Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, III/2005

Responsabilità infragruppo e gruppo bancario *

Augusto Saija**

 

La novella del diritto societario, attuata con i decreti legislativi numero 5 e 6 del 2003, in attuazione alla Legge delega 3 ottobre 2001 n. 366, rappresenta per gli operatori del diritto, un’ulteriore occasione di studio anche con riferimento agli eventuali coinvolgimenti che le nuove norme hanno sui testi unici finanziari e bancari.

Quanto sopra affermato trova conferma nell’emanazione del decreto legislativo 6 febbraio 2004 n. 37 (intitolato “Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi numeri 5 e 6 del 17/01/2003, recanti la riforma del diritto societario, nonché al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1° settembre 1993, e al testo unico dell’intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998”) con il quale il legislatore ha inteso coordinare la nuova disciplina codicistica in tema di società con i predetti testi unici bancario e finanziario. Ed in effetti, è stato osservato dai primi commentatori che il D. lgs 37/2004 sia intervenuto in maniera più incisiva sulla disciplina bancaria e finanziaria che sugli istituti del codice civile.

Alcuni commentatori della nuova normativa societaria[1] hanno correttamente sostenuto che la riforma ha reso le società meno complesse e più flessibili, per via dell’enorme spazio che è stato dato alla volontà dei soci che possono modellare gli statuti societari in base alle reali esigenze e ricorrere a molteplici forme di finanziamento per essere competitivi sul mercato. Tutto ciò ha reso necessario un conseguente lavoro di adeguamento dei citati testi unici, ad opera del legislatore, ed un’attività ermeneutica degli operatori del diritto per verificare se e come – laddove il legislatore non ha provveduto espressamente – sia possibile coordinare le normative.       

Focalizzando l’attenzione sul tema oggetto del seminario, ossia sulla tutela dei soci e dei creditori in ipotesi di crisi dell’impresa bancaria ed in particolare per ciò che concerne i gruppi di società, appare opportuno osservare come una delle più sensazionali innovazioni apportate dal legislatore della riforma societaria sia stata proprio quella di prevedere una disciplina specifica dei gruppi di imprese (di diritto e di fatto), finora assente nel codice civile[2]. Infatti, all’interno del libro V, titolo V, è stato interamente introdotto il capo IX, intitolato “Direzione e coordinamento di società”, che disciplina analiticamente tutte le società che si trovano coinvolte nell’ambito dell’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento. Non viene specificato a quali tipi debbano appartenere tali società: così, nel silenzio della legge, è apparso corretto ritenere che la nuova normativa si possa applicare a tutti i tipi di compagini (ivi comprese, quindi, quelle personali)[3].

Il legislatore delegato non ha fornito una definizione (tanto sospirata dagli operatori del diritto) del termine “gruppo”, giustificando – nella stessa relazione – tale scelta, per le seguenti due ragioni: “è chiaro da un lato che le innumerevoli definizioni di gruppo esistenti nella normativa di ogni livello sono funzionali a problemi specifici; ed è altrettanto chiaro che qualunque nuova nozione si sarebbe dimostrata inadeguata all’incessante evoluzione della realtà sociale, economica e giuridica”. Ha piuttosto previsto una disciplina della responsabilità per l’esercizio di attività di direzione e coordinamento all’interno del gruppo ed altre norme che tutelano i soci ed i creditori delle società del gruppo.

Anche nel testo unico bancario manca una chiara definizione del termine gruppo. L’articolo 60 del citato decreto legislativo, aprendo la sezione dedicata al Gruppo bancario, infatti, sembra presupporne la conoscenza, stabilendo direttamente quale sia la composizione del gruppo bancario e disponendo che questo è composto, alternativamente: “a) dalla banca italiana capogruppo e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali da questa controllate; b) dalla società finanziaria capogruppo e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali da questa controllate, quando nell’ambito del gruppo abbia rilevanza la componente bancaria…”. Si può osservare, allora, come il termine gruppo, ai sensi del testo unico bancario, non identifica l’aggregazione economica nella sua totalità, bensì soltanto una porzione di essa, dal momento che la norma predetta ne definisce i limiti soggettivi ed oggettivi: dal punto di vista soggettivo, infatti, il gruppo bancario è solo e soltanto quello costituito dalle società di capitali che abbiano ad oggetto l’esercizio di attività bancaria, finanziaria o strumentale, nonché dalla società capogruppo che su di esse esercita il controllo; dal punto di vista oggettivo, poi, è altresì necessario che la capogruppo (art. 61 del Testo Unico Bancario) sia una banca avente sede legale in Italia oppure una società finanziaria avente sede legale nel nostro paese, purché in tal caso, nel gruppo sia rilevante la “componente bancaria”, in conformità delle disposizioni del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio. Solo in questi casi, quindi, saranno applicabili gli articoli 98 e seguenti del testo unico bancario, che prevedono l’applicazione della normativa in tema di crisi bancaria che si caratterizza – come è noto – per il rilevante intervento dell’Autorità pubblica alla quale è riconosciuto un potere discrezionale per giungere all’eliminazione dal mercato delle imprese bancarie in crisi.

Per ciò che concerne l’ambito del nostro discorso, ci chiediamo se la tutela del socio e del creditore della società di un gruppo bancario possa realizzarsi anche mediante l’utilizzazione della nuova disciplina introdotta dalla riforma del diritto delle società con gli articoli che vanno dal 2497 al 2497 septies.

Il primo dei suddetti articoli, infatti, introduce un’azione di responsabilità (che, come si vedrà appresso, si ritiene essere extracontrattuale) a favore dei soci e dei creditori delle società sottoposte ad attività di direzione e controllo, contro la società o gli enti controllanti che violano “i principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale”. Tale azione è, come dice la stessa legge, diretta (e non sussidiaria o surrogatoria ad un’eventuale azione spettante alla società controllata), con la conseguenza che l’eventuale risarcimento del danno deve essere liquidato in favore del singolo socio o del creditore agente, e non in favore della società controllata della quale si è socio o creditore. L’ultimo comma dell’articolo precitato prevede che, nel caso il cui la società controllata sia sottoposta a procedura concorsuale, “l’azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario”. 

Una prima versione dell’art. 2497 prevedeva la possibilità di agire direttamente contro “chiunque” violasse i principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale arrecando (per ciò che concerne i soci) “pregiudizio alla redditività ed al valore della partecipazione sociale” e (per quanto riguarda i creditori) la lesione “all’integrità del patrimonio della società”. La versione del testo definitivo, pur se circondata da mille polemiche[4], invece, ha previsto che l’iniziativa giudiziaria possa essere intentata soltanto contro “la società o gli enti” colpevoli della mala gestio ed, in ogni caso, che non vi è responsabilità se il risultato complessivo[5] dell’attività di direzione e controllo sia stato positivo o il danno integralmente eliminato. Il terzo comma dell’articolo, poi, prevede che l’azione de quo possa essere promossa solo se il socio ed il creditore non sono stati soddisfatti dalla società soggetta all’attività di direzione e coordinamento.

In tema di tutela dei soci e dei creditori del gruppo societario, poi, l’art. 2497 bis realizza una forma di garanzia, definita dalla dottrina[6]tutela informativa”, che prevede l’obbligo per la società soggetta alla direzione di “indicare la società o l’ente alla cui attività di direzione e coordinamento è soggetta negli atti e nella corrispondenza” e di iscrivere tale suo stato in un’apposita sezione del registro delle imprese. La mancata osservanza del precetto comporta la responsabilità degli amministratori per gli eventuali danni arrecati ai soci o ai terzi. I commi 4 e 5 del predetto articolo impongono, inoltre, alla società ed agli amministratori ulteriori adempimenti idonei a rendere informati i soci ed i terzi che entrano in contatto con le imprese del gruppo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio della “controllante” ed i “rapporti” (non meglio specificati nella norma) intercorsi dalla società con chi esercita l’attività di direzione e controllo e le altre società che vi sono soggette. Si può ritenere che anche l’articolo successivo, il 2497 ter, che impone alla società controllata l’analitica motivazione e puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulle decisioni assunte – allorché le decisioni stesse siano state influenzate dalla controllante –, rientri nell’insieme di quelle disposizioni volte a realizzare la c.d. “tutela informativa” del socio.

Una norma che salvaguarda soltanto il socio nel gruppo di società (e non anche il creditore) è certamente rappresentata dall’art. 2497 quater che disciplina il diritto di recesso del socio quando ricorrono le ipotesi tassativamente[7] previste dalla norma.

Non vi è chi non veda anche nel successivo art. 2497 quinquies una norma volta apertamente a tutelare soci e creditori di società appartenenti ad un gruppo. È normale, infatti, che tra queste imprese, unite da un interesse comune (il cd. interesse di gruppo) vengano effettuati apporti finanziari dalla (o alla) capogruppo, per le più svariate ragioni[8] (spesso, comunque, di ordine fiscale). Proprio per impedire che, in caso di crisi o comunque dissesto finanziario di una delle società infragruppo, i soci ed i creditori di questa possano trovarsi a concorrere (ed, eventualmente, ad essere ripartiti pro quota) con le altre società del gruppo che abbiano effettuato (per molteplici ragioni, talvolta fraudolente) finanziamenti in favore della compagine in stato di dissesto, il legislatore, mediante un rinvio recettizio all’art. 2467 c.c. in tema di società a responsabilità limitata, ha previsto che il rimborso dei finanziamenti effettuati dalla holding o dalle sorelle[9] sia postergato rispetto a quello in favore degli altri creditori. Lo stesso articolo 2467 c.c., poi, fornisce una definizione autentica del termine finanziamenti, ai fini della citata norma, considerando tali “quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”. Ovviamente, su tale norma, l’attività ermeneutica degli operatori del diritto ed in particolare della giurisprudenza, avrà un ruolo fondamentale[10].

Gli ultimi due articoli del nuovo capo inserito con la riforma societaria (e con il decreto legislativo 37/2004), ossia il 2497 sexies ed il 2497 septies, introducono alcune significative presunzioni iuris tantum e consentono di ritenere esistente l’attività di direzione e controllo in presenza di società tenute a consolidare i loro bilanci o che comunque subiscono un controllo, ex art. 2359 c.c. o che, anche fuori dalle predette ipotesi, sono fortemente legate alla (presunta) controllante in base a rapporti contrattuali o clausole statutarie. Nel commentare tali norme, alcuni autori[11] hanno parlato di c.d. “doppia presunzione”.

Ma probabilmente, il principale riferimento normativo che consente di parlare di una seria e concreta tutela dei soci e dei creditori di società appartenenti ad un gruppo societario è rappresentato dal II comma dell’art. 2497 c.c., laddove si prevede che “risponde in solido” (con la società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale, di cui al comma primo) “chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio”. Appare ictu oculi, l’ampia portata della predetta disposizione. L’uso del termine generico “chi” consente di estendere la responsabilità di cui al primo comma dell’art. 2497 c.c., ad una molteplicità di soggetti (fisici e giuridici anche non appartenenti al gruppo di società). Il riferimento agli amministratori (ed ai sindaci o, comunque, a chi è tenuto – a seconda del sistema di amministrazione scelto – a controllare l’operato degli amministratori) è più che evidente; ma, attraverso un’interpretazione estensiva del termine, potrebbe giungersi finanche a domandare il risarcimento dei danni a quei soggetti che, apparentemente terzi rispetto alla società o all’ente, muovono, di fatto, le fila dell’intero gruppo[12]. La dottrina si è già chiesta[13] (e toccherà alla giurisprudenza di legittimità, chiarire) se trattasi di responsabilità contrattuale o – come sembrerebbe alla maggior parte degli autori[14] – extracontrattuale, con ovvie ed importanti conseguenze in tema, ad esempio, di onere della prova e di termini di prescrizione.

Ma come si era detto in principio, fatti questi cenni alla novità in tema di gruppi societari introdotta dalla riforma del diritto societario e dal decreto legislativo n° 37/2004, bisogna verificare se tale disciplina possa essere applicata al gruppo bancario, già oggetto di normativa ad hoc con il testo unico n. 385 del 1993. Viene subito alla mente il brocardo latino “lex specialis posterior derogat generali”. In questo caso, però, non siamo dinanzi ad un’ipotesi di legge speciale successiva che, in virtù del suddetto principio romanistico, consentirebbe di ritenere abrogata la legge anteriore. Si tratta, piuttosto, di ricercare una possibile convivenza o applicazione non necessariamente esclusiva tra le due normative (anzi, oltre al TUB ed al codice civile, sarebbe opportuno verificare la concorrenza anche delle norme previste dal testo unico sulla finanza, la cui integrazione, come già detto, è stata oggetto del d. lgs. 37/2004).

In proposito, appare legittimo ritenere che nell’ordinamento giuridico di un’economia aperta di mercato (quale è la nostra), le esigenze dei risparmiatori e degli investitori e la precostituzione di sistemi di supervisione pubblica sui soggetti che intermediano il risparmio (cioè gli enti e le società sottoposte ai testi unici bancari e finanziari) non comportano la sottrazione delle banche e degli intermediari alle regole di diritto comune (quali sono appunto quelle dettate dal codice civile e precedentemente esaminate), se non nella misura strettamente necessaria a realizzare le medesime finalità di tutela[15]. Allora, occorre chiedersi se la disciplina prevista dalla novella del codice civile in materia di gruppi di società possa ritenersi limitativa per i soci ed i creditori delle società facenti parte del gruppo stesso, rispetto alla tutela loro accordata dalle disposizione previste dalle normative settoriali, bancaria e finanziaria.

A noi sembra che consentire ai soci ed ai creditori di agire direttamente contro la società o l’ente che, per mala gestio, abbia loro arrecato pregiudizio e permettere, inoltre, a costoro di agire contro chi, comunque, abbia preso parte al fatto lesivo, non rappresenti assolutamente una limitazione delle loro forme di tutela. Al contrario, ci sembra di poter sostenere che la disciplina regolata dal capo IX del libro V, titolo V del codice civile consenta, proprio di meglio realizzare quelle finalità di tutela cui prima si è fatto cenno.

Ad esempio, il carattere di “disciplina comune e generale” della normativa codicistica rappresenta certamente una forma di garanzia per i soci ed i creditori di quegli agglomerati societari che potrebbero non rientrare nel ristretto concetto di “gruppo bancario”, cui fa riferimento il testo unico bancario del 1993, quelli cioè la cui “bancarietà” è in discussione.

Inoltre, prima che si verifichino quelle gravi irregolarità o quelle perdite del patrimonio di eccezionale gravità richieste dagli articoli 70 e 80 del TUB per l’apertura della “crisi” bancaria – con le conseguenti fasi dell’amministrazione controllata o della liquidazione coatta amministrativa, a seconda della gravità della crisi – la protezione dei soci e dei creditori del gruppo può essere realizzata proprio attraverso il ricorso alla cennata disciplina di carattere generale, che viene a porsi come una forma di tutela anticipata (specie a favore dei piccoli risparmiatori che possono agire singolarmente) rispetto a quella regolata con la disciplina settoriale la quale, spesso, avendo di mira l’interesse pubblico e generale, sacrifica proprio l’interesse delle minoranze e dei piccoli creditori.

Last but not least, vi è anche una ragione basata sul principio secondo cui il legislatore ubi voluit dixit a giustificare l’applicazione della disciplina codicistica in tema di “direzione e coordinamento di società” ai gruppi bancari. Infatti, l’ultimo comma dell’art. 70 del testo unico, che si occupa del fenomeno della crisi bancaria ed al quale fa espresso riferimento l’art. 98 del TUB (che apre il capo secondo, dedicato proprio ai gruppi bancari), ha previsto espressamente l’inapplicabilità all’istituto, delle norme del titolo IV della legge fallimentare e dell’art. 2409 c.c. (in tema di denunzia al tribunale di sospetti di violazioni dei loro doveri da parte degli amministratori di spa), dovendo ritenere, quindi, implicitamente applicabili, sulla base del predetto principio, tutte le altre norme inerenti, dettate dal codice civile e, quindi, anche quelle previste in tema di gruppi di società.



* Intervento al seminario svoltosi il 28 aprile 2005 presso il dipartimento di Diritto dell’Economia e dell’Impresa presso l’Università degli Studi di Messina sul tema “La tutela giudiziaria dei creditori e dei soci nella crisi dell’impresa bancaria”, tenuto dal  Prof. Giuseppe Restuccia, e facente parte del ciclo di seminari del Dottorato di Ricerca in Diritto dell’Economia dei Trasporti e dell’Ambiente presso l’Università degli Studi di Palermo

** Dottorando di ricerca in Diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, Università degli studi di Messina.

[1] Guida al Diritto, Dossier Mensile n° 2/2004, “Il nuovo diritto societario: le integrazioni”, p. 3.

[2] Sul tema dei gruppi di imprese, v. U. TOMBARI, Riforma del diritto societario e gruppo di imprese, in Giur. Comm., 2004, I, 61 e ss. e bibliografia in esso contenuta.

[3] A. DACCÒ, in Commentario breve al Codice Civile, G. Cian e A. Trabucchi (a cura di), 2004, sub. art. 2497.

[4] A. BASSI e A. PATRONI GRIFFI, in Manuale di Diritto Commerciale, V. Bonocore (a cura di), Torino, 2003, p. 663.

[5] Il legislatore ha così voluto seguire la teoria dottrinale e giurisprudenziale, precedente alla riforma, dei cc.dd. “vantaggi compensativi” che, per la valutazione del risultato dei gruppi di società, ritiene opportuno utilizzare un criterio che non si fermi all’osservazione di un singolo atto o di una singola operazione (che possono, prima facie, apparire assolutamente dannosi per la società), ma che piuttosto tenga conto dei molteplici rapporti del gruppo e  dei possibili vantaggi che una società può trarre dall’appartenenza al gruppo o ad altre operazioni, e che possono, appunto, compensare un pregiudizio precedentemente subito. Sul tema, cfr. Panzani, in Società 12/2002, p. 1487.

[6] V. nota n. 4, p. 665.

[7] Ovviamente, tali ipotesi si aggiungono ai casi di recesso espressamente previste dal legislatore in sedes materiae, agli artt. 2285, 2307, 2437, 2473 del codice civile.

[8] Sui finanziamenti infragruppo v. F. GALGANO, in Diritto Commerciale, Le società, Bologna, 2003, p. 254 ss.

[9] Sul punto, cfr. A. DACCÒ, in Commentario breve al Codice Civile, G. Cian e A. Trabucchi (a cura di), 2004, sub art. 2497 quinquies, ove si dice: “Non risultano invece sottoposti alla citata disciplina i finanziamenti effettuati da una società controllata a favore di quella che esercita attività di direzione e coordinamento”.

[10] Sul punto v. M. RESCIGNO, Problemi aperti in tema di s.r.l.: i finanziamenti dei soci, la responsabilità, in Società . 1/2005, pag. 14 ss.

[11] A. NIUTTA, Sulla presunzione di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 – sexies e 24797 – septies c.c. : brevi considerazioni di sistema, in Giur. Comm. 2004, I, 983 ss.

[12] Con riferimento alla nota problematica sulla holding persona fisica, cfr. Cass., 9 agosto 2002 n. 12113, in Giur.  Comm. 2004, II, 15, con nota di S. Giovannini, La holding persona fisica e l’abuso della personalità giuridica.

[13] F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Tr. Galgano, XXIX, 185; V. SALAFIA, La responsabilità della holding nei confronti dei soci di minoranza delle controllate, in Società, 2003, p. 390 ss.; R. BERNABAI, Profili processuali delle azioni di responsabilità, in Società, 2005, p. 215 ss.

[14] V. la nota precedente.

[15] D. ALBAMONTE, Testo unico bancario e nuovo diritto societario – Il d. lgs. n. 37/2204, in Mondo Bancario, marzo-giugno 2004.

 

 

Data di pubblicazione:  1 giugno  2005