Prime note sulla legge 8 febbraio 2006 n. 61 di
istituzione di zone di protezione ecologica oltre il limite esterno del mare
territoriale
Luciano Pischedda
1. La zona economica esclusiva e la zona di
protezione ecologica
2. Il procedimento di istituzione delle zone di
protezione ecologica
3. I limiti delle zone di protezione ecologica
3.1. Gli accordi internazionali
3.2. Il principio della linea mediana
4. Il regime giuridico delle zone ecologiche
4.1. L’applicazione delle norme italiane in materia
di inquinamento
4.3. La tutela del patrimonio archeologico sommerso
4.4. L’esclusione delle norme in materia di pesca
5. La vigilanza nelle aree ecologiche: compiti ed
oneri
Con la recente legge 8 febbraio 2006 n.
61 lo Stato italiano pone le basi per l’istituzione di zone di protezione
ecologica oltre il limite del mare territoriale, iniziando, sul punto,
l’attuazione della convenzione internazionale sul diritto del mare aperta alla
firma a Montego Bay il 10 dicembre 1982;
infatti, negli stessi lavori preparatori della legge in esame le zone di
protezione ecologica sono considerate come una parziale attuazione
dell’istituto della Zona Economica Esclusiva[1].
La legge descrive la procedura
necessaria affinché il Governo possa istituire delle zone di tutela ecologica.
È noto che gli articoli 55 e seguenti della convenzione di Montego Bay
consentono agli Stati costieri di proclamare una propria zona economica
esclusiva fino ad una distanza di duecento miglia marine dalla linea di base;
in tale zona lo Stato costiero ha il diritto di tutelare e sfruttare in via
esclusiva le risorse minerali e biologiche del mare e della relativa
piattaforma continentale, fermo restando il diritto degli altri Stati di potere
liberamente navigare nella ZEE e di godere degli altri diritti sanciti dalla
stessa convenzione.
La differenza fondamentale tra la zona
economica esclusiva e le istituende zone di protezione ecologica è incentrata
nello sfruttamento esclusivo delle risorse: infatti, l’istituzione della zona
ecologica consentirà allo Stato italiano solo l’esercizio dei poteri
finalizzati alla tutela dell’ambiente marino e dell’eventuale patrimonio
archeologico sommerso, ma non quelli necessari per assicurare lo sfruttamento
esclusivo delle risorse della pesca (articolo 2 della legge 61/06)[2].
Tuttavia, la finalità della legge non è
solo la tutela del Mare Mediterraneo ed in particolare del Mare Adriatico,
considerate le caratteristiche geografiche ed oceanografiche che rendono
l’ecosistema di questo mare particolarmente delicato ed esposto al danno
causato dall’intenso traffico mercantile che vi si effettua, ma anche quello di
porre l’Italia in una condizione di parità con gli altri Stati mediterranei che
hanno già provveduto ad istituire delle zone di tutela oltre il limite del
proprio mare territoriale[3].
In particolare,
Si è molto discusso sulla possibile
istituzione della ZEE nel mare Mediterraneo e buona parte della dottrina si è
dimostrata sfavorevole a tale ipotesi[4]
perché, in tal modo, scomparirebbe dal bacino del Mediterraneo la porzione di
alto mare con inevitabili riflessi sul regime della libertà della navigazione[5] .
In realtà, le difficoltà di
delimitazione sono connesse soprattutto allo sfruttamento economico esclusivo delle risorse marine;
l’istituzione unilaterale delle ZEE da parte dei singoli Stati costieri
mediterranei, causerebbe certamente un contenzioso internazionale tra gli Stati
frontisti o adiacenti[6]
Ma, nonostante ciò, non si trascurano
le esigenze di tutela del delicato ecosistema marino del Mar Mediterraneo; la
particolarità di questo mare semi-chiuso di fatto impone agli Stati costieri di
collaborare tra loro sia per lo sfruttamento sia per la tutela delle risorse.
In tal senso rimane di rilevanza preminente
La scelta italiana di istituire delle
zone di protezione ecologica è quindi in accordo con la convenzione di Montego
Bay sul Diritto del Mare, con il diritto consuetudinario della libertà dei mari
nonché con la tendenza moderna adottata da altri stati Mediterranei a separare
l’aspetto della tutela ecologica dagli aspetti connessi allo sfruttamento
economico[9].
Il procedimento di istituzione delle
zone di protezione ecologica è descritto nei suoi tratti essenziali dal secondo
comma dell’articolo 1 della legge 61/06.
L’istituzione della zona avviene con
decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Ministero dell’ambiente e tutela del territorio di
concerto con il Ministero degli affari esteri, sentito il Ministero per i beni
e le attività culturali.
Il provvedimento verrà notificato agli
stati adiacenti o frontisti a cura del Ministero degli esteri.
Va da sé che in funzione prodromica del
procedimento amministrativo, di per sé piuttosto complesso, il Ministero
dell’ambiente dovrà condurre un’indagine finalizzata a verificare la necessità
della tutela ecologica sulla base delle caratteristiche ambientali del tratto
di mare interessato ovvero per la sua vicinanza con aree o parchi marini già
istituiti nel mare territoriale[10].
Dal momento che le zone di protezione
ecologica, sono assimilabili ad aree particolarmente sensibili in cui è
necessario aumentare il grado di tutela ambientale, nel procedimento di
istituzione delle predette zone può essere particolarmente utile seguire la
risoluzione IMO A. 927(22)[11];
essa indica che l’individuazione delle aree da sottoporre a tutela deve essere effettuata tenendo in
considerazione non solo criteri ecologici e scientifici ma anche economici,
sociali e culturali, oltre che l’intensità del traffico marittimo e gli aspetti
idrografici naturali.
Il concerto con il Ministero degli
affari esteri è finalizzato alla creazione di un’area che non possa
successivamente essere oggetto di un contenzioso internazionale[12].
Il parere del Ministero dei beni e
delle attività culturali evidenzia che la protezione del patrimonio
archeologico sommerso viene considerata come parte della tutela dell’ambiente
marino[13].
La deliberazione del Consiglio dei
ministri è necessaria poiché l’istituzione dell’area ecologica è una decisione
che può condizionare i rapporti internazionali con gli altri Stati costieri
ponendo risvolti di politica estera, ivi compresi quelli relativi ai traffici
marittimi internazionali [14].
Anche alla luce di quest’ultima
considerazione colpisce che il legislatore nel disciplinare il procedimento non
abbia considerato, neppure con funzioni consultive, il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti: tale aspetto non può essere spiegato se non
come una semplice dimenticanza ed è auspicabile che, in ogni caso, nel corso
dell’istruttoria il Ministero dell’Ambiente acquisirà il parere del Ministero
delle Infrastrutture e dei trasporti[15].
Le zone di protezione ecologica
previste dalla legge 8 febbraio 2006 n. 61 sono una parziale attuazione della
zona economica esclusiva, pertanto anche la loro delimitazione risente delle
stesse difficoltà che sorgono per la delimitazione delle zone economiche
esclusive[16].
In particolare, l’articolo 57 della
Convenzione di Montego Bay pone soltanto il limite massimo di estensione in
Se l’andamento delle coste fosse
perfettamente regolare e le ricchezze del mare, biologiche e non, fossero
pienamente rispettose dei confini fissati dall’uomo, non si verificherebbe
alcuna controversia e basterebbe proiettare i confini terrestri sul mare per
ottenere il pieno accordo tra gli Stati. Purtroppo l’andamento irregolare delle
coste e la presenza di isole fanno sì che proiettando sul mare i confini
terrestri, fissati spesso a seguito di processi storici secolari, non si
determina affatto una situazione di equa distribuzione delle ricchezza del
mare.
Questo aspetto della realtà politica e
geografica degli Stati costieri è stato trasfuso nella disciplina dell’articolo
74 che, infatti, non si limita a stabilire il principio secondo cui la
delimitazione della ZEE deve avvenire per accordo, ma stabilisce anche che
l’accordo deve essere ispirato al principio dell’equità.[17]
Il lungo procedimento necessario per la
conclusione di un accordo internazionale rischia di paralizzare ogni tentativo
degli Stati di sfruttare o semplicemente tutelare le risorse marine; per questo
è stato necessario stabilire un criterio provvisorio di delimitazione.
Tuttavia, mentre per la delimitazione della ZEE l’articolo 74 della Convenzione
di Montego Bay fa espresso riferimento ad un accordo provvisorio, senza
precisarne i criteri, la legge 8 febbraio 2006 n. 61 stabilisce come criterio
provvisorio il riferimento alla linea mediana[18].
In ogni caso, anche per le zone di
protezione ecologica il principio della linea mediana non è da solo sufficiente
a garantire la temporanea tolleranza tra gli Stati interessati alla
delimitazione. In particolare è necessario anche verificare situazioni in cui ,
nello spirito di buon vicinato tra Stati, potrà apparire conveniente una
delimitazione che non coincida per difetto con la linea mediana, al fine di non
creare nuovi contenziosi o riaprirne di antichi.[19].
Il principio dell’equidistanza senza
ulteriori correzioni rimane un principio accettabile solo temporaneamente:
infatti, alla semplicità di determinazione della linea mediana non si aggiunge
necessariamente l’equità nella distribuzione delle risorse marine; lo Stato le
cui coste hanno un andamento concavo viene danneggiato se il suo stato
frontista ha l’andamento delle coste convesso; analogamente, la stessa
disparità avviene in caso di Stati adiacenti con confini rispettivamente di
forma concava e convessa, ovvero in presenza di isole al di là della linea
mediana. Inoltre, l’equità delle distribuzione dello spazio non necessariamente
coincide con l’equa distribuzione delle ricchezze che possono essere
concentrate in una ristretta area[20].
Si rileva che molti Stati costieri
tendono a far coincidere la delimitazione della piattaforma continentale con la
delimitazione degli altri spazi marini. Questa tendenza è particolarmente
importante per l’Italia, non solo in considerazione della sua posizione
centrale nel Mediterraneo ma anche perchè l’Italia è lo Stato mediterraneo che
ha concluso il maggior numero di accordi internazionali in materia di
delimitazione della piattaforma continentale[21].
Detti accordi potrebbero essere utili anche per stabilire il limite esterno
delle nuove zone di protezione ecologica.
A seguito dell’istituzione delle zone
di protezione ecologica, in forza di quanto sancito dall’articolo 2 della legge
8 febbraio 2006 n. 61, sarà possibile estendere la giurisdizione italiana in
materia di protezione dell’ambiente marino all’interno di tali zone e applicare
le norme del diritto italiano, del diritto comunitario e le norme dei trattati
internazionali in vigore per l’Italia anche alle navi straniere[22].; il tutto però nei limiti dell’articolo 73 della
convenzione UNCLOS da interpretarsi tenendo conto anche dell’articolo 211.
Solo quando le specifiche esigenze di
protezione dell’ambiente marino di una area particolare e chiaramente definita
richiedono una tutela maggiore rispetto a quanto previsto dalle norme
internazionali viene consentito allo Stato costiero di adottare norme di tutela
più rigorose rispetto agli standards
internazionali, anche se la zona da proteggere è al di fuori del mare
territoriale ma all’interno della zona economica esclusiva (articolo 211.6
della Convenzione di Montego Bay). La zona di protezione ecologica è quindi
assimilabile ad una Particularly
Sensitive Sea Areas , prevista anche dal citato articolo 211 UNCLOS e di
cui tratta dettagliatamente la risoluzione IMO A. 927(22)[23].
Pertanto, se si considerano le zone di
protezione ecologica come aree particolarmente sensibili all’interno della ZEE,
è possibile imporre alle navi straniere norme più restrittive degli standards dell’IMO, ed in particolare
della convenzione MARPOL senza violare le norme del diritto internazionale. Non
sarà necessario proclamare una ZEE italiana per avvalersi delle norme della
Convenzione di Montego Bay, dal momento che le zone di protezione ecologica
sono una parziale attuazione della ZEE.
Il principio generale trova origine
nella consuetudine: esso sancisce l’obbligo degli Stati di preservare e
tutelare il mare ed il patrimonio in esso contenuto[24].
Si è anche in linea con la tendenza del
diritto marittimo internazionale ad espandere i poteri amministrativi e
giurisdizionali dello Stato costiero per prevenire danni alle proprie coste anche
quando la violazione delle norme in materia di prevenzione sia avvenuta al di
fuori del mare territoriale e la nave batte bandiera straniera.[25]
Un ultimo accenno merita l’aspetto
sanzionatorio. Come è noto, l’articolo 20 della legge 979/82 prevede, in caso
di violazione alle norme sulla discarica, l’applicazione di sanzioni penali a
carico del comandante ed in determinati casi anche il suo arresto. Tuttavia, a
seguito all’entrata in vigore della convenzione di Montego Bay, questa norma
dovrebbe essere rivista dato che l’articolo 230.2 della citata convenzione
prevede, come principio generale, l’applicazione di sanzioni amministrative in
caso di inquinamento, lasciando le sanzioni penali solo per i casi più gravi
commessi nelle acque territoriali[26].
Alla luce di questa considerazione, in caso di violazione alla disciplina della
tutela del mare nelle zone di protezione ecologica da parte di una nave
straniera dovrà esser applicata solo una sanzione pecuniaria.
La legge 61/06 espressamente prevede
che nell’ambito delle zone di protezione
ecologica istituite ai sensi dell’articolo 1 l’Italia esercita la propria
giurisdizione, (articolo 2.1) ma qualche perplessità suscita la possibilità
di imporre la giurisdizione con l’uso della forza nei confronti delle navi che
hanno causato un inquinamento oltre il limite esterno del mare territoriale,
ricorrendo a quanto disposto dall’articolo 73 UNCLOS, sempre che non si rientri
nei casi espressamente previsti dal diritto internazionale marittimo. Ciò
perché il citato articolo 73 UNCLOS sembra riferirsi soprattutto alle forma di
tutela e reazione contro i comportamenti
che arrecano un danno alle risorse economiche dello Stato costiero e non sembra
adatto ai soli fini di tutela dell’ambiente[27].
Al contrario sarebbe auspicabile un uso
della forza ispirato all’articolo 221 della Convenzione Montego Bay che
consente in alto mare l’adozione di misure proporzionate al danno subito o
prevedibile.
D’altro canto anche all’interno della
ZEE, lo Stato costiero è deputato a preservare l’ambiente marino anche per
adempiere al generale obbligo di conservazione dell’ambiente marino che grava
su tutti gli Stati in quanto appartenenti alla comunità internazionale[28].
Rimangono ferme le regole previste
dalla Convenzione Intervention 1969[29]
che essendo applicabili in alto mare lo saranno anche in una zona di tutela
ecologica.
Nelle zone di protezione ecologica non
sarà ammissibile il rilascio volontario di rifiuti (dumping) senza il preventivo consenso dello Stato italiano. Ciò è
reso ancora più attuale dalla ratifica italiana, con la legge 13 febbraio 2006
n. 87, del protocollo 1996 alla Convenzione del 1972 sulla prevenzione
dell’inquinamento dei mari causato dall’immersione dei rifiuti.
Considerata la morfologia delle coste
italiane, compreso il Mare Adriatico, è difficilmente ipotizzabile una minaccia
alle zone di protezione ecologica causata da un inquinamento terrestre da parte
di un altro Stato costiero.
Poiché la legge 61/06 fa espresso
riferimento all’inquinamento causato dalle acque di zavorra si evidenzia che la
disciplina giuridica sulla discarica delle acque di zavorra contaminate dal
carico è prevista dalla MARPOL 73/78[30].
Si noti che benché le acque di zavorra vengono ormai raramente a contatto con
gli idrocarburi, la loro movimentazione, indipendentemente dal tipo di nave che
lo effettua, è un potenziale pericolo per l’ambiente marino. Infatti, insieme
alle acque di zavorra sono movimentati organismi invasivi e patogeni che
vengono così spostati da una parte all’altra del mondo: per comprendere meglio
il problema si pensi ad una nave che dopo avere scaricato in Australia, imbarca
acqua di zavorra e la trasporta, con gli organismi tipici dell’habitat australiano, fino nel Nord
Europa dove approda perb caricare nuovamente e rilasciare la zavorra. Benché
molti organismi non sopravvivono quando vengono trasferiti da un habitat all’altro, ve ne sono alcuni che
non solo sopravvivono ma diventano addirittura invasivi sostituendosi agli
organismi originari e causando uno stravolgimento ecologico[31].
Per contenere il fenomeno l’IMO ha
adottato la risoluzione A 868 (20) che fornisce alcune indicazioni per
controllare, monitorare e limitare il fenomeno. Un importante complemento
all’istituzione delle zone ecologiche sarebbe costituito dal recepimento
nell’ordinamento italiano della predetta risoluzione IMO.
L’articolo 2 della legge 61/06 consente
nelle zone di protezione ecologica anche la tutela del patrimonio archeologico
e storico sommerso.
La convenzione di Montego Bay permette
allo Stato costiero di istituire una zona archeologica, tramite il combinato
disposto degli articoli 33 e 303[32].
In particolare, l‘articolo 303 consente allo Stato costiero di vietare, senza
la sua approvazione, la rimozione dal fondo del mare oggetti aventi rilevanza
archeologica.
Il potere dello Stato costiero previsto
dall’articolo 303.2 della convenzione di Montego Bay in materia di rimozione
degli oggetti di natura storica o archeologica non incidono comunque sul regime
privatistico ed in particolare sulla loro proprietà[33].
Per quanto attiene alle ai relitti di navi, che costituiscono indubbiamente la
maggior parte dei beni archeologici sommersi, il potere dello Stato di bandiera
cessa con la perdita del carattere di nave, salvo che si tratti di navi
militari per le quali lo Stato di bandiera rimane titolare dei propri diritti.[34].
Per restare nei limiti del diritto
internazionale l’estensione della zona di tutela archeologica non deve superare
le
Nei limiti sopra esposti si applicherà
la disciplina italiana in materia di tutela dei beni archeologici nelle zone
istituite ai sensi della legge 61/06. Come è noto, poiché nell’ordinamento
italiano non esiste una disciplina specifica in tema di beni culturali sommersi,
essa si deve trarre dalla disciplina generale dei beni archeologici e da alcune
norme del codice della navigazione. Tale ultime norme sono prevalenti rispetto
alle norme generali poiché la disciplina marittima è speciale rispetto a quella
generale.
In particolare gli articoli 510 e 511
del codice della navigazione prevedono la supremazia del diritto del
proprietario rispetto agli interessi dello Stato. Poiché l’accertamento della
proprietà dei beni archeologici trovati fortuitamente potrebbe comprometterne
la tutela si distingue tra res vacuae
possessionis (cioè gli oggetti
abbandonati che continuano ad avere un proprietario che ne ha perso solo il
possesso) e res vacuae domini ( cioè gli oggetti abbandonati da lungo tempo
ormai prive di proprietario). Per questi ultimi oggetti sarebbe applicabile
pienamente la disciplina speciale in materia di beni culturali piuttosto che le
norme del codice della navigazione [38].
La soluzione sull’aspetto dominicale
del bene archeologico è particolarmente importante perché la proprietà del bene
influisce notevolmente sulla reale conservazione e tutela del bene[39].
In considerazione della normativa
attualmente vigente, un ruolo di primo piano spetta alle amministrazioni
regionali.
Bisogna notare che da tempo altri Stati
costieri del Mediterraneo hanno esteso la tutela archeologica alle proprie
piattaforme continentali, per cui la scelta italiana, anche in questo campo, si
pone in linea con la prassi seguita nel Mediterraneo[40].
Per espressa previsione normativa,
contenuta nell’articolo 2 della legge 61/06. le zone di protezione ecologiche
non riguarderanno l’attività di pesca.
Questa affermazione di principio è
perfettamente comprensibile in quanto l’estensione alle attività di pesca avrebbe
di fatto annullato la distinzione tra zona di protezione ecologica e zona
economica esclusiva nel senso pieno del termine[41].
Inoltre, l’istituzione unilaterale anche di semplici zone di protezione delle
attività di pesca[42]
o di eventuali zone di ripopolamento[43]
avrebbe causato senza dubbio l’infrazione all’obbligo di cooperazione in
materia di pesca tra stati appartenenti all’Unione europea. La pesca è una
materia ormai di competenza della stessa Unione Europea per cui qualsiasi
decisione unilaterale in materia è certamente censurabile dalla stessa Unione. [44].
Tuttavia, occorre precisare che la
distinzione tra la materia di pesca e le finalità ecologiche di protezione
dell’ambiente marino non sono così lontane. Molte norme in materia di
disciplina dell’attività di pesca non sono determinate da finalità economiche
ma di protezione dell’ ambiente; è noto a tutti come la mancanza di selettività
degli attrezzi da pesca impiegati o la pesca intensiva di determinate specie
possono danneggiare l’ecosistema marino.
Ad esempio il Regolamento comunitario
338/97 in data 9 dicembre 1996 non rientra soltanto tra le norme in materia di
pesca poiché individua alcune specie marine protette delle quali solo in via
consequenziale è vietata le pesca come misura necessaria per la difesa
dell’ambiente marino.
In altre parole nelle zone di
protezione ecologica neppure le navi straniere ed in particolare extra
comunitarie potranno catturare specie marine protette o porre in essere
attività di pesca che siano direttamente dannose per l’ecosistema marino.
Poiché i confini tra la tutela dell’ambiente e la disciplina dell’attività di
pesca è particolarmente sottile è auspicabile che tale complesso aspetto venga
trattato, e possibilmente approfondito, dal decreto di istituzione delle singole
zone di protezione ecologica.
La vigilanza delle zone ecologiche sarà
affidata gli stessi soggetti istituzionali che già sono chiamati a vigilare il
mare territoriale e le acque internazionali per altre ragioni. Tuttavia un
ruolo fondamentale verrà assunto dalla Guardia Costiera non solo perché è
specializzata in materia di controllo ambientale e in polizia della pesca ma
anche in quanto già dispone dei mezzi necessari per tale tipo di sorveglianza.
Suscita qualche perplessità la
constatazione, evidenziata anche durante i lavori preparatori[45],
secondo cui per la vigilanza delle zone di protezione ecologica non saranno
necessari oneri aggiuntivi per la finanza statale in quanto l’attuale stato di controllo
del mare da diversi enti e per diversi fini non causerà la necessità di nuove
spese.
Molto dipenderà dalla ampiezza delle
zone ecologiche e soprattutto dall’intensità ed efficacia del controllo che si
vorrà esercitare in dette zone: infatti, per garantire pienamente
l’applicazione delle norme in materia di protezione ambientale si dovrà
necessariamente aumentare il numero di missioni di vigilanza rispetto a quelle
attuali, con un maggiore impiego di uomini e mezzi. Diversamente, senza risorse
aggiuntive per il controllo, l’efficacia della protezione potrebbe essere
compromessa.
[1] LAVORI
PREPARATORI, Senato, seduta n. 949
del 31 gennaio 2006.
[2] In
accordo con il diritto consuetudinario la convenzione di Montego Bay
regolamenta la zona economica esclusiva ma non prevede la zona di protezione
ecologica. Comunque lo Stato costiero non è obbligato ad esercitare tutti i
poteri previsti dalla disciplina sulla ZEE è può legittimamente esercitarne
solo una parte. Sulla legittimità della zona ecologica come parziale attuazione
della ZEE v. CATALDI, L’Italia e la
delimitazione degli spazi marini. Osservazioni sulla prassi recente di
estensione della giurisdizione costiera, in Rivista di Diritto internazionale, 2004, p. 621
[3] LAVORI PREPARATORI, Senato, cit. In particolare sulla Croazia v. ORZAN, La tutela del mare Mediterraneo: il
provvedimento croato di protezione della pesca e dell’ambiente marino, in La comunità internazionale, 2005, p.
487.
[4] Sulla possibilità di istituire
[5] In
tal senso v. LEANZA, Il nuovo diritto del
mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, cit., p. 363
[6] Ancorché
non si è trattato di delimitare una ZEE si pensi alle difficoltà sorte intorno
al c.d. Mammellone e alle misure che
è stato necessario intraprendere per tutelare gli interessi economici italiani.
Sul punto si veda CAFFIO Glossario di
diritto del mare,p. 84 cit. e RONZITTI, Le zone di pesca nel Mediterraneo e la tutela degli interessi italiani,
Rivista Marittima, 1999.
[7] La convenzione di Barcellona del 1976 come
modificata nel 1995, con i suoi diversi protocolli settoriali può essere
considerato il perno del sistema di tutela del Mar Mediterraneo
dall’inquinamento. Il sistema di Barcellona si articola su tre livelli: il
primo è costituito dalla stessa Convenzione che costituisce il quadro
programmatico; il secondo è costituito dai protocolli settoriali che assicurano
l’attuazione della convenzione; il terzo livello è costituito dagli accordi
sub-regionali. Il sistema di Barcellona, se effettivamente attuato, sarebbe un
importante contributo per la realizzazione del “governo del mare” costituendo
una concezione più moderna rispetto al tradizionale principio della “tutela del
mare” v. LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo,
cit., p. 516 e ss.; LEANZA, Le
convenzioni internazionali sulla protezione del mediterraneo contro
l’inquinamento marino, Napoli, 1992; CAMARDA, L’evoluzione della normativa internazionale comunitaria e nazionale
vigente in materia di sicurezza della navigazione e prevenzione
dell’inquinamento marino, in Rivista
giuridica dell’ambiente, 2001 p. 699.
[8] Il
Santuario dei Cetacei è stato istituito con accordo tra Monaco, Francia e
Italia firmato il 25 novembre 1999, e comprende la zona compresa tra Punta Escampobariou,
Capo Falcone, Capo Ferro e la foce del Chiarore. La tutela però non è erga omnes non potendo riguardare stati
terzi: questo differenzia profondamente il Santuario da una zona di protezione
ecologica. V. CAFFIO, Glossario di
diritto del mare, cit., p. 110
[9] Altri
stati mediterranei hanno emanato atti finalizzati a tutelare i propri interessi
economici ed ecologici. In particolare, oltre alla citata legge Francese hanno
suscitato preoccupazione i provvedimenti adottati da Spagna e Croazia v. LAVORI
PREPARATORI, Senato, cit..
[10] Sulle riserve marine v. CAMARDA - MICCICHÈ, Le riserve marine nell’ottica
pluriordinamentale, in Diritto marittimo, 2001, p. 399.
[11] La linea guida distingue tra aree speciali ai fini
MARPOL (SA) ed aree particolarmente sensibile (PSSA). La prima (SA) si
configura come un’area in cui la protezione dell’ambiente è limitato ad un solo
aspetto, cioè quello legato agli scarichi provenienti dalle navi. Al contrario
nelle seconde (PSSA) la protezione dell’ambiente marino riguarda una serie più
ampia di rischi e fattori, pur sempre legati alla navigazione internazionale;
inoltre nelle PSSA è possibile individuare misure di tutela provenienti da
fonti diverse dalla MARPOL, come la consuetudine, altre convenzioni o
risoluzioni IMO. RAK, Le nuove linee
guida dell’organizzazione marittima internazionale (IMO) per la designazione di
aree speciali e di aree marine particolarmente sensibili, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2002 p.
591.
[12] La proclamazione unilaterale di zone economiche
esclusive ovvero di altre zone marine in
cui lo stato costiero estende alcuni dei suoi poteri limitando quelli degli
altri stati, nel mare mediterraneo è sempre stata fonte di controversia. Anche
prima che
[13] Anche
per l’ambiente marino vale il principio affermato dalla Cassazione secondo cui
l’ambiente è una nozione unitaria e comprensiva delle risorse culturali; ciò è
ancora più evidente quando l’opera dell’uomo giace sul fondo da molto tempo
formando un tutt’uno con l’ambiente
marino. In tal senso v. CAMARDA, Soccorso
in mare e tutela dell’ambiente, in Rivista dell’ambiente, 1997, p. 762
[14] La
competenza del consiglio dei ministri in materia può essere fatta discendere
direttamente dall’articolo 2 della legge 23 agosto 1988 n.
[15] Si
consideri, infatti, che a seguito della soppressione del Ministero della Marina
Mercantile e all’inserimento del Ministero dei Trasporti e della Navigazione nel Ministero delle
Infrastrutture e dei trasporti (in cui è inserito anche il Comando Generale del
Corpo delle Capitanerie di Porto), esso è il ministero competente in materia di
navigazione marittima per tutte le questioni che non sono strettamente inerenti
l’ambiente marino. Si noti anche che ai sensi dell’articolo 83 del Codice della
navigazione la decisione di vietare o limitare tratti di mare territoriale al
transito o alla sosta di navi mercantili per motivi di protezione ambientale è
assunta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il
ministero dell’ambiente.
[16] Le difficoltà nel delimitare
[17] Il principio dell’equità trova il suo autorevole
fondamento nella sentenza della Corte internazionale di giustizia del
[18] Il
testo dell’articolo 74 è stato anche oggetto di critiche poiché si ritiene poco
“pratico” affermare che in attesa di un accordo definitivo si deve comunque
addivenire ad un accordo provvisorio. Inoltre è stato anche criticato il
principio secondo cui l’accordo deve ispirarsi all’equità, poiché quando un
accordo di delimitazione concluso esso resta valido a prescindere dal fatto che
i criteri seguiti siano equi o iniqui, salvo affermare che il criterio
dell’equità assurga a regola di jus
cogens. V. CONFORTI, Diritto Internazionale, cit. p. 274
[19] Il
principio dell’equidistanza rimane il cardine della delimitazione anche se per
ragioni di equità è necessario correggerlo con altri criteri che tengano conto
della morfologia delle coste e della reale distribuzione delle risorse. V.
CONFORTI, Diritto Internazionale,
cit. p. 273, 274
[20] La stessa giurisprudenza internazionale, trattando
delle controversie in materia di delimitazione della piattaforma continentale
ha fornito dei criteri pratici che è possibile seguire nel corso della
delimitazione per compensare le “iniquità” del principio dell’equidistanza. V. CONFORTI,
Diritto Internazionale, cit. p.
274 LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, cit.
p 281 e ss.
[21] V.
CATALDI, L’Italia e la delimitazione
degli spazi marini. Osservazioni sulla parassi recente di estensione della
giurisdizione costiera, cit. p. 626 e ss.
[22] Infatti, nei lavori preparatori emerge chiaramente
la convinzione che, a seguito dell’istituzione delle zone di tutela ecologica,
in esse si potrà limitare l’inquinamento applicando le leggi italiane. LAVORI
PREPARATORI, Senato, cit. I rapporti
tra le leggi italiani e le convenzioni internazionali in materia di prevenzione
dell’inquinamento, in particolare tra la legge 979/82 e
[23] V.
RAK, Le nuove linee guida
dell’organizzazione marittima internazionale (IMO) per la designazione di aree
speciali e di aree marine particolarmente sensibili cit. Vedi anche la
precedete nota 10.
[24] Tale
principio può essere anche considerato come codificato nella stessa convenzione
di Montego Bay, in particolare nella sezione 6^. V. CAMARDA, L’evoluzione della normativa internazionale
comunitaria e nazionale vigente in materia di sicurezza della navigazione e
prevenzione dell’inquinamento marino, cit. p. 705
[25] V. CAMARDA, L’evoluzione della normativa internazionale comunitaria e nazionale vigente in materia di sicurezza della navigazione e prevenzione dell’inquinamento marino, cit. p. 705.
[26] In tal senso v. MERIALDI, Legge 979/ 1982 e Convenzione MARPOL:
[27] Alcune perplessità in particolare hanno sucitato
il comportamento delle Autorità francesi
nei confronti della petroliera italiana San Matteo per un inquinamento
causato all’interno della zona di protezione ecologica francese. V. CAFFIO, A che serve una marina, in Rivista Marittima, Novembre 2005, p. 21
[28] V. LEANZA, Il
nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, cit. p. 485;
DEL VECCHIO, Zona Economica Esclusiva e
stati costieri, cit. p. 168.
[29] V.
CONFORTI, Diritto Internazionale,
cit. p. 289
[30]
Per le acque di lavaggio delle cisterne delle petroliere si precisa
che l’annesso I della MARPOL consente a determinate condizioni lo scarico in
mare a condizione che la nave stia navigando al di fuori delle aree speciali e
ad una distanza dalla costa superiore alle
Per le acque di lavaggio delle cisterne delle chimichiere si precisa che l’annesso II della MARPOL consente a determinate condizioni lo scarico in mare e che il mare Mediterraneo non è considerato area speciale.
[31] Il Mare Mediterraneo è particolarmente esposto
all’invasione di organismi allogeni in quanto le sue acque sono più sensibili
di altre al riscaldamento e da tempo in comunicazione naturale con il Mar Rosso
a seguito dell’apertura del canale di Suez. Anche per questo motivo gli
organismi tropicali trasportai nel Mare Mediterraneo con le acque di zavorra trovano
un ambiente particolarmente favorevole per proliferare. V. MOJETTA, Gli alieni fra noi, in National Geographic Italia, Marzo 2006
p.46.
[32] Sulla zona archeologica v. CAFFIO, Glossario di diritto del mare, cit., p.
138. LEANZA, Il nuovo diritto del mare e
la sua applicazione nel Mediterraneo, cit. p. 253 e ss.
[33] La
tutela della proprietà dei relitti è molto antica ed è strettamente connesso
all’evoluzione giuridica dei relitti ed
al ius naufragii. Infatti la necessità di tutelare la proprietà dei relitti era tanto
più forte quanto più rischioso era l’andare per mare. Su tale aspetto di natura
storica e sull’evoluzione giuridica connessa allo ius naufragii v. CORRIERI, Il
Consolato del mare, Roma, 2005 p. 203 e ss.
[34] In tal senso TREVES, Stato costiero e archeologia sommersa, in Rivista di Diritto internazionale, 1993, p. 705
[35] Infatti, la possibilità di esercitare i poteri di
tutela sul patrimonio archeologico previsti dall’articolo 303 della convenzione
di Montego Bay, trova il suo fondamento nella preventiva proclamazione della
zona contigua. Lo stesso articolo 303 della convenzione prevede che i poteri di
tutela archeologica possono essere esercitati in attuazione dell’articolo 33 V CAFFIO, Glossario di diritto del mare, cit., p. 138.
[36] In tal senso TREVES, Stato costiero e archeologia sommersa, cit. p. 706.
[37] In tal senso, v.
CAMARDA, Soccorso in mare e tutela
dell’ambiente, cit. p. 762
[38] AA.VV., Competenze
amministrative e normative della regione siciliana in tema di tutela e gestione
del patrimonio archeologico sommerso, Palermo,
[39] V. CAMARDA, La
normativa nazionale ed internazionale per la protezione del patrimonio
culturale subacqueo nel Mediterraneo. Considerazioni introduttive ad un recente
convegno in Competenze amministrative
e normative della regione siciliana in tema di tutela e gestione del patrimonio
archeologico sommerso, cit. p. 63.
[40] V.
LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la
sua applicazione nel Mediterraneo, cit. p. 266.
[41] V.
CATALDI, L’Italia e la delimitazione
degli spazi marini. Osservazioni sulla prassi recente di estensione della
giurisdizione costiera, cit,. p .621 e ss.
[42] Un esempio in tal senso è dato dal recente
provvedimento croato. V. ORZAN, La tutela del mare Mediterraneo: il provvedimento
croato di protezione della pesca e dell’ambiente marino, cit. p. 487 e ss.,
Le zona di pesca sono il predecessore delle zone economiche esclusive per cui
non c’è traccia delle zone di pesca nella convenzione di Montego Bay sul
diritto del mare ma non si può escluderne la legittimità in base alla
consuetudine. La convenzione di Montego Bay attribuisce nella ZEE poteri più
ampi allo stato costiero rispetto a quanti ne erano previsti nelle zone di
pesca . A seguito della nascita della ZEE gli stati che avevano proclamato una
zona di pesca hanno proceduto in modo diverso: alcuni hanno conservato le zone
di pesca, altri le hanno convertite in ZEE altri hanno ampliato i poteri sulle
zone di pesca fino a renderla nei fatti una ZEE. Sulle zona di pesca v.
RONZITTI, Le zone di pesca nel
Mediterraneo e al tutela degli interessi italiani, cit.
[43] La zona di ripopolamento ittico , tra cui rientra
il c.d. Mammellone, è una zona in cui
lo stato costiero vieta la pesca alle proprie unità ai fini di consentire la
riproduzione di talune specie marine. Nel caso del Mammellone, anche a causa della nota controversia con
[44] Sulle
controversie che possono nascere a seguito di una decisione unilaterale in
materia di pesca assunta da uno stato membro v. ORZAN, La tutela del mare Mediterraneo: il provvedimento croato di protezione
della pesca e dell’ambiente marino, cit. p. 487 e ss. V. RONZITTI, Le zone di pesca nel Mediterraneo e al
tutela degli interessi italiani, cit. p 50 e ss.