Rivista di diritto dell’economia,
dei trasporti e dell’ambiente, II/2004
Ancora su delimitazione e azione di regolamento di confini
Ritornare a distanza di cinque anni dal mio scritto
sul tema che ora sto per riprendere, significa che, con molta probabilità, non sono stato chiaro nella precedente
esposizione [1]. Tale
convinzione deriva dal fatto che sia dottrina [2]
che giurisprudenza [3]
continuano ad associare la delimitazione, di cui all’art. 32 cod. nav.,
all’azione di regolamento di confini prevista dall’art. 950 del codice civile
quando è noto che la prima disposizione non ha nulla in comune con la seconda
se non che entrambe si basano su operazioni tecniche per individuare una linea
di confine con la conseguenza, però, che i risultati cui si perviene innescano
diritti completamente diversi. Infatti, la linea individuata con l’azione di
regolamento di confine di cui all’art. 950 cod. civ. viene a costituire limite
tra i due proprietari (non per nulla ci si trova di fronte ad un “regolamento
di confine”) mentre nella procedura della delimitazione questo “regolamento di
confine” non esiste in quanto non v’è alcuna vindicatio dalle parti,
anzi nella delimitazione occorre porre in essere tutte le norme
navigazionistiche per la soluzione dei problemi e non quelle civilistiche. A me
sembra, invece, più pertinente la tesi secondo cui, ai fini dell’attivazione
della procedura di delimitazione, è necessaria l’esistenza di una obiettiva
incertezza in ordine alla demanialità del bene interessato perché essa
costituisce indispensabile presupposto per un legittimo esercizio del potere di
autotutela del demanio marittimo e della fascia dei trenta metri di cui
all’art. 55 cod. nav. [4].
Forse, per alcuni autori, il fatto che chi ha
interesse alla delimitazione (in primis, privato confinante) debba
produrre i titoli e possa presenziare alle operazioni tecniche crea analogia
con l’azione di regolamento di confine, trascurando, però, che tale operazione
ha per oggetto la determinazione quantitativa dei due fondi (si verte, quindi,
anche in ambito spaziale) cosa che non avviene nelle operazioni di
delimitazione, in quanto è notorio che con tale operazione si tende
all’individuazione della fascia destinata agli usi pubblici marittimi. Inoltre,
nell’azione di regolamento di confini l’onere di allegare e fornire qualsiasi
mezzo di prova incombe su entrambi le parti mentre alla pubblica
amministrazione non incombe nessun onere se non quello, eventuale, di
giustificare un possibile ampliamento del demanio marittimo.
L’art. 32 cod. nav. offre ampia discrezionalità
all’amministrazione marittima per iniziare questa operazione e non a caso il
legislatore sostiene che essa viene promossa dal capo del compartimento
marittimo “quando sia necessario o comunque ritenga opportuno”, e ciò perché si
tratta di attività ricognitiva dei luoghi ai fini della loro qualificazione
giuridica.
Orbene, se ci si sofferma su questi termini ci si
accorge che nessun obbligo incombe sull’amministrazione marittima neanche,
secondo il codice, quando vi sono confini incerti, ma giustamente la
giurisprudenza – al fine di non tramutare la discrezionalità in arbitrio –
sostiene che essa è obbligatoria quando esiste tale incertezza. Ma, è bene
ribadire, che tale invito non capovolge la mens legislatoris, che è
stata sempre quella della giusta tutela del demanio marittimo, ma rappresenta
un invito per i vari funzionari a fare buon uso della discrezionalità
amministrativa di cui godono, proprio per non cadere in un potere vessatorio
nei confronti dei privati.
Associare la procedura di delimitazione
a quella dell’azione di regolamento di confini, dunque, è deleteria ai fini di
una corretta gestione demaniale e crea non poca confusione negli operatori
dell’amministrazione marittima che devono assumere posizioni chiare nei
confronti dei privati confinanti con il demanio marittimo.
La lettura di una recente massima in merito al
procedimento di delimitazione del demanio marittimo [5],
ha lasciato in me molte perplessità, con particolare riferimento al punto in
cui si legge che il procedimento
suddetto si propone di superare l’obiettiva incertezza in ordine ai confini del
demanio marittimo con una certazione sull’esatta posizione dei confini stessi.
La perplessità riguarda proprio il fine che si prefigge la delimitazione ex
art. 32 cod. nav. che a mio parere, e come più volte ho avuto occasione di
scrivere, l’istituto della delimitazione non ha come scopo quello di
individuare l’esatta posizione dei confini, bensì quello di individuare quale
fascia di terreno è servente ai pubblici usi del mare.
La differenza, come si può notare, non
è di poco conto né mi sembra sia soltanto lessicale perché, se fosse vero il
primo caso (esatta individuazione dei confini), si rischierebbe che zone di
demanio marittimo non più utilizzati per i pubblici usi del mare, ed escluse a
causa della delimitazione, diverrebbero automaticamente di proprietà privata;
mentre se è vero, come sono convinto, che le zone di demanio marittimo escluse
dai pubblici usi del mare – a seguito di tale operazione – dovranno rimanere in
testa al demanio fino al momento in cui non verrà emesso un decreto
ministeriale di sclassifica (ai sensi dell’art. 35 cod. nav.), solo dopo tale
atto la zona sdemanializzata entra a formare oggetto di diritto privato.
Pur volendo applicare la normativa
civilistica non può trascurarsi il contenuto di cui all’art. 829 cod. civ. con
il quale si prevede un espresso e formale provvedimento di sclassifica perché è
altrettanto noto che senza esso qualsiasi bene demaniale non perde la sua
qualificazione giuridica e, pertanto, ogni azione del privato cittadino
tendente all’applicazione di norme privatistiche rimane improduttiva di
effetti giuridici [6].
A conforto di questa tesi soccorre una
sentenza dei giudici penali, i quali ebbero modo di sostenere, in merito al
demanio marittimo, che il legislatore con il termine spiaggia ha inteso
riferirsi non solo alla fascia costiera strettamente contigua al lido, ma a
tutta la zona alluvionata, geologicamente sorta dai movimenti di retrocessione
del mare, comunemente chiamata arenile, che deve quindi considerarsi sin
dall’origine bene demaniale, come tale inalienabile e imprescrittibile, salvo
che non intervenga un provvedimento di sdemanializzazione [7].
È noto che la delimitazione è
quell’operazione secondo cui vengono individuati i limiti (non uso il termine
confine per non aggiungere confusione alla confusione) fino ai quali la fascia
demaniale marittima serve ai pubblici usi del mare e ciò al di fuori di
qualsiasi necessità del privato confinante. Per tale motivo il demanio dovrebbe
venire individuato al di fuori di ogni documentazione (titoli di proprietà,
mappe catastali, ecc.) ma con una semplice ricognizione dei luoghi.
Una volta così individuata la fascia
demaniale marittima, si dovrebbero apporre i picchetti o, come vengono chiamati
in diritto civile, i termini (di cui verranno fatte le monografie [8])
e solo dopo il loro rilievo si andrà a vedere se la nuova fascia si presenta
più larga, più stretta ovvero coincide con la precedente.
Nel caso in cui la nuova fascia
demaniale viene ad occupare terreni appartenuti a privati, questi spezzoni di
terreno diverranno ipso iure demaniali soltanto se si presentano
con le caratteristiche della spiaggia (terreni sabbiosi, ghiaiosi, ecc.),
altrimenti occorrerà applicare la norma di cui all’art. 33 cod. nav. con tutte
le conseguenze civilistiche che il caso richiede, ed in particolare, dato che
si tratta di un ampliamento del demanio marittimo analogo all’espropriazione,
si applicheranno le norme civilistiche
in merito all’indennità in forza dell’ultimo comma dell’art. 1 cod. nav.
Nel caso in cui, invece, è la commissione delimitatrice ad escludere zone di demanio marittimo, le zone escluse rimarranno sempre in forza dello Stato (della Regione, in Sicilia) e non passeranno, come nell’azione di regolamento dei confini, in testa al privato confinante fino a quando non sarà emanato il decreto ministeriale (assessoriale) di cui s’è già detto, per sclassificare tale zona; solo da questo momento il privato o chi vi abbia interesse può esercitare i propri diritti [9].
Infine, il terzo caso è quello della
coincidenza della nuova con la vecchia linea di confine e, forse, solo in tale
ipotesi si può parlare di analogia con l’azione di regolamento di
confini [10].
La tesi, però, secondo cui la
delimitazione è azione analoga all’actio finium regundorum
ribadisco che è, in via generale, sostenibile solamente nell’ultimo caso,
altrimenti si rischia di cedere ai privati porzione di bene demaniale in violazione
dell’art. 823 cod. civ. che esplicitamente sostiene che i beni che fanno
parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di
diritti di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li
riguardano.
Ed ancora, non appare vero che il procedimento di
delimitazione, nel campo demaniale marittimo, occorra esclusivamente quando v’è
incertezza di confine, altrimenti cadrebbe la discrezionalità di cui gode
l’amministrazione marittima, discrezionalità derivante da legge ed a cui
nessun interprete può derogare.
Nel caso in cui
c’è incertezza di confine, a mio parere, insisto che è obbligatorio
effettuare il procedimento di delimitazione, in alternativa all’altro istituto
civilistico previsto nell’art. 951 secondo il quale “se i termini tra fondi
contigui mancano o sono divenuti irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha
diritto a chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni”
nulla osta, però, che, anziché ricorrere al giudice, le parti (privato ed
amministrazione marittima) di comune accordo posizionino i termini in contraddittorio
ed in funzione delle mappe catastali, unico documento in possesso dell’amministrazione
pubblica.
L’applicazione di questa norma è prevista nell’art. 1 del codice nella navigazione, in quanto per l’apposizione di termini non si rinviene nel codice della navigazione alcuna norma applicabile per analogia se non, come detto, forzando la volontà del legislatore.
Mi sembra superfluo evidenziare la differenza esistente tra l’azione di apposizione dei termini e quella di regolamento di confine perché è noto che l’istituto di apposizione di termini avviene quando i confini sono mancanti e non ben visibili mentre il secondo si applica quando i confini sono certi e non visibili. Però, in definitiva, l’associare la delimitazione all’istituto dell’azione di regolamento di confine ha indotto la Commissione delimitatrice ad applicare, in via di fatto, la normativa relativa all’apposizioni di termini dato che, normalmente, si reca sui luoghi dotata di mappe catastali, cartografie varie e documentazione presentata dagli interessati. Ed è sulla base di tali supporti che la Commissione individua i vecchi confini catastali sui quali posizionare i picchetti nei vari vertici, la cui unione rappresenta la linea esterna della “delimitazione” (la linea interna è noto che è rappresentata dalla linea del lido).
In tal caso, la Commissione, pur verbalizzando e qualificando queste operazioni come operazioni delimitative, è certo che esse rappresentano vere e proprie operazioni di apposizioni di termini in quanto non è stata individuata la fascia servente ai pubblici usi del mare, così come richiede la normativa sulla delimitazione, ma viene riconfermata la vecchia linea di confine ubicata sulle mappe catastali.
In conclusione e alla luce di quanto sopra espresso, sembra opportuno rilevare come la stessa S. C., a sezioni riunite, ebbe ad attribuire la competenza giurisdizionale al giudice ordinario sulla domanda di accertamento dei confini tra la proprietà privata ed il demanio marittimo e ciò perché oggetto dell’accertamento diventa l’esistenza e l’estensione del diritto soggettivo di proprietà rispetto al bene demaniale confinante [11].
Tale sentenza, a mio parere, aggiunge chiarezza sulla distinzione tra delimitazione, ex art. 32 cod. nav., e azione di regolamento di confine, ex art. 950 cod. civ. con la conseguenza che tra i due istituti non v’è neanche analogia.
* Professore a contratto di diritto della
navigazione presso l’Università degli studi di Palermo.
[1] Mi riferisco al mio scritto Problematiche in
tema di delimitazione del demanio marittimo, in Diritto dei trasporti,
1999, 833 ss.
[2] Da ultimo v. Zunarelli,
Lezioni di diritto della navigazione, Bologna, 2004, 1, ove si legge che
“la delimitazione del demanio marittimo, ossia la determinazione dei confini
tra i beni di proprietà pubblica e le zone di proprietà privata, avviene…”
facendo intendere che anch’egli considera la delimitazione analoga all’actio
finium regumdorum.
[3] V. TAR Sicilia – Palermo, sez. I, n. 1572 del
2003.
[4] In tal
senso, v. Cons. giust. Amm. – Regione siciliana – 5 aprile 2002 n. 177, in Dir.
trasp. 2002, 3, 1026
[5] V. nota precedente.
[6] A nulla rileva il fatto che anche per i beni
demaniali è ammessa la sdemanializzazione tacita in quanto per la sua
proposizione è richiesta un atto di volontà esplicito e concludente della
pubblica amministrazione. V. il primo comma dell’art. 1145 del vigente codice
civile che non tollera neanche il possesso dei beni demaniali e patrimoniali
indisponibili. Tale norma richiama l’art. 660 del vecchio codice civile del
1865.
[7] Così Cass.
Pen. Sez. III, 29 ottobre 1999, n. 2603.
[8] La “monografia dei punti”, in senso tecnico, serve
per individuare i vari vertici di una linea spezzata (identificati con
picchetti), anche quando questi vengono erroneamente cancellati.
[9] Ci si riferisce, in particolare, alla tacita
sclassifica ammessa dalla giurisprudenza solo in presenza di atti espliciti,
univoci e concludenti della pubblica amministrazione che, nel caso in specie,
possono ravvisarsi, nella esclusione di zone demaniali alla fine del processo
di delimitazione di cui all’art. 32 cod. nav.
[10] I dubbi anche su tale tesi permangono in quanto si
è molto più vicini all’azione per apposizione di termini (ex art. 951
cod. civ.) che a quella di regolamento di confine.
[11] V. Cass., sez. unite, 18 aprile 2003 n. 6347, in Dir.
trasp. 2004, I, 267.
Data
di pubblicazione: 28 luglio 2004