostituzione del nome anagrafico per essere adoperato nell'ambito di una determinata attività: artistica, letteraria, giornalistica. Ad esempio, nel settimanale Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio, Vittorio De Capraris teneva una rubrica le faville del maglio e firmava i suoi articoli con il nom de plume di Turcaret.

[110] MACIOCE, Profili del diritto al nome civile, cit., 106.

Il terzo comma dell’art. 21 l.m., introdotto ex novo dalla riforma del 1992, dispone esplicitamente che “il nome notorio non possa essere adottato come marchio se non dal titolare di esso o con il suo consenso”, VANZETTI, GALLI, La nuova legge marchi, Milano, 2001, 153, perché “si vuole evitare che il solito furbo approfitti della notorietà della signorina Maria Ciccone per registrare a proprio nome il marchio “Madonna” per le più svariate classi, o altri facciano lo stesso con Kevin Costner, o magari con Celentano o Giuliano Ferrara…: approfittando della breccia rappresentata dal numero 2 dell’art. 21 l.m., che consente in linea di principio, la brevettazione come marchio del nome altrui , per lucrare della notorietà di questo nome, dandolo in licenza a caro prezzo a terzi”, VANZETTI, La nuova legge marchi, Milano 1993,103.

[111] Il Tribunale di Milano, sentenza 17 novembre 1958, in Temi, 1959, 151, con nota di CANDIAN ed in Riv, dir.,  matr., 1959, 547,  con nota di FAVERO, Un caso di usurpazione di nome civile attraverso l’uso indebito e pregiudizievole del prenome impiegato come marchio, aveva ritenuto lecito l’uso del prenome Faruk come marchio, ritenendo che il solo prenome non costituisce idoneo strumento di identificazione personale.

Di contrario avviso è andata la Corte di Appello di Milano, in Riv. dir. ind., 1960, II, 106, con nota di La GIOIA, Uso del nome altrui come marchio; in Giust. civ.,1960, I, 593, con nota di BUCCIANTE, Sul diritto alla tutela del nome; ed in Riv. dir.  comm. 1962, 215, con nota di FERRARI, Osservazioni in tema di uso del nome altrui come marchio cit., che contiene anche interessanti notazioni sui rapporti tra l’art. 21 l.m. e l’art. 7 c.c.

La sentenza della Corte di Appello è stata confermata da Cassazione 1 febbraio 1962, 201, in Riv. dir. comm. 1962, II, 215 cit., con nota di FERRARI cit, il quale tuttavia esprime molte perplessità sulla soluzione accolta dal S.C. nella motivazione.

BOUTET DUNI, Brevetti industriali, marchio,  ditta insegna, in Giur. sist. civile e commerciale, diretta da BIGIAVI, Torino 1966, 275.

[112] “Poiché “fama” e “credito” non indicano la reputazione genericamente intesa, ma quella connessa a particolare meriti o qualità, il pregiudizio può derivare, oltre che dalla figura del contrassegno e dalla qualità e natura del prodotto (quando quest’ultimo sia, per esempio, destinato ad usi indecorosi), anche dalle modalità che accompagnano l’uso del nome, allorché l’accostamento sia tale da far presumere che l’interessato ne abbia fatto commercio”: così  LIOTTA, voce Onore (diritto all’), cit., 207.

[113] Può accadere che sia il prenome che il cognome della persona celebre posseggano una particolare capacità individualizzante perché appartengono ad una persona famosa, ma ciò può accadere anche nel caso di adozione del solo prenome o del solo cognome “se essi sono scarsamente diffusi (es. Amintore, Bettino, Ciriaco, Craxi, Gullit, Maradona)”, LEONINI, Marchi famosi, cit. 1991, 350, 106.

E’ stata negata la protezione, come opera dell’ingegno, al nome di un personaggio di fantasia, nella fattispecie Tarzan, anche se dotato della capacità di evocare “il personaggio e l’opera intera (App. Milano 12 novembre 1976, in Giur. ann. dir. ind., 1976, n. 867), poiché un nome, per quanto originale, è di per sè privo di forma e di efficacia rappresentativa (e può svolgere solo funzione distintiva)”, AUTERI, Diritto industriale – Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2001, 499. Per il problema della protezione di un nome di fantasia, in relazione alla utilizzazione pubblicitaria: Trib. Milano, 25 marzo 1968, in Giur. merito, 1969, I, 73, con nota di RODOTA', James Bond  pubblicitario: utilizzazione a fine di pubblicità di un nome e di un personaggio di fantasia.

Per le ipotesi di omonimia tra lo pseudonimo notorio di una persona ed il nome spettante per lo stato civile ad un'altra persona meno nota e che sia in concorrenza con la prima JANNUZZI, SCANZANO, SCHERMI, Il diritto industriale, rassegna di giurisprudenza, Milano, 1970, 537.

[114] Trib. di Roma, 29 gennaio 1991, Corte di Appello Roma 26 aprile 1993, e Cassazione 12 marzo 1997 n° 2233 sono riportate in Riv. dir. ind., 1997 II, 400 e ss., con note di BROVEDANI:  Il caso “ Totò”: caricature di personaggi celebri e marchi d’impresa (pag. 406); e di VIALE : Sfruttamento del valore attrattivo della celebrità altrui, (pag. 424). La sentenza di primo grado, che aveva escluso la ricollegabilità del marchio complesso all’immagine ed allo pseudonimo dell’artista Antonio De Curtis, in arte Totò, è pubblicata anche in Giur. ann. dir. ind.le., 1991 1 415; la sentenza della Corte di Appello, che ha confermato la pronuncia di primo grado è anch’essa pubblicata ibidem, 1993, 538. Il S.C. ha cassato la sentenza di appello con rinvio ad altra sezione, atteso che i giudici di merito avevano omesso di esaminare se il segno identificava il Totò del prodotto dolciario con l’artista Totò.

La vicenda giudiziaria è riportata da BROVEDANI, Il caso “Totò”, cit. 407. L’A. prende in esame le tematiche collegate al concetto di notorietà personale, come peraltro, è dimostrato anche dalle strategie commerciali: (la sponsorizzazione e il merchandising) rilevando che “la celebrità, in qualsiasi modo ed in qualunque settore costruita, si è rivelata un efficace collettore di clientela” (op.cit., 419), e prende in esame la problematica relativa allo sfruttamento economico e commerciale dei tratti caratteristici della persona nell’ordinamento degli Stati Uniti d’America. Per VIALE, Sfruttamento del valore attrattivo, cit. 425, nella disciplina privatistica il diritto all’immagine avrebbe contemporaneamente una doppia natura giuridica: morale e patrimoniale.

[115] Che Varenne sia un fenomeno non è discutibile. Del suo nome si è discusso anche nelle aule giudiziarie: Trib. di Palermo, ord. 4 dic. 2001, in Riv. dir. Ind., 2002, 1, 287, con nota di D. ZIINO, Il domaine name  più veloce del mondo: www.varenne.it, 2002, I, 287. La fattispecie all’esame del giudice di Palermo riguardava una società, titolare del diritto di sfruttamento del nome famoso del cavallo Varenne, utilizzato come marchio di fatto, che chiese di aprire un sito su internet, tuttavia non potè ottenere la concessione in uso dato che già altri aveva registrato il domain name www.varenne.it. In via d’urgenza il Tribunale di Palermo dichiarò la illegittimità del comportamento per la sussistenza del pericolo di confusione e, quindi, per violazione degli artt. 2571 e 2598 n° 3 c.c. fra il sito ed il marchio di fatto Varenne utilizzato da altro soggetto, titolare del diritto di sfruttamento.

Quella di Varenne è una notorietà senza eguali: per esempio a Collesano, un paese delle Madonie in provincia di Palermo si svolge ogni anno una manifestazione il “paliu du pipiu” , una gara tra tacchini che il 3 agosto 2002 ha incoronato vincitore un pennuto di nome... Varenne, che ha stabilito il record della distanza di cento metri percorsi in trentaquattro secondi (Il Giornale di Sicilia, 21 agosto 2002, 25). Ed ancora, sempre a titolo esemplificativo, a proposito delle elezioni amministrative, un quotidiano del 22 febbraio 2003, così titolava in prima pagina “Cercasi Varenne disperatamente” e nel sottotitolo “Per la competizione di primavera non ci sono ancora” cavalli di razza “da schierare”.

Ed infine, per i problemi relativi alla … filiazione del trottatore, si rinvia a: CARBONI, Ecco come venderò il seme della legenda, intervista con Marco Folli, in Sole 24 Ore, 15 settembre 2002 n° 252, 7. Le dosi verranno vendute a quindicimila euro e vi sono richieste da tutto il mondo, questa è la nuova lucrosa, redditizia attività dello stallone.

116 Prima della comparsa nella scena mondiale del trottatore, abbiamo rinvenuto un precedente, questa volta legittimo per il principio della... priorità del nome Varenne, anche se utilizzato come cognome, più precisamente come predicato di nobiltà: nel Bel-Ami di MAUPASSANT, Robert de Varenne poeta e collaboratore de La vie Française , dà i primi insegnamenti a Duroy, entrato come semplice cronista: “la vita è un’altura. Finché si sale, si guarda in alto, e ci si sente felici; ma quando si arriva lassù si scorge di colpo la discesa, e la fine che è la morte. Si mette tanto a salire ma si fa presto a scendere” (parte prima, III); “Duroy doveva essere adatto a perfezione, e completava ammirabilmente la redazione di quel giornale che “navigava coi fondi dello Stato e sui bassifondi della politica”, secondo l’espressione di Norbert de Varenne” (parte prima V).

 

 

data di pubblicazione: 21 ottobre 2003