Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, III/2005

 

L’Agenzia europea per la sicurezza marittima: 
struttura e competenze
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Adele Marino **


 

 

Sommario: 1. La disciplina della sicurezza marittima dopo il caso Erika: il Regolamento 1406/2002 – 2. Gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 e gli interventi sulla normativa internazionale in tema di sicurezza marittima - 3. Le conseguenze sul fronte comunitario: le modifiche apportate all’Agenzia europea dal Regolamento 31 marzo 2004 n. 724. – 4. Struttura e funzionamento dell’Agenzia – 5. Funzioni e compiti dell’Agenzia. 5.1. I compiti di protezione marittima  – 5.2. I compiti  in tema di safety.

 

 

 

1.     La disciplina della sicurezza marittima dopo il dopo il caso Erika: il Regolamento 1406/2002 istitutivo dell’Agenzia La disciplina della sicurezza marittima è tornata all’attenzione delle istituzioni europee a partire dal 2000, in seguito al grave incidente ([1]) verificatosi a nord delle coste franco-spagnole. Le reali dimensioni del problema si erano già manifestate all’attenzione dell’opinione pubblica sin dal 1967 con il disastro della petroliera liberiana Torrey Canyon ([2]), incagliatasi al largo delle coste della Cornovaglia dopo avere sparso nell’Atlantico oltre 100 mila tonnellate di greggio.

La Comunità internazionale si è, quindi, sforzata di ricercare soluzioni appaganti sia sul piano della tutela risarcitoria con le Convenzioni di Bruxelles CLC del 1969 e FUND del 1971([3]), sia sul piano della prevenzione, con la Convenzione Marpol 73/78 sulla progettazione e l’esercizio di navi petroliere, modificata da diversi atti successivi ([4]) per ridurre ulteriormente i rischi da spandimento di idrocarburi.

Sul versante comunitario, verso la metà degli anni ’90, era stata varata una serie di provvedimenti per una “politica comune di sicurezza marittima” ([5]) imperniati su una applicazione più rigorosa delle convenzioni internazionali e su specifiche disposizioni in settori in cui le norme IMO ([6]) si erano rivelate insufficienti. I gravi disastri causati da navi cisterna hanno recentemente indotto le istituzioni europee a rivedere gli standard di sicurezza fissati, con particolare riguardo alle navi destinate al trasporto di idrocarburi e di altri carichi inquinanti.

A seguito del naufragio, avvenuto nel dicembre 1999, della petroliera maltese Erika ([7]), la Commissione Europea, a distanza di qualche mese dal sinistro, ha adottato, il 21 marzo 2000, una “Comunicazione in materia di sicurezza marittima del trasporto di idrocarburi”, nella quale veniva proposta una serie di azioni: alcune di immediata applicazione; altre, a lungo termine e più complesse, sarebbero state oggetto di successivi interventi normativi ([8]). 

Il primo corpus di misure (cosiddetto pacchetto Erika I), presentato il 21 marzo del 2000 (COM (2000)142 def.), comprende tre proposte legislative che si sono tradotte in altrettanti atti normativi, riguardanti sia le petroliere, sia le navi adibite al trasporto di sostanze inquinanti.

Il primo provvedimento del Pacchetto Erika I, costituito dalla Direttiva del 19 dicembre 2001 n. 105 ([9]), ha modificato la Direttiva 94/57 ed ha introdotto un sistema di disposizioni e norme comuni per il riconoscimento delle società delegate dagli Stati Membri al controllo sulle navi. Gli emendamenti apportati dalla Direttiva 2001/105/CE hanno perfezionato il regime di riconoscimento delle società di classificazione ed intensificato i controlli sull’attività svolta da queste, con particolare attenzione alla materia della sicurezza e della prevenzione dall’inquinamento.

Il secondo provvedimento, la Direttiva n. 106 del 19 dicembre 2001 ([10]), che modifica la precedente n. 95/21 relativa “all’attuazione di norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo, per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di approdo)”, mira a garantirne una più efficace applicazione, rendendo obbligatoria l’ispezione per alcune categorie di navi, considerate a rischio. Secondo l’allegato V della Direttiva 2001/106 sono considerate tali le petroliere cui mancano cinque anni (o meno) dal disarmo, le gasiere e le chimichiere di età superiore a 10 anni a decorrere dalla data di costruzione, le portarinfuse di età superiore a 10 anni e talune navi passeggeri. La Direttiva 2001/106, inoltre, vieta l’accesso nei porti dell’Unione alle navi in stato di fermo ed iscritte in una “lista nera” periodicamente aggiornata ([11]) dalla Commissione.

La terza ed ultima proposta si è concretata nell’emanazione del reg. 417/2000, volto ad accelerare la sostituzione delle vetuste petroliere monoscafo con quelle a doppio scafo, seguendo una procedura già sperimentata dagli Stati Uniti ([12]). Il regolamento è stato da ultimo modificato, in seguito al grave incidente della petroliera Prestige, dal reg. 1726/2003, del 23 luglio 2003, che accelera l’eliminazione delle monoscafo riducendone i tempi.

I successivi interventi dell’Unione Europea sostengono le misure contenute nel primo pacchetto, attraverso l’adozione di altre norme, racchiuse nel cosiddetto pacchetto Erika II. Questo, approvato il 6 dicembre del 2000 ([13]), contiene tre proposte di atti normativi volti a tutelare durevolmente le acque europee, sia con misure per il contenimento dei rischi, sia attraverso azioni mirate alla salvaguardia dell’ecosistema, sempre più esposto ai danni provocati dallo spandimento di sostanze nocive per l’ambiente.

Preso atto dei deludenti risultati cui ha dato luogo la concreta attuazione della Direttiva 93/75 ([14]), per l’impossibilità di individuare attraverso procedure standardizzate le Autorità responsabili e le navi cariche di merci pericolose a largo delle coste europee, la Comunità ha così adottato la Direttiva 2002/59, del 27 giugno 2002 ([15]), con la quale  ha istituito un sistema comunitario di monitoraggio ed informazione sul traffico marittimo. La Direttiva dispone che la Comunità europea si doti di più idonei strumenti per il controllo del traffico marittimo, estende gli obblighi già previsti nella Direttiva Hazmat ([16]) al trasporto di altre sostanze inquinanti ed introduce un più accurato sistema di informazione, attraverso la realizzazione di una banca dati europea e di una rete telematica tra gli Stati.

Quanto alle due restanti proposte di regolamento, l’una mira ad integrare il sistema internazionale esistente, con la creazione di un fondo di risarcimento supplementare per l’inquinamento da idrocarburi nelle acque europee, l’altra prevede l’istituzione di un nuovo organismo comunitario.

La prima, tutt’ora allo stadio di proposta, allo scopo di aumentare il plafond dei risarcimenti ammessi dall’attuale regime di diritto uniforme, affianca alle Convenzione CLC e FUND ([17]) un Fund for compensation, for oil pollution in European waters, cosiddetto fondo COPE, finalizzato ad aumentare la tutela risarcitoria a vantaggio di coloro i quali non abbiano ottenuto integrale ristoro nel quadro della vigente disciplina uniforme. La proposta prevede un sistema originale che, senza contrapporsi alla normativa uniforme, la integra con un risarcimento addizionale, i cui costi devono essere sostenuti dalle imprese che operano nel settore del trasporto marittimo di idrocarburi. Elementi condizionanti la operatività del Fondo COPE sono: il danno da inquinamento verificatosi nel territorio di uno Stato membro, comprese le acque territoriali e la zona economica esclusiva e l’incapienza dei massimali previsti da CLC e FUND ([18]).

La seconda proposta, mirata alla creazione di una struttura specialistica per supportare la Commissione nell’applicazione della legislazione in tema di sicurezza in mare, è sfociata nell’emanazione del Reg. Ce del 27 giugno 2002 n. 1406 istitutivo dell’Agenzia Europea per la sicurezza marittima (European Maritime Safety Agency). Questa è un ente specializzato della Comunità con funzioni, fra le altre, consultive e di controllo, la cui sede, dal dicembre 2003, è stata stabilita a Lisbona.

Il fine dell’Agenzia, - come si legge nell’art. 1 del reg.1406/2002, sotto la rubrica Obiettivi - è quello di assicurare un “livello elevato, efficace ed uniforme di sicurezza marittima e di prevenzione dell’inquinamento causato dalle navi nella Comunità”. L’European Maritime Safety Agency, come si deduce dalla stessa denominazione dell’ente, è pertanto diretta a tutelare la safety, ovvero l’attività di prevenzione da sinistri o eventi di pericolo determinati da circostanze accidentali indipendenti da precise e volontà di offesa. Fornisce quindi a Stati Membri e Commissione l’assistenza tecnica e scientifica e capacità di alto livello per dare “corretta applicazione alla legislazione comunitaria in tema di sicurezza e nel monitorare e valutare l’efficacia delle misure in vigore” (art. 1.2).

 

 

2. Gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 e gli interventi sulla normativa internazionale in tema di sicurezza marittima – Il quadro delineato a livello internazionale ed europeo a tutela della sicurezza marittima è stato, però, messo in crisi dagli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 ([19]).

Questi avvenimenti hanno posto all’attenzione dei governi la necessità di verificare il grado di vulnerabilità del sistema di sicurezza e hanno messo in luce la necessità di elaborare misure dirette non solo alla salvaguardia da incidenti tecnici, ma anche da atti di interferenza illecita.

La Comunità internazionale ha deciso di regolamentare in modo il più possibile organico la complessa materia, predisponendo un insieme di nuove norme per la security. L’attenzione per il rischio di attentati, inizialmente posta al mondo della navigazione aerea ([20]) è stata  estesa anche al campo della navigazione per mare.

Nelle sedi internazionali che si occupano di sicurezza marittima sono state avviate, a partire dal 2002, una serie di attività di studio e ricerca per elaborare un corpus  di misure atte a prevenire atti di interferenza illecita contro lo shipping ([21]).

I lavori, iniziati nel febbraio del 2002 all’IMO, si sono conclusi a Londra, con la Conferenza diplomatica del 12 dicembre 2002. In questa sede sono state apportate modifiche alla Convenzione SOLAS per la salvaguardia della vita in mare. Gli emendamenti hanno riguardato il Capo V, rubricato Safety of navigation, nel quale sono state predisposte adeguate misure per accelerare l’installazione di sistemi di identificazione automatica AIS (Automatic Information System) sulle navi passeggeri e sulle petroliere di stazza superiore a 300 tonnellate. Ciò per assicurare un continuo controllo affinché le autorità costiere possano gestire utili informazioni per una più sicura navigazione. Particolare attenzione è stata dedicata al capitolo XI, rinumerato e modificato. Il nuovo capitolo XI-1/3 prevede l’applicazione, in posizione ben visibile, del numero identificativo della nave (schip’s identification numbers), diversificato a seconda che essa sia adibita o meno al trasporto di passeggeri. La nuova disposizione XI-1/5 richiede inoltre che la nave sia dotata di un registro, continuamente aggiornato (Continuous Synopsis Record), contenente tutti i dati relativi alla sua “storia”: nome, Stato di bandiera, data e porto di registrazione, nominativo dei proprietari, etc., tale da consentire alle autorità competenti un monitoraggio della nave immediato e semplificato. Importante, ai fini della sicurezza, risulta l’introduzione del nuovo capitolo XI – 2 rubricato Special measures to enhance maritime security, che contiene una disciplina di dettaglio assai rigorosa per meglio tutelare le navi potenzialmente più esposte al rischio di attentati: essa infatti si applica alle navi passeggeri, a quelle di stazza lorda pari o superiore a 500 tonnellate, alle piattaforme mobili di perforazioni off-shore ed agli impianti portuali utilizzati per il traffico internazionale.

La Conferenza ha infine adottato una raccolta organica di norme internazionali per la sicurezza delle navi e degli impianti portuali, il cosiddetto codice ISPS (acronimo di International Ship and Port Facilities Security Code), suddiviso in due parti: la prima contiene una serie di norme di natura cogente, indispensabili per la protezione del trasporto marittimo, la seconda le raccomandazioni per orientare gli Stati nell’attuazione delle disposizioni obbligatorie ([22]). Giova infine precisare che nonostante gli sforzi profusi sul piano internazionale dall’IMO e dalla Comunità verso l’obiettivo della uniformità, questa rischia di essere compromessa per l’atteggiamento assunto dagli USA. Infatti, il Congresso, preoccupato per il possibile ripetersi di un altro 11 settembre ha promulgato, il 25 novembre 2002, il Maritime Security Act of 2002, unitamente all’istituzione di un Department of Homeland Security, al cui interno confluiscono oltre venti enti statali specializzati. Questi provvedimenti, insieme ad altre disposizioni unilaterali ([23]) possono distorcere i delicati equilibri su cui si regge il comparto del trasporto. L’orientamento degli USA appare improntato alla massima intransigenza per allontanare il più possibile dai confini nazionali il pericolo di nuovi attentati, anche attraverso l’imposizione di norme restrittive al resto del mondo. Infatti, in sede IMO, gli States hanno ribadito che, a far data dal primo luglio 2004, è vietato l’accesso nei porti statunitensi alle navi non in regola con le misure previste dalle due parti del codice ISPS. Negli anni a venire potremmo assistere ad una sorta di frattura nel mondo dello shipping: da una parte navi e porti già “omologati” secondo le nuove procedure, e, come tali, ammesse al vantaggioso commercio con l’America; dall’altro gli esclusi.

Sul versante comunitario, la Commissione avrebbe comunque preferito, che gli USA, anziché emanare una legislazione varata sull’onda emotiva della distruzione delle Torri Gemelle, si fossero mossi su un più meditato approccio pluridisciplinare, approdando a soluzioni uniformi e valide per tutti. In un contesto economico globale sembra avere prevalso un sistema in cui la sicurezza dell’Unione Europea può essere minacciata - si legge polemicamente nella Comunicazione 2003/229 supra cit. - non “soltanto in grandi porti” o attraverso “il trasporto di contenitori” ma da pericoli provenienti “sia da Paesi terzi, sia dagli Stati Uniti”.

 

 

3. Le conseguenze sul fronte comunitario: le modifiche apportate all’Agenzia Europea dal Regolamento 31 marzo 2004 n. 724 – L’Unione Europea, allertata dalla necessità di salvaguardare risorse non riproducibili, nel solco già tracciato nel Libro Verde del 1995, nel successivo Libro bianco dei trasporti ([24]) del 2001 aveva offerto il proprio sostegno all’IMO, incoraggiando tutti gli sforzi sul piano internazionale per la sicurezza delle navi e delle infrastrutture. In quest’ultimo documento la security figura per la tutela di passeggeri ed equipaggi imbarcati su navi da crociera, ma in posizione per così dire di “retroguardia” rispetto ad altre contingenze (congestione e circolazione veicolare, riparto del traffico tra modalità di trasporto meno inquinanti etc.), la cui soluzione appariva allora più urgente ed alle quali è dedicato ben altro spazio.

Con l’11 settembre questo scenario è andato in frantumi e da questo momento la preoccupazione dei governi di tutto il mondo civile è orientata a prevenire  altri possibili atti di guerra contro la popolazione civile inerme. Prova ne sia che la Comunicazione del 2 maggio 2003 (COM (2003) 229 def.), contenente la proposta di regolamento relativa al miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali, si apre con una ben precisa ed allarmante presa di posizione: “non esiste paese al mondo [...]  al riparo da atti di terrorismo” poiché questi “possono essere perpetrati in qualsiasi momento senza risparmiare i trasporti marittimi”. Inoltre, la natura di certi carichi di sostanze pericolose potrebbe indurre i terroristi a fare esplodere le navi in zone portuali, “con conseguenze umane ed ambientali che è facile immaginare”. E poiché gli attentati terroristici “sono fra le minacce più gravi per gli ideali di democrazia e libertà che rappresentano l’essenza dell’UE”, è indispensabile “garantire in permanenza la sicurezza dei trasporti marittimi [...] e quella dei cittadini che ne fanno uso”. Pertanto è divenuta indifferibile l’adozione – a livello comunitario – di provvedimenti ad hoc ispirati alle stesse finalità che hanno determinato le modifiche alla Convenzione SOLAS, cui abbiamo fatto cenno nei precedenti paragrafi.

La sicurezza, secondo la Commissione, deve essere potenziata sia sulle navi adibite al traffico internazionale, sia negli impianti portuali ad esse destinate, con particolare attenzione alle navi passeggeri in servizio di linea in ambito comunitario a motivo dell’elevato numero di vite umane esposte a rischio, sia a bordo, sia in ambito portuale. Per raggiungere l’auspicato obiettivo del rafforzamento della sicurezza, ormai divenuto un problema “globale”, appare indispensabile assicurarne l’uniformità attraverso il recepimento del diritto comunitario nell’alveo delle misure internazionali contro azioni illecite intenzionali.

A tal fine le istituzioni europee avrebbero potuto o creare una nuova struttura con specifiche competenze e poteri in tema di security, ovvero affidarsi ad una già esistente, potenziandola. E poiché l’Agenzia aveva già maturato collaudate conoscenze in tema di salvaguardia dell’ambiente marino, la scelta, per certi aspetti, era obbligata. L’Agenzia europea per la sicurezza marittima, già dal 2002, sostiene la Commissione in tutte le azioni mirate a garantire la safety per la protezione delle attività marittime e dei porti comunitari, dei passeggeri e degli equipaggi. È un organo dotato di alta professionalità, già formato ed in grado di fornire, se adeguatamente supportato, un importante contributo di competenza anche ai fini della salvaguardia da “atti di interferenza illecita”.

In questo quadro, il 31 marzo 2004, è stato approvato il regolamento CE 724/2004 che modifica il precedente reg. n. 1406/2002 ed introduce importanti novità in tema di security e di safety ([25]) innovando la disciplina dell’Agenzia, della quale pare opportuno analizzare struttura, funzioni e compiti.

 

4. Struttura e funzionamento dell’Agenzia  

 

L’Agenzia ([26]) europea per la sicurezza marittima appartiene all’amministrazione della Comunità europea, anche se non è ricompresa strictu sensu nell’apparato amministrativo di quest’ultima ed agisce in piena autonomia nella sua attività di ausilio alla Commissione.

Secondo l’art. 5 del regolamento 1406/2002 l’EMSA è “un organismo dotato di personalità giuridica” ed ha in ogni Stato membro “la più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche nelle diverse legislazioni nazionali”: può pertanto acquistare e alienare beni mobili e immobili e stare in giudizio; è dotata di un’autonomia finanziaria e di un bilancio le cui entrate, secondo quanto previsto nel titolo III del regolamento, sono costituite non solo da contributi della Comunità e di eventuali paesi terzi, ma anche da corrispettivi provenienti da servizi resi dalla stessa Agenzia (per esempio corsi di formazioni, pubblicazioni, etc.).

Su richiesta della Commissione, il Consiglio di amministrazione può decidere, d’accordo con gli Stati Membri, di istituire centri regionali dell’Agenzia per svolgere specifiche attività attraverso il controllo su navigazione e traffico marittimo.

La parte centrale del reg. 1406/2002 ([27]) delinea la struttura ed il funzionamento interno dell’Agenzia, che è guidata da un Direttore esecutivo e dal Consiglio di amministrazione.

Il Direttore esecutivo ([28]) rappresenta l’Agenzia ed è nominato, per  riconosciuta capacità ed esperienza in materia di sicurezza marittima, dal Consiglio di amministrazione, ai sensi dell’art. 16 del Reg. 1406 supra cit. Svolge le proprie funzioni in piena indipendenza, elabora il programma di lavoro e lo presenta al Consiglio, decide sull’esecuzione delle visite, adotta i provvedimenti necessari per assicurare il corretto funzionamento dell’Agenzia e risponde alle richieste di assistenza degli Stati membri. Il Direttore eletto da una maggioranza rappresentata dai quattro quinti di tutti i membri del Consiglio, ricopre un mandato quinquennale, rinnovabile una sola volta.

Il Consiglio di Amministrazione, i cui membri durano in carica cinque anni, è composto da un rappresentante per ciascuno degli Stati membri, da quattro rappresentanti della Commissione e da quattro professionisti dei settori maggiormente interessati, designati dalla Commissione. Il Consiglio nomina il Direttore esecutivo, adotta ogni anno la relazione generale dell’Agenzia sull’attività svolta e la trasmette ai Paesi membri, esamina le richieste di assistenza da parte di questi, delinea il programma di lavoro ([29]), approva il bilancio definitivo e determina l’orientamento circa le visite da effettuare, ai sensi dell’art. 3. Infatti, per raggiungere gli obiettivi del regolamento, l’Agenzia, tramite i suoi funzionari, svolge ispezioni presso gli Stati membri al fine di verificare il rispetto degli obblighi di controllo dello Stato di approdo e l’attuazione della legislazione comunitaria. In tal modo l’Ente prende diretta conoscenza circa il regolare funzionamento delle amministrazioni marittime degli Stati Membri e individua le “migliori pratiche” ed eventuali lacune: il tutto per la realizzazione del superiore valore della sicurezza di cui l’organismo è portatore. E poiché questo non può e non deve essere circoscritto ad un ambito geografico limitato, l’Agenzia, per il concreto raggiungimento dei suoi fini, è aperta alla partecipazione dei paesi terzi. Questi, ai sensi dell’art 17 del Reg., possono prendervi parte, a condizione che abbiano “concluso con la Comunità europea accordi in virtù dei quali hanno adottato ed applicano il diritto comunitario nel settore della sicurezza marittima e della prevenzione dell’inquinamento causato da navi”: è il caso della Norvegia e dell’Islanda, Paesi di grande cultura marinaresca.

Dal maggio del 2004, con le procedure di allargamento dell’U.E., dieci nuovi Paesi sono entrati a far parte dell’Agenzia, e ciò dovrebbe contribuire a migliorare la sicurezza delle loro navi, delle infrastrutture e del personale impiegato.

 

 

5. Funzioni e compiti dell’Agenzia – L’art. 2, per assicurare gli obiettivi indicati dall’art. 1 ([30]) del Reg. CE 724/2004, elenca i compiti di assistenza e consulenza  dell’Agenzia ([31]), diretti non solo a garantire la safety e la prevenzione dell’inquinamento, ma anche la “protezione marittima” e gli “interventi contro l’inquinamento causato da navi”.

I compiti di assistenza alla Commissione sono analiticamente individuati nell’art. 2 (lett. a-b) e spaziano dall’ausilio nell’aggiornamento e nello sviluppo della normativa al supporto nella sua efficace attuazione in tutto il territorio comunitario. L’Agenzia, pertanto, coadiuva la Commissione nei lavori preparatori della legislazione in materia di safety, avendo particolare riguardo all’evoluzione della normativa internazionale di settore e tale attività si estende sino all’analisi dei progetti di ricerca realizzati in materia di sicurezza e prevenzione dell’inquinamento prodotto da navi ([32]).

Ai fini della corretta applicazione della normativa su tutto il territorio della comunità l’Agenzia deve accertare il “funzionamento del regime comunitario di controllo dello Stato di approdo” (art.2, lett.b, i), anche mediante visite presso gli uffici competenti degli Stati Membri, secondo l’orientamento del Consiglio di amministrazione; a tale scopo l’Agenzia ispeziona le società di classificazione riconosciute a livello europeo, a norma della Direttiva del 22 novembre 1994 n. 57, e ne verifica la qualità delle prestazioni, garantisce l’applicazione delle disposizioni comunitarie in materia di sicurezza sulle navi passeggeri e provvede altresì “alla formazione, al rilascio di brevetti ed alla tutela degli equipaggi imbarcati” (art. 2, lett. b, iii).

Assai interessante la lettera e) dell’art. 2, secondo cui l’Agenzia, pur nel rispetto dei singoli ordinamenti nazionali, svolge un’attività volta a facilitare la cooperazione tra Stati Membri e Commissione, “nell’elaborazione di una metodologia comune di indagine sugli incidenti marittimi” e “nel sostegno” agli Stati membri sia in quest’ultima attività, sia nell’analisi dei rapporti esistenti circa gli “accertamenti” relativi ai sinistri. L’attività dell’Agenzia “nel rispetto dei princìpi di diritto internazionale riconosciuti” (come testualmente si legge nell’art. 2 supra cit.) appare mirata ad imporre (più che a “suggerire”, nonostante il tenore letterale della norma) una metodologia tendenzialmente vincolante ed omogenea, tale da ridurre l’eventuale potere discrezionale del singolo Stato quanto all’approfondimento circa le reali cause dell’incidente.

Inoltre, in forza di un’attenta attività di rilevazione, registrazione e valutazione dei dati tecnici sulla sicurezza, sull’utilizzazione delle banche dati e sul loro continuo aggiornamento, l’European Maritime Safety Agency fornisce alla Commissione e agli Stati Membri informazioni attendibili per l’adozione di più appropriate misure per la tutela della sicurezza marittima. In tal quadro l’Agenzia assiste la Commissione nella pubblicazione semestrale delle navi cui è stato rifiutato l’accesso nei porti comunitari, in applicazione della Direttiva 95/21/CE, e coadiuva gli Stati nelle iniziative volte ad identificare le navi che scaricano illecitamente sostanze inquinanti in acqua e nell’applicazione delle relative sanzioni.

L’attività di collaborazione è assai ampia e si estende tanto agli Stati Membri, con attività di formazione nelle materie di competenza dello Stato di approdo o di quello di bandiera, tanto agli Stati candidati. Nei confronti di questi ultimi, nel corso dei negoziati di adesione per l’ingresso nella U.E., l’Agenzia può fornire assistenza tecnica per l’attuazione della legislazione comunitaria in materia di sicurezza e di prevenzione dell’inquinamento, organizzando attività di formazione, considerata elemento chiave per l’armonizzazione del “sistema” comunitario.

 

5.1. I compiti di protezione marittima  Per comprendere l’esatto significato del termine protezione marittima, introdotto dal reg. 724/2004 tra i nuovi obiettivi dell’Agenzia Europea per la sicurezza marittima, è necessario passare al vaglio il successivo regolamento n. 725/2004. Quest’ultimo, anch’esso adottato il 31 marzo 2004, mira all’introduzione e all’applicazione “delle misure comunitarie finalizzate a migliorare la sicurezza delle navi adibite al commercio internazionale e al traffico nazionale, nonché dei relativi impianti portuali contro le minacce di azioni illecite intenzionali” ([33]).

Dalla lettura dei considerando del regolamento 725/2004, in cui si fa riferimento ad “azioni illecite intenzionali”, alla salvaguardia da “atti di terrorismo e di pirateria” e agli strumenti adottati in ambito internazionale per migliorare la sicurezza (Convenzione SOLAS e Codice ISPS) sembra che la ratio legis sia orientata verso la tutela della maritime security sulle navi e sugli impianti portuali. Ed in questo senso l’art. 2, rubricato “definizioni”, sgombra il campo da ogni dubbio interpretativo circa l’ambito di applicazione: “ai fini del regolamento”, per sicurezza marittima si intende la “combinazione delle misure preventive dirette a proteggere il trasporto marittimo e gli impianti portuali contro le minacce di azioni illecite intenzionali”.

Il regolamento 725/04 predispone una complessa serie di misure per garantire la security, senza in alcun punto far cenno alle competenze dell’Agenzia, ampiamente disciplinate nel cit. reg. 724/2004. Quest’ultimo, all’art. 2, tra le nuove funzioni di assistenza alla Commissione svolte dall’Agenzia, individua le attività ispettive previste dall’art. 9, paragrafo 4, del Reg. 725/2004, ossia il controllo delle navi, delle compagnie e degli organismi di sicurezza riconosciuti ed all’uopo autorizzati.

La lettura del combinato disposto dell’art. 2 lett. b) punto IV del reg. 724/2004, e dell’art. 9 del reg. 725/2004 merita particolare attenzione. Infatti l’art. 9 del reg. 725/2004, sotto la rubrica “Attuazione e controllo della conformità ”, prevede che gli Stati Membri sono tenuti ad assolvere i compiti di amministrazione e controllo previsti dalle misure speciali della Convenzione SOLAS e del codice ISPS “to enhance maritime security” (nel testo italiano si legge  per “migliorare la sicurezza marittima”). A tal fine (art. 9, n. 2) essi designano, entro il primo luglio 2004, “a focal point for maritime security” ossia un “punto di contatto” ([34]): questo, ai sensi dell’art. 2 n. 6 reg. 725/2004, rubricato “definizioni”, è un organismo individuato da ogni Stato della Comunità quale raccordo “for the Commission and other Member States” (ossia, “punto di contatto per la Commissione e gli altri Stati Membri”).

Ciascuno di essi adotta “un programma nazionale per la sicurezza” (art. 9 n. 3) e designa (art. 2, n.7) “un’autorità competente” cui spetta il compito di “coordinare, attuare” e controllarne l’applicazione “in relazione alle navi e ad uno o più impianti portuali”. Tuttavia, stante l’esistenza di una pluralità di soggetti competenti per l’applicazione delle misure di sicurezza, ciascuno Stato Membro dovrebbe designare “un’unica Autorità competente responsabile, a livello nazionale, dell’applicazione delle misure di sicurezza del trasporto marittimo”: così si legge nel considerando 14 del Reg. 725 cit.

Quanto all’applicazione pratica relativa alle misure comuni per migliorare la sicurezza marittima, come predisposto dalla Convenzione SOLAS e dal codice ISPS (richiamate dall’art. 3, reg. 725/2004), l’art. 9, numeri 4 e 5 di quest’ultimo, stabilisce che la Commissione, in collaborazione con il “punto di contatto”, svolge ispezioni anche a campione volte “a controllare l’attuazione del presente regolamento da parte degli Stati Membri” servendosi di “agenti” da essa incaricati, e muniti di “autorizzazione scritta rilasciata dai servizi della Commissione” con indicazione della “natura e scopo dell’ispezione”.

Se il campo di applicazione del reg. 725/2004 è circoscritto esclusivamente alla salvaguardia della maritime security e se l’attività di protezione marittima dell’Agenzia deve essere svolta, ai sensi dell’art.1 del reg. 724/2004 “entro i limiti delle funzioni di cui all’art. 2, lettera b) punto IV” che rinvia a sua volta all’art. 9, paragrafo 4 del regolamento 725, ne discende che l’Agenzia agisce a salvaguardia della maritime security. Ciò appare in linea con le finalità della complessa normativa e trova conferma in una più attenta interpretazione delle disposizioni supra cit., nonostante qualche difficoltà esegetica determinata dall’infelice formulazione delle norme contenute all’interno dei due regolamenti che si richiamano vicendevolmente.

Un’ulteriore conferma può trarsi dall’analisi della versione inglese del regolamento 724/2004 in cui è disposto (art. 1) che l’European Maritime Safety Agency assicura unhigh, uniform and effective level of maritime safety, and maritime security”. Appare chiaro, a questo punto che il termine “protezione marittima” del testo italiano del regolamento 724 è sinonimo dell’inglese maritime security. La sfera di competenza dell’Agenzia, a questo punto, sembra allargarsi rispetto agli originari compiti tracciati dal reg. 1406/2002. Se le modifiche apportate dal regolamento 724/2004 estendono l’operatività dell’Ente anche alla salvaguardia da atti di interferenza illecita, occorre comprendere se all’Agenzia spettino competenze in tema di security in senso lato oppure se essa agisca in tale ambito entro i limiti delle funzioni di cui all’articolo 2, lettera b), paragrafo iv, cioè nel solo caso delle attività ispettive volte ad accertare l’adempimento degli Stati membri al dettato dell’art. 1 del regolamento 725/2004.

Sembra suffragare quest’ultima soluzione l’analisi letterale dell’art. 1 del regolamento 724/2004, il quale, ai paragrafi 1 e 2, delinea le funzioni dell’Agenzia. Tuttavia una più attenta interpretazione della normativa può portare a differenti conclusioni. Infatti, secondo l’art. 2, reg. 724/2004 l’Agenzia “assiste la Commissione nei lavori di preparazione [...] della legislazione in materia di [...] protezione marittima” (lettera a), “nell’efficace attuazione della legislazione in materia di protezione” (lettera b); fornisce dati oggettivi, attendibili e comparabili sulla protezione marittima (lettera f). Ed ancora gli articoli 11 e 15 dispongono che i membri del Consiglio di amministrazione e il Direttore esecutivo devono avere provate capacità ed esperienza in materia di “protezione marittima”. Ecco perché, l’Agenzia sembra rivestire compiti di protezione marittima, latu sensu, senza limitazioni, in ogni fase della sua attività, con la possibilità di un notevole ampliamento di poteri rispetto al passato. Oggi, la maritime security è divenuta una componente fondamentale accanto alla maritime safety dell’azione dell’EMSA.

 

 

5.2. I compiti  in tema di safety Le modifiche apportate dal Reg. 724/2004 non hanno scalfito le originarie competenze dell’ente in tema di safety, anzi le hanno estese anche agli “interventi contro l’inquinamento causato dalle navi nella Comunità” (art.1). Il naufragio della Prestige ([35]) al largo della Galizia nel novembre del 2002 ed il disastro ecologico che ha colpito le acque europee hanno rivelato una preoccupante impreparazione da parte delle competenti autorità marittime. Queste non sono riuscite a far fronte ad una emergenza purtroppo ricorrente in un ampio tratto di mare, teatro, di rovinosi sinistri della navigazione: basti ricordare, oltre al citato affondamento della Erika, il naufragio della Amoco Cadiz del 1978 e la drammatica scomparsa della Tito Campanella nel 1984, solo per ricordare i casi più eclatanti ([36]). A ciò si deve aggiungere la quasi assoluta assenza di coordinamento tra le amministrazioni dei singoli Stati interessati (Spagna e Francia in testa), preoccupati, per lo più, di allontanare la nave dalla costa e incapaci di accordarsi per pianificare un programma di intervento che avrebbe quantomeno arginato un fenomeno i cui danni si concentrano immediatamente nella zona del sinistro per poi propagarsi, a causa delle correnti, per centinaia di miglia.

In questo contesto la Comunità, che aveva già predisposto appropriate misure con il pacchetto Erika I e con il cit. regolamento 1406/2002, ha elaborato nuove e più incisivi provvedimenti indirizzati sia sul versante della prevenzione, sia su quello antinquinamento. Nel  reg. 724/2004, al considerando n. 5 è evidente la volontà della Commissione di intervenire anche a livello di “reazione in caso in inquinamento”.

Pertanto all’Agenzia, in aggiunta alle funzioni già attribuitile dal regolamento istitutivo, spettano ora compiti di intervento contro l’inquinamento causato dalle navi (art.1 lett. a) ultimo inciso); il nuovo paragrafo 3 dell’art. 1 prevede che l’ente fornisca agli Stati Membri e alla Commissione “assistenza tecnica e scientifica” sia per l’inquinamento accidentale, sia per quello intenzionale, elaborando misure, in linea con le politiche volte a rafforzare il quadro comunitario di cooperazione in tale settore e con gli accordi e le Convenzioni internazionali ([37]). Gli strumenti comunitari esistenti in materia sono la Decisione n. 2850/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio e la Decisione del 2001/792 Ce/Euratom ([38]). Queste misure puntano ad incrementare le attività degli Stati Membri in caso di incidente, a promuovere e rafforzare la cooperazione e l’assistenza reciproca.

L’attività dell’agenzia secondo il nuovo par. 3, dell’art. 1 non si limita solo a fornire assistenza, ma anche sostenere i meccanismi d’intervento antinquinamento con  mezzi supplementari, ferma restando la responsabilità degli stati costieri. L’Agenzia potrebbe pertanto intervenire e disporre di mezzi pratici, quali navi specializzate e attrezzature per la raccolta di rifiuti e di altre sostanze nocive versate in mare. Per svolgere tali attività impiegando in modo ottimale le risorse di cui dispone deve dotarsi di un programma di lavoro e di un piano dettagliato per le attività di prevenzione e di intervento antinquinamento, previa consultazione della Commissione.

L’attività di supporto e di assistenza dell’EMSA alla Commissione, con le nuove modifiche apportate dal reg. 724/2004, è estesa quindi a tutti le misure dirette alla tutela della safety e della security. Se pertanto in capo ad un ente specializzato sono concentrate le competenze di questi due settori, e se le persone che in essa operano devono avere ampie conoscenze di entrambi - come si può dedurre dall’art. 16 del testo inglese del regolamento modificato, secondo cui il Direttore esecutivo deve avere comprovata esperienza in materia di maritime security, maritime safety, prevention of pollution e response to pollution - forse la linea di demarcazione tra queste due nozioni utilizzate dal legislatore comunitario non può essere considerata in modo rigido e netto.

Sia la safety che la security sono infatti  predisposte a tutela della sicurezza, un valore fondamentale da tutelare a livello internazionale, comunitario e nazionale indipendentemente dal fatto che a metterla a rischio siano incidenti tecnici o atti di interferenza illecita. Forse potrebbe essere più opportuno parlare di un ente specializzato che salvaguardi la sicurezza ([39]), intendendola secondo la valenza data dalla lingua italiana come insieme di misure per la salvaguardia da situazioni pregiudizievoli per l’incolumità  delle persone trasportate, dei loro beni e della salvezza della nave.

 



* Scritto destinato agli atti in memoria del prof. Elio FANARA.

** Dottoressa di ricerca in diritto della navigazione, Università degli studi di Messina.

[1] Si tratta dell’incidente della petroliera Erika spezzatasi in due il 12 dicembre 1999. Per una descrizione più dettagliata vedi infra nota 7.

[2] La Torrey Canyon, petroliera di 120.000 tonnellate di stazza lorda di bandiera liberiana si incagliò il 18 marzo 1967 e fu bombardata e distrutta dalla Royal Air Force su ordine del governo britannico per incendiare il carico ed evitare ulteriori danni all’ambiente marino. In dottrina, fra gli altri cfr. DU PONTAVICE, La pollution des mers par les hydrocarbures, Paris, 1968; SPINEDI, Problemi di diritto internazionale sollevati dal naufragio della Torrey Canyon, in Riv. Dir. Int. 1967, 565 ss.; v. pure IVALDI, Inquinamento marino e regole internazionali di responsabilità, Padova, 1996, 3 ss. ove ulteriori approfondimenti su altri grandi sinistri della navigazione. Una raccolta sugli incidenti marittimi verificatisi in tutto il mondo durante gli ultimi quarant’anni, con indicazione del nome della nave, della bandiera, della tipologia del carico trasportato, ed altri dati, completata da un breve riassunto dei fatti, può leggersi in HOOKE, Maritime Casualities, second Edition, 1963-1996, LLP, London, Hong Kong, 1997, cui si rinvia anche per altri sinistri della navigazione.

[3] La prima, acronimo di Civil Liability Convention è l’International Convention on civil Liability for oil Pollution Damage del 29 novembre 1969, in vigore dal 19 giugno 1975; la seconda acronimo di Fund for Compensation for oil Pollution Damage, del 18 dicembre 1971, in vigore dal 16 ottobre 1978.

[4] La MARPOL è stata modificata dal protocollo di Londra del 17 febbraio 1978. Numerosi emendamenti successivi sono in vigore per accettazione tacita (così LEFEBVRE D’OVIDIO, PESCATORE, TULLIO, Manuale di Diritto della navigazione, Milano, 2004, 32); un ulteriore Protocollo è stato aggiornato il 26 settembre 1997. Gli emendamenti ed annessi possono leggersi nel sito www.imo.org/Conventions/contents. In dottrina v. amplius GRIGOLI, Il problema della sicurezza nella sfera nautica, t. I, Milano, 1989, 9 ss.

[5] Comunicazione della Commissione del 24 febbraio 1993, COM (93) 66 def.

[6] Acronimo di International Maritime Organization, è un istituto delle Nazioni Unite specializzato in questioni marittime il cui obiettivo è quello di facilitare la cooperazione tra i governi di tutto il mondo al fine di ottenere più elevati standard di sicurezza e di efficienza nella navigazione marittima. Sulle funzioni dell’IMO cfr.: EVANS, Organizzazione marittima internazionale (IMO), in Enc. Giur. Treccani, Roma, XXII, 1990. Secondo LIBRANDO, Le misure adottate dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO) sulla sicurezza delle infrastrutture portuali, in AA.VV. (a cura di Fanara), Le grandi opere infrastrutturali, il territorio e lo sviluppo sostenibile: Il Ponte sullo Stretto di Messina, Atti del Convegno di Acireale (CT), 25-29 agosto 2003, in Collana delle ricerche del Cust, Vol. 22, Messina, 2004, 310, è impossibile che una nave in attività commerciale su rotte internazionali non osservi gli standard dell’IMO sotto i cui auspici “sono state adottate oltre 40 convenzioni, quasi tutte in vigore [...] costantemente aggiornate e selezionate”. Sull’attività dell’IMO in particolare, ID, I primi trent’anni dell’attività dell’IMO, in Dir. Trasp. II/1990, 127; ZUNARELLI, Il Legal Committee dell'IMO e i lavori per l'unificazione del diritto marittimo, in Dir. Mar., 1999, 252-259. Per approfondimenti ed aggiornamenti sulle varie iniziative e sui lavori in corso in sede IMO è possibile consultare il sito internet www.imo.org.

[7] Nave monoscafo di 25 anni, noleggiata dalla Total - Fina, con un carico di 30.000 tonnellate di olio combustibile pesante, era partita da Dunkerque e diretta a Livorno quando, il 10 dicembre 1999, in prossimità della zona di separazione del traffico di Ushant, cominciava ad inclinarsi (probabilmente a causa di una fuoriuscita di greggio nella cisterna di zavorra), al punto da indurre il comandante a cambiare rotta per rifugiarsi nel porto petrolifero francese di Donges. Il giorno successivo, nel ponte principale, cominciavano ad apparire varie fenditure nella carena che facevano aumentare lo sbandamento, aggravato dalle pessime condizioni meteomarine. Il 12 dicembre la situazione era disperata e, alle prime luci dell’alba, iniziavano le operazioni di evacuazione dell’equipaggio. A distanza di poche ore la nave si spezzava in due tronconi, inabissandosi, il 14 dicembre, 40 miglia a sud della punta della Bretagna, riversavando in mare più di 10.000 tonnellate di olio pesante lungo centinaia di chilometri su un litorale di rinomato valore naturalistico, con conseguenze catastrofiche per l’economia e per l’ambiente rivierasco. Le fasi del naufragio possono leggersi nell’allegato 1-A della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 21 marzo 2000 (COM (2000) 142 def.).

[8] I provvedimenti contenuti all’interno del Pacchetto Erika I tendono a regolamentare in modo più aderente alle esigenze di salvaguardia dell’ambiente la complessa materia, e in genere, sono analizzati dalla dottrina insieme alle proposte contenute nel Pacchetto Erika II. Per la bibliografia sia sull’uno che sull’altro Pacchetto Erika si rinvia infra  alla nota 13.

[9] Direttiva 2001/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 2001 che modifica la direttiva 94/57/CE del Consiglio, del 22 novembre 1994, relativa alle “disposizioni e alle norme comuni per gli organi che effettuano ispezioni e visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime”. É interessante ricordare che la Erika era già stata certificata con esito positivo dal RINA (in dottrina ampiamente OYA ÖZÇAYIR, Port State control, LLP, London, Hong Kong, 2001, 240-265) che non era stato informato sui gravi difetti strutturali “riscontrati dalle altre società di classificazione [...] su navi gemelle”: così COMENALE PINTO, La responsabilità delle società di classificazione delle navi, in Dir. Mar. 2003, 4-41 (spec. 11 s., testo e note), cui si rinvia per approfondimenti ed aggiornamenti di dottrina e giurisprudenza.

[10] Direttiva 2001/106/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 2001 che modifica la Direttiva 95/21 del Consiglio relativa all’attuazione di norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento e le condizioni di vita  e di lavoro a bordo, per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di approdo).

[11] Le navi più volte fermate nei porti europei perché ritenute substandard ed inserite nella “black list” sono 66 (di cui ben 26 turche) per 13 diverse bandiere. Lo scopo è quello di scoraggiare gli operatori del trasporto a servirsi di navi il cui potenziale distruttivo non può essere ignorato. L’iniziativa è quanto mai opportuna: infatti il trasporto cisterniero nei mari della Comunità è in forte espansione per la crescita della domanda di greggio ed altri derivati del petrolio indispensabili fonti di energia per le industrie e veicoli di ogni tipo, ma altamente inquinanti. La tabella, completa con nome, età, tipologia, parametri di rischio delle navi, è pubblicata in COM 2002/681 def., e può leggersi anche in AA.VV. (a cura di Ciciriello), La protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento, in Atti della Tavola Rotonda di Napoli, del 23 gennaio 2003, Napoli (editoriale scientifica), 2003, 281.

[12] Nelle petroliere monoscafo una lamiera sul fondo e sui fianchi della nave separa il greggio dall’acqua; se durante la navigazione la placca viene danneggiata il contenuto della cisterna si sversa direttamente in mare. Al fine di ridurre il rischio da inquinamento, la Convenzione Marpol ha imposto, a partire dal luglio 1996, la costruzione di più sicure petroliere a doppio scafo: in dottrina v. GRIGOLI, Profili di diritto dei trasporti alla luce dell’attuale realtà normativa, Bologna, 2003, 173 ss. In queste navi è applicato, intorno alla cisterna di carico, un secondo rivestimento esterno: la fuoriuscita di liquidi si potrà verificare solo in caso di rottura di entrambe le lastre. Le doppio scafo sono certamente più sicure ma non immuni da rischi, come ha dimostrato il caso della nave greca Aegen Sea, incagliatasi il 3 dicembre 2002 nel porto di La Coruňa con un carico di circa 80 mila tonnellate di greggio finito in mare a seguito dell’urto che faceva incendiare il liquido infiammabile provocando l’esplosione della petroliera. Per un breve resoconto dell’incidente e per i dettagli tecnici (completi di sezioni trasversali delle petroliere di nuova concezione) v., rispettivamente, allegato 1-A e 1-B della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio in materia di sicurezza marittima del trasporto di idrocarburi, COM (2000) 142 def. del 21 marzo 2000. Dopo l’incidente della Exxon Valdez, naufragata in Alaska nel 1989, gli Stati Uniti hanno adottato, nel 1990 l’Oil Pollution Act. La legge statunitense prevede una disciplina più rigorosa rispetto a quella dettata dalle convenzioni internazionali e, attraverso disposizioni vincolanti, ha imposto il più affidabile doppio scafo sia alle petroliere di nuova costruzione sia a quelle già esistenti. Poiché la spesa per la trasformazione di una monoscafo supera il costo di una nave nuova, gli USA hanno sostanzialmente bandito dalle loro acque le petroliere di vecchia concezione. Per una più efficace salvaguardia del mare e delle coste e per evitare che le navi “scacciate” dai porti americani si riversino in quelli europei, l’U.E. ha accelerato le procedure per la sostituzione delle monoscafo. Secondo la Commissione, infatti, l’utilizzo delle doppio scafo “sarà obbligatorio nella maggior parte delle classi petroliere dal 2010” (COM (2000) 802 def.). Sull’evoluzione della disciplina v. BERLINGIERI, Accelerazione del programma di “phasing out” delle navi cisterna a scafo singolo e limitazioni all’accesso ai porti delle navi a scafo singolo che trasportano idrocarburi pesanti, in Dir. Mar. 2004, 1183 ss.; COMENALE PINTO, Contro il rischio da inquinamento da idrocarburi: il doppio scafo, in Giust. Civ., II, 2005, 161 ss.

[13] V. la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio del 6 dicembre 2000 (COM (2000) 802 def.). Sui pacchetti Erika I ed Erika II, la bibliografia è particolarmente ampia. In materia v., tra gli altri, FANARA, Relazione introduttiva, in AA.VV., Atti del convegno di Acireale, (27-31 agosto 2001), Mare, porti e reti infrastrutturali: per una nuova politica dei trasporti, in Collana ricerche del CUST, vol. 20, Messina, 2001, 9-16; AA.VV. (a cura di Ciciriello), La protezione del mare Mediterraneo, cit., 281-285; TURCO BULGHERINI, L’integrazione nel sistema dei trasporti: tendenze evolutive e servizi coinvolti. Aspetti della navigazione marittima ed aerea, in AA.VV. (a cura di Xerri), Trasporti e globalizzazione: materiali per una ricerca, Cagliari (ISDT), 2004, 99 ss., spec. 118-122.

[14] Cfr. la Dir. 93/75/CEE, cosiddetta Hazmat (da Hazardous Materials), del 13 settembre 1993 “Relativa alle condizioni minime necessarie per le navi dirette ai porti marittimi della Comunità o che ne escono e che trasportano merci pericolose o inquinanti”. In dottrina cfr. GRIGOLI, La nuova realtà del diritto della navigazione, Bologna, 1999, 631 ss.

[15] Relativa all’istituzione di un sistema di monitoraggio del traffico navale e d’informazione, che abroga la direttiva 93/75 CEE del Consiglio, cit. nella nota precedente.

[16] Vedi retro la nota 14.

[17] La Convenzione di Bruxelles del 29 novembre 1969 CLC regola la responsabilità per inquinamento marino da idrocarburi e si applica ai danni arrecati sul territorio di uno Stato contraente, da sversamenti provocati da navi, escluse quelle da guerra e di Stato utilizzate per servizi non commerciali. Secondo ARROYO, Problemi giuridici relativi alla sicurezza della navigazione marittima (con particolare riferimento al caso Prestige), in Dir. Mar. 2003, 1198 s., l’attuale sistema risarcitorio si dimostra insoddisfacente per il fatto che la responsabilità, oggettiva, grava sul proprietario e non sul soggetto (armatore, noleggiatore) che crea il rischio e si avvantaggia dell’utilizzo della nave. Ecco perché, in una diversa prospettiva più aderente alle attuali esigenze della protezione dell’ambiente, è auspicabile, da un lato un sistema di incentivi “premiante” per gli operatori del trasporto dimostratisi capaci di migliorare le condizioni di sicurezza, dall’altro il “ritorno” al tradizionale e più incisivo criterio della colpa. Sul tema vedi pure VIALARD, Faut-il réformer le régime d’indemnisation des dommages de pollution par hydrocarbures, in D. M. F. 2003, 435 ss. Si è inoltre osservato come non vengano adeguatamente tutelate le aspettative dei danneggiati dalle “maree nere” di grandi dimensioni, risarciti più tardi e meno delle vittime di un incidente di minore portata, a cagione della complessità del meccanismo procedurale e della esiguità del plafond previsto dalla legge uniforme (CLC e FUND). Infatti, se il danno non è risarcibile o l’entità supera il limite massimo stabilito, ovvero l’assicurazione o altra garanzia finanziaria si rivelino incapienti, interviene la Convenzione di Bruxelles FUND del 18 dicembre 1971 (cosiddetta IFC, FC, o IOPC) istitutiva di un Fondo internazionale per il risarcimento dei danni da inquinamento causato da idrocarburi. Si tratta di un plafond finanziato con contributi degli interessati ai carichi: in dottrina v. COMENALE PINTO, La responsabilità per inquinamento da idrocarburi nel sistema della C.L.C. 1969, Padova, 1993, passim.; CAMARDA, Convenzione “Salvage 1989” e ambiente marino, Milano, 1992, 58-71. Tuttavia, poiché i massimali della CLC e FUND possono rivelarsi insufficienti (infatti i danni della Prestige si aggirano, secondo quanto riferito da ARROYO, Problemi, cit., 1217, intorno a mille milioni di euro) la Commissione ha previsto, nel Pacchetto Erika II, la creazione di un Fondo di indennizzo supplementare per risarcimenti ulteriori, sfociato nella proposta di decisione del Consiglio COM (2003) 534 def.; v. infra, nel testo e la nota successiva. Sulla petroliera Prestige cfr. la nota 35.

[18] Sui rapporti tra queste due Convenzioni e il COPE, in dottrina v. COMENALE PINTO, Il meccanismo dei fondi e la proposta di istituzione di un fondo europeo di terzo livello, in AA.VV. (a cura di Zanelli), Inquinamento del mare e sicurezza della navigazione, Atti del Convegno di Santa Severina, 14-15 giugno 2002, Napoli, 2004, 125 ss. Quanto all’importo complessivo del COPE, questo è limitato per ogni singolo incidente e non può superare il tetto di un miliardo di euro; se le domande di risarcimento accolte superano questa cifra, essa verrà suddivisa, proporzionalmente, in parti uguali. Il risarcimento addizionale del nuovo Fondo ha un precedente nel campo della navigazione aerea: infatti l’art. 35A della Convenzione di Varsavia, introdotto con l’art. XIV del Protocollo di Guatemala dell’08 marzo 1971 (cfr. FANARA, Le assicurazioni aeronautiche, Reggio Calabria, 1976, 366) prevedeva la possibilità di istituire un sistema di risarcimento complementare. Questo, senza modificare i criteri di responsabilità previsti dalla legge uniforme, offriva l’opportunità ai passeggeri che avessero pagato un sovrapprezzo sul costo del biglietto, di avvantaggiarsi di un più elevato tetto risarcitorio rispetto ai massimali previsti dall’art. 22 della Convenzione di Varsavia. Negli USA è stato proposto il Supplemental Compensation Plan che non è mai entrato in vigore per l’opposizione della potente lobby degli avvocati americani; in dottrina v. LA TORRE, Il risarcimento “complementare” nel trasporto aereo di persone: il piano statunitense del 1990, in Dir. Trasp. 1992, 70 ss. Per “dissuadere l’iniziativa unilaterale dell’Unione Europea”, ossia il Fondo COPE, in sede IMO si è proposta la costituzione di un Fondo integrativo complementare a CLC e FUND: COMENALE PINTO, op.ult. cit., 134.

[19] L’attacco al World Trade Center non ha precedenti nella storia dell’umanità ed ha aperto un nuovo scenario sia per la tipologia utilizzata, aeromobili civili trasformati in ordigni di distruzione di massa, sia per le dimensioni globali dell’accaduto, di portata tale, da incidere sulle infrastrutture del trasporto del mondo intero. Gli attentati terroristici vengono perpetrati da organizzazioni politiche e/o criminali che talvolta si servono di comuni mezzi di trasporto come contenitori di esplosivo: tipico il caso dell’autovettura parcheggiata sul luogo del delitto e fatta scoppiare con un comando a distanza; altre volte il veicolo viene utilizzato come proiettile scagliato contro il bersaglio da attentatori suicidi. Assai diversi rispetto agli attentati con autobomba sono i sequestri di aeromobili. Le organizzazioni terroristiche, infatti, hanno ritenuto il dirottamento del mezzo aereo generalmente accompagnato da rivendicazioni politiche, come ad esempio il rilascio di territori occupati, richieste di liberazione di prigionieri in cambio della vita dei passeggeri ecc., più destabilizzante sotto il profilo sociale, soprattutto quando si conclude con la distruzione del mezzo e con la morte di tutte le persone a bordo. A differenza dell’autobomba, che ha già prodotto il suo effetto quando la notizia viene diffusa, il dirottamento aereo si pone su un piano mediatico diverso poiché crea uno stato di apprensione prolungato nel tempo e dilatato nello spazio, in considerazione della capacità dell’aeromobile di ospitare al suo interno persone (equipaggio, passeggeri) talvolta di diversa nazionalità e di spostarsi in tempi brevi coprendo grandi distanze. Il fine del dirottamento è quello di mettere in luce “l’impotenza delle autorità governative ed alienare a queste il consenso della popolazione”: (PANZERA, Terrorismo (Dir. Intern.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 371, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti e richiami di dottrina). L’11 settembre non ha nulla a che vedere con il terrorismo eversivo “classico” dei movimenti di liberazione nazionale. Si tratta di un vero e proprio atto di guerra che vede, quali parti contrapposte, “non più Stati contro Stati, eserciti regolari […] contro altri eserciti o […] contro guerriglieri”, ma una rete internazionale del terrore, un nemico elusivo ed intangibile che si materializza improvvisamente “contro inermi cittadini con l’intento di esercitare una pressione psicologica tale da indurre allo scoramento, alla rassegnazione o alla rivolta la pubblica opinione”: così CECCHINI in Terrorismo, tolleranza e diritto internazionale, in Riv. Cooperazione Giur. Internaz. 2002, 10. L’A. osserva come l’attacco al Word Trade Center ed al Pentagono, simboli rispettivamente della supremazia economica e militare del Paese più potente del mondo, segna la fine di un’epoca e scuote dalle fondamenta i principi del diritto internazionale. In questa inquietante prospettiva il terrorismo non è più solo metodo di lotta armata ma di contrapposizione ideologica, che accomuna gli attentatori delle Twin Towers alle SS. alla Gestapo ed al KGB per i quali “la vita umana non aveva alcun valore e la morte dell’avversario era solo la fine di un sé” (ivi 9 s).

[20] I provvedimenti per far fronte al rischio di attentati sono stati adottati nell’ambito del trasporto aereo, il primo a palesare la vulnerabilità del sistema. Gli Stati Uniti hanno adottato, nell’immediato, speciali misure, in talune ipotesi addirittura discriminatorie nei confronti di soggetti potenzialmente pericolosi a cagione della loro origine arabo-mussulmana, in seguito opportunamente rivedute e corrette nell’Aviation And Transportation Security Act (ATSA) del 19 novembre 2001. A livello comunitario sono stati emanati il reg. CE 1592/02 del 15 luglio 2002 “recante regole comuni nel settore dell’aviazione civile e che istituisce un’agenzia europea per la sicurezza aerea” e il reg. 2320/02 del 16 dicembre 2002 “che predispone norme per la sicurezza dell’aviazione civile”. Sul punto cfr. DEMPSEY, Airline & Airport, cit.. Vedi pure LA TORRE, Obblighi e responsabilità del controllore della sicurezza, in AA.VV. (a cura di Deiana), Aeroporti e responsabilità, Atti del Convegno di Cagliari, 24-25 ottobre 2003, Cagliari (ISDIT); FRANCHI, Le inchieste aeronautiche, Milano, 2004; PELLEGRINO, Sicurezza a prevenzione degli incidenti aeronautici, Milano, 2005, 251; SCIACCHITANO, Profili organizzatori dell’European Aviation Safety Agency (EASA), in AA.VV. (a cura di Franchi), La sicurezza del volo nell’ordinamento interno ed in quello internazionale, Atti del convegno di Modena, 28-29 giugno 2002, Milano, 2005, 141 ss.; GESTRI, Le competenze decisionali delle EASA, nell’ordinamento comunitario, ibidem, 151 ss.; SOLOCKI, CARTIER, Continuing airworthiness, in the Framework of the Transition from the Joint Aviation Autorithies to the European Aviation Agency, in Air and Space Law, 2003, 311 ss.; MASUTTI, Il diritto aeronautico, lezioni, casi e materiali, Torino, 2004, 46-50.

[21] Le prime minacce contro la sicurezza delle navi, dei passeggeri e degli equipaggi risalgono ai primi anni ’60, con il sequestro della Santa Maria del 1961 e dell’Anzoategui del 1963, cui accenna BOISSON, op. loc. cit. In seguito, l’impossessamento del transatlantico italiano Achille Lauro dell’8 ottobre 1985 (in dottrina CASSESE, Il caso Achille Lauro, Roma, 1987; RONZITTI, Alcuni problemi giuridici sollevati dal dirottamento dell’”Achille Lauro”, in Riv. Dir. Internaz. 1985, 584 ss.) ha preceduto di qualche anno il dirottamento del City of Poros del 1988 (per qualche approfondimento LUCCHINI, VOELCKEL, Droit de la mer, vol. 2, t.II, Paris, 1996, 168 s.). Elemento tipico dell’atto di pirateria, ai sensi dell’art. 15 Conv. Ginevra sull’alto mare del 1958 e dell’art. 101 Conv. Montego Bay del 1982, è il fine di lucro ovvero lo scopo privato o personale. Non può considerarsi tale il sequestro dell’Achille Lauro, essendo i terroristi già imbarcati come passeggeri “non potendosi ravvisare un attacco di questi da altra nave”, elemento indispensabile per la qualificazione del fatto come atto di pirateria, cfr. PANZERA, Terrorismo, cit., 373. A fronte di questi attentati contro la sicurezza della navigazione, su iniziativa dell’IMO, sono stati adottati il 10 marzo 1988 la Convenzione di Roma sulla repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima e il Protocollo per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse situate nella piattaforma continentale (Convenzione e Protocollo SUA, entrati in vigore nel 1992). A parte i casi di sequestro di nave, cui abbiamo accennato, il problema della pirateria non deve essere sottova

ato. Secondo fonti IMO solo nel 2002 i casi accertati sono circa 480 in tutto il mondo, una cifra preoccupante se paragonata ai circa 60 casi del 1983. Sulle iniziative adottate dall’IMO dopo l’11 settembre cfr. LIBRANDO, L’Organizzazione marittima internazionale e le iniziative allo studio a seguito degli attentati dell’11 settembre, in AA.VV. (a cura di Fanara), Atti del Convegno di Acireale (26-30 agosto 2002), Politiche europee delle infrastrutture dei trasporti e sviluppo del Mezzogiorno, in Collana ricerche del CUST, vol. 21 Messina, 2003, 453 e ss. V. pure, per altri riferimenti, TELLARINI, Relazione al Convegno di Bologna (7 aprile 2003) sul temaSecurity e trasporto marittimo”, in Dir. Mar., 2003, 676 ss; ID., La normativa adottata in sede IMO in materia di security marittima, ivi 2003, 1102 ss., spec. 1105-1107.

[22] Alle misure di protezione per il trasporto marittimo e gli impianti portuali alla luce della nuova normativa è dedicato il volume AA.VV., Progetto STIMA, Seminario Internazionale Codice ISPS, Livorno, 2004. Per aggiornamenti si può anche consultare il sito www.stima.org. Le articolate procedure del codice ISPS sono riassunte da LIBRANDO, Le misure, cit., 314 ss. Secondo questo A. nel mondo si devono certificare circa 40.000 fra navi ed unità mobili di perforazione, oltre a 20.000 porti e 60.000 terminal, oltre a ben 300.000 specialisti da formare in materia di security. In argomento v. BOISSON, op. cit., 723 il quale nutre seri dubbi circa la concreta operatività del codice in tempi brevi, stante la difficoltà di rendere funzionale un progetto così costoso e tale da richiedere il controllo di “55.000 navires et les 15.000 ports concernés ainsi que pour former quelques 75.000 agents de sécurité”.

[23] Tra cui la Container Security Iniziative, (CSI) per la quale si rinvia al commento contenuto spec. nel par. 2.5 della Comunicazione della Commissione 2003/229 def. Per un sintetico quadro sui provvedimenti adottati per la sicurezza della navigazione marittima in Europa e negli Stati Uniti v. LIBRANDO, Le misure, cit. 309-322. Sui rapporti tra il Maritime Security Act (MTSA) ed il Codice ISPS, circa gli obblighi degli armatori stranieri di attenersi alle disposizioni stabilite dal primo, si rinvia allo studio di Holland & Knight (a cura di), L’applicazione del Maritime Transportation Security Act degli Stati Uniti agli armatori stranieri, pubblicato in Dir. Mar. 2003, nella rubrica Notiziario, 1594 ss.

[24] Cfr. rispettivamente COM (95) 691 def. del 20 dicembre 1995 e  COM (2001) 370 del 12 settembre 2001, La politica europea dei trasporti fino al 2010. Questo tratta diffusamente del trasporto marittimo, sia come modalità alternativa al gommato, sia in una prospettiva volta ad integrare le singole modalità per un trasporto meno costoso (sia in termini di costi esterni che interni) e più efficiente. Specialmente nella parte IV, sulla “Mondializzazione dei trasporti”, I, lett. c, dal titolo “Una nuova dimensione della sicurezza”, il testo, in considerazione dell’imminente allargamento dell’Unione ad altri Paesi, riassume le proposte della Commissione, orientate ora al rafforzamento del controllo delle navi da parte degli Stati di approdo, ora al graduale ritiro delle petroliere monoscafo, ora alla creazione di un sistema di risarcimento addizionale (ossia complementare rispetto alle convenzioni di Bruxelles del 1969 e del 1971), ed infine, alla creazione di una Agenzia di sicurezza marittima. Le problematiche del Libro Bianco hanno formato oggetto di un Convegno, svoltosi ad Acireale (CT) il 27- 31 agosto 2001, i cui atti sono raccolti in Mare, porti e reti infrastrutturali, cit. Nel  volume si segnalano le relazioni di PEDERSEN, Seaports, Maritime Infrastructures and their Integration into the Multimodal Trans-European Netwoks, 21 ss. e BERGOT, Lo spazio europeo per la sicurezza marittima: dall’ISM CODE al Pacchetto Erika II, 329 ss.

[25] Per un’approfondita distinzione tra safety e security: v. amplius PELLEGRINO, La definizione di sicurezza aerea, in AA.VV. (a cura di Deiana), Aeroporti e responsabilità, Atti del Convegno di Cagliari, 24-25 ottobre 2003, Cagliari (ISDIT), 2005, 171 ss. Anche la lingua francese distingue tra sécurité e sûreté: per qualche cenno cfr. BOISSON, La sûreté des navires et la prévention des actes de terrorisme dans le domaine maritime, in D.M.F. 2003, 723.

[26] Il modello utilizzato dell’Agenzia è stato concepito dalla Comunità europea nei primi anni ‘70, ed è stato impiegato, con maggiore frequenza, a partire dagli anni ’90. Si tratta di organi, provvisti di personalità giuridica e dotati di un certo grado di autonomia, la cui funzione è volta a fare fronte a compiti specialistici di natura tecnica e scientifica per lo più connessi al lavoro della Commissione. La loro istituzione ha dato luogo ad un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa la possibilità o meno da parte degli organi istituzionali della Comunità europea di delegare poteri ad organismi terzi. Ad una prima lettura del Trattato istitutivo CE, che individua attribuzioni, funzioni e compiti delle istituzioni comunitarie, non appare contemplata la creazione di nuovi organismi, quali sono appunto le agenzie. Questa interpretazione restrittiva è stata in parte superata dalla pronuncia della Corte di Giustizia del 13 giugno 1958 (causa 9/56, impresa Meroni et co., industrie metallurgiche S.p.A., c. Alta Autorità, in Raccolta, 11 ss.), che ha considerato legittima l’istituzione di nuovi organi a condizione che svolgano compiti limitati e siano sottoposti a controlli. D’altronde la previsione contenuta nell’art. 234 del Trattato CE, ove è previsto che la Corte di Giustizia deve interpretare gli statuti degli organismi comunitari istituiti con atti del Consiglio, rafforza la tesi della possibilità di dar “vita” in seno alla Comunità, a nuovi organismi. Per un approfondimento sul tema delle agenzie europee cfr. KREHER, MARTINES, Le “agenzie” della Comunità Europea: un approccio nuovo per l’integrazione amministrativa?, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1996, 97; FRANCHINI, Le relazioni tra le Agenzie europee e le autorità amministrative nazionali, in Riv. Ital. Dir. Pubbl. Com., 1997,15. Per qualche cenno sulla struttura di organismi comunitari in tema di trasporti vedi pure POZZI, L’Agenzia europea per la sicurezza aerea, in AA.VV., Il nuovo diritto aeronautico in ricordo di Gabriele Silingardi, Milano, 2002, 91.

[27] Il Reg. 1406/2002 è stato modificato una prima volta il 22 luglio 2003 dal Reg. n. 1644/2003. Si tratta di un intervento mirato ad armonizzare la disciplina istitutiva dell’Agenzia Europea con il Reg. 1605/2002, che individua il regolamento finanziario applicabile al bilancio della Comunità Europea, e con il reg. 1049/2001, che disciplina i princìpi e i limiti dell’esercizio del diritto di accesso al pubblico dei documenti comunitari.

[28] Nominato all’unanimità nel gennaio 2003 dal Consiglio di amministrazione, attuale direttore esecutivo è l’olandese Williem De Ruiter, esperto del settore e responsabile dell’Unità G2 (sicurezza marittima) della Direzione Generale Energia e Trasporti.

[29] Il programma di lavoro, ai sensi dell’art. 10, lett. d), viene adottato dal Consiglio di amministrazione entro il 31 ottobre di ogni anno, e, previo parere favorevole della Commissione, è trasmesso agli Stati membri, al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione. Il recente regolamento 2004/724 ha apportato modifiche al regolamento istitutivo dell’Agenzia, ed ha, fra l’altro, spostato al 30 novembre 2004 il termine entro cui deve essere ricevuto il programma di lavoro. Ha inoltre introdotto una nuova disposizione, lett. k), secondo cui il Consiglio riceve un “programma di lavoro e il piano dettagliato per le attività di prevenzione e di intervento antinquinamento per garantire l’impiego ottimale delle risorse finanziarie di cui l’Agenzia dispone”.

[30] Nella nuova formulazione, così come modificata dal regolamento Reg. CE 724/2004, l’art. 1 dispone che l’Agenzia deve “assicurare un livello elevato, uniforme ed efficace di sicurezza marittima, di protezione marittima, di prevenzione dell’inquinamento e di intervento contro l’inquinamento”.

[31] Per un quadro periodicamente aggiornato sull’attività dell’EMSA, acronimo di European Maritime Safety Agency, è possibile consultare il sito internet www.emsa.eu.int.

[32] L’ultimo grave sinistro della navigazione marittima si è verificato il 9 dicembre 2004, quando il cargo malaysiano Selendang Ayu, di 40 mila tonnellate di stazza lorda e 225 metri di lunghezza ha urtato contro uno scoglio dell’arcipelago delle isole Aleutine, a sud-ovest dell’Alaska e a circa a 13000 chilometri da Prince Williams, ove si è incagliata la Exxon Valdez. La nave malese, prima di colare a picco, ha rilasciato gran parte dei due milioni di litri di carburante contenuto nei serbatoi in una zona di particolare pregio sotto il profilo ambientale, ove vivono specie animali, come i leoni marini e le foche, in via di estinzione o in calo di popolazione. Durante i soccorsi, resi difficili dalle avverse condizioni meteomarine ed operati con l’ausilio di un elicottero della guardia costiera che precipitava in mare, perdevano la vita 6 membri dell’equipaggio, morti per assideramento nelle gelide acque del mare di Bering, mentre i superstiti venivano tratti in salvo dall’intervento di un secondo elicottero. Per qualche notizia sul naufragio possono consultarsi i siti internet: www.marinacivil.com/articulos; www.rainews24.it/ran24;   www.legambiente.com.

[33] Secondo tali disposizioni la sicurezza deve essere integrata in tutte le fasi del trasporto marittimo, sia quelle della navigazione strictu sensu, sia quelle che comportano il movimento di persone, merci, fornitura di servizi portuali verso o dalla nave. Il Reg. 725/2004 prevede obblighi specifici in materia di amministrazione, controllo e predisposizione delle misure necessarie per la tutela da “azioni illecite intenzionali” e determina a tal fine la predisposizione di un piano di sicurezza. Questo è una sorta di programma elaborato preventivamente ed opportunamente diversificato per differenti navi, porti ed infrastrutture portuali; esso ne individua i punti deboli, adeguate misure di difesa ed è volto a prevenire e/o a far fronte ad eventuali attentati contro la sicurezza.

[34] Secondo BOISSON, La surété des navires, cit., uno Stato può designare un organismo di sicurezza riconosciuto il quale valuta la conformità della sicurezza del porto, della nave e delle installazioni portuali al codice ISPS, eventualmente assistendo nave e porto per l’elaborazione del relativo piano: in quest’ultima ipotesi non può certificare il piano che ha contribuito a preparare. Le società di classificazione si sono fatte carico di formare personale specializzato pubblicando regole di interpretazione allo scopo di mettere in pratica le complesse procedure del codice.

[35] Petroliera a scafo unico (con equipaggio di quasi trenta unità, quasi tutte di nazionalità filippina, delle quali ventiquattro arruolate il giorno precedente alla prima avaria della nave), battente bandiera delle Bahamas, con un carico di 77.000 tonnellate di combustibile pesante, il 13 novembre 2002, in avaria al largo della costa ovest della Galizia, è affondata, dopo una settimana di “agonia”, il 19 novembre, spandendo una marea nera di enormi proporzioni, con ripercussioni rovinose per l’ambiente e per l’economia costiera. Assolutamente inutili e forse controproducenti si sono rivelate le operazioni di rimorchio, volte spostare la nave lontano dalla costa. Restano incerte le cause dello spandimento del greggio, e non si può escludere che le manovre di allontanamento della Prestige a mezzo rimorchiatori abbiano peggiorato i danni alla chiglia, contribuendo ad un maggior versamento di idrocarburi in mare. Non si escludono neanche responsabilità a carico della competente Autorità marittima spagnola, per non avere indicato un “porto rifugio” o un approdo per il travaso del greggio. Sul punto v. ARROYO, Problemi giuridici, cit., 1193 ss.; AA.VV. (a cura di Montebello e Miccichè), La sicurezza in mare: interrogativi urgenti e proposte dopo il caso Prestige, Atti del seminario internazionale (Palermo, 15 marzo 2003), Palermo, 2004, secondo cui “le stime più ragionevoli collocano il danno economico della Prestige intorno ai mille milioni di euro”, compresi ben venti milioni di euro per l’estrazione dell’olio combustibile rimasto all’interno del relitto ad oltre 2500 metri di profondità (ivi, 1217). Per un’analisi dei disastri della Prestige e dell’Erika cfr. pure BULHER, Les marées noires, prévention et réparation, in D.M.F. 2003, 417 e ss.; v. pure AA.VV. (a cura di Montebello e Miccichè), La sicurezza in mare: interrogativi urgenti e proposte dopo il caso Prestige, Atti del seminario internazionale (Palermo, 15 marzo 2003), Palermo, 2004.

[36] Un quadro sinottico con indicazione del nome della nave, data, bandiera, quantità e qualità del liquido sversato nei mari della Comunità è pubblicato nell’Allegato 1-A della Comunicazione COM 2000/142 def. Eppure nessun incidente può essere paragonato, quanto a danni ambientali e greggio finito in mare (ben 230 mila tonnellate), al sinistro della superpetroliera liberiana Amoco Cadiz, inabissatasi a largo della Bretagna il 17 marzo 1978, dopo essersi spezzata in due tronconi mentre si tentava di rimorchiarla dopo l’incaglio, cagionato da un’avaria meccanica che rendeva ingovernabile la nave. Questa, costruita nel prestigioso cantiere navale Astilleros Espaňoles di Cadice, presentava vizi di progettazione e di costruzione e versava in pessime condizioni di manutenzione: PFENNIGSTORF, <<Amoco Cadiz>>, davanti al giudice: 10 anni e nulla di concluso, in Ass. 1988, I, 333 ss. L’incalcolabile pregiudizio economico ed ambientale per le coste bretoni sollevava le vivaci proteste del governo francese, impossibilitato ad intervenire perché tardivamente informato. Gli “inammissibili ritardi” nelle operazioni di soccorso si fanno risalire al “patteggiamento del compenso tra il comandante della nave in pericolo e quello del rimorchiatore [...] che aveva offerto i suoi servigi”: così RIZZO, La nuova disciplina del soccorso in acqua e il codice della navigazione, Napoli, 1996, 22 ss., cui si rinvia per approfondimenti. Secondo questo A. il caso Amoco Cadiz “offrì l’occasione per rimeditare l’idoneità degli strumenti normativi a disposizione degli Stati”, con particolare attenzione alla tesi sostenuta dalla Francia, che propugnava “un rafforzamento dei poteri di intervento dello Stato costiero alle cui istruzioni sia la nave soccorsa che il soccorritore si sarebbero dovuti conformare” (ivi 22, s). L’esistenza di una struttura altamente specializzata per il controllo delle navi (potenzialmente) a rischio, in grado (anche) di intervenire con idonei mezzi per pianificare le operazioni di soccorso potrà certamente prevenire o comunque diminuire i danni all’ambiente marino ed alla costa.

[37] Tra gli accordi più rilevanti si ricorda l’accordo di Bonn del 13 settembre  1983 concernente la cooperazione in materia di lotta all’inquinamento del mare del nord  causato dagli idrocarburi e dal altre sostanze pericolose, la convenzione (OPRC) del 1990 sulla preparazione, la lotta e la cooperazione in  materia disinquinamento e la convenzione (OSPAR) per la protezione dell’ambiente marino nell’atlantico nord-orientale del 22 settembre 1992.

[38] I provvedimenti supra cit. sono, rispettivamente, la Decisione n. 2850/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2000, che istituisce un “quadro comunitario di cooperazione nel settore dell’inquinamento marino dovuto a cause accidentali o intenzionali”, al fine di preservare e proteggere l’ambiente e la salute umana; e la Decisione del Consiglio del 23 ottobre 2001, che istituisce un meccanismo comunitario inteso ad agevolare la cooperazione rafforzata negli interventi di soccorso della protezione civile. Si vuole in tal modo creare un sistema in grado di far fronte a gravi “emergenze, catastrofi naturali e tecnologiche, compreso l’inquinamento marino a cause accidentali” (art.1, decisione n. 2001/792/CE/Euratom) in modo da offrire idoneo supporto tecnico capace di coordinare gli interventi di soccorso.

[39] Sulla nozione, in generale, di sicurezza della navigazione, cfr., TURCO BULGHERINI, Sicurezza della navigazione, in Enc. Dir., XLII, Milano, 1990, 461 e ss.; CORBINO M.L., Sicurezza della navigazione marittima, in Dig. Comm, XIII, 1996, 409 ss., GRIGOLI, Il problema della sicurezza nella sfera nautica, t. I, Milano, 1989, par. VIII, 155 e ss. Secondo quest’ultimo A. la sicurezza non comprende solo le misure dirette a garantire il buon esito della spedizione marittima ma è un concetto che va ridefinito ed aggiornato tenendo conto del ruolo essenziale assunto dalla corretta gestione dell’ambiente e dalla salvaguardia dei beni pubblici destinati alla navigazione. La nozione, pertanto, si espande oltre i confini tradizionali fino a ricomprendere la normativa diretta alla prevenzione e alla repressione dell’inquinamento (delle acque, atmosferico ed acustico), ed abbraccia la protezione dei beni prodromici all’utilizzazione della nave e le disposizioni finalizzate al razionale impiego degli spazi marini.

 

 

Data di pubblicazione:  18 ottobre  2005