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La nuova disciplina delle società cooperative
Francesca Mancuso
1.- Introduzione a) Le
origini. b) La previsione costituzionale. c) L'intervento
riformatore. d) La cooperativa come società. e) Lo scopo
mutualistico. f) Duplicità di rapporti. g) La fase evolutiva.
2.- Le principali novità della riforma a)
L'autonomia statutaria. b) Cooperative a mutualità prevalente e non. c)
Società cooperative e società lucrative. d) I connotati essenziali delle
cooperative. e) I requisiti della mutualità prevalente.
3.- La costituzione e la partecipazione a) La
disciplina. b) Atto costitutivo, statuto e regolamenti. c) La
responsabilità dei soci. d) I soci cooperatori. e) I soci
finanziatori. f) I possessori di strumenti finanziari.
4.- L'entrata e l'uscita dalla società a)
L'ammissione. b) Il recesso. c) L'esclusione. d) La morte
del socio. e) Il trasferimento della quota e delle azioni.
5.- Gli organi sociali a)
L'assemblea generale. b) La rappresentanza in assemblea. c) Le
assemblee separate. d) Le assemblee speciali. e) I sistemi di
amministrazione. f) L'organo di controllo. g) I controlli
esterni.
6.- Gli altri istituti a) I
ristorni. b) Le riserve e gli utili. c) Le modificazioni
dell'atto costitutivo. d) La trasformazione. e) Lo scioglimento.
f) Il gruppo cooperativo paritetico. g) Le mutue assicuratrici.
a) Le origini
Nato in Inghilterra nel 1844, per iniziativa dei
lavoratori che si organizzavano al fine di eliminare il "padrone
capitalista"[1], il fenomeno
cooperativistico si afferma ben presto anche presso la piccola borghesia e presso
gli imprenditori interessati a conseguire i vantaggi di una reciproca
collaborazione.
Con l'evolversi dei tempi e dell'economia, infatti,
il movimento cooperativo perde la sua originaria natura di organizzazione di
classe, sorta a fianco del sindacato contro lo sfruttamento esercitato dai
capitalisti a danno del proletariato, e si assiste al nascere delle prime
cooperative (edilizie) (tra coloro che aspirano a conseguire la proprietà della
casa di abitazione a prezzi più accessibili), delle cooperative tra
intellettuali (quali attori teatrali, che si fanno impresari di se stessi, e
giornalisti, che gestiscono in proprio testate di giornali) e delle cooperative
tra esercenti attività di impresa (di tipo agricolo o
industriale).
Stranamente, però, tale forma di organizzazione,
già presente in varie realtà economiche fin dalla metà dell'800, non è stata
prevista dai nostri codici di commercio di quell'epoca, per trovare specifica
disciplina solo all'interno del codice civile del 1942, accanto alle società di
tipo lucrativo.
Di contro, la società cooperativa è l'unica, fra
tutte le società regolate dal nostro ordinamento giuridico, ad essere
contemplata dalla Costituzione, che ne riconosce la funzione sociale.
Pertanto, volendo procedere ad una disamina dell'istituto
di cui sopra, alla luce anche della recente riforma del diritto societario, non
si può prescindere da un importante riferimento normativo, qual'é quello
dell’art. 45 della nostra Carta costituzionale[2].
b) La previsione costituzionale
Il legislatore costituzionale, pienamente
consapevole della rilevanza della cooperazione all’interno della nostra
Repubblica, quale fenomeno connotato dallo scopo mutualistico e dall’assenza di
fini speculativi, ne ha constatato la idoneità a soddisfare interessi
collettivi e definisce compito della legge quello di promuoverne[3] e favorirne[4] l’incremento
con i mezzi più idonei, e di assicurarne, con gli opportuni controlli[5],
il carattere e le finalità[6].
Nella specie, il testo della norma, unitamente al
riconoscimento che essa opera, consente di affermare una stretta indissolubilità
tra la cooperazione ed i caratteri che la legge vi ricollega (il carattere di
mutualità e l’assenza di fini di speculazione privata), al punto da
individuarli come veri e propri elementi essenziali del fenomeno cooperativo[7].
L’art. 45 Cost., infatti, lungi dal limitarsi ad
una semplice presa d’atto, si spinge sino a prescrivere imperativamente i
connotati obbligatori del fenomeno, in mancanza dei quali non sarebbe possibile
ravvisare alcuna forma di <cooperazione>. La qual cosa permette di
ritenere che la norma costituzionale ha voluto abbracciare ogni possibile
manifestazione del fenomeno cooperativistico, rivolgendosi ad una cooperazione tout
court.
Riservandoci di esaminare più avanti i contenuti
della mutualità e delle finalità antispeculative, si rende necessario ancora un
accenno alla disposizione costituzionale che, nella seconda parte del suo primo
comma, attribuisce alla legge ordinaria il compito di incentivare la
cooperazione, da un lato, e di garantirne il carattere (mutualistico) e le
finalità (non speculative), dall’altro.
Una riserva di legge, quindi, che mira a promuovere
la cooperazione, procedendo agli opportuni controlli, al precipuo scopo di
assicurare che il modello cooperativo, oggetto di disciplina, non perda i
propri connotati essenziali[8].
Fra essi quelli di maggior rilievo sono costituiti:
a) dalla rilevanza della persona dei soci; b) dalla limitazione
delle quote di partecipazione e degli utili da distribuire; c) dalla
variabilità del capitale sociale e d) dai principi di democraticità[9].
c) L'intervento riformatore
Ciò premesso, il panorama normativo in cui
s’inquadrano e trovano collocazione le società cooperative risulta oggi
rinnovato da un recente intervento riformatore che ha introdotto, con
particolare riferimento al nostro istituto, un corpo organico di norme che
subentra alla disciplina disarticolata prima vigente[10].
La riforma del diritto societario, non limitandosi
a novellare tutte le disposizioni codicistiche, ha provveduto ad integrarle,
inserendo tra esse anche alcune delle prescrizioni precedenti, in parte
rimodellandole[11].
Pertanto, la ricostruzione della disciplina e del
sistema normativo, relativi entrambi alle società cooperative, costituisce
attualmente operazione alquanto complessa, che deve essere effettuata tenendo
conto, da un lato, delle novellate disposizioni del codice, di cui al titolo VI
del libro V, rubricato, appunto, <Delle società cooperative e delle mutue
assicuratrici>, ma anche, dall'altro lato, degli articoli (anch’essi
rinnovati dalla riforma) in materia di società per azioni e di società a
responsabilità limitata, a seconda che alle società cooperative tornino
applicabili, rispettivamente, le une o le altre disposizioni[12];
e tutto ciò con le inevitabili differenze, che è possibile riscontrare
soprattutto in tema di governance e di organizzazione interna[13].
Né, infine, si potrà prescindere dal considerare la
legislazione speciale, relativa a determinati settori di attività, che trova
ancora oggi rinnovato riconoscimento all’art. 2520[14]
del codice civile e che, pertanto, è rimasta sostanzialmente inalterata.
Da siffatta premessa, è facile intuire la
complessità del quadro normativo di riferimento con il quale oggi ci si deve confrontare
nello studio delle società cooperative.
d) La cooperativa come società
Degna di nota è, innanzitutto, la collocazione
sistematica delle cooperative, le quali continuano ad essere disciplinate nel
più ampio contesto delle società ed in coda alle società di tipo lucrativo.
Non v’è dubbio, infatti, che le cooperative sono
esse stesse società, a nulla rilevando la svista del legislatore che,
nell'intento di dettare una nozione generale del contratto di società, all'art.
2247 c.c. ha fatto espresso riferimento "allo scopo di dividere gli
utili", che mal si attaglia alla categoria delle società di tipo
mutualistico.
La giustificazione di ciò va ricercata nell'avere
lo stesso riprodotto pedissequamente, sotto la <nozione> di società, il
disposto di cui all'art.1697 c.c. del 1865, secondo cui: "La società è un
contratto col quale due o più persone convengono di mettere insieme qualche
cosa in comune, al fine di dividere il guadagno che ne potrà derivare",
così adattando alle società moderne il concetto di società civile di cui
all'abrogato apparato codicistico[15],
nel quale, però, il concetto di bisogno era più ampio di quello indicato
nell'art.2247 c.c.
Che nella specie si è in presenza di società in
senso tecnico-giuridico trova agevole conferma nel fatto che le cooperative
sono, innanzi tutto, unità di produzione o di scambio, destinate ad operare sul
mercato ed in grado di competere -o, in termini meno ottimistici, di reggere la
concorrenza- con le società capitalistiche[16].
Ed è proprio la prossimità del genere di
appartenenza che giustifica l’applicazione anche alle società in discorso delle
norme generali e comuni ad ogni impresa c.d. collettiva[17].
Dal che la possibilità di affermare che la società
cooperativa rappresenta il punto di equilibrio tra due realtà, quella
imprenditoriale, capace di competere sul mercato, e quella mutualistica,
a carattere prevalentemente non lucrativo e sociale.
e) Lo scopo mutualistico
Come è stato rilevato da più parti, manca nel
nostro codice una qualsivoglia nozione di mutualità[18]
o indicazione che valga a dare un'idea di cosa debba intendersi per scopo
mutualistico. Dal che la necessità di fare riferimento alla Relazione al codice
civile secondo la quale lo scopo che caratterizza le società cooperative
consiste "nel fornire beni o servizi od occasioni di lavoro direttamente
ai membri della organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che
otterrebbero dal mercato" (n.1025).
La stessa relazione, poi, non manca di evidenziare
la grande varietà delle cooperative, corrispondente ai particolari bisogni che
esse sono destinate a soddisfare, con la conseguente impossibilità per il
codice di regolarle interamente e la necessità di affiancare lo stesso alla
legislazione speciale. Il primo si limita, infatti, a fornire gli schemi più
generali, mentre la seconda detta il regolamento giuridico dei singoli tipi,
previsti per essere adattati alle esigenze delle varie categorie.
In funzione di queste ultime, è possibile
individuare una molteplicità di società cooperative che vengono classificate
come edilizie, di consumo, di lavoro, agricole, di produzione, bancarie
(di credito e risparmio), di pesca, di trasporto, di mutuo soccorso, sociali e
via dicendo[19].
In tutte, il fine da realizzare consiste nel
conseguimento del maggior vantaggio possibile, grazie alla sostituzione della
gestione capitalistica dell'impresa con l'auto-gestione da parte dei
partecipanti all'organizzazione societaria in qualità di produttori, utenti o
lavoratori.
f) Duplicità di rapporti
In quanto partecipi della cooperativa, i soci
intrattengono rapporti con la stessa, rapporti che valgono a consentire loro il
conseguimento della finalità propria del tipo di attività svolta. Dal che
la necessità di configurare una duplice categoria di rapporti: quelli di tipo
sociale (tutti simili tra di loro, in quanto relativi all'assunzione della
qualità di socio da parte dei singoli partecipanti alla società) e quelli di
tipo negoziale (che variano a secondo che il socio acquisti dalla società beni
di consumo, venda alla stessa i prodotti della propria azienda, acquisisca un
bene immobile, stipuli un contratto di lavoro, intrattenga rapporti di deposito
di denaro o di finanziamento e quant'altro, a seconda dell'oggetto della
cooperativa).
A ben guardare, però, tale duplicità di rapporti
non è configurabile in tutte le società con scopo mutualistico, ben potendosi
verificare anche l'eventualità che il c.d. rapporto negoziale si identifichi
con il rapporto societario (come avviene, ad es., nelle mutue assicuratrici, in
cui l'essere partecipe della società si identifica con il rapporto di
assicurazione che si instaura con la stessa, a differenza di quanto accade, di
contro, nelle cooperative di assicurazione, in cui il titolare del rapporto
sociale stipula con la società un diverso rapporto che è quello assicurativo).
Come si vedrà meglio nel prosieguo del presente
lavoro, la contrapposizione dei due tipi di rapporto viene in rilievo specie in
tema di scioglimento del vincolo sociale limitatamente ad ogni singolo socio.
g) La fase evolutiva
Nella sua originaria concezione, la cooperativa è
una società a mutualità essenzialmente pura, prevedendosi soltanto la
possibilità di inserire, accanto ai soci cooperatori, elementi tecnici ed
amministrativi nella misura massima del 12% (fatta eccezione soltanto per le
mutue assicuratrici, alle quali potevano partecipare -fin dall'inizio- anche i
soci sovventori).
Successivamente, la crisi del settore e l'avvertita
esigenza di assicurare, anche alle società cooperative, adeguate forme di
finanziamento hanno indotto il legislatore ad estendere a quasi tutte le
cooperative (fatta eccezione per le cooperative edilizie) la categoria dei
suddetti soci sovventori (ex art. 2548 c.c.) ed a creare la
categoria degli azionisti di partecipazione cooperativa (con caratteristiche
analoghe a quelle degli azionisti di risparmio, introdotti nelle società con
azioni quotate in borsa)[20].
E' così che, per effetto della legge di riforma del
1992, viene prevista, per la prima volta, la possibilità di partecipare ad una cooperativa
con finalità speculative, alla sola condizione che lo scopo mutualistico
della società rimanga prevalente.
Accade, infatti, che la società, grazie
all'intervento di soci finanziatori, riesce a potenziare la propria attività
lucrativa (lucro oggettivo) per il migliore conseguimento dello scopo
mutualistico, comprimendo soltanto il lucro soggettivo (dei soci), grazie
all'introduzione di una serie di limiti nella partecipazione e nella
distribuzione degli utili[21].
Con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n.6, i
sistemi di finanziamento delle società cooperative sono stati ulteriormente
ampliati, introducendosi la possibilità -per dette società- di emettere
obbligazioni e strumenti finanziari secondo la disciplina prevista per le
società per azioni.
a) L'autonomia statutaria
Quanto premesso ci conduce all’analisi delle
principali novità introdotte dal d. lgs. 6/2003 [22].
Per cominciare, all’interno del contesto appena
delineato, la recente riforma ha attribuito nuovi e ampi spazi all’esercizio
dell'autonomia statutaria, la quale trova pieno riconoscimento già al momento
della scelta e definizione del modello di riferimento della società di nuova
costituzione.
Basta una veloce lettura delle primissime norme del
codice per “inciampare” sui novelli poteri conquistati dalla volontà
sociale.
Accanto alla delineazione di un contenuto
<minimo> inderogabile dell’atto costitutivo delle cooperative -che, ai
sensi dell’art. 2521 c.c. deve rivestire la forma dell’atto pubblico-, la norma
ritaglia un nuovo spazio alla libertà negoziale dei soci, i quali potranno
liberamente individuare le “regole per lo svolgimento dell’attività mutualistica”,
sino a prevedere che la stessa si diriga anche verso soggetti terzi.
Inoltre, è sempre l’atto costitutivo che indica le
modalità e le percentuali massime di attribuzione dei dividendi tra i soci
cooperatori, ai sensi dell’art. 2545-quinquies c.c., e che può
individuare nuove ipotesi di esclusione dei soci, in aggiunta a quelle legali
(art. 2533, co.1, n.1, c.c.).
In seno all'atto costitutivo, i soci indicano le
forme di convocazione dell'assemblea, in quanto deroghino alle disposizioni di
legge, fissano i quorum costitutivi e deliberativi e prevedono la
possibilità di votare per corrispondenza o mediante altri mezzi di
comunicazione, come fax o e-mail (art. 2538, co.5 e co.6, c.c.).
Ed ancora, si considerino le disposizioni che
attribuiscono all’assemblea nuove competenze in ordine: a) alla
destinazione degli utili di esercizio non imputati a riserva legale, né
assegnati a fondi mutualistici (art. 2545-quater c.c.); b) alla
attribuzione dei ristorni [23]
(art. 2545-sexies c.c.); c) all’eventuale approvazione dei
regolamenti, deputati a disciplinare lo svolgimento dell’attività mutualistica
tra soci e società (art. 2521, ult. co., c.c.); d) all’assunzione delle
decisioni sui reclami eventualmente proposti avverso il diniego di ammissione
di nuovi aspiranti soci (art. 2528 c.c), e via dicendo.
Si rileva, infine, che la riforma riconosce,
completando così le previsioni a favore dei poteri sociali, il diritto dei soci[24]
di esaminare il libro delle adunanze, delle deliberazioni del consiglio di
amministrazione e del comitato esecutivo, laddove esistente, se a richiederlo
sia un decimo del numero complessivo dei soci o un ventesimo per le cooperative
con più di tremila soci[25].
Da quanto detto, emerge indubbiamente quanto
numerose siano le disposizioni che il legislatore ha innescato nel codice per
favorire un particolare grado di coinvolgimento dei soci nelle decisioni ed, in
qualche modo, nel controllo della società cooperativa[26].
b) Cooperative a mutualità prevalente e non
Ciò premesso, il principale punto di partenza da
cui prendere l’abbrivio per rappresentare l’attuale normativa, e che conforma
l’intera disciplina delle società cooperative, è costituito dal concetto di
mutualità il quale, seppur non fornito di una appropriata definizione dal
legislatore del 2003, si pone come uno dei principali tratti distintivi delle
<nuove> cooperative[27].
In termini non del tutto innovativi rispetto al
passato[28],
la riforma sembra essere riuscita nell’obiettivo, già formulato in sede di
legge delega, di attuare un’opportuna distinzione tra una cooperazione c.d.
<protetta> -vale a dire agevolata fiscalmente- ed una cooperazione non
agevolata.
A tal fine, la nuova disciplina codicistica
introduce espressamente una società cooperativa <a mutualità prevalente>,
accanto ad una cooperativa c.d. <diversa> [29].
La discriminazione che sembrerebbe conseguire al
suddetto sdoppiamento, in apparente contrasto con l’art. 3 della Carta
costituzionale, gode in realtà di sufficienti motivazioni, idonee a salvare la
suddetta distinzione da possibili, quanto scontate, accuse di
incostituzionalità.
E’ di immediata intuizione, infatti, come il favor
fiscale riservato alle società a mutualità prevalente troverebbe ampia
giustificazione proprio nella particolare natura delle stesse le quali,
ispirando la propria gestione a principi rigorosamente democratici e
orientandola verso scopi non lucrativi, indiscutibilmente occuperebbero una
posizione di maggiore svantaggio concorrenziale sul mercato e questo non solo
rispetto alle società lucrative, ma anche nel confronto con le cooperative
<diverse> [30].
L’individuazione dei due modelli di cooperative,
apparsi di recente nel novellato codice civile, può avere sollevato,
legittimamente, il dubbio che si trattasse di due distinte categorie, del tutto
autonome l’una dall’altra e rispondenti a logiche e discipline del tutto
differenti[31].
In verità, per quanto le due fattispecie
usufruiscano di regole in parte diversificate, è possibile affermare che le
stesse appartengono al medesimo genus della cooperazione[32].
In questo senso si esprime, a chiari termini, la
stessa Relazione Ministeriale di accompagnamento al d. lgs. del 2003 laddove,
nel definire i rapporti tra le cooperative costituzionalmente riconosciute e le
cooperative diverse, afferma che già da una corretta interpretazione della
legge delega traspare quanto “l’alternativa non sia tra cooperative
riconosciute e non cooperative; ma tra due sottocategorie di imprese
mutualistiche ascrivibili allo stesso genere”, offrendo a sostegno una
serie di argomentazioni.
Tra queste, il fatto che la distinzione in parola
si basa su semplici opzioni di natura statutaria (quali l’inserimento di
clausole di non lucratività) e gestionale (come la prevalenza dell’attività
mutualistica), che presuppongono l’esistenza di un modello di base comune ad
entrambe.
Ed ancora, il dato che la legge delega riservi alle
cooperative costituzionalmente riconosciute le agevolazioni di carattere
tributario, lasciando che le restanti agevolazioni[33],
non rimosse dalla legge delega, continuino ad applicarsi all’insieme delle
cooperative (comprese quelle diverse), darebbe prova di una concezione
sostanzialmente unitaria della cooperazione “con diversificazioni interne al
fenomeno in termini di maggiore o minore meritevolezza; ma mai di inclusione o
espulsione dalla fattispecie” [34].
Pertanto, ciò che nello spirito della riforma
legittimerebbe la distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e
cooperative diverse sarebbe solo la maggiore <meritevolezza> delle prime,
e la rilevanza della distinzione tra le due (sotto)categorie sarebbe limitata
esclusivamente al piano dell’accesso alle agevolazioni tributarie[35];
vigendo, per il resto, per tutte le società cooperative, uno statuto “complessivamente
privilegiato, ma non costituzionalmente disparitario”, perché riconducibile
ad un sistema di imprese caratterizzato da una funzione sociale[36].
c) Società cooperative e società lucrative
Ed è proprio nel particolare scopo perseguito dalle
cooperative che può ravvisarsi l’elemento di distinzione tra le società
mutualistiche e gli altri tipi di società.
In altri termini, pur essendo identico in entrambe lo
scopo-mezzo, vale a dire l’esercizio in comune di una determinata attività
economica, diverso risulta invece lo scopo-fine, costituito quest'ultimo -nelle
società lucrative- dalla produzione di utili da distribuire fra i soci e
-nelle società cooperative- dall’offerta ai propri soci di beni o servizi tali
da soddisfare (a condizioni più vantaggiose di quelle del mercato)[37]
un comune preesistente bisogno economico[38],
mentre la distribuzione degli utili eventualmente prodotti, in queste ultime,
non può che avvenire in misura estremamente limitata.
Nella specie, il prevalente scopo perseguito dai
soci cooperatori sarebbe, conseguentemente, non il perseguimento della più alta
remunerazione possibile del capitale investito, ma la realizzazione delle
proprie particolari esigenze (di un lavoro, di una casa, di un credito, ecc..)
attraverso un risparmio di spesa, ad esempio, per i beni o servizi acquistati
dalla propria società (come avviene nelle cooperative di consumo ed edilizie),
o una maggiore retribuzione per i beni o servizi ceduti alla stessa (come
accade nelle cooperative di produzione e lavoro).
Tutto ciò sarebbe reso possibile, nella gran parte
dei casi, dalla eliminazione, nell'ambito dell'attività sociale,
dell’intermediario <speculatore> e dalla conseguente ridistribuzione ai
soci del profitto spettante a quest’ultimo, il che consentirebbe il suddetto
vantaggio economico per i soci cooperatori, destinatari dei beni o dei servizi
sociali[39].
Come già detto, pertanto, le cooperative conseguono
un lucro c.d. oggettivo e non anche un lucro soggettivo (a favore dei suoi
soci), con il quale la natura mutualistica delle società cooperative risulterebbe
in qualche modo incompatibile.
Per il resto, lo stretto collegamento tra la
cooperazione e lo scopo mutualistico emerge già dalle norme introduttive della
disciplina codicistica, laddove si afferma che “le cooperative sono società
a capitale variabile con scopo mutualistico” (art. 2511 c.c.), e si
ribadisce che “ l’indicazione di cooperativa non può essere usata da società
che non hanno scopo mutualistico” (art. 2515, co.2, c.c.).
d) I connotati essenziali delle cooperative
Come già anticipato, però, il concetto di mutualità
(e di scopo mutualistico) non è stato definito dal legislatore, anche se la
dottrina, che sinora si è espressa sulla riforma, non ha avuto dubbi
nell’identificare lo scopo mutualistico con una <gestione di servizio> in
favore dei soci, vale a dire un’attività esercitata <con i soci e
nell’interesse dei soci>[40].
Non è escluso, però, che la società cooperativa
possa svolgere la propria attività anche in favore di soggetti terzi, attuando
in tal modo una mutualità c.d. spuria, in contrapposizione alle società
che rivolgono la propria attività esclusivamente nei confronti dei
propri soci (c.d. mutualità pura).
Che la cooperativa debba porsi al servizio dei
soci, soddisfacendone i relativi bisogni in termini prevalenti se non
addirittura esclusivi rispetto ai terzi, si desume da parecchi indici normativi
della legge di riforma.
In primis,
dall’art. 2521 c.c., a tenore del quale è possibile per la cooperativa dirigere
la propria attività anche nei confronti dei terzi, ma solo nei limiti in cui
ciò sia espressamente previsto dall’atto costituivo, dovendosi altrimenti
ritenere tale attività assolutamente vietata; la stessa norma obbliga, altresì,
ad una indicazione specifica dell’oggetto sociale con riferimento ai
requisiti e agli interessi dei soci.
A ciò si aggiungono le regole che disciplinano la
divisione degli utili, i criteri per la ripartizione dei ristorni e
le norme dettate in tema di assegnazione delle riserve (artt. 2545-quinquies
e 2545-sexies c.c.).
Il novellato art. 2511 c.c., oltre allo scopo
mutualistico, pone sin dall'inizio -tra i connotati essenziali delle
cooperative- un ulteriore elemento (dapprima inserito nell'abrogato art. 2520
c.c.), costituito dalla <variabilità del capitale>.
Pertanto, a differenza di quanto previsto per le
società di capitali le quali, sotto questo profilo, si presentano come società
a <capitale fisso>, viene ribadito che le cooperative non si avvalgono di
un capitale rigorosamente determinato nel suo ammontare, né le sue eventuali
modificazioni -in aumento, per l’ingresso di nuovi soci, o in diminuzione, per
la relativa uscita- comportano alcuna modificazione dell’atto costitutivo (art.
2524 c.c.).
In tal modo, la cooperativa viene dotata di una
struttura aperta, che facilita l’ingresso di nuovi soci ed il recesso di quanti
non siano più interessati all’attività mutualistica.
In altri termini, con la variabilità del capitale
sociale, il legislatore del 2003 ha palesemente inteso confermare un altro dei
principi cardine del fenomeno cooperativistico: il principio c.d. della
<porta aperta>[41],
il quale -pur non trovando un esplicito riconoscimento all’interno del
codice civile- è innegabile che abbia ispirato il legislatore nell’elaborazione
di un vasto numero di norme[42].
E’ indubbio, infatti, che l’ingresso di nuovi soci
risulti, in un simile contesto, notevolmente agevolato e attuabile senza limiti
di numero, non dovendo incontrare l’ostacolo dell’ammontare predefinito del
capitale sociale.
Con particolare riguardo al numero dei soci, la
riforma ha introdotto un numero minimo, valido per tutte le cooperative, fatte
salve pochissime eccezioni di cui alle leggi speciali (art. 2522, ult. co.,
c.c.)[43].
L’art. 2522 c.c. impone, infatti, che il numero dei
soci non sia inferiore a nove, stabilendo, al contempo, l’ammissibilità di
società con almeno tre soci, ma a condizione che gli stessi siano persone fisiche[44]
e che si avvalgano della disciplina delle società a responsabilità limitata[45].
e) I requisiti della mutualità prevalente
Tornando al concetto di mutualità prevalente,
l’odierna disciplina affida agli articoli 2512 e 2513 c.c l’arduo compito di
individuare i requisiti della <prevalenza> ed i criteri necessari per
l’accertamento della stessa.
Conseguentemente, la prima delle due norme indica
come cooperative a mutualità prevalente quelle che: 1) svolgono l’attività prevalentemente
in favore dei soci; 2) si avvalgono prevalentemente delle prestazioni
lavorative dei soci; 3) si avvalgono prevalentemente degli apporti di
beni o servizi da parte dei soci.
La disposizione successiva pone l’obbligo, per
amministratori e sindaci, di documentare nella nota integrativa al bilancio la
condizione di prevalenza sulla base dei seguenti parametri[46]:
a) i ricavi dalle vendite dei beni e dalle prestazioni di servizi verso
i soci siano superiori al cinquanta per cento del totale dei ricavi
delle vendite e delle prestazioni; b) il costo del lavoro dei soci sia superiore
al cinquanta per cento del totale del costo del lavoro; c) il costo
della produzione per servizi ricevuti dai soci, o per beni conferiti dai soci,
sia superiore al cinquanta per cento del totale dei costi dei servizi, o
delle merci o materie prime acquistate o conferite.
In altri termini, il criterio che il legislatore ha
prescelto per la determinazione della prevalenza è stato quello
quantitativo, da definirsi in base al tipo di attività svolta dalla società.
Infine, non può prescindersi da un riferimento
all’art. 2514 del codice civile, il quale disciplina i requisiti essenziali ed
obbligatori delle cooperative, individuandoli nei particolari limiti alla
distribuzione dei dividendi ed alla remunerazione degli strumenti finanziari
offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori; nonché nel divieto di
distribuzione ai soci cooperatori delle riserve ed, infine, nell’obbligo di
devoluzione (in caso di scioglimento o di trasformazione) ai <fondi
mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione> dell’intero
patrimonio sociale, dedotti il capitale e gli eventuali dividendi maturati[47].
I suddetti limiti alla distribuzione degli utili
costituiscono, pertanto, previsione statutaria obbligatoria per le cooperative
a mutualità prevalente, a differenza delle cooperative <altre>, per le
quali varrebbero criteri alternativi.
Per queste ultime, infatti, l’intervento
riformatore ha previsto un duplice limite da osservarsi nella ripartizione
degli utili: il primo di natura statutaria, essendo lo statuto deputato ad
indicare una percentuale massima ripartibile; il secondo di natura legale, in
forza del quale la distribuzione potrebbe operarsi solo nel caso in cui
l’indebitamento della società non ecceda un quarto del patrimonio netto (art.
2545-quinquies, co.2, c.c.).
a) La disciplina
La regola di carattere generale è nel senso che
alle società cooperative, se non è previsto diversamente, si applicano -in
quanto compatibili[48]-
le disposizioni dettate sulla società per azioni. Le parti possono prevedere di
assoggettare la cooperativa alla disciplina della società a responsabilità
limitata nei casi in cui il numero dei soci sia inferiore a venti o l'attivo
dello stato patrimoniale non sia superiore a un milione di euro (art. 2519
c.c.). Come già visto, la cooperativa è obbligatoriamente assoggettata alle
disposizioni riguardanti la s.r.l. nel caso in cui il numero dei soci sia
inferiore a nove ma superiore a tre. A quest'ultimo riguardo, infatti, è appena
il caso di ricordare che la riforma del 2003 ha abrogato l'art. 21 della
L.266/97, che aveva introdotto la c.d. "piccola cooperativa",
riconducendo le società di dimensioni ridotte nell'alveo delle società
cooperative in genere, con l'obbligo -per quelle preesistenti- di trasformarsi
nel tipo di cooperativa di cui all'art. 2522, co.2, c.c.
"La cooperativa cui si applicano le norme
sulla società a responsabilità limitata può offrire in sottoscrizione strumenti
privi di diritti di amministrazione (non partecipativi) solo a investitori
qualificati", di cui all'art. 111-octies, disp. att. (art.
2526, ult. co., c.c.).
In ogni caso, sono fatte salve le leggi speciali
dettate con riguardo a particolari categorie di cooperative, per le quali
possono trovare applicazione anche le norme del codice solo se ed in quanto
compatibili (art. 2520 c.c.).
Quando si parla di leggi speciali occorre
distinguere tra la normativa cui rinvia l’art. 2520 c.c. ed il gruppo di
cooperative, per così dire speciali, cui si rivolge l’art. 223-terdecies
delle norme di attuazione.
Nel primo caso, la norma si occupa di attrarre nel
proprio campo di applicazione tutta la vasta cerchia di cooperative regolate
dalle leggi speciali, facendo salva la normativa precedente. Lo scenario che si
apre al riguardo rappresenta una categoria aperta, idonea a contenere non solo
ogni tipo di cooperativa che risulti già contemplata da norme di diritto
speciale (si pensi alle cooperative edilizie, di produzione e lavoro, alle
cooperative sociali, alle cooperative di consumo, alle cooperative di
assicurazione ecc.) ma anche ogni altra cooperativa cui in futuro il
legislatore intenda rivolgere una disciplina specialistica[49].
Quanto, invece, alla seconda norma, è attraverso di
essa che il legislatore della riforma ha escluso dalla nuova disciplina le
banche popolari, le banche di credito cooperativo ed i consorzi agrari,
stabilendo che, limitatamente ad essi, rimanga in vigore la normativa
previgente.
In particolare, le prime due (banche popolari e
banche di credito cooperativo) esaurirebbero la categoria delle cooperative cui
è riservato l’esercizio dell’attività bancaria, e la relativa disciplina
risulta racchiusa nel Testo unico delle leggi bancarie e creditizie (d. lgs. 1
settembre 1993 n.385, artt. 28 e ss.). Quanto, invece, ai consorzi agrari,
l’art.223-terdecies li sottrae all’applicazione della disciplina
riformata, assoggettandoli alla normativa precedente, sopravvissuta solo come
disciplina speciale di quei particolari organismi consortili.
b) Atto costitutivo, statuto e regolamenti
L’indicazione dei partecipanti alla cooperativa
(siano anche soggetti giuridici diversi dalle persone fisiche)[50]
e di tutti gli elementi relativi alla denominazione sociale[51],
alla sede[52]
ed all’oggetto della cooperativa, ai suoi organi, ai criteri di ripartizione di
utili e ristorni, al valore dei versamenti eseguiti e dei beni conferiti,
nonché alle condizioni di ammissione, eventuale recesso ed esclusione dei soci
è interamente rimessa all’atto costituivo.
Quest'ultimo, oltre a rivestire la forma dell’atto
pubblico, è soggetto al normale deposito presso l'ufficio del registro delle
imprese a cura del notaio rogante entro dieci giorni dalla stipula (con
l'iscrizione, la società acquista la personalità giuridica, ai sensi dell'art.
2331 c.c.).
Per le società cooperative a mutualità prevalente, è
inoltre prevista l'iscrizione in un apposito albo tenuto presso il Ministero
delle attività produttive (i cui effetti si sostanziano nella possibilità
di accedere alle agevolazioni di legge)[53].
Di particolare rilevanza è la previsione, nello
stesso atto costitutivo, dell’eventuale attività che la cooperativa intende
svolgere con soggetti terzi, atteso che la mancanza della stessa preclude
l'esercizio di detta attività.
Le norme relative al funzionamento della società
sono contenute nello statuto, che si considera parte integrante dell'atto
costitutivo anche nei casi in cui formi oggetto di atto separato.
Una nuova fonte normativa dei rapporti tra la
società ed i soci è poi costituita dai regolamenti, "che determinano i
criteri e le regole inerenti allo svolgimento dell'attività mutualistica"
(art. 2521, ult. co., c.c.).
Gli stessi possono costituire parte integrante
dell'atto costitutivo ovvero essere predisposti dagli amministratori, in un
momento successivo alla costituzione della società, e sottoposti
all'approvazione dell'assemblea, che delibera con le maggioranze previste per
l'assemblea straordinaria.
c) La responsabilità dei soci
A parte le cooperative pure -che sono costituite
solo ed esclusivamente da soci cooperatori- possono partecipare a tutte le
altre società cooperative (a mutualità prevalente e non), anche i soci
sovventori, gli azionisti di partecipazione cooperativa, i soci finanziatori ed
altri sottoscrittori di titoli di debito (obbligazionisti)[54].
I soci cooperatori partecipano alla società in
quanto appartenenti ad una determinata categoria di soggetti ovvero in possesso
di particolari requisiti, con esclusione di coloro i quali svolgono, per loro
conto, un'attività economica in concorrenza con la cooperativa[55].
A differenza della precedente legislazione, la
qualifica di soci cooperatori non espone gli stessi alla eventuale
responsabilità per le obbligazioni sociali. La legge di riforma del 2003 ha
eliminato, infatti, la vecchia distinzione tra cooperative con soci a
responsabilità limitata e cooperative con soci illimitatamente responsabili,
disponendo -senza lasciare spazio a possibili alternative- che per le
obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio
(art.2518 c.c.).
Manca, invece, un analogo intervento riformatore
sulla responsabilità dei soci e dei loro eredi nei confronti della società, per
la quale si prevede, senza alcun radicale cambiamento, la responsabilità del
socio uscente per il pagamento dei conferimenti non versati.
La sola novità consiste nella riduzione del
periodo di permanenza di detto obbligo di pagamento dagli originari due anni ad
un anno e nell'obbligo, verso la stessa società -in caso di sua insolvenza ed
entro lo stesso periodo di tempo-, di rispondere nei limiti di quanto ricevuto
per la liquidazione della quota o per il rimborso delle azioni (art. 2536
c.c.).
Restando in tema di responsabilità, il legislatore
del 2003, nel ribadire l'impossibilità per il creditore particolare del socio
di procedere esecutivamente nei suoi confronti (aggredendo la quota o le azioni
di partecipazione alla cooperativa), ha ritenuto, altresì, di abolire il
potere, che si riconosceva al suddetto creditore particolare, di impedire
-opponendovisi- l'eventuale decisione di proroga della società[56].
Un'altra notazione riguarda l'inapplicabilità,
nella fattispecie che ne occupa, degli artt. 2471 e 2471-bis c.c., dettati
in tema di espropriazione, pegno, usufrutto e sequestro della partecipazione.
In tutti i casi, infatti, si tratterebbe di consentire -anche per effetto della
vendita all'asta della quota o delle azioni del socio debitore- il subingresso
di altri soggetti nella società, la qual cosa risulta incompatibile con il
sistema cooperativistico, avuto riguardo alla necessaria sussistenza dei
requisiti di ammissione.
d) I soci cooperatori
Nell'ambito della categoria dei soci cooperatori
(la più importante ed addirittura essenziale per qualsiasi tipo di cooperativa)
distinguiamo le persone fisiche ed i soggetti diversi da esse, i
soci-imprenditori ed i soci-in formazione ovvero in prova.
In linea di principio, ciascun socio-persona fisica
non può avere una quota societaria superiore a centomila euro, né tante azioni
il cui valore nominale superi tale somma[57].
Nelle società con più di cinquecento soci, l'atto
costitutivo può elevare il superiore limite sino al due per cento del capitale
sociale.
In ogni caso i suddetti limiti non si applicano
qualora oggetto dei conferimenti siano beni in natura o crediti; nei casi di
assegnazione delle riserve disponibili e di ripartizione dei ristorni mediante
aumento proporzionale delle quote sottoscritte e versate o mediante l'emissione
di nuove azioni (nella misura massima del venti per cento del valore originario
nel solo caso di assegnazione delle riserve disponibili, ex art. 2545-quinquies,
co. 3, c.c.) e con riferimento ai soci diversi dalle persone fisiche ed ai
sottoscrittori di strumenti finanziari dotati di diritti di amministrazione
(c.d. partecipativi).
Ai soci-persone giuridiche l'atto costitutivo può
attribuire più voti, fino ad un massimo di cinque, in relazione all'ammontare
della quota oppure al numero dei loro membri.
I soci-imprenditori, presenti nelle cooperative in
cui i soci realizzano lo scopo mutualistico attraverso l'integrazione delle
rispettive imprese o di talune fasi di esse, a differenza degli altri possono
avere attribuito, dall'atto costitutivo, il diritto di voto "in ragione
della partecipazione allo scambio mutualistico", mentre lo statuto fissa
un limite -per il voto plurimo spettante a siffatta categoria di soci- "in
modo che nessuno di essi possa esprimere più del decimo dei voti in ciascuna
assemblea generale". In ogni caso, i voti complessivamente attribuiti ai
soci-imprenditori non possono superare il terzo dei voti spettanti a tutti gli
altri soci (art. 2538, co.4, c.c.).
A differenza di ogni altro socio, il
socio-imprenditore individuale può farsi rappresentare in assemblea anche dal
coniuge, dai parenti entro il terzo grado e dagli affini entro il secondo
grado, che collaborino all'impresa (art. 2539, co.2, c.c.).
Per quanto concerne i soci c.d. in prova o
soci-apprendisti, l'atto costitutivo ne può prevedere l'ammissione in una
categoria speciale, in ragione dell'interesse che essi hanno alla loro
formazione ovvero al successivo inserimento nell'impresa societaria.
Il loro numero non può superare il terzo del numero
totale dei soci-cooperatori e possono essere ammessi a godere dei diritti
spettanti a questi ultimi al termine di un periodo di apprendistato o di attesa
non superiore a cinque anni (art. 2527, co.3, c.c.).
La dottrina non ha mancato di intravedere in questa
disposizione un'ipotesi di, seppur parziale, deroga ai principi affermati per
l'ammissione dei soci alla cooperativa, nella misura in cui consentirebbe
l'inserimento all'interno della stessa di soggetti che, al momento del loro
ingresso, non sarebbero in possesso dei requisiti richiesti. Sennonché, la
previsione di una categoria speciale escluderebbe la parificazione di questi
soggetti ai veri e propri soci-cooperatori, né appare corretto intravedere una
sorta di automatismo nell'ingresso dei suddetti allo scadere dei cinque anni,
dovendosi ritenere che il passaggio da una categoria all'altra debba avvenire,
sempre e comunque, previo accertamento della sussistenza, in capo ai soci da
ammettere, dei requisiti personali di cui all'atto costitutivo.
e) I soci finanziatori
I soci sovventori conferiscono risorse ricevendo in
cambio azioni nominative, trasferibili e privilegiate nella remunerazione
dell'investimento così effettuato (fino al due per cento in più rispetto agli
altri soci).
L'atto costitutivo può attribuire a ciascuno di
essi più voti, fino ad un massimo di cinque, in relazione all'ammontare del
conferimento, e l'ammontare dei voti attribuiti complessivamente ai soci
sovventori non deve -in ogni caso- superare un terzo dei voti spettanti a tutti
i soci.
In quanto soci, i sovventori sono soggetti alle
regole societarie e possono essere nominati amministratori a condizione che la
maggioranza degli amministratori sia sempre costituita da soci cooperatori[58].
I fondi costituiti con i conferimenti di denaro provenienti dai soci sovventori
costituiscono quota parte del capitale sociale sulla cui modalità di
funzionamento, in mancanza di previsioni statutarie, delibera l'assemblea.
Le società cooperative, che abbiano adottato
procedure di programmazione pluriennale finalizzate allo sviluppo ed
all'ammodernamento aziendale, possono emettere azioni di partecipazione
cooperativa, che sono prive del diritto di voto ma privilegiate nella
ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale (alla stregua di quanto
già previsto per le azioni di risparmio introdotte con la legge 216/1974).
Agli azionisti di partecipazione cooperativa
spetta, infatti, una remunerazione maggiorata del due per cento, rispetto a
quella delle quote e delle azioni dei soci cooperatori; all'atto dello
scioglimento della società, gli stessi hanno diritto di prelazione nel rimborso
del capitale versato ed in caso di perdita del capitale sociale ne risentono
nei limiti della parte eccedente il valore nominale complessivo delle altre
azioni o quote.
L'ammontare di questa particolare categoria di
azioni non può essere superiore al valore contabile delle riserve indivisibili
e del patrimonio netto risultanti dall'ultimo bilancio; devono essere offerte
in opzione, almeno per la metà, ai soci ed ai lavoratori dipendenti della
società e possono essere al portatore, a condizione che siano interamente
liberate.
f) I possessori di strumenti finanziari
Per la prima volta viene statuito che anche l'atto
costitutivo di una società cooperativa possa prevedere l'emissione di strumenti
finanziari e di obbligazioni, secondo la corrispondente disciplina delle
società per azioni (art. 2526 c.c.).
L'obiettivo del legislatore è stato quello di
consentire alle cooperative di raccogliere capitale di rischio, soddisfacendo
in tal modo il sempre crescente bisogno di disponibilità finanziarie per
competere con le imprese concorrenti.
I possessori di strumenti finanziari possono
essere interni od esterni alla società.
Ai primi, l'atto costitutivo riconosce diritti
amministrativi, mentre i secondi sono portatori soltanto di diritti
patrimoniali.
Ai possessori di strumenti finanziari
partecipativi, in ogni caso, non può essere attribuito più di un terzo dei voti
spettanti ai soci presenti o rappresentati in ciascuna assemblea generale ed il
loro diritto di recesso è disciplinato dagli artt. 2437 e ss. c.c.
Se lo statuto lo prevede, i possessori di strumenti
finanziari hanno il diritto di eleggere fino ad un terzo degli amministratori e
dei componenti dell'organo di controllo (artt. 2542, co.4, e 2543, co.3,
c.c.).
Avuto riguardo ai diritti patrimoniali, questi non
incontrano limiti di sorta, fatta eccezione soltanto per gli strumenti
finanziari sottoscritti da soci cooperatori, ai quali non può essere
riconosciuta una remunerazione superiore a due punti rispetto al limite massimo
previsto per i dividendi (vale a dire due punti e mezzo in più rispetto a buoni
fruttiferi postali, per un totale, quindi, di quattro punti e mezzo in più
rispetto a questi ultimi).
Anche in tema di diritti di voto plurimo, il
possesso di strumenti finanziari da parte di soci cooperatori comporta il
rispetto dei limiti determinati dall'atto costitutivo.
a) L'ammissione
Gli artt. 2527 e 2528 c.c. si inseriscono in modo
del tutto innovativo nella normativa codicistica, disciplinando per la prima
volta i "requisiti" dei soci e dettando le regole per l'ammissione
degli stessi all'interno della cooperativa[59].
Nel rimettere alla piena autonomia statutaria la
determinazione delle condizioni di ammissione dei soci, la prima di dette norme
prevede, al contempo, che i criteri così individuati siano non
discriminatori coerenti con lo scopo mutualistico e l'attività economica
svolta.
Ed ancora: i requisiti soggettivi diventano
elemento essenziale dell'atto costitutivo che, ai sensi dell'art. 2521, n.6,
c.c., deve indicare i requisiti e le condizioni per l'ammissione dei
soci, individuando, cioè, la categoria produttiva o il ceto sociale dei cui
interessi la cooperativa intende farsi portatrice e, conseguentemente, gli
elementi idonei a comprovare l'appartenenza dell'aspirante socio alla categoria
prescelta.
Al di là delle poche indicazioni illustrate, manca
una definizione dettagliata dei requisiti soggettivi dei soci cooperatori e
l'unico caso in cui il legislatore si esprime al riguardo ha contenuto
puramente negativo, laddove fa divieto di ammettere all'interno della società
quanti esercitino in proprio imprese in concorrenza con la cooperativa cui gli
stessi sono interessati.
L’art. 2528 c.c., dal canto suo, nel dettare le
regole ed i criteri di ingresso, si conforma pienamente a quello che abbiamo
definito come uno dei principi cardine delle cooperative: il principio della
<porta aperta>.
Infatti, il modello adottato dal legislatore del
2003 lascia trasparire una piena apertura della cooperativa al progressivo
ingresso in società di tutti quanti, aspiranti soci, siano in possesso dei
necessari requisiti[60].
In tal senso va visto l’obbligo di motivazione che la norma pone a carico degli
amministratori nei confronti del soggetto non ammesso, e l’ulteriore onere di
illustrare, nella relazione al bilancio, le determinazioni assunte in ordine
all’ammissione di nuovi soci (art. 2528, ult. co., c.c.)[61].
Sulla domanda di ammissione deliberano gli amministratori
i quali, in caso di ammissione, devono comunicare la deliberazione all'istante
e curarne l'annotazione nel libro dei soci, mentre, nel caso di rigetto, hanno
l’obbligo di motivarla entro sessanta giorni e darne comunicazione
all'interessato. A partire dalla suddetta comunicazione -o, sarebbe stato
meglio dire, dal momento della sua ricezione- l’aspirante socio ha
facoltà -entro sessanta giorni- di proporre reclamo all’assemblea, la quale ha
il compito di deliberare sulle domande non accolte[62].
E’ dubbio se l’assemblea, nel caso in cui deliberi
in senso positivo, abbia il potere di procedere essa stessa all’ammissione del
socio o se, invece, ciò resti appannaggio esclusivo dell’organo amministrativo,
il quale avrà, comunque, l’obbligo di conformarsi alla delibera assembleare,
dandovi esecuzione[63].
Ciò premesso, è certo che l’ammissione alla
cooperativa non possa configurarsi come un vero e proprio diritto soggettivo
dell’aspirante socio, né, pertanto, è possibile configurare un obbligo a
contrarre a carico della società, trattandosi in entrambi i casi di semplici
atti di autonomia contrattuale[64].
Così come la domanda d’ingresso nella cooperativa è
null’altro che una proposta contrattuale, la delibera di ammissione ha natura
di accettazione in senso tecnico e, quindi, di atto di autonomia privata, come
tale incoercibile e insindacabile da parte dell’autorità giudiziaria.
Allo stesso modo, la clausola dell’atto costitutivo
che prevede i requisiti di ammissione dei nuovi soci non avrebbe il valore di
un’offerta al pubblico, come tale vincolante, essendo rivolta esclusivamente
nei confronti degli organi interni alla cooperativa, affinché curino di
attenervisi.
Infine, si prevede per il nuovo socio l’obbligo di
versare un sovrapprezzo -laddove previsto[65]-
oltre all’importo delle quote o azioni.
b) Il recesso
Quanto, invece, alle ipotesi opposte all'ingresso
nella società e che si sostanziano nello scioglimento parziale del rapporto
sociale, queste possono aver luogo nei casi di recesso (art. 2532 c.c.), di
esclusione dalla società (art. 2533 c.c.) e di morte del socio -fatti salvi i
casi in cui l’atto costitutivo disponga la continuazione del rapporto sociale
con gli eredi- (art. 2534 c.c.).
Dall’analisi della normativa sul recesso, emerge
chiaramente l’ampio margine che la legge riconosceva, e riconosce tutt’ora,
all’autonomia statutaria.
L’art. 2532 c.c. dispone, infatti, che il recesso è
consentito in tutti i casi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo. Ciò è
spiegabile proprio in relazione alla particolare natura della società
cooperativa la quale, da un lato, appare dominata dal principio della <porta
aperta> e, dall’altro, si presenta come una società a <capitale
variabile> che, come tale, avverte meno intensamente l’esigenza di tutelare
l’integrità del proprio capitale.
La disciplina codicistica del recesso sembrerebbe
sostanzialmente immutata, fatta eccezione per l'introduzione del divieto di un
recesso parziale (ammesso, nelle società per azioni dall'art. 2437 c.c.) e per
l'estensione a questa fattispecie di un procedimento analogo a quello previsto
in tema di trasferimento della quota o delle azioni (di cui si dirà più
avanti). Dispone, infatti, la superiore norma che la dichiarazione di recesso
deve essere comunicata con raccomandata alla società, affinché gli
amministratori la esaminino entro il termine di sessanta giorni dalla
ricezione. In caso di accoglimento, il recesso ha effetto -per quanto concerne
il rapporto sociale- dalla data di comunicazione del provvedimento, mentre -per
i rapporti mutualistici tra socio e società- lo stesso esplica effetti (ove la
legge o l'atto costitutivo non preveda diversamente) con la chiusura
dell'esercizio in corso, se comunicato tre mesi prima, o con la chiusura
dell'esercizio successivo, in caso contrario[66].
Se non sussistono i presupposti legali o statutari
del recesso, gli amministratori ne danno immediata notizia al socio, il quale
ha diritto di proporre opposizione avanti il tribunale entro sessanta giorni
dal ricevimento della comunicazione.
Per le ipotesi di recesso di tipo legale, occorre
rinviare alla disciplina propria delle società per azioni (art. 2437 c.c.) o,
rispettivamente, delle società a responsabilità limitata (art. 2473 c.c.), a
secondo del modello adottato dalla cooperativa.
c) L'esclusione
Per quanto riguarda l’esclusione, la competenza a
deliberare spetta di regola agli amministratori, tranne il caso in cui l’atto
costitutivo la riconosca all’assemblea.
A differenza dell'art. 2473-bis c.c., che
rinvia alle sole ipotesi di esclusione per giusta causa previste dall'atto
costitutivo, l'art. 2533 c.c. affianca, ai casi previsti dall'atto costitutivo,
l'esclusione per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla
legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico,
nonché le ipotesi di mancanza o perdita dei requisiti previsti per la
partecipazione alla società, di inidoneità a svolgere l'opera conferita o di
perimento della cosa da trasferire alla società (ex art. 2286
c.c.) e, per finire, l'esclusione per sopravvenuto fallimento del socio (ex
art. 2288, co.1, c.c.).
La stessa norma, inoltre, prevede che, ai casi di
esclusione espressamente elencati, vada aggiunta l’ipotesi del socio che non
esegua in tutto o in parte il pagamento delle quote o azioni sottoscritte (art.
2531 c.c.).
In tutti i casi, si tratta di esclusione
facoltativa (l'esclusione può aver luogo), non essendo prevista alcuna
ipotesi di esclusione obbligatoria o di diritto.
La stessa deve essere deliberata dagli
amministratori o dall'assemblea ed il socio escluso può proporre opposizione al
tribunale[67],
alla stessa stregua di quanto già disposto dalla normativa precedente (art.
2527 c.c.), ma con l'allungamento dei relativi termini da trenta a sessanta
giorni.
A differenza dell'ipotesi di recesso, in cui il
legislatore -ai fini del verificarsi dell'evento- distingue tra rapporti
sociali e rapporti mutualistici tra socio e società, nel caso di esclusione,
qualora l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del
rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici
pendenti (art. 2533, co.4, c.c.).
d) La morte del socio
Avuto riguardo all'ultima delle fattispecie di
scioglimento parziale del rapporto sociale, v’è da dire che, nel nuovo sistema
come sopra riformato, le regole dettate per il caso di morte del socio restano
in sostanza invariate, ribadendosi il diritto degli eredi alla liquidazione
della quota o al rimborso delle azioni del socio defunto, salvo poche
precisazioni in ordine alla eventuale prosecuzione del rapporto sociale con gli
eredi stessi, consentita dall'atto costitutivo esclusivamente nei confronti di
soggetti che siano in possesso dei requisiti previsti per l'ammissione alla
società[68].
Come i soci uscenti, anche gli eredi del socio
defunto hanno diritto alla liquidazione della partecipazione sociale.
L’art. 2535 c.c. dispone in generale che la
liquidazione debba avvenire secondo i criteri stabiliti nell’atto costitutivo,
sulla base del bilancio di esercizio in cui si sono verificati il recesso,
l’esclusione o la morte del socio.
La suddetta liquidazione comprende, oltre alla
quota o alle azioni, il rimborso del sovrapprezzo eventualmente versato, nei
limiti in cui sussista ancora nel patrimonio sociale e sempre che non sia stato
destinato ad aumento gratuito del capitale.
Infine, si dovrà tenere conto delle eventuali
perdite imputabili al capitale e procedere proporzionalmente alla relativa
riduzione.
Il pagamento deve essere effettuato entro il
termine di sei mesi dall'approvazione del bilancio, mentre per la frazione
della quota o per le azioni assegnate al socio in sede di distribuzione di
dividendi e di riserve divisibili ovvero di ripartizione di ristorni, l'atto
costitutivo può prevedere la liquidazione o il rimborso, unitamente agli
interessi legali, rateizzati entro un termine massimo di cinque anni (art.
2535, ult. co., c.c.).
e) Il trasferimento della quota e delle azioni
L'uscita del socio dalla società può aversi, oltre
che nei casi di cui sopra, per l'avvenuto trasferimento a terzi della sua quota
o delle azioni.
A tal riguardo, va subito precisato che siffatta
eventualità può verificarsi solo in caso di espressa autorizzazione da parte
degli amministratori a seguito di richiesta da formularsi, da parte
dell'interessato, a mezzo lettera raccomandata.
Il provvedimento che concede o nega
l'autorizzazione deve essere comunicato al socio entro il termine di sessanta
giorni dalla ricezione della richiesta. In mancanza di comunicazione entro il
suddetto termine, si forma una specie di silenzio-assenso, con la facoltà per
l'interessato di procedere al trasferimento della propria partecipazione
sociale[69].
L'eventuale diniego deve essere motivato ed avverso
lo stesso è possibile proporre opposizione al tribunale entro sessanta giorni,
che decorrono dalla data di ricevimento della comunicazione.
Qualora l'atto costitutivo vieti la cessione della
quota o delle azioni, la legge riconosce al socio il diritto di recedere dalla
società con preavviso di tre mesi e dopo che siano decorsi due anni
dall'ingresso del socio nella società (art.2530, ult. co., c.c.).
Si tratta di disposizioni che, per un verso,
legittimano il recesso in tutti i casi in cui sia preclusa al socio la
possibilità di uscire dalla società per effetto del trasferimento della propria
quota di partecipazione e, per altro verso, intendono dare serietà e
concretezza alla sottoscrizione dell'atto costitutivo da parte di chi entra a
fare parte di una società ben conoscendo l'esistenza della clausola che vieta
quella cessione.
a) L'assemblea generale
Passando alla disciplina degli organi sociali, si
deve prima di tutto richiamare ancora una volta la possibilità, riconosciuta
alle società cooperative, di adottare alternativamente il modello delle società
per azioni o quello delle società a responsabilità limitata[70],
la qual cosa influirà inevitabilmente anche sulla disciplina degli organi.
Pertanto, laddove la cooperativa aderisca al
modello della s.p.a., usufruirà degli stessi organi sociali, con poche
significative deviazioni.
Quanto all’assemblea, si confermano -anche dopo la
riforma- la legittimazione a parteciparvi di coloro che risultano iscritti da
almeno tre mesi nel libro dei soci[71]
ed il principio capitario di <una testa-un voto>, per cui ciascun socio
ha diritto ad un solo voto, qualunque sia il valore della quota o il numero
delle azioni possedute (art. 2538 c.c.).
Una deroga è prevista, come già visto in
precedenza, per i soci-persone giuridiche, ai quali l’atto costitutivo può
riconoscere più di un voto (mai oltre i cinque), e per le cooperative in cui i
soci realizzino lo scambio attraverso l’integrazione delle rispettive imprese
(c.d. cooperative di produzione), nelle quali il diritto di voto può essere
attribuito anche in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico,
entro il limite massimo di un decimo dei voti di ciascuna assemblea generale e,
complessivamente, di un terzo dei voti dei soci presenti o rappresentati (art.
2538, co.4, c.c.).
E’ opportuno ricordare che, nell’attuale impianto
normativo, tutte le volte in cui si parla di soci con diritto di voto dovrà farsi
riferimento, ormai, non più esclusivamente ai soci cooperatori, ma anche ai
soci sovventori, ai quali il diritto di voto era già riconosciuto in forza
dell’art. 4 della l. 59/92 ed ai quali, oggi, è lo stesso statuto che può
attribuirlo, ex art. 2526 c.c.
A tal proposito, si ricorda che laddove gli
strumenti finanziari siano attribuiti agli stessi cooperatori il diritto di
voto incontrerà i limiti determinati dall'atto costitutivo.
Le maggioranze richieste per la costituzione di
tutte le assemblee, ordinarie e straordinarie, in prima ed in seconda
convocazione, così come i quorum deliberativi, sono determinate
dall'atto costitutivo e vengono calcolate secondo il numero dei voti spettanti
alle varie categorie di soci.
Volendo trattare del ruolo dell'assemblea generale,
va subito osservato che la portata dello stesso è strettamente collegata al
sistema di amministrazione adottato dalla cooperativa.
E' vero, infatti, che il suddetto ruolo risulta
molto più ampio in presenza del sistema di amministrazione tradizionale, mentre
si restringe nei casi di sistema monistico o dualistico. Nel primo caso,
l'assemblea perde il potere di nomina dell'organo di controllo interno, che
passa al consiglio di amministrazione, mentre, nel secondo caso, alcune
competenze assembleari passano al consiglio di sorveglianza (quali la nomina e
la revoca del consiglio di gestione, l'azione di responsabilità nei confronti
degli amministratori e l'approvazione del bilancio).
L'applicazione, infine, della disciplina dettata
per le società per azioni comporta -tra l'altro- la competenza dell'assemblea
(nelle società prive del consiglio di sorveglianza) a deliberare sulle
autorizzazioni per il compimento di atti da parte degli amministratori, dei
quali questi ultimi assumono comunque la piena responsabilità (art.2364, n.5,
c.c.).
b) La rappresentanza in assemblea
Riguardo alle specifiche novità introdotte dalla
riforma, si può senza dubbio affermare che uno degli obiettivi che il
legislatore delegato ha sicuramente realizzato è quello di favorire la
partecipazione dei soci alle delibere assembleari[72],
e ciò ha fatto ricorrendo a due espedienti: l’ampliamento delle possibilità di
delega del voto e la valorizzazione delle assemblee separate.
In tema di
rappresentanza e di voto per delega, crescono, infatti, le possibilità di
rappresentanza dei soci in assemblea (da cinque a dieci), pur mantenendosi
ferma la regola che la delega sia rivolta esclusivamente nei confronti di soci,
con la nuova eccezione per il socio-imprenditore, cui si è già avuto modo di
accennare, al quale è riconosciuta la facoltà di essere rappresentato anche dal
coniuge, dai parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo, che
collaborino nell’impresa (art.2539, ult. co., c.c.).
Questa
previsione, eccezionale rispetto al principio che all'assemblea non possono
partecipare soggetti che non siano soci della cooperativa, sembrerebbe potersi
spiegare con l’opportunità di garantire l’esercizio del potere di
rappresentanza in favore di soggetti in qualche misura coinvolti nella gestione
dell’impresa, e come tali non del tutto <terzi> rispetto alla società, né
estranei alla stessa o agli interessi con essa perseguiti.
Ancora, si conferma la possibilità -se previsto
nell’atto costitutivo- di esprimere il proprio voto per corrispondenza, con la
novità che lo stesso può essere trasmesso facendo ricorso anche ai più moderni
mezzi di telecomunicazione.
In tal modo, si consente ai soci di intervenire anche
a distanza, rafforzando ancora una volta la partecipazione sociale.
b) Le assemblee separate
Per quanto riguarda le assemblee separate, si
tratta di un meccanismo che consente una formazione progressiva della volontà
assembleare, distribuita in due distinte fasi: quella delle assemblee separate,
che deliberano sulle stesse materie all’ordine del giorno dell’assemblea
generale, e quella successiva dell’assemblea generale. Siffatto sistema, già
sperimentato in precedenza, da un lato, incentiva la partecipazione sociale,
altrimenti scoraggiata dalla influenza marginale del singolo in contesti
particolarmente allargati, e, dall’altro, agevola il raggiungimento dei quorum
richiesti, altrimenti più difficili da realizzare.
Il ricorso, di regola facoltativo, a questo tipo di
assemblee (rispetto a specifiche materie ovvero in presenza di particolari
categorie di soci) diventa obbligatorio in due ipotesi: per le cooperative con
più di tremila soci che svolgono l’attività in più province, e per quelle che
abbiano oltre cinquecento soci e realizzino più gestioni mutualistiche (art.
2540, co.2, c.c.).
La disciplina prevede l’individuazione di soci
delegati dalle assemblee separate per la partecipazione all’assemblea generale,
garantendo al contempo la proporzionale rappresentanza delle relative
minoranze.
Gli altri partecipanti alle assemblee separate, che
non siano stati eletti come delegati, mantengono il diritto di partecipare
all'assemblea generale, ma senza diritto di voto.
Inoltre, si è posto il principio della non
impugnabilità delle delibere adottate dalle assemblee separate, consentendosi,
soltanto, l’impugnazione delle decisioni dell’assemblea generale anche da parte
dei soci assenti o dissenzienti nelle assemblee separate, ma a condizione che
la mancanza dei voti dei soggetti delegati dalle assemblee separate
irregolarmente tenute avrebbe comportato il venir meno delle maggioranze
richieste per l’assemblea generale[73].
Nel disciplinare specificatamente le assemblee
separate, il legislatore ha perduto l'occasione di risolvere almeno alcuni dei
numerosi problemi già sollevati sotto la passata legislazione. Rimane in
dubbio, infatti, se i delegati abbiano l'obbligo o meno di votare in assemblea
generale secondo il mandato ricevuto; se gli stessi debbano esprimere un voto
che sia proporzionale o meno al numero dei partecipanti all'assemblea separata
che li ha nominati o, quanto meno, in proporzione ai propri deleganti (di
maggioranza o di minoranza); ed ancora se il numero complessivo dei
delegati debba essere proporzionale al numero dei soci che avevano diritto di
partecipare all'assemblea separata ovvero dei soli soci che vi hanno
effettivamente partecipato.
Per finire, l'ultimo comma dell'art. 2540 c.c.
esclude l'ammissibilità di assemblee separate nelle società cooperative quotate
nei mercati regolamentati, in dipendenza della polverizzazione del capitale
presso il pubblico dei risparmiatori.
d) Le assemblee speciali
Un discorso a parte va fatto per le assemblee
speciali dei possessori di strumenti finanziari. Dispone l’art. 2541 c.c. che i
possessori di strumenti finanziari privi del diritto di voto si riuniscono in
assemblee speciali, per ciascuna categoria di titoli, per deliberare su
specifiche questioni ivi elencate ed in particolare sulla nomina e revoca
del rappresentante comune.
Più specificatamente, le competenze legali delle
assemblee speciali di che trattasi si possono così riassumere: 1) approvazione
delle deliberazioni dell'assemblea della società cooperativa che pregiudichino
i diritti della categoria di appartenenza (funzione dell'assemblea è quella di
assumere le opportune determinazioni a tutela dei diritti dei suoi
partecipanti); 2) esercizio dei diritti di amministrazione o patrimoniali
stabiliti dall'atto costitutivo ai sensi dell'art.2526 c.c., compreso il
rispetto delle condizioni cui è sottoposto il trasferimento degli strumenti
finanziari posseduti; 3) la già citata nomina e revoca del rappresentante
comune della categoria interessata, nonché l'azione di responsabilità nei
confronti dello stesso per gravi irregolarità e/o per l'inosservanza dei doveri
che gli derivano dalla legge e dal mandato ricevuto; 4) costituzione,
amministrazione e relativo rendiconto di un fondo spese, necessario alla tutela
dei comuni interessi dei possessori degli strumenti finanziari
appartenenti alla categoria in questione; 5) eventuali controversie dei
possessori di strumenti finanziari appartenenti a quella determinata categoria
con la società cooperativa, con particolare riguardo alle decisioni da adottare
in ordine a ciascuna di esse, alle relative transazioni o possibili rinunce; 6)
qualsiasi altro oggetto di interesse comune.
Il potere di convocazione delle assemblee speciali
spetta agli amministratori della società ed al rappresentante comune della
relativa categoria, i quali hanno facoltà di provvedervi tutte le volte che lo
ritengano necessario, mentre sono tenuti ad effettuarla ogni qual volta lo
richieda almeno un terzo dei possessori degli strumenti finanziari interessati.
Il rappresentante comune ha inoltre l'obbligo di
dare esecuzione alle deliberazioni dell'assemblea speciale e di tutelare, nei
rapporti con la società cooperativa, gli interessi comuni dei possessori di
strumenti finanziari che lo hanno eletto.
Allo stesso rappresentante comune compete il
diritto di esaminare il libro dei soci della società cooperativa ed il
libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'assemblea generale, compreso
quello di ottenere i relativi estratti, nonché il diritto di assistere
all'assemblea della società cooperativa e di impugnarne le deliberazioni
(sempre che le stesse pregiudichino gli interessi comuni della categoria che
egli rappresenta).
Di assemblee speciali è possibile parlare anche con
riguardo agli azionisti di partecipazione cooperativa ed agli obbligazionisti
della società.
Ai sensi dell'art.6 della l. 59/92, tutt'ora in
vigore, l'assemblea speciale dei possessori delle azioni di partecipazione cooperativa
delibera anch'essa sulla nomina e revoca del rappresentante comune,
sull'approvazione delle deliberazioni dell'assemblea della società cooperativa
che pregiudicano i diritti della categoria, sulla costituzione di un fondo per
le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul relativo rendiconto
nonché sugli altri oggetti di interesse comune.
I restanti commi dello stesso articolo ricalcano
quelli del citato art. 2541 c.c., con la precisazione che le spese sostenute
dal rappresentante comune nell'esercizio dei propri diritti sono imputate al
fondo di cui sopra.
Per l'assemblea speciale degli obbligazionisti è
d'uopo il richiamo all'art. 2415 c.c., nel quale -in aggiunta alle competenze proprie
delle altre assemblee speciali- troviamo il potere di deliberare sulle
modificazioni delle condizioni del prestito. Per il resto non ci sembra ci sia
nulla di particolare da ricordare, fatta eccezione, naturalmente, per
l'inapplicabilità di quelle statuizioni che mal si conciliano con la disciplina
delle società
cooperative.
e) I sistemi di amministrazione
Come si è avuto modo di ricordare, la società
cooperativa -in quanto soggetta, in linea di massima, alla disciplina delle
società per azioni- può adottare uno dei sistemi di amministrazione previsti,
per quel tipo di società, dal d. lgs. 6/2003.
Si tratta, come tutti sanno, di affiancare, al
sistema di governance tradizionale (costituito dal consiglio di
amministrazione, cui si accompagna il collegio sindacale) il c.d. sistema
dualistico (che è basato su un consiglio di gestione ed un consiglio di
sorveglianza) (artt. 2409-octies e ss., c.c.) ed il sistema monistico
(caratterizzato da un consiglio di amministrazione con al suo interno un
comitato per il controllo sulla gestione) (artt. 2409-sexiesdecies e
ss., c.c.).
A ciò si aggiunga che le norme dettate in tema di
società cooperative attengono esclusivamente alla struttura dell'organo di
gestione, dovendosi, per i relativi poteri, fare rinvio alle disposizioni
facenti parte della disciplina delle società per azioni.
L'art. 2542 c.c., intestato al consiglio di
amministrazione, fissa i due principi cardine che governano la relativa
disciplina, prevedendo: a) che la maggioranza degli amministratori sia
scelta tra i soci cooperatori[74],
essendo venuta meno la regola che imponeva la totalità di cooperatori; b)
che la nomina della maggioranza degli amministratori sia, in ogni caso,
riservata all’assemblea[75]
(art. 2542 c.c.).
Si conferma, quindi, l’interesse del legislatore a
garantire che la direzione della cooperativa rimanga prevalentemente nelle mani
di persone interessate personalmente all’attività mutualistica.
La stessa norma prevede la possibilità che l'atto
costitutivo attribuisca agli appartenenti alle diverse categorie di soci il
potere di nominare uno o più amministratori in proporzione dell'interesse che
ciascuna categoria ha nell'attività sociale, con il limite massimo, per i
possessori di strumenti finanziari, di eleggere fino ad un terzo del numero
degli amministratori.
Lo stesso limite vale laddove la cooperativa abbia
adottato il sistema di amministrazione dualistico, nel senso che ai possessori
di strumenti finanziari è precluso di eleggere più di un terzo dei componenti
del consiglio di sorveglianza e più di un terzo dei componenti del consiglio di
gestione[76],
ovvero il sistema monistico, nel senso che i possessori di strumenti finanziari
possono eleggere fino ad un terzo dei componenti del consiglio di
amministrazione, ai quali, però, è vietato attribuire deleghe operative e senza
che gli stessi possano fare parte del comitato esecutivo.
Nel caso di sistema dualistico, i componenti del
consiglio di sorveglianza, eletti dai soci cooperatori-persone giuridiche,
devono essere scelti tra le persone da loro indicate, mentre quelli eletti dai
soci cooperatori-persone fisiche devono essere scelti tra i soci cooperatori.
Ma quid iuris se tra i soci cooperatori non vi è nessun revisore
contabile, con la conseguente impossibilità di rispettare il disposto di cui
all'art. 2409-duodecies, co.4, c.c.?
Indipendentemente, infine, dal sistema di
amministrazione adottato, l'art. 2544 c.c. pone il divieto, per gli
amministratori, di delegare le seguenti materie di loro esclusiva competenza:
emissione di obbligazioni convertibili (se ed in quanto compatibili con il
sistema cooperativistico), redazione del bilancio, aumento del capitale sociale,
convocazione dell'assemblea per perdita del capitale, redazione progetto di
fusione o di scissione, ammissione ed esclusione di soci ed esame delle domande
di recesso, tutte le decisioni che incidono sui rapporti mutualistici con i
soci, materie queste tutte previste dalla succitata norma, alle quali devesi
aggiungere la predisposizione dei regolamenti ex art. 2521, ult. co.,
c.c.
f) L'organo di
controllo
La formulazione della norma relativa all'organo di
controllo evidenzia la possibilità che lo stesso possa mancare anche nelle
cooperative soggette alla disciplina dettata per le società per azioni[77].
La nomina del collegio sindacale, infatti, è prevista come obbligatoria solo
nei casi in cui il capitale sociale sia superiore al minimo fissato dall'art.
2327 c.c., se per due esercizi consecutivi siano stati superati due dei limiti
indicati dal primo comma dell'art. 2435-bis c.c. e quando la società
cooperativa emette strumenti finanziari non partecipativi. In quest'ultimo
caso, inoltre, i componenti del collegio sindacale devono avere i requisiti di
onorabilità e professionalità sanciti dal Testo Unico sugli investimenti
finanziari (l.58/98, successive modifiche ed integrazioni)[78].
Nei casi in cui la società non si doti dell'organo
di controllo interno, il controllo contabile dovrà essere affidato ad un
revisore esterno, con il contestuale aumento dei poteri di controllo da parte
dei soci.
Questi ultimi, in ogni caso, sempre che non siano
in mora nei conferimenti e la cooperativa sia soggetta alla disciplina delle
società per azioni, hanno il diritto di esaminare ed estrarre copia del libro
dei soci e del libro delle adunanze. Gli stessi, inoltre, quando rappresentino
un decimo del numero complessivo ovvero un ventesimo dei partecipanti alle
cooperative con più di tremila soci, hanno il diritto di esaminare (attraverso
un rappresentante comune, eventualmente assistito da un professionista di sua
fiducia) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di
amministrazione e il libro delle deliberazioni del comitato esecutivo, se
esistente (art. 2545-bis c.c.).
In mancanza di qualsiasi riferimento alla
composizione dell'organo, si applica, anche in tema di cooperative, il disposto
di cui all'art. 2397 c.c., in virtù del quale il collegio sindacale si compone
di tre o cinque membri, con l'obbligo di nomina anche di due sindaci supplenti.
Posto che almeno un membro effettivo ed uno supplente devono essere scelti tra gli
iscritti nel registro dei revisori contabili, appare opportuno ritenere
applicabile anche la previsione normativa secondo cui i sindaci possono anche
non essere soci della cooperativa.
L'art. 2543 c.c. introduce, in termini fortemente
innovativi, l’attribuzione del diritto di voto nell'elezione dell'organo di
controllo (non per testa ma) in relazione alla partecipazione al capitale o
allo scambio mutualistico ed inoltre riserva, nei limiti in cui lo
statuto lo preveda, la nomina di un terzo dei sindaci ai possessori di
strumenti finanziari dotati di diritti di amministrazione[79].
Sia per gli amministratori che per i sindaci è
previsto, infine, il già citato obbligo di relazionare, in sede di approvazione
del bilancio di esercizio, sui criteri seguiti per il conseguimento dello scopo
mutualistico (art. 2545 c.c.).
Si ricorda, infine, che la disciplina dei vari
organi di controllo dovrà integrarsi, poi, con i necessari rinvii alla
normativa sulla s.p.a. e sulla s.r.l., in base al modello adottato dalla
cooperativa.
g) I controlli esterni
Rinnovando radicalmente il sistema precedente,
imperniato esclusivamente sulle autorizzazioni, la vigilanza e gli altri
controlli sulla gestione stabiliti dalle leggi speciali, il d. lgs. 6/03
ha esteso alle cooperative anche il controllo giudiziario, che l’art. 2409 c.c.
riservava alle sole società per azioni.
La normativa attuale sottopone, pertanto, le
cooperative ad un complesso sistema di controlli esterni di competenza, da un
lato, dell’autorità governativa e, dall’altro, dell’autorità giudiziaria[80].
Un doppio binario, quindi, amministrativo e
giudiziario, che per evitare duplicazioni ed interferenze di sorta si conforma
al criterio della prevenzione, ponendosi i due tipi di controllo in rapporto di
reciproca esclusione.
Più precisamente, l’art. 2545-quinquiesdecies, co.3,
c.c. prevede che il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori
i sindaci e l’autorità di vigilanza, dichiari improcedibile il ricorso
eventualmente inoltrato per uno dei fatti previsti dall'art. 2409 c.c. laddove
per quegli stessi fatti la detta autorità di vigilanza abbia già nominato un
ispettore o commissario. E, analogamente, l’autorità amministrativa dovrà
sospendere il procedimento dalla medesima iniziato nel caso in cui il tribunale
abbia già nominato un ispettore o un amministratore giudiziario.
Avuto riguardo alla vigilanza governativa, la stessa
è di competenza del Ministero delle attività produttive e può essere espletata
-su delega del Ministro- dall'Associazione nazionale di rappresentanza,
assistenza e tutela del movimento cooperativo, alla quale la cooperativa
risulta iscritta.
Il controllo di natura amministrativa ha lo scopo
di verificare la sussistenza del requisito di mutualità e di garantire il
regolare funzionamento amministrativo e contabile della società. Con la
conseguenza che all'autorità competente ad esercitare il controllo spetta il
compito di intervenire tutte le volte in cui si accerti l'esistenza di una
qualsiasi irregolarità nella struttura o nella gestione della cooperativa.
Il codice civile disciplina dettagliatamente i
poteri dell’autorità governativa attribuendo alla stessa quello di: 1) revocare
amministratori e sindaci (affidando la gestione societaria ad un commissario,
determinandone i poteri e la durata)[81],
nel caso di irregolare funzionamento della società o di irregolarità nelle procedure
di ammissione dei soci; 2) sciogliere la società cooperativa che non persegua
lo scopo mutualistico, non sia in condizione di raggiungere gli scopi che si
era prefissata o che per due anni non abbia depositato il bilancio di esercizio
o non abbia compiuto alcun atto di gestione[82];
ed infine 3) sostituire i liquidatori, o chiederne la sostituzione al tribunale
nel caso di nomina giudiziaria, laddove ravvisi irregolarità o particolari
ritardi nello svolgimento della liquidazione ordinaria della cooperativa[83]
(artt. 2545-sexiesdecies, 2545-septiesdecies e 2545-octiesdecies
c.c.).
L’art. 2545-quaterdecies c.c. rimanda, per
il resto, alle leggi speciali dettate con riferimento ai singoli settori, ma
indipendentemente dalle dimensioni delle singole cooperative interessate[84].
Passando all'esame del controllo giudiziario, lo
stesso può essere attivato dai soci che siano titolari di un decimo del capitale
sociale o rappresentino un decimo del numero complessivo dei partecipanti alla
cooperativa. Nelle società cooperative con più di tremila soci, legittimati a
proporre il ricorso al tribunale sono tanti soci che rappresentino un ventesimo
del numero complessivo (in esso computando anche i soci finanziatori).
Se presenti nell'organizzazione interna della
società, il procedimento di cui all'art.2409 c.c. può essere attivato anche dal
collegio sindacale, dal consiglio di sorveglianza o dal comitato per il
controllo sulla gestione, nonché -nelle società che fanno ricorso al capitale
di rischio- dal pubblico ministero.
Motivo della denuncia può anche essere il semplice
sospetto di gravi irregolarità nella gestione da parte degli amministratori,
che possano arrecare danno alla società.
Il relativo ricorso deve essere notificato
anche all'autorità di vigilanza per gli opportuni provvedimenti, da adottare
nel rispetto del già citato principio di prevenzione.
Il tribunale adito, una volta sentiti gli interessati
in camera di consiglio, può ordinare l'ispezione dell'amministrazione della
società e, nei casi più gravi, revocare gli amministratori ed eventualmente i
sindaci, procedendo alla nomina di un amministratore giudiziario.
Quest'ultimo, alla scadenza del proprio incarico,
rende conto al tribunale che lo ha nominato di quanto accertato e del proprio
operato, convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori
e dei sindaci, ovvero, qualora ne ricorrano i presupposti, per la messa in
liquidazione della società.
a) I ristorni
Attuando le indicazioni della legge delega e
colmando la precedente lacuna in materia, il legislatore della riforma ha finalmente
assicurato al codice civile una disciplina dettagliata e attenta dei ristorni,
pur non fornendolo di una qualche definizione dell'istituto.
Nel tentativo, quindi, di ricostruirne il relativo
contenuto, si può dire che i ristorni rappresentano lo strumento attraverso cui
la società cooperativa, che intrattenga rapporti con i terzi, attribuisce ai
propri soci il c.d. vantaggio mutualistico[85],
in proporzione alla quantità e qualità dei rapporti che ha intrattenuto con gli
stessi.
Nella specie, detta attribuzione, se operata in
maniera <diretta>, può consistere nel rimborso ai soci di una parte del
prezzo pagato alla cooperativa per l’acquisto dei prodotti o dei servizi dalla
stessa resi ovvero in una integrazione della retribuzione corrisposta dalla
cooperativa per le prestazioni ricevute[86].
Si diceva in maniera <diretta> perché l’art.
2545-sexies c.c. contempla altresì la possibilità di operare una
ripartizione dei ristorni in via <indiretta>[87],
avvalendosi cioè di modalità alternative quali, ad esempio, un aumento
proporzionale delle rispettive quote, l’emissione di nuove azioni (anche in
deroga ai limiti fissati dall'art.2525 c.c.) ovvero mediante l’emissione di
strumenti finanziari[88].
Ciò premesso, ci si è posti da più parti la domanda
se l’attribuzione dei ristorni costituisca o meno, per i soci della
cooperativa, un vero e proprio diritto, non avendo il legislatore fornito
alcuna indicazione al riguardo.
La dottrina dominante, però, aderendo
all’orientamento della giurisprudenza[89],
ha escluso che possa parlarsi di diritto soggettivo.
Decisiva, al riguardo, sembra essere la Relazione
al d.lgs. 6/03, la quale appalesa l’intento del legislatore di adottare una
versione solo sintetica della norma, scartando al contempo la formulazione di
previsioni che attribuiscano ai soci un diritto assoluto ai ristorni.
Le ragioni sono poi esplicitate nel timore che il
riconoscimento di una legittima pretesa a prestazioni di favore potesse porre i
soci in condizioni di antagonismo nei confronti della cooperativa,
pregiudicando in tal modo l’interesse sociale.
Pertanto, si è previsto che spetti all’atto
costitutivo di stabilire i criteri di distribuzione dei ristorni, con l’unico
limite che ciò avvenga proporzionalmente alla quantità e qualità
degli scambi mutualistici (art. 2545-sexies c.c.).
Ed è proprio in relazione al suddetto limite che
deve essere letto l’obbligo delle cooperative di riportare separatamente nel
bilancio i dati relativi all’attività svolta con i soci [90].
Così facendo, infatti, si pongono le premesse per garantire una corretta pratica
del ristorno, effettivamente proporzionata agli scambi e che non celi forme di
ridistribuzione del capitale investito e, quindi, di utili.
Ciò detto, per quanto non vi sia alcun appiglio
legislativo che consenta di riconoscere ai soci un diritto soggettivo al
ristorno, non si può negare che il relativo interesse trovi comunque una
tutela, seppur indiretta, in tutte quelle previsioni imperative orientate al
riconoscimento e alla valorizzazione della natura mutualistica delle
cooperative, prima tra tutte la collocazione dello scopo mutualistico tra gli
elementi essenziali e immancabili delle cooperative.
b) Le riserve e gli utili
La disciplina dei ristorni è affiancata dalle norme
sugli utili, nell’ambito delle quali affiora la distinzione tra riserve
divisibili e non.
L’art. 2545-ter definisce le "riserve
indivisibili" come quelle di cui la legge o lo statuto
vietano la ripartizione tra i soci (dal che la distinzione tra <riserve
legali> e <riserve statutarie>) e che, a norma dello stesso articolo,
possono essere utilizzate per la copertura delle perdite sociali[91]
solo dopo l’utilizzo delle "riserve disponibili" e di quelle che la
società aveva destinato ad operazioni di aumento di capitale. Pertanto, neanche
in caso di scioglimento della società, le "riserve indisponibili"
potranno essere suddivise tra i soci, dovendo essere inderogabilmente devolute
ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (art.
2514, sub lett. d, c.c).
La legge destina alle <riserve legali> il
trenta per cento[92]
degli utili netti annuali della cooperativa, e ciò a prescindere dall’ammontare
eventualmente raggiunto dal fondo medesimo[93].
L'ammontare e le forme di costituzione delle
<riserve statutarie> trovano, ovviamente, la loro regolamentazione nello
statuto che, come già detto, si considera sempre parte integrante dell'atto
costitutivo (art. 2521, co.4, c.c.).
"L'assemblea determina, nel rispetto di
quanto previsto dall'art. 2545-quinquies, la destinazione degli utili
non assegnati ai sensi del primo e del secondo comma" (art. 2545-quater
c.c.). La destinazione di detti utili a riserve comporta la costituzione delle
c.d. <riserve volontarie>.
Per quel che concerne le "riserve
divisibili", è l'atto costitutivo che prevede le modalità di distribuzione
delle stesse, autorizzando l'assemblea ad assegnarle ai soci attraverso
l'emissione di strumenti finanziari in loro favore, mediante aumento
proporzionale delle quote sottoscritte e versate, ovvero mediante l'emissione
di nuove azioni nella misura massima complessiva del venti per cento del valore
originario (indipendentemente dai limiti di cui all'art.2525 c.c.).
In caso di scioglimento parziale del rapporto
sociale, le "riserve divisibili" possono essere assegnate -se
lo statuto non prevede diversamente- attraverso l'emissione di strumenti
finanziari, mentre devono essere assegnate con siffatta modalità qualora
il rapporto tra il patrimonio netto e il complessivo indebitamento della
società sia inferiore ad un quarto.
L’art. 2514, lett. c), c.c. vieta la
distribuzione delle riserve tra soci soltanto nell’ambito delle cooperative a
mutualità prevalente, gettando le basi di un doppio regime delle riserve, a
seconda che si tratti di cooperative agevolate o cooperative <diverse>.
In questo quadro, s’inseriscono i limiti alla
distribuzione degli utili in favore dei soci, distinguendosi anche in tal caso
tra cooperative a mutualità prevalente e non.
E’ sempre l’art. 2514 che, nel selezionare i
requisiti delle prime, pone il divieto (sub lett. a), da inserire
tassativamente nello statuto, di procedere ad una distribuzione dei dividendi
oltre un certo limite, individuato (come già evidenziato in precedenza)
nell’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e
mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.
Vale, invece, per tutte le cooperative la facoltà
di procedere alla distribuzione dei dividendi -diretta o indiretta- solo a
condizione che il rapporto tra il patrimonio netto e l’indebitamento della
società sia superiore ad un quarto (limite che non si applica ai possessori di
strumenti finanziari).
Per le cooperative <diverse> si dispone,
infine, che sia l’atto costitutivo a determinare le modalità e la percentuale
massima di ripartizione dei dividendi, lasciando quindi ai soci assoluta
libertà di manovra.
L’unica condizione restrittiva in merito è quella,
cui si accennava poc’anzi, relativa al rapporto tra patrimonio netto e
indebitamento complessivo della società.
c) Le modificazioni dell'atto costitutivo
Si tratta di mutamenti del contenuto del contratto
sociale che, pur incidendo sulla struttura organizzativa, non comportano la
trasformazione della società.
Contrariamente a quanto è avvenuto nell'ambito
delle società per azioni -con riguardo alle quali la riforma del 2003 ha
portato alla modifica della rubrica della Sezione X da "modificazioni
dell'atto costitutivo" in "modificazioni dello statuto"-, in tema
di cooperative, la Sezione V ha mantenuto la dizione "Delle modificazioni
dell'atto costitutivo".
Ciò detto, la legge rinvia alla disciplina dettata
all'art. 2436 c.c., introducendo per il resto una ipotesi specifica di
modificazione, che è tipica delle società cooperative.
E' appena il caso di ricordare, infatti, che
le modificazioni dell'atto costitutivo possono essere le più svariate,
riguardando questa o quella previsione dell'atto costitutivo o dello statuto
(che del primo è parte integrante), senza che ciascuna di esse debba comportare
una specifica disciplina.
Avuto riguardo alle modifiche che hanno per oggetto
il capitale sociale, se da un canto il principio di variabilità dello stesso
non esclude, anche nell'ambito delle società cooperative, eventuali
deliberazioni di aumento, con diritto di opzione o sollecitazione all'ingresso
di nuovi soci (art.2524, co.3, c.c.), per altro verso non consente di
configurare ipotesi di modificazioni che abbiano per oggetto la riduzione del
capitale ex art. 2446 c.c.
Resta il fatto che le deliberazioni che comportano
una modifica dell'atto costitutivo devono essere adottate dall'assemblea in
seduta straordinaria e che le stesse sono soggette all'omologazione, da parte
del notaio rogante, ed alla pubblicità mediante iscrizione nel registro delle
imprese.
L'espresso richiamo dell'art.2436 c.c. comporta,
tra l'altro, l'applicazione -anche nella fattispecie che ne occupa- del
principio secondo cui la deliberazione di modifica non produce effetti se non
dopo l'iscrizione di cui sopra (art.2436, co.5, c.c.).
Inoltre, per rendere più agevole la conoscenza del
nuovo contenuto dell'atto costitutivo o dello statuto, la stessa norma
prescrive l'obbligo -dopo ogni modifica- di deposito nel registro delle imprese
del testo integrale dell'atto nella sua redazione aggiornata.
Per quel che concerne l'ipotesi specifica di
modifica dell'atto costitutivo di una società cooperativa, l'art.2545-octies
c.c. prevede l'eventualità che la stessa perda la qualifica di cooperativa a
mutualità prevalente.
Tale evenienza si verifica -come si è avuto già
modo di riferire- allorquando, per due esercizi consecutivi, non venga
rispettato anche uno solo dei criteri di prevalenza di cui all'art.2513 c.c.,
ovvero quando siano modificate le previsioni statutarie di cui all'art.2514
c.c.
In questi casi, gli amministratori (sentito il
parere del revisore esterno, se esistente) devono redigere il bilancio al fine
di determinare il valore effettivo dell'attivo patrimoniale da imputare alle
riserve indivisibili e ciò in vista della futura destinazione delle stesse ai
fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Lo stesso bilancio è soggetto a verifica e deve
riportare un giudizio <senza rilievi> da parte di una società di revisione.
Costituiscono, altresì, ipotesi di modificazione
dell'atto costitutivo la fusione e la scissione della società, disciplinate
rispettivamente agli artt. 2501-2505-quater c.c,. e
2506-2506-quater c.c., che trovano
applicazione, con gli opportuni adattamenti, anche nei casi in cui detti
fenomeni interessino una società con scopo mutualistico.
Un solo dato ci sembra di assoluto rilievo, tale da
essere ricordato in questa sede: nonostante il generico rinvio alla disciplina
dettata per le altre società, contenuto nell'art.2545-novies c.c.,
devono ritenersi vietate, in relazione alle società cooperative a mutualità
prevalente, le fusioni c.d. eterogenee, tra le dette cooperative e le società
di tipo lucrativo.
d) La trasformazione
L’istituto della trasformazione delle cooperative,
introdotto per la prima volta nel codice dal d.lgs. 6/03, è disciplinato dagli
artt. 2545-decies e ss. c.c. e la sua previsione costituisce
un'assoluta, improrogabile necessità.
Infatti, prima della riforma del 2003, nulla
prevedeva il codice al riguardo[94],
determinando le conseguenti perplessità circa la possibilità, per le
cooperative, di essere parti di un qualsivoglia procedimento di trasformazione.
Com'è noto, il nostro legislatore era intervenuto
sull'argomento all'interno della l. 17.2.1971 n.126, che all'art.14 aveva
disposto il divieto per le cooperative di trasformarsi in società di capitali.
La ratio di siffatta disposizione andava
ricercata nell'intento di precludere alle società che avessero usufruito delle
agevolazioni e degli aiuti previsti dalla legge di sfruttarli successivamente a
fini speculativi.
Restava, però, in dubbio se la preclusione della
trasformazione limitatamente al mutamento di tipo della società da cooperativa
in lucrativa valesse ad escludere solo siffatta fattispecie o se, invece,
dovesse essere interpretata estensivamente fino a negare qualsiasi forma di
trasformazione eterogenea, compresa quella della società lucrativa in
cooperativa, sul rilievo che alle due forme societarie corrispondesse una
diversità causale, incompatibile con il semplice mutamento del tipo .
L’art. 2545-decies c.c. ha individuato,
finalmente, una soluzione di compromesso[95],
consentendo la trasformazione esclusivamente alle cooperative a mutualità non
prevalente e, quindi, proprio a quelle società cui è inibito l’accesso ad una
parte considerevole delle agevolazioni (nella specie, quelle di carattere
tributario)[96].
La trasformazione diventa, quindi, appannaggio
esclusivo delle cooperative non agevolate fiscalmente, che conquistano
finalmente il diritto di adottare una qualunque delle forme societarie previste
dal codice, abbandonando i panni della cooperazione [97].
Non si può fare a meno di rilevare, però, come il
meccanismo appena delineato sia, nella sostanza, molto più facile da aggirare
di quanto a prima vista si è indotti a ritenere.
Basti considerare che l’art. 2545-octies
c.c. prevede la perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente
nel caso in cui, per due esercizi consecutivi, la società non abbia rispettato
le condizioni per la prevalenza o abbia modificato le clausole statutarie
obbligatorie[98].
E' sufficiente, quindi, che si verifichino le
condizioni di legge perché la cooperativa possa liberamente fare luogo alla
propria trasformazione, non essendoci più alcun impedimento di tipo ostativo.
Per quanto riguarda la delibera di trasformazione
(di competenza dell'assemblea straordinaria), la norma prevede tre possibili
tipi di maggioranze: a) il voto favorevole di due terzi dei soci, se
questi sono meno di cinquanta; b) almeno la metà dei soci, se il loro
numero varia da cinquantuno a diecimila; c) quando i soci sono più di
diecimila, l'atto costitutivo può prevedere che la trasformazione sia
deliberata con il voto favorevole dei due terzi dei votanti, a condizione che i
presenti in assemblea (personalmente o per delega) rappresentino almeno il
venti per cento dei soci.
Per effetto della trasformazione, i soci
dissenzienti possono esercitare il diritto di recesso previsto dagli artt. 2437
e 2473 c.c. (rispettivamente, per le società per azioni e per le società a
responsabilità limitata) e gli strumenti finanziari emessi con diritto di voto
vengono convertiti in partecipazioni ordinarie (quote o azioni), conservando
gli eventuali privilegi.
Come già accennato in precedenza, con la delibera di
trasformazione, la società devolve ai fondi mutualistici per la promozione e lo
sviluppo della cooperazione il valore effettivo del patrimonio (comprensivo dei
valori non espressi in bilancio, come avviamento, plusvalenze immobiliari e
cespiti di varia natura)[99],
dedotti il capitale versato e rivalutato ed i dividendi non ancora distribuiti.
L'importo da dedurre può essere, eventualmente, aumentato fino a raggiungere
l'ammontare minimo del capitale della nuova società.
Ai fini di cui sopra, gli amministratori hanno
l'obbligo di accompagnare la proposta di deliberazione di trasformazione con
una relazione giurata a firma di un perito designato dal tribunale, che valga
ad attestare il valore effettivo del patrimonio sociale (art. 2545-undecies,
ult. co., c.c.).
e) Lo scioglimento
Analogamente a quanto previsto dal precedente art.
2539 c.c., poi sostituito dall'attuale art. 2545-duodecies, la società
cooperativa si scioglie -in linea di massima- per le stesse cause previste per
le società di capitali.
La norma sopra citata, infatti, richiama le cause
di scioglimento di cui all'art. 2484 c.c., con l’unica eccezione della
riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, essendo la qualcosa del
tutto incompatibile con la variabilità del capitale sociale, tipica delle
società mutualistiche nelle quali (come, del resto, espressamente previsto
dalla stessa disposizione) solo la perdita totale del capitale sociale vale a
determinarne lo scioglimento.
Sono, invece, cause di scioglimento specifiche
dell'istituto in esame: 1) la riduzione del numero dei soci al di sotto del
minimo legale (nove in generale, o tre per le cooperative obbligatoriamente
soggette alla disciplina della s.r.l.), se non reintegrato entro un anno (art. 2522,
co.3, c.c.); 2) la liquidazione coatta amministrativa, disposta dall’autorità
governativa nel caso di insolvenza della società (art. 2545-terdecies
c.c.) e 3) per atto dell'autorità di vigilanza (da pubblicarsi nella Gazzetta
Ufficiale e da iscriversi nel registro delle imprese), qualora si accerti che
la società non persegua lo scopo mutualistico o non sia in condizioni di
raggiungere gli scopi per cui è stata costituita, od ancora non abbia
depositato il bilancio di esercizio o non abbia compiuto atti di gestione per
due anni consecutivi. Con lo stesso provvedimento, la detta autorità procede
alla nomina di uno o più commissari liquidatori.
Qualora la società cooperativa abbia come oggetto
l'esercizio di un'attività commerciale, la stessa può essere assoggettata alla
procedura fallimentare con gli stessi effetti del provvedimento di liquidazione
coatta amministrativa.
In tal caso, vige il principio della prevenzione,
secondo cui la dichiarazione di fallimento preclude la possibilità di
assoggettare la stessa società alla procedura di liquidazione coatta
amministrativa, mentre l'emissione del provvedimento di liquidazione preclude
l'eventuale sentenza dichiarativa di fallimento.
Come anticipato in precedenza, in caso di
scioglimento (similmente a quanto già visto per l'ipotesi di trasformazione),
per le cooperative a mutualità prevalente sussiste l’obbligo di procedere alla
devoluzione del residuo attivo ai fondi mutualistici (dedotti il capitale
versato, rivalutato, ed i dividendi eventualmente maturati e non distribuiti).
Nel corso della liquidazione, l'autorità
governativa che accerti irregolarità o un eccessivo ritardo nello svolgimento
della stessa può procedere alla sostituzione dei liquidatori o farli sostituire
dal tribunale, se nominati dall'autorità giudiziaria.
"Fatti salvi i casi di liquidazione per i
quali è intervenuta la nomina di un liquidatore da parte dell'autorità
giudiziaria, l'autorità di vigilanza dispone la pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale, per la conseguente cancellazione dal registro delle imprese,
dell'elenco delle società cooperative in liquidazione ordinaria che non hanno
depositato i bilanci di esercizio relativi agli ultimi cinque anni"
(art.2545-octiesdecies, co.2, c.c.).
I creditori e gli altri interessati, entro il termine
perentorio di giorni trenta dalla data della su citata pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale, possono inoltrare istanza motivata all'autorità di
vigilanza affinché la stessa consenta la prosecuzione della liquidazione.
Trascorso inutilmente il superiore termine ovvero
in caso di rigetto della domanda di prosecuzione, il conservatore del registro
delle imprese, a seguito di comunicazione da parte dell'autorità di vigilanza,
provvede alla cancellazione della società cooperativa dal registro medesimo (art.2545-octiesdecies,
co.3, c.c.).
f) Il gruppo cooperativo paritetico
Non v’è dubbio che nella nuova disciplina manca una
previsione specifica dei consorzi tra cooperative (noti anche sotto il nome di cooperative
di secondo grado), potendosi affermare soltanto che gli stessi possono dirsi
assorbiti dalla normativa codicistica la quale, pur non definendoli
espressamente, li presuppone e li disciplina.
Con il nuovo art. 2545-septies c.c.,
infatti, il legislatore si è preoccupato di regolamentare, peraltro solo
parzialmente, il c.d. gruppo cooperativo paritetico[100],
indicandolo, però, come un insieme di cooperative, appartenenti anche a
categorie differenti, che decidono di regolare (anche in forma consortile)
la direzione o il semplice coordinamento delle rispettive imprese a mezzo di un
contratto, del quale la norma detta il contenuto minimo da rispettare.
Da quel poco che è dato evincere dall'articolo in
questione, è già possibile indicare i principali elementi caratteristici del
nuovo istituto, vale a dire il potere direzionale, o di semplice coordinamento,
di un’impresa rispetto alle altre e la possibilità di fondare il suddetto
potere su di un semplice accordo contrattuale: vale a dire <aggregazioni di
tipo orizzontale> (anziché, come di regola accade, partecipazioni di
controllo in una o più società subordinate, che vanno sotto il nome di
<aggregazioni di tipo verticale>)[101].
Sicuramente più complesso è il quadro normativo in
cui il gruppo cooperativo paritetico si è inserito[102]
e nel quale numerose sono le norme dedicate ai consorzi cooperativi ed alle
diverse forme di aggregazione che ivi trovano riconoscimento.
Per accennare solo alle principali, si richiamano:
1) gli artt. 27, 27-bis e 27-ter della Legge Basevi, che
disciplinano figure poco omogenee tra loro, quali le cooperative complesse, le cooperative
ammesse agli appalti di opere pubbliche ed i consorzi di cooperative per il
coordinamento della produzione e degli scambi[103];
2) l’art. 27-quinquies della stessa legge, come riformato dalla l.
72/83, che riconosce espressamente la partecipazione delle cooperative quali
soci di società di capitali[104];
3) l’art.25 del d. lgs. n. 127/1991, che pone l’obbligo di redigere il bilancio
consolidato anche per le cooperative e mutue assicuratrici che controllino una
società di capitale.
Quanto a quest’ultimo richiamo, si osservi come
l’obbligo di cui sopra implicitamente preveda la possibilità anche per una
cooperativa di porsi al vertice di veri e propri gruppi di società.
Per il resto, come è dato ricavare anche dalle
altre norme citate, non sussistono più dubbi in ordine alla possibilità di una
partecipazione delle cooperative a società, come quelle di capitali, che
presentino un connotato causale essenzialmente diverso.
Per quanto, infatti, non sia mancato in dottrina
chi ha evidenziato che una simile partecipazione dovesse contemplare
inevitabilmente dei limiti, insiti nel concetto stesso di mutualità, sino ad
escludere una partecipazione che avesse un carattere esclusivamente speculativo,
è altrettanto incontestabile che non desti perplessità alcuna una
partecipazione al <gruppo> che aiuti la cooperativa a realizzare più
agevolmente i propri scopi mutualistici.
A tal proposito, è appena il caso di rilevare come
il timore che la partecipazione in società lucrative potesse snaturare
l’essenza delle cooperative non ha, a ben guardare, ragion d’essere, sol che si
consideri come gli utili realizzati dalle società partecipate, pur affluendo
nelle casse della società partecipante, non potrebbero da questa essere
impiegati se non conformemente allo scopo mutualistico.
In altri termini, ciò che può dirsi incompatibile
con la natura delle cooperative sarebbe non tanto l’eventuale lucro oggettivo
realizzato ma, semmai, il lucro soggettivo, cioè la ridistribuzione degli utili
tra i soci al di là dei limiti in cui la stessa risulta ammessa nelle
società in esame[105].
In questo contesto, il gruppo cooperativo
paritetico non è altro che una figura che si è aggiunta alle altre già
esistenti, rimaste valide in quanto non assorbite né soppresse.
Lo stesso "gruppo" si identifica, come si
diceva, in una aggregazione <omogenea>, costituita cioè da società tutte
cooperative che si organizzano negozialmente sotto la direzione di una di esse.
Ed è proprio in un contratto che il suddetto potere
direzionale trova origine.
E’ appena il caso di rilevare, infatti, come il
principio paritario di una testa-un voto renda improbabile che una simile
posizione di controllo possa fondarsi su un potere effettivo di una cooperativa
sulle altre, come avviene nei gruppi di tipo verticale[106].
L’art. 2545-septies c.c., come
dicevamo all'inizio del paragrafo, definisce il contenuto minimo obbligatorio[107]
del contratto, il quale deve far menzione, specificamente: della durata[108];
della cooperativa demandata a dirigere il gruppo (indicandone i relativi
poteri); dell'eventuale partecipazione di altri enti pubblici e privati; dei
criteri e delle condizioni di adesione e recesso dal gruppo; nonché dei criteri
di compensazione nella distribuzione dei vantaggi derivanti dall’attività
comune.
L'adesione ad un gruppo deve essere pubblicizzata
mediante deposito in forma scritta dell'accordo di partecipazione presso l'albo
delle società cooperative.
Infine, la norma riconosce il diritto di ciascuna
cooperativa di recedere dal gruppo, senza oneri di alcun tipo, qualora
l’adesione ad esso renda le condizioni dello scambio pregiudizievoli per i
propri soci[109].
g) Le mutue assicuratrici
Al termine della nostra analisi si pongono gli
artt. 2546-2548 c.c. sulle mutue assicuratrici.
Trattasi di società particolari, costituite tra
soggetti che, esposti ad un medesimo rischio, intendono tutelarsi assicurandosi
contro un danno eventuale, a condizioni più favorevoli rispetto a quelle
praticate sul mercato dalle compagnie di assicurazione.
La riforma ha lasciato sostanzialmente invariata la
precedente normativa[110]
la quale, nel ribadire lo stretto rapporto tra la qualità di socio e quella di
assicurato, pone immediatamente in luce la principale differenza tra le società
di mutua assicurazione e le ordinarie cooperative di assicurazione.
Infatti, in queste ultime il socio che intenda
assicurasi dovrà stipulare un autonomo contratto di assicurazione con la società
-pagando i relativi premi- (nel qual caso usufruirà comunque di condizioni più
favorevoli rispetto a quelle di mercato in quanto socio della cooperativa).
Siffatte fattispecie, inoltre, consentono alle
relative società di svolgere la propria attività assicuratrice sia a favore dei
propri soci che nei confronti di soggetti terzi.
Nelle mutue assicuratrici, invece, le due qualità
di socio e assicurato non possono prescindere l’una dall’altra.
Pertanto, la qualità di socio si acquista proprio
in dipendenza della stipula del contratto di assicurazione.
Di conseguenza, sarebbe del tutto incompatibile con
la natura delle mutue lo svolgimento in qualunque forma dell’attività anche
verso soggetti estranei alla compagine sociale.
La particolare struttura delle società di mutua
assicurazione fa sì che il pagamento del premio da parte del socio rappresenti
allo stesso tempo il versamento del conferimento.
Infine, necessaria conseguenza di quanto fin qui
esposto è che, nelle cooperative di assicurazione, il venir meno del rapporto
di assicurazione non vale a incidere sul rapporto sociale il quale, pertanto,
potrà perfettamente permanere anche a prescindere dal primo, mentre nelle mutue
assicuratrici le vicende del rapporto di assicurazione condizionano la
sopravvivenza, o meno, del rapporto sociale.
Per quanto riguarda il regime della responsabilità,
a norma dell’art. 2546 c.c le obbligazioni sono garantite dal patrimonio
sociale, con ciò escludendosi qualunque coinvolgimento dei soci, i quali
saranno tenuti soltanto al pagamento dei contributi fissi o variabili, entro il
limite massimo determinato dall'atto costitutivo.
Ancora, il patrimonio della società risulta
costituito dai conferimenti versati dai soci a titolo di premio assicurativo e,
laddove ciò non bastasse, da particolari fondi di garanzia, previsti dall’atto
costitutivo, e composti sia dai contributi degli stessi soci assicurati sia da
quelli di soggetti terzi, non assicurati presso la società medesima ma
riconosciuti come soci.
Si tratta, nella specie, dei già citati soci
<sovventori>, la cui presenza all’interno delle mutue assicuratrici è
stata confermata dall'attuale normativa, la quale ha ritenuto di estenderla a
tutte le cooperative.
Anche qui valgono, pertanto, gli stessi limiti già
incontrati per le società cooperative in genere. Si prevede, infatti, che
l’atto costitutivo possa attribuire ai suddetti soci più di un voto pro
capite, ma entro il limite massimo di cinque, e sempre a condizione che i
voti complessivi dei soci sovventori siano inferiori al totale dei voti degli
assicurati (art. 2548, co.3, c.c.) [111].
Sulla stessa linea si colloca l’ultima disposizione
in materia, che consente anche ai sovventori di esser nominati amministratori,
purché la maggioranza del consiglio di amministrazione rimanga composta da soci
assicurati (art. 2548, ult. co., c.c.).
Secondo quanto espressamente previsto dall'art.
2547 c.c., anche le mutue assicuratrici sono soggette alle autorizzazioni, alla
vigilanza ed agli altri controlli stabiliti dalle leggi speciali sull'esercizio
dell'assicurazione[112],
e sono regolate dalle norme stabilite per le società cooperative, in quanto
compatibili con la loro natura.
[1] La prima
cooperativa, costituita sotto la denominazione: Società cooperativa
equalitaria dei pionieri di Rochdale, era una cooperativa di
consumo, gestita da operatori tessili per la vendita di generi alimentari.
[2] "La
Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di
mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e
favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli
opportuni controlli, il carattere e le finalità".
[3] Come è
avvenuto con la creazione delle Associazioni nazionali di rappresentanza,
assistenza e tutela del movimento cooperativo, che gestiscono i Fondi
mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
[4] Grazie
alle agevolazioni fiscali e tributarie, nonché alle agevolazioni di natura
previdenziale ed alle sovvenzioni creditizie.
[5] Da parte
anche dell'autorità governativa.
[6] Per una
analisi dettagliata dell’art. 45 Cost., cfr.: A. Nigro, Rapporti Economici,
in Commentario alla Costituzione, G. Branca (a cura di), Bologna-Roma, 1980,
pp.1-68.
[7] Altri
elementi caratteristici dell'istituto è possibile individuare nella rilevanza
della persona dei soci , nell'affermazione dei principi di democraticità, oltre,
naturalmente, alla variabilità del capitale ed ai limiti di partecipazione, di
cui si dirà più diffusamente nel testo.
[8] E ciò
perché è proprio in funzione dei suddetti connotati che l’ordinamento sceglie
di agevolare la cooperazione: pertanto, il venir meno degli stessi toglierebbe
ogni ragion d’essere alla normativa di favore.
[9]
Ravvisabili nella parità di trattamento (art. 2516 c.c.), nella individuazione
dei criteri di ammissione "secondo criteri non discriminatori" (art.
2527 c.c.) e nella regola di massima: "una testa un voto" (art. 2538,
co.2, c.c.).
[10] Dopo la
c.d. Legge Basevi (1577/47), il legislatore è intervenuto più volte nel nostro
settore, disciplinando anche vari aspetti del mondo cooperativistico.
Ricordiamo, in particolare, il D.P.R. 601/73, in tema di agevolazioni
fiscali; la L. 904/77, sulle riserve indivisibili; le Leggi 17/2/1981, n.127, e
19/3/1983, n.73, modificative della legge Basevi,; la c.d. Legge Marcora
(27/2/1985, n.49); la L. 28/2/1986, n.43, sulla occupazione giovanile; la L.
8/11/91, n.381, che disciplina le cooperative sociali; la legge di riforma
31/1/1992, n.59; la L. 7/8/1997, n.266, sulla piccola società cooperativa e,
più di recente, le Leggi 21/12/1998, n.448, 21/12/2000, n.388 e 3/4/2001,
n.142.
[11] Nella
specie, la riforma del 2003, sotto certi aspetti, è intervenuta sulla vecchia
Legge Basevi, modificando alcune delle disposizioni in essa contenute (vedasi,
ad es., il nuovo art. 2512 c.c., nonché l’art.223- sexiesdecies
disp.att.), mentre per altro verso ha mantenuto in vita buona parte delle
previsioni di cui alla legge di riforma 59/92 (specie in tema di soci
sovventori ed azionisti di partecipazione cooperativa).
[12] Secondo
quanto disposto dall’art. 2519 c.c., alle società cooperative si applicano, in
quanto compatibili e per quanto non previsto dal relativo titolo, le norme
sulla società per azioni.
L'atto costitutivo può prevedere che trovino applicazione le norme
relative alle società a responsabilità limitata soltanto nelle società
cooperative con un numero di soci cooperatori inferiore a venti ovvero con un attivo
dello stato patrimoniale non superiore ad un milione di euro. Se il
numero dei soci è inferiore a nove, fino ad un minimo di tre (costituiti solo
da persone fisiche), la cooperativa è obbligatoriamente soggetta alla
disciplina della S.r.l. (art.2522 c.c.).
[13] Va da sé
che l’innesco delle regole appartenenti ai due modelli di riferimento (società
per azioni e società a responsabilità limitata) non potrà farsi se non nel
pieno rispetto delle specificità proprie e dei principi tipici delle società
cooperative, la qualcosa non potrà prescindere, quindi, dal necessario
coordinamento delle suddette normative con la disciplina dettata nel titolo VI
e le previsioni, laddove vigenti, della legislazione speciale.
[14] Il quale
fa salve le leggi speciali relative a determinate categorie di cooperative.
[15] Cfr.: R.
Mancuso, La società: una nozione in continua evoluzione, in Le Società,
2006, p.23.
[16] Non a
caso l'art. 2517 c.c. sancisce che le disposizioni del titolo VI non si
applicano agli enti mutualistici diversi dalle società.
[17] Dal che il
richiamo a numerose disposizioni relative anche ad altri tipi di società.
[18] Volendo
approntare una qualche definizione del concetto di mutualità, è possibile
configurarla come la reciproca collaborazione per il conseguimento diretto
(senza intermediari) di uno scopo comune, consistente nel perseguimento di una
utilità economica, nell'ottenimento di un servizio, nel soddisfacimento di un
bisogno di varia natura o nell'affermazione della dignità umana.
[19] Di
particolare interesse ci sembra, in un contesto comunitario in cui l'attività
professionale viene sempre più ricondotta nell'alveo delle attività economiche,
la l. 142/2001 che ha introdotto, per la prima volta, la possibilità di
costituire cooperative tra lavoratori autonomi.
[20] "Le
società cooperative, che abbiano adottato nei modi e nei termini stabiliti dallo
statuto procedure di programmazione pluriennale finalizzate allo sviluppo e
all'ammodernamento aziendale, possono emettere azioni di partecipazione
cooperativa prive del diritto di voto e privilegiate nella ripartizione degli
utili e nel rimborso del capitale" (art. 5, co.2, L. 31 gennaio 1992,
n.59).
[21] Le azioni
di partecipazione cooperativa possono essere emesse per un ammontare non
superiore al valore contabile delle riserve indivisibili o del patrimonio netto
risultanti dall'ultimo bilancio certificato ed hanno diritto ad una
remunerazione maggiorata del 2% rispetto a quella delle quote o delle azioni
dei soci della cooperativa.
[22] Si
ricorda che il d.lgs. 2003 n.6, predisposto dalla Commissione Vietti, ha dato
attuazione alla legge delega del 3 ottobre 2001, n.366, contenente i
principi ed i criteri direttivi della riforma delle società di capitali e delle
società cooperative.
[23] Nel caso
di specie, è opportuno sottolineare che il potere decisionale dell’assemblea si
spinge sino alla possibilità di deliberare modalità diverse di attribuzione dei
ristorni, per esempio mediante aumento delle quote, emissione di nuove azioni o
emissione di strumenti finanziari (cfr. art. 2545-sexies
c.c.).
[24] Ma solo
nelle cooperative cui si applichi la disciplina delle società per azioni.
[25]Al
contempo, si privano dei suddetti diritti coloro che risultano inadempienti in
relazione ai conferimenti societari o alle obbligazioni contratte con la
società (cfr. art. 2545-bis c.c).
[26]A tal riguardo, è opportuno
evidenziare, però, come i particolari poteri che l’art. 2528 c.c. attribuisce
all’assemblea, relativamente all’ammissione di nuovi soci, non trovino alcun pendant
in materia di recesso ed esclusione degli stessi.
[27] La
nozione di mutualità rimane, pertanto, confermata nella reciproca
collaborazione per il conseguimento diretto di uno scopo comune che può
consistere in una utilità economica, nel soddisfacimento di un bisogno di varia
natura o nell’affermazione di un interesse sociale.
[28] Sotto
questo profilo, infatti, anche sotto il regime della normativa previgente si
prevedeva una cooperazione agevolata laddove s’ispirasse ai requisiti
mutualistici di cui all’art.26 della <Legge Basevi>, e una cooperazione
non agevolata che dai suddetti requisiti prescindeva.
[29] A tal
proposito, il decreto legislativo 6/03 si discosta dalla terminologia della
legge delega, la quale, diversamente, parlava di <cooperazione costituzionalmente
riconosciuta> (art.5, co.1, lett.b), L. n.366 del 2001).
[30] Cfr. G.Tatarano, Mutualità e
gestione di servizio nelle cooperative: i principi nella riforma del diritto
societario, in Notariato, 2002, p.123.
[31] I criteri
di individuazione della prevalenza vengono determinati, come si dirà meglio nel
testo, in relazione all'entità delle attività svolte, al volume dei rapporti ed
ai relativi valori (artt. 2512 e 2513 c.c.).
[32] Riteniamo
di potere affermare che il riordino delle varie disposizioni porta alla
creazione di un corpo organico di norme volto a disciplinare il fenomeno
cooperativo nella sua interezza. Ne sono la riprova la persistenza
dell'obbligo, in capo a tutti i tipi di cooperative, di versare il 3% degli
utili netti mensili ai Fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della
cooperazione e di devolvere agli stessi, in caso di scioglimento, l'intero
patrimonio, dedotto il capitale versato e rivalutato ed i dividendi già
maturati e non distribuiti.
Lo stesso obbligo vige per le società c.d. <diverse> in caso di
trasformazione in società lucrative.
[33] Ad
esempio, incentivi e agevolazioni di carattere finanziario, previdenziale,
lavoristico ecc.
[34] La
riprova del superiore assunto è costituita dal rilievo secondo cui
l'introduzione e la soppressione delle clausole statutarie, previste
dall'art.2514 c.c. per la sussistenza della prevalenza, possono essere
deliberate in assemblea senza che ciò comporti la trasformazione della società
(vedasi al riguardo il combinato disposto di cui all'art. 2514, ult. co.
c.c. e art. 2545-octies c.c.).
[35]
Si veda l’art. 233-duodecies, co. 6, disp. att.e trans.
[36] Com’è
ovvio, al di là della suddetta differenziazione sul piano tributario, vige, per
le cooperative a mutualità prevalente, una specifica disciplina civilistica.
[37] Cfr. G.F.
Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle cooperative,
2004, Torino, p. 207 ss.
[38] Ad
esempio, il bisogno del lavoro, della casa, di generi di consumo, di credito,
ecc.
[39] Si pensi
a chi entra a far parte della cooperativa allo scopo di acquistare dei beni ad un
prezzo minore di quello di mercato (cooperative di consumo); di ottenere un
lavoro ad una retribuzione maggiore di quella che si otterrebbe da una omologa
impresa ordinaria (cooperative di lavoro); di poter fruire di un servizio,
risparmiando sulle spese (cooperative di produzione e consumo); o, infine, di
divenire proprietario di un appartamento (cooperative edilizie) ecc.
[40] Cfr. V.
Buonocore, Le società mutualistiche, in Istituzioni di diritto privato,
a cura di M. Bessone, Cap.LXXXVI, Torino, 2000, pp.1055. e ss.
[41] Sul tema,
si veda più avanti nel testo, sub 4/a.
[42]Un
immancabile corollario della variabilità del capitale sociale è rappresentato
dalla mancata previsione della costituzione per pubblica sottoscrizione,
rientrando nella disciplina generale di tutte le cooperative la possibilità di
incrementare liberamente la partecipazione alla società anche dopo la sua
costituzione.
[43] Avuto
riguardo alle cooperative di lavoro (almeno 15 soci), alle cooperative di
consumo (50 soci) ed alle cooperative di credito e risparmio (non meno di 200
soci).
[44] La norma
stabilisce, altresì, che nel caso di attività agricola siano soci anche le
società semplici.
[45] Se il
numero dei soci scende al di sotto del minimo fissato dall'art. 2522, co.1 e
co.2, c.c., esso deve essere integrato nel termine massimo di un anno,
trascorso il quale la società si scioglie di diritto e deve essere posta in
liquidazione (art. 2522, co.3, c.c.).
[46] Per le
cooperative agricole, la norma stabilisce che la condizione di prevalenza
sussiste quando la quantità o il valore dei prodotti dei soci sono superiori al
cinquanta per cento.
[47] La
mancanza anche di una sola delle su citate previsioni fa venir meno la
prevalenza del carattere di mutualità e la società cooperativa è assoggettata
alla disciplina delle c.d. "società diverse".
[48] Tra le
norme sicuramente non compatibili ricordiamo: gli artt. 2325, co.2, 2326, 2327,
2328, 2329, 2341 bis, lett c), 2344 (perché in contrasto
con l'art.2531), 2346, co. 6, 2351, 2354, 2355, 2355 bis, 2362, 2366,
2368 (fatto salvo l'ultimo comma), 2369 (tranne il co.2), 2462, co.2, 2463
(perché in contrasto con l'art. 2521), 2466, co.1 (perché in contrasto con
l'art. 2531), 2469, co.2 (perché in contrasto con l'art. 2530), 2470, co.2,
2471 e 2471 bis (perché in contrasto con l'art.2537), 2473 (perché in
contrasto con l'art. 2535), 2479-bis, co. 2 e co. 4 (perché in contrasto
con l'art.2538).
[49] Si ricordino anche la l. 3 aprile
2001, n.142: Revisione della legislazione in materia cooperativa, con
particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore; e la l. 8 novembre
1991, n.381, per le cooperative sociali.
[50] Fatta
eccezione per le cooperative con un numero di soci inferiore ad otto.
[51] Ai sensi
dell'art. 2515 c.c., la denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve
contenere l'indicazione di società cooperativa, che può essere utilizzata
esclusivamente da società che hanno scopo mutualistico.
[52] Per la
quale è necessaria soltanto l'indicazione del comune, senza la specificazione
dell'indirizzo.
[53] Analoga
pubblicità -in una sezione a parte dello stesso albo- è prevista anche per le
cooperative <diverse>, senza, però, gli effetti di cui sopra.
[54] I soci
sovventori e gli azionisti di partecipazione cooperativa, introdotti dalla
legge 31 gennaio 1992, n.59, non sono espressamente disciplinati dal codice
civile che, però, lascia in vigore le disposizioni antecedenti la riforma del
2003, in quanto compatibili.
Per una disamina delle novità introdotte dalla l. 59/92 si rinvia a S.
Mazzarese, Le nuove norme in materia di società cooperative della
legge n.59/92, in Contratto e impresa, 1992, 781 ss.
[55] L'atto
costitutivo può prevedere altri casi di incompatibilità.
[56] Quanto
alle ragioni di tale soppressione, la relazione al d.lgs. 6/2003 chiarisce che
il diritto di opposizione del creditore è apparso rimedio eccessivo, in
considerazione della particolare funzione sociale delle cooperative.
[57] Ciascuna
quota ed azione non può avere un valore nominale inferiore a venticinque euro o
superiore a cinquecento euro (art.2525 c.c.).
[58] Siffatte
previsioni obbediscono all'intento del legislatore di impedire che il gruppo
dei soci sovventori possa prendere il sopravvento nella gestione della società.
[59] In
verità, già con la Legge Basevi il legislatore, nel tentativo di
individuare un criterio generale per la partecipazione omogenea dei soci alle
cooperative, aveva disposto che gli stessi fossero lavoratori ed esercitassero
l'arte o il mestiere connesso alla specialità della cooperativa di
appartenenza. A tale previsione si aggiungevano poi quelle proprie della
legislazione speciale.
[60] La
qualcosa, come già visto, non necessiterebbe di alcuna modifica nell’atto
costitutivo, in ordine al capitale sociale, trattandosi di società a capitale
variabile.
[61] Nel caso
di specie, la disposizione codicistica appare equivoca, laddove non chiarisce
se il suddetto onere di relazione previsto per gli amministratori debba
riguardare (esclusivamente) le ragioni a fondamento dell’ammissione di nuovi
soci –come sembrerebbe essere- oppure (anche) le ragioni relative alla
non-ammissione degli aspiranti soci, la qualcosa sembra invece di potersi
escludere, tenuto conto del già esistente obbligo di motivare l’eventuale
rigetto.
[62] Pertanto,
è indubbio come il provvedimento di rigetto, per quanto ingiustificato,
rimarrebbe giudizialmente inattaccabile da parte dell’aspirante socio, come
d’altronde lo sarebbe il provvedimento di diniego dell’assemblea (si veda più
avanti nel testo).
[63] A tal
proposito, non è mancato chi, negando ogni possibilità per l’assemblea di
sostituirsi all’organo amministrativo, ha limitato la portata della norma
ritenendo che rimanga compito degli amministratori di procedere all’ammissione,
adeguandosi alle indicazioni assembleari, e dimettendosi invece nell’ipotesi in
cui queste appaiano illegittime (Cfr., G. Bonfante, La riforma della
Commissione Vietti, in Le Società, n.11, 2002, p.1337.
[64] Cfr. F.
Galgano, Le nuove società di capitali e cooperative, in Il nuovo diritto
societario, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico
dell’economia, vol. XXIX, Tomo I, 2004, Padova, pp.516 e ss.
[65] Ai sensi
del nuovo art. 2528 c.c., non solo la previsione del sovrapprezzo diventa
facoltativa, potendo lo stesso essere escluso nello statuto o per autonoma
determinazione assembleare, ma la stessa viene adesso sottratta agli
amministratori, cui rimane il solo potere di farne proposta
all’assemblea.
[66] Ciò a
differenza di quanto disposto per la esclusione, la quale -come si dirà nel
testo- determina la immediata risoluzione anche dei rapporti mutualistici
pendenti, fatta salva la possibilità dell’atto costitutivo di derogare
(art.2533, co.4, c.c.).
[67] La
suddetta opposizione non è atto idoneo a sospendere l’esecuzione della delibera
di esclusione, essendo necessario comunque un provvedimento dell’autorità
giudiziaria.
[68] In quest'ultimo
caso, gli eredi, se più di uno, hanno l'obbligo di nominare un rappresentante
comune salvo che la quota sia divisibile e la società (non si sa bene se
attraverso l'atto costitutivo di essa, l'assemblea o gli amministratori)
consenta la divisione (art. 2534, co.3, c.c.).
[69] Con la
disciplina come sopra articolata il legislatore ha inteso favorire la
trasferibilità delle quote o delle azioni nel rispetto del più volte
richiamato principio della "porta aperta".
[70] Il modello della s.r.l. è
riservato esclusivamente a cooperative con un numero di soci inferiore a venti
o con un attivo dello stato patrimoniale non superiore ad un milione di euro
(art. 2519, u.c., c.c.).
[71] Con ciò
volendosi impedire agli amministratori di manipolare le maggioranze consentendo
l'ammissione di nuovi soci in via strumentale a determinate assemblee.
[72] Su cui si
veda indietro nel testo, pp.9 e ss.
[73] In
mancanza di una espressa disciplina legislativa è opportuno prevedere norme
statutarie che risolvano le seguenti questioni: a) obbligo dei delegati di
votare secondo il mandato ricevuto; b) proporzionalità del diritto di voto in
assemblea generale rapportato al numero dei partecipanti alle singole assemblee
separate e dei delegati; c) numero complessivo dei delegati in proporzione al
numero dei delegati o degli aventi diritto di partecipazione alle singole
assemblee separate.
[74] Ovvero
tra le persone indicate dai soci cooperatori-persone giuridiche.
[75] In relazione
all'eventualità che l'atto costitutivo attribuisca allo Stato o ad enti
pubblici la possibilità di nominare uno o più amministratori.
[76] Siffatta
previsione risulta di difficile interpretazione se si considera che la nomina
dei componenti del consiglio di gestione spetta al consiglio di sorveglianza
(art. 2409-novies, co.3, c.c.).
[77] La nomina
dell'organo di controllo è mantenuta come obbligatoria dalle leggi speciali
dettate in materia di Banche popolari e di Banche di credito cooperativo.
Inoltre è prassi prevedere un Collegio di probiviri, la cui competenza
rimane limitata, in applicazione dell'art. 2544 c.c., per quanto concerne le
dispute sull'ammissione, recesso ed esclusione dei soci, nonché in materia di
rapporti mutualistici con la società.
[78] La ratio
di quest’ultima previsione si rinviene nell’esigenza di dotare la società di un
organo di controllo a tutela dei soggetti terzi coinvolti nella cooperativa.
[79]
Analogamente a quanto previsto dall'art.2542, co.4, c.c. per i componenti del
consiglio di amministrazione.
[80] Si
ricorda che la soggezione delle cooperative al controllo esterno è innanzitutto
principio di carattere costituzionale, laddove l’art. 45 Cost. individua negli
<opportuni controlli> lo strumento per garantire il rispetto del
carattere della cooperazione ed il raggiungimento delle relative finalità.
[81] "Al
commissario possono essere conferiti, per determinati atti, anche i poteri
dell'assemblea, ma le relative deliberazioni non sono valide senza
l'approvazione dell'autorità governativa" (art. 2545-sexiesdecies,
co. 2, c.c.); inoltre, "ove l'importanza della società cooperativa lo
richieda, l'autorità di vigilanza può nominare un vice commissario che
collabora con il commissario e lo sostituisce in caso di impedimento"
(art.2545-sexiesdecies, co.1, c.c.).
[82]Al
suddetto provvedimento di scioglimento viene data pubblicità attraverso la
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e l’iscrizione nel registro delle
imprese (art. 2545-septiesdecies c.c.).
[83]Anche in
tal caso, si procede alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’elenco
delle società in liquidazione ordinaria che non abbiano depositato i bilanci di
esercizio degli ultimi cinque anni: ciò per consentire ai creditori o ai
soggetti interessati di richiedere formalmente, entro il termine perentorio di
trenta giorni, la prosecuzione della liquidazione della società. In mancanza,
l’autorità di vigilanza dispone la cancellazione della società dal registro delle
imprese (art. 2545-octiesdecies c.c.).
[84] Il
riferimento è, in particolare, alla c.d. Legge Basevi, (artt.2 e ss. d.l.c.p.s.
1577/1947).
[85] Vantaggio
mutualistico cui si era già accennato nel testo, definendolo come un risparmio
di spesa o una maggiore retribuzione dei soci per i prodotti o servizi resi.
[86] Accade, infatti,
che nei casi in cui la società cooperativa intrattenga rapporti anche con i
terzi, è obbligata ad adottare i prezzi di mercato senza possibilità di fare
distinzione a seconda che l'operazione economica o commerciale sia posta in
essere con un socio o con un terzo estraneo. In siffatta situazione, il socio è
costretto a fornire o ricevere la stessa prestazione nella misura identica a
quella del terzo, con la conseguente necessità di pervenire al conseguimento
del vantaggio mutualistico utilizzando i sistemi della restituzione o
dell'integrazione.
[87] L’organo
competente ad individuare le modalità di ripartizione risulta essere ancora una
volta l’assemblea, sulla scia dei nuovi spazi conquistati, con la riforma,
dalla volontà sociale.
[88] Altra
modalità di attribuzione dei ristorni è costituita dall'emissione di azioni di
sovvenzione (destinate al finanziamento di un piano pluriennale di sviluppo e
ammodernamento aziendale delle cooperative) sempre che lo statuto ne preveda
l'emissione (art.4 l. 59/92).
[89] In tal
senso, cfr. Cass.8 settembre 1999, n.9513.
[90] Si
ricordi, infatti, che anche alle cooperative è dato di indirizzare la propria
attività anche nei confronti di soggetti terzi, nei limiti in cui ciò sia
espressamente previsto dall’atto costitutivo.
[91] Siffatta
previsione induce a ritenere che certi vincoli che esistono nelle società
cooperative sono disposti anche a garanzia dei terzi e non soltanto per il
soddisfacimento di esigenze mutualistiche.
[92] Per le
Banche di credito cooperativo la percentuale è elevata al 70%.
[93] E ancora,
l’art. 2545-quater, co.2, c.c. riserva una quota degli utili netti
annuali ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della
cooperazione –questa volta a prescindere da uno scioglimento della cooperativa-
nella misura determinata dalla legge, che ai sensi dell'art. 11, co.4, l. 59/92
risulta essere del tre per cento.
In merito, si confronti una recente sentenza, con la quale la Suprema
Corte ha evidenziato come il suddetto obbligo di devoluzione (nella misura del
tre per cento) gravi indistintamente su tutte le cooperative, senza che la
previsione del comma 1 dell’art.11, l. 59/92, (secondo il quale le cooperative
inottemperanti decadono dai benefici fiscali e di altra natura) valga a trasformare
il suddetto obbligo generalizzato in un obbligo rivolto solo alle coop.
<beneficiate>, o, addirittura, in un onere da assolvere per poter fruire
di benefici, posto che la suddetta previsione di decadenza è solo un modo per
rafforzare l’obbligo generalizzato di cui sopra, e non è inteso ad attribuire
ad esso una portata riduttiva (Cass.05/5599).
[94] In questo
quadro s’inseriva, anzi, il divieto assoluto di trasformazione posto dall’art.14
della c.d. Legge Basevi.
[95]
Cfr. G. Bonfante, Cooperative: la riforma trova un compromesso sulla
trasformazione, in Diritto e pratica delle Società, 2003, n.5, pp.6 e ss.
[96] Con la
definita ammissibilità anche della trasformazione delle società di tipo
lucrativo in società cooperative (art. 2500-septies c.c.)
[97] La norma
in esame estende la possibilità per le società cooperative <diverse> di
trasformarsi anche in consorzi. Stranamente, invece, la stessa norma non
prevede le altre possibili forme di trasformazione di cui all'art.2500-septies
c.c. e più specificatamente quelle in associazioni e fondazioni che tra gli
enti ivi previsti sono quelli più similari alle cooperative.
[98] In
particolare, la norma prevede l’obbligo degli amministratori di redigere un
bilancio al fine di valutare il patrimonio effettivo da imputare a riserva
indivisibile la quale, come vedremo, dovrà essere imputata ai fondi in caso di
successiva trasformazione.
[99] Secondo
quanto previsto dall'art.223-quinquiesdecies disp. att., le cooperative che,
alla data del 1° gennaio 2004, non risultano disciplinate dai principi della
mutualità (ai sensi dell'art.14 D.P.R. 29/9/1973, n.601) possono deliberare la
trasformazione senza che trovi applicazione la devoluzione del patrimonio ai
fondi mutualistici.
[100]
Trattasi, invero, di una aggregazione di società, collegate dal punto di vista
economico, che mantengono la loro autonomia giuridica e che si organizzano per
l’esercizio di un’attività caratterizzata da una direzione unitaria.
[101] Com'è
noto, la nozione generale di gruppo si identifica in ogni aggregazione di
organismi imprenditoriali (collegati a livello organizzativo e dal punto di
vista economico, ma indipendenti sotto il profilo giuridico) per l'esercizio di
un'attività comune (anche solo in alcuni settori operativi), caratterizzata da
una direzione unitaria. In una sola battuta: coordinamento economico
organizzativo ed autonomia giuridica.
[102] Con
riferimento ai gruppi cooperativi paritetici, si cfr. A. Zoppini, I gruppi
cooperativi (modelli di integrazione tra imprese mutualistiche e non nella
riforma del diritto societario), Rivista delle società, 2005, pp.760-782.
[103] Si
tratta, nella specie, di una figura che deve ritenersi ormai assorbita dai c.d.
consorzi tra imprenditori di cui agli artt.2602 e ss., c.c.
[104]La norma
fa riferimento al c.d. gruppo cooperativo eterogeneo, così denominato perché
vede una cooperativa alla guida di un gruppo di società lucrative.
[105] Si veda,
in tal senso, F. Galgano, Le nuove società di capitali e cooperative, in
Il nuovo diritto societario, Trattato di diritto commerciale e di diritto
pubblico dell’economia, Tomo I, Torino, 2004, pp. 526 e ss.
[106] In tal
senso, G.F. Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle cooperative,
Torino, 2004, p.225.
[107] Ma nulla
prevede la norma per l’ipotesi in cui manchi una delle suddette indicazioni.
[108]
Ricordandosi al riguardo che, se il gruppo è costituito a tempo indeterminato,
deve ammettersi il diritto di recesso di ciascun socio, decorsi due anni dalla
costituzione.
[109] La qual
cosa si verifica allorquando la società che esercita attività di direzione deliberi
una trasformazione o una modifica del suo oggetto sociale che alterino in modo
sensibile le condizioni economiche dei partecipanti al gruppo.
Altre ipotesi di recesso sono configurabili nei casi di
condanna, di fallimento e di durata del contratto a tempo indeterminato.
[110] L’unica novità in materia si ha
con riguardo alla disciplina applicabile. Infatti, nel vigore della normativa previgente,
alle mutue assicuratrici risultava applicabile quella delle società a
responsabilità limitata. Oggi, l’art.2547 c.c. dispone l’applicazione delle
norme sulle cooperative, in quanto compatibili.
[111] Anche in
tal caso, le ragioni del divieto stanno nel timore che i soci sovventori
possano prendere il sopravvento nella gestione della società, e assecondare i
propri scopi lucrativi.
[112]
L'attività assicurativa in genere è assoggetta al controllo del Ministero
dell'industria. del commercio e dell'artigianato, nonché al controllo
dell'Istituto di Vigilanza per le Assicurazioni Private e di interesse
collettivo (IsVAP), per i quali si rinvia alla l. 12 agosto 1982, n.576 e l. 9
gennaio 1991, n.20.
Data di pubblicazione: 6 giugno 2006.