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Vol. IV/2006

 

Casella di testo:  Rivista di Diritto dell'Economia, dei Trasporti e dell'Ambiente
	                                                                         
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Prime note sulla legge 8 febbraio 2006 n. 61 di istituzione di zone di protezione ecologica oltre il limite esterno del mare territoriale

Luciano Pischedda

 

1. La zona economica esclusiva e la zona di protezione ecologica

2. Il procedimento di istituzione delle zone di protezione ecologica

3. I limiti delle zone di protezione ecologica

3.1. Gli accordi internazionali

3.2. Il principio della linea mediana

4. Il regime giuridico delle zone ecologiche

4.1. L’applicazione delle norme italiane in materia di inquinamento

4.2. Le acque di zavorra

4.3. La tutela del patrimonio archeologico sommerso

4.4. L’esclusione delle norme in materia di pesca

5. La vigilanza nelle aree ecologiche: compiti ed oneri

 

1. La zona economica esclusiva e la zona di protezione ecologica

Con la recente legge 8 febbraio 2006 n. 61 lo Stato italiano pone le basi per l’istituzione di zone di protezione ecologica oltre il limite del mare territoriale, iniziando, sul punto, l’attuazione della convenzione internazionale sul diritto del mare aperta alla firma a Montego Bay  il 10 dicembre 1982; infatti, negli stessi lavori preparatori della legge in esame le zone di protezione ecologica sono considerate come una parziale attuazione dell’istituto della Zona Economica Esclusiva[1].

La legge descrive la procedura necessaria affinché il Governo possa istituire delle zone di tutela ecologica. È noto che gli articoli 55 e seguenti della convenzione di Montego Bay consentono agli Stati costieri di proclamare una propria zona economica esclusiva fino ad una distanza di duecento miglia marine dalla linea di base; in tale zona lo Stato costiero ha il diritto di tutelare e sfruttare in via esclusiva le risorse minerali e biologiche del mare e della relativa piattaforma continentale, fermo restando il diritto degli altri Stati di potere liberamente navigare nella ZEE e di godere degli altri diritti sanciti dalla stessa convenzione.

La differenza fondamentale tra la zona economica esclusiva e le istituende zone di protezione ecologica è incentrata nello sfruttamento esclusivo delle risorse: infatti, l’istituzione della zona ecologica consentirà allo Stato italiano solo l’esercizio dei poteri finalizzati alla tutela dell’ambiente marino e dell’eventuale patrimonio archeologico sommerso, ma non quelli necessari per assicurare lo sfruttamento esclusivo delle risorse della pesca (articolo 2 della legge 61/06)[2].

Tuttavia, la finalità della legge non è solo la tutela del Mare Mediterraneo ed in particolare del Mare Adriatico, considerate le caratteristiche geografiche ed oceanografiche che rendono l’ecosistema di questo mare particolarmente delicato ed esposto al danno causato dall’intenso traffico mercantile che vi si effettua, ma anche quello di porre l’Italia in una condizione di parità con gli altri Stati mediterranei che hanno già provveduto ad istituire delle zone di tutela oltre il limite del proprio mare territoriale[3]. In particolare, la Francia con la legge 15 aprile 2003 n.306 ha istituito una propria zona di tutela ecologica che si estende per un miglio nautico oltre il limite del mare territoriale, evitando quindi, per le coste mediterranee, l’istituzione della zona economica esclusiva ma non precludendosi la possibilità di esercitare i poteri di tutela e conservazione delle risorse che spetterebbero all’interno di detta zona.

Si è molto discusso sulla possibile istituzione della ZEE nel mare Mediterraneo e buona parte della dottrina si è dimostrata sfavorevole a tale ipotesi[4] perché, in tal modo, scomparirebbe dal bacino del Mediterraneo la porzione di alto mare con inevitabili riflessi sul regime della libertà della navigazione[5] .

In realtà, le difficoltà di delimitazione sono connesse soprattutto allo sfruttamento  economico esclusivo delle risorse marine; l’istituzione unilaterale delle ZEE da parte dei singoli Stati costieri mediterranei, causerebbe certamente un contenzioso internazionale tra gli Stati frontisti o adiacenti[6]

Ma, nonostante ciò, non si trascurano le esigenze di tutela del delicato ecosistema marino del Mar Mediterraneo; la particolarità di questo mare semi-chiuso di fatto impone agli Stati costieri di collaborare tra loro sia per lo sfruttamento sia per la tutela delle risorse. In tal senso rimane di rilevanza preminente la Convenzione di Barcellona del 1976/95[7] con i vari protocolli. Per l’Italia, inoltre, è particolarmente importante l’accordo con la Francia ed il Principato di Monaco circa l’istituzione del Santuario dei Cetacei  nel mar Ligure[8].

La scelta italiana di istituire delle zone di protezione ecologica è quindi in accordo con la convenzione di Montego Bay sul Diritto del Mare, con il diritto consuetudinario della libertà dei mari nonché con la tendenza moderna adottata da altri stati Mediterranei a separare l’aspetto della tutela ecologica dagli aspetti connessi allo sfruttamento economico[9].

 

2. Il procedimento di istituzione delle zone di protezione ecologica

Il procedimento di istituzione delle zone di protezione ecologica è descritto nei suoi tratti essenziali dal secondo comma dell’articolo 1 della legge 61/06.

L’istituzione della zona avviene con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell’ambiente e tutela del territorio di concerto con il Ministero degli affari esteri, sentito il Ministero per i beni e le attività culturali.

Il provvedimento verrà notificato agli stati adiacenti o frontisti a cura del Ministero degli esteri.

Va da sé che in funzione prodromica del procedimento amministrativo, di per sé piuttosto complesso, il Ministero dell’ambiente dovrà condurre un’indagine finalizzata a verificare la necessità della tutela ecologica sulla base delle caratteristiche ambientali del tratto di mare interessato ovvero per la sua vicinanza con aree o parchi marini già istituiti nel mare territoriale[10].

Dal momento che le zone di protezione ecologica, sono assimilabili ad aree particolarmente sensibili in cui è necessario aumentare il grado di tutela ambientale, nel procedimento di istituzione delle predette zone può essere particolarmente utile seguire la risoluzione IMO A. 927(22)[11]; essa indica che l’individuazione delle aree da sottoporre a tutela  deve essere effettuata tenendo in considerazione non solo criteri ecologici e scientifici ma anche economici, sociali e culturali, oltre che l’intensità del traffico marittimo e gli aspetti idrografici naturali.

Il concerto con il Ministero degli affari esteri è finalizzato alla creazione di un’area che non possa successivamente essere oggetto di un contenzioso internazionale[12].

Il parere del Ministero dei beni e delle attività culturali evidenzia che la protezione del patrimonio archeologico sommerso viene considerata come parte della tutela dell’ambiente marino[13].

La deliberazione del Consiglio dei ministri è necessaria poiché l’istituzione dell’area ecologica è una decisione che può condizionare i rapporti internazionali con gli altri Stati costieri ponendo risvolti di politica estera, ivi compresi quelli relativi ai traffici marittimi internazionali [14].

Anche alla luce di quest’ultima considerazione colpisce che il legislatore nel disciplinare il procedimento non abbia considerato, neppure con funzioni consultive, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti: tale aspetto non può essere spiegato se non come una semplice dimenticanza ed è auspicabile che, in ogni caso, nel corso dell’istruttoria il Ministero dell’Ambiente acquisirà il parere del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti[15].

3. I limiti delle zone di protezione ecologica

3.1. Gli accordi internazionali

Le zone di protezione ecologica previste dalla legge 8 febbraio 2006 n. 61 sono una parziale attuazione della zona economica esclusiva, pertanto anche la loro delimitazione risente delle stesse difficoltà che sorgono per la delimitazione delle zone economiche esclusive[16].

In particolare, l’articolo 57 della Convenzione di Montego Bay pone soltanto il limite massimo di estensione in 200 miglia marine oltre la linea di base, mentre l’articolo 74 disciplina la delimitazione di ZEE tra Stati frontisti o adiacenti.

Se l’andamento delle coste fosse perfettamente regolare e le ricchezze del mare, biologiche e non, fossero pienamente rispettose dei confini fissati dall’uomo, non si verificherebbe alcuna controversia e basterebbe proiettare i confini terrestri sul mare per ottenere il pieno accordo tra gli Stati. Purtroppo l’andamento irregolare delle coste e la presenza di isole fanno sì che proiettando sul mare i confini terrestri, fissati spesso a seguito di processi storici secolari, non si determina affatto una situazione di equa distribuzione delle ricchezza del mare.

Questo aspetto della realtà politica e geografica degli Stati costieri è stato trasfuso nella disciplina dell’articolo 74 che, infatti, non si limita a stabilire il principio secondo cui la delimitazione della ZEE deve avvenire per accordo, ma stabilisce anche che l’accordo deve essere ispirato al principio dell’equità.[17]

Il lungo procedimento necessario per la conclusione di un accordo internazionale rischia di paralizzare ogni tentativo degli Stati di sfruttare o semplicemente tutelare le risorse marine; per questo è stato necessario stabilire un criterio provvisorio di delimitazione. Tuttavia, mentre per la delimitazione della ZEE l’articolo 74 della Convenzione di Montego Bay fa espresso riferimento ad un accordo provvisorio, senza precisarne i criteri, la legge 8 febbraio 2006 n. 61 stabilisce come criterio provvisorio il riferimento alla linea mediana[18].

In ogni caso, anche per le zone di protezione ecologica il principio della linea mediana non è da solo sufficiente a garantire la temporanea tolleranza tra gli Stati interessati alla delimitazione. In particolare è necessario anche verificare situazioni in cui , nello spirito di buon vicinato tra Stati, potrà apparire conveniente una delimitazione che non coincida per difetto con la linea mediana, al fine di non creare nuovi contenziosi o riaprirne di antichi.[19].

3.2. Il principio della linea mediana

Il principio dell’equidistanza senza ulteriori correzioni rimane un principio accettabile solo temporaneamente: infatti, alla semplicità di determinazione della linea mediana non si aggiunge necessariamente l’equità nella distribuzione delle risorse marine; lo Stato le cui coste hanno un andamento concavo viene danneggiato se il suo stato frontista ha l’andamento delle coste convesso; analogamente, la stessa disparità avviene in caso di Stati adiacenti con confini rispettivamente di forma concava e convessa, ovvero in presenza di isole al di là della linea mediana. Inoltre, l’equità delle distribuzione dello spazio non necessariamente coincide con l’equa distribuzione delle ricchezze che possono essere concentrate in una ristretta area[20].

Si rileva che molti Stati costieri tendono a far coincidere la delimitazione della piattaforma continentale con la delimitazione degli altri spazi marini. Questa tendenza è particolarmente importante per l’Italia, non solo in considerazione della sua posizione centrale nel Mediterraneo ma anche perchè l’Italia è lo Stato mediterraneo che ha concluso il maggior numero di accordi internazionali in materia di delimitazione della piattaforma continentale[21]. Detti accordi potrebbero essere utili anche per stabilire il limite esterno delle nuove zone di protezione ecologica.

4. Il regime giuridico delle zone ecologiche

4.1. L’applicazione delle norme italiane in materia di inquinamento

A seguito dell’istituzione delle zone di protezione ecologica, in forza di quanto sancito dall’articolo 2 della legge 8 febbraio 2006 n. 61, sarà possibile estendere la giurisdizione italiana in materia di protezione dell’ambiente marino all’interno di tali zone e applicare le norme del diritto italiano, del diritto comunitario e le norme dei trattati internazionali in vigore per l’Italia anche alle navi straniere[22].; il tutto però nei limiti dell’articolo 73 della convenzione UNCLOS da interpretarsi tenendo conto anche dell’articolo 211.

Solo quando le specifiche esigenze di protezione dell’ambiente marino di una area particolare e chiaramente definita richiedono una tutela maggiore rispetto a quanto previsto dalle norme internazionali viene consentito allo Stato costiero di adottare norme di tutela più rigorose rispetto agli standards internazionali, anche se la zona da proteggere è al di fuori del mare territoriale ma all’interno della zona economica esclusiva (articolo 211.6 della Convenzione di Montego Bay). La zona di protezione ecologica è quindi assimilabile ad una Particularly Sensitive Sea Areas , prevista anche dal citato articolo 211 UNCLOS e di cui tratta dettagliatamente la risoluzione IMO A. 927(22)[23].

Pertanto, se si considerano le zone di protezione ecologica come aree particolarmente sensibili all’interno della ZEE, è possibile imporre alle navi straniere norme più restrittive degli standards dell’IMO, ed in particolare della convenzione MARPOL senza violare le norme del diritto internazionale. Non sarà necessario proclamare una ZEE italiana per avvalersi delle norme della Convenzione di Montego Bay, dal momento che le zone di protezione ecologica sono una parziale attuazione della ZEE.

Il principio generale trova origine nella consuetudine: esso sancisce l’obbligo degli Stati di preservare e tutelare il mare ed il patrimonio in esso contenuto[24].

Si è anche in linea con la tendenza del diritto marittimo internazionale ad espandere i poteri amministrativi e giurisdizionali dello Stato costiero per prevenire danni alle proprie coste anche quando la violazione delle norme in materia di prevenzione sia avvenuta al di fuori del mare territoriale e la nave batte bandiera straniera.[25]

Un ultimo accenno merita l’aspetto sanzionatorio. Come è noto, l’articolo 20 della legge 979/82 prevede, in caso di violazione alle norme sulla discarica, l’applicazione di sanzioni penali a carico del comandante ed in determinati casi anche il suo arresto. Tuttavia, a seguito all’entrata in vigore della convenzione di Montego Bay, questa norma dovrebbe essere rivista dato che l’articolo 230.2 della citata convenzione prevede, come principio generale, l’applicazione di sanzioni amministrative in caso di inquinamento, lasciando le sanzioni penali solo per i casi più gravi commessi nelle acque territoriali[26]. Alla luce di questa considerazione, in caso di violazione alla disciplina della tutela del mare nelle zone di protezione ecologica da parte di una nave straniera dovrà esser applicata solo una sanzione pecuniaria.

La legge 61/06 espressamente prevede che nell’ambito delle zone di protezione ecologica istituite ai sensi dell’articolo 1 l’Italia esercita la propria giurisdizione, (articolo 2.1) ma qualche perplessità suscita la possibilità di imporre la giurisdizione con l’uso della forza nei confronti delle navi che hanno causato un inquinamento oltre il limite esterno del mare territoriale, ricorrendo a quanto disposto dall’articolo 73 UNCLOS, sempre che non si rientri nei casi espressamente previsti dal diritto internazionale marittimo. Ciò perché il citato articolo 73 UNCLOS sembra riferirsi soprattutto alle forma di tutela e reazione  contro i comportamenti che arrecano un danno alle risorse economiche dello Stato costiero e non sembra adatto ai soli fini di tutela dell’ambiente[27].

Al contrario sarebbe auspicabile un uso della forza ispirato all’articolo 221 della Convenzione Montego Bay che consente in alto mare l’adozione di misure proporzionate al danno subito o prevedibile.

D’altro canto anche all’interno della ZEE, lo Stato costiero è deputato a preservare l’ambiente marino anche per adempiere al generale obbligo di conservazione dell’ambiente marino che grava su tutti gli Stati in quanto appartenenti alla comunità internazionale[28].

Rimangono ferme le regole previste dalla Convenzione Intervention 1969[29] che essendo applicabili in alto mare lo saranno anche in una zona di tutela ecologica.

Nelle zone di protezione ecologica non sarà ammissibile il rilascio volontario di rifiuti (dumping) senza il preventivo consenso dello Stato italiano. Ciò è reso ancora più attuale dalla ratifica italiana, con la legge 13 febbraio 2006 n. 87, del protocollo 1996 alla Convenzione del 1972 sulla prevenzione dell’inquinamento dei mari causato dall’immersione dei rifiuti.

Considerata la morfologia delle coste italiane, compreso il Mare Adriatico, è difficilmente ipotizzabile una minaccia alle zone di protezione ecologica causata da un inquinamento terrestre da parte di un altro Stato costiero.

4.2. Le acque di zavorra

Poiché la legge 61/06 fa espresso riferimento all’inquinamento causato dalle acque di zavorra si evidenzia che la disciplina giuridica sulla discarica delle acque di zavorra contaminate dal carico è prevista dalla MARPOL 73/78[30]. Si noti che benché le acque di zavorra vengono ormai raramente a contatto con gli idrocarburi, la loro movimentazione, indipendentemente dal tipo di nave che lo effettua, è un potenziale pericolo per l’ambiente marino. Infatti, insieme alle acque di zavorra sono movimentati organismi invasivi e patogeni che vengono così spostati da una parte all’altra del mondo: per comprendere meglio il problema si pensi ad una nave che dopo avere scaricato in Australia, imbarca acqua di zavorra e la trasporta, con gli organismi tipici dell’habitat australiano, fino nel Nord Europa dove approda perb caricare nuovamente e rilasciare la zavorra. Benché molti organismi non sopravvivono quando vengono trasferiti da un habitat all’altro, ve ne sono alcuni che non solo sopravvivono ma diventano addirittura invasivi sostituendosi agli organismi originari e causando uno stravolgimento ecologico[31].

Per contenere il fenomeno l’IMO ha adottato la risoluzione A 868 (20) che fornisce alcune indicazioni per controllare, monitorare e limitare il fenomeno. Un importante complemento all’istituzione delle zone ecologiche sarebbe costituito dal recepimento nell’ordinamento italiano della predetta risoluzione IMO.

4.3. La tutela del patrimonio archeologico sommerso

L’articolo 2 della legge 61/06 consente nelle zone di protezione ecologica anche la tutela del patrimonio archeologico e storico sommerso.

La convenzione di Montego Bay permette allo Stato costiero di istituire una zona archeologica, tramite il combinato disposto degli articoli 33 e 303[32]. In particolare, l‘articolo 303 consente allo Stato costiero di vietare, senza la sua approvazione, la rimozione dal fondo del mare oggetti aventi rilevanza archeologica.

Il potere dello Stato costiero previsto dall’articolo 303.2 della convenzione di Montego Bay in materia di rimozione degli oggetti di natura storica o archeologica non incidono comunque sul regime privatistico ed in particolare sulla loro proprietà[33]. Per quanto attiene alle ai relitti di navi, che costituiscono indubbiamente la maggior parte dei beni archeologici sommersi, il potere dello Stato di bandiera cessa con la perdita del carattere di nave, salvo che si tratti di navi militari per le quali lo Stato di bandiera rimane titolare dei propri diritti.[34].

Per restare nei limiti del diritto internazionale l’estensione della zona di tutela archeologica non deve superare le 24 miglia dalla linea di base; la preventiva proclamazione della zona di protezione ecologica in cui esercitare anche la tutela archeologica consente di superare l’ostacolo della preventiva dichiarazione della zona contigua[35]. Oltre le 24 miglia, fino a quando non entrerà in vigore la Convenzione UNESCO del 2001, anche all’interno della ZEE lo Stato costiero non ha più il potere esclusivo di rimozione dato che i beni archeologici, secondo l’orientamento prevalente, non sono assimilabili a risorse naturali né la loro ricerca può essere considerata come ricerca scientifica[36], salvo accedere ad una autorevole teoria secondo cui la presenza da tempo immemorabile sul fondo del mare di un bene archeologico lo rende parte integrante dello stesso ambiente marino [37]

Nei limiti sopra esposti si applicherà la disciplina italiana in materia di tutela dei beni archeologici nelle zone istituite ai sensi della legge 61/06. Come è noto, poiché nell’ordinamento italiano non esiste una disciplina specifica in tema di beni culturali sommersi, essa si deve trarre dalla disciplina generale dei beni archeologici e da alcune norme del codice della navigazione. Tale ultime norme sono prevalenti rispetto alle norme generali poiché la disciplina marittima è speciale rispetto a quella generale.

In particolare gli articoli 510 e 511 del codice della navigazione prevedono la supremazia del diritto del proprietario rispetto agli interessi dello Stato. Poiché l’accertamento della proprietà dei beni archeologici trovati fortuitamente potrebbe comprometterne la tutela si distingue tra res vacuae possessionis (cioè gli oggetti abbandonati che continuano ad avere un proprietario che ne ha perso solo il possesso) e res vacuae domini ( cioè gli oggetti abbandonati da lungo tempo ormai prive di proprietario). Per questi ultimi oggetti sarebbe applicabile pienamente la disciplina speciale in materia di beni culturali piuttosto che le norme del codice della navigazione [38].

La soluzione sull’aspetto dominicale del bene archeologico è particolarmente importante perché la proprietà del bene influisce notevolmente sulla reale conservazione e tutela del bene[39].

In considerazione della normativa attualmente vigente, un ruolo di primo piano spetta alle amministrazioni regionali.

Bisogna notare che da tempo altri Stati costieri del Mediterraneo hanno esteso la tutela archeologica alle proprie piattaforme continentali, per cui la scelta italiana, anche in questo campo, si pone in linea con la prassi seguita nel Mediterraneo[40].

4.4. L’esclusione delle norme in materia di pesca

Per espressa previsione normativa, contenuta nell’articolo 2 della legge 61/06. le zone di protezione ecologiche non riguarderanno l’attività di pesca.

Questa affermazione di principio è perfettamente comprensibile in quanto l’estensione alle attività di pesca avrebbe di fatto annullato la distinzione tra zona di protezione ecologica e zona economica esclusiva nel senso pieno del termine[41]. Inoltre, l’istituzione unilaterale anche di semplici zone di protezione delle attività di pesca[42] o di eventuali zone di ripopolamento[43] avrebbe causato senza dubbio l’infrazione all’obbligo di cooperazione in materia di pesca tra stati appartenenti all’Unione europea. La pesca è una materia ormai di competenza della stessa Unione Europea per cui qualsiasi decisione unilaterale in materia è certamente censurabile dalla stessa Unione. [44].

Tuttavia, occorre precisare che la distinzione tra la materia di pesca e le finalità ecologiche di protezione dell’ambiente marino non sono così lontane. Molte norme in materia di disciplina dell’attività di pesca non sono determinate da finalità economiche ma di protezione dell’ ambiente; è noto a tutti come la mancanza di selettività degli attrezzi da pesca impiegati o la pesca intensiva di determinate specie possono danneggiare l’ecosistema marino.

Ad esempio il Regolamento comunitario 338/97 in data 9 dicembre 1996 non rientra soltanto tra le norme in materia di pesca poiché individua alcune specie marine protette delle quali solo in via consequenziale è vietata le pesca come misura necessaria per la difesa dell’ambiente marino.

In altre parole nelle zone di protezione ecologica neppure le navi straniere ed in particolare extra comunitarie potranno catturare specie marine protette o porre in essere attività di pesca che siano direttamente dannose per l’ecosistema marino. Poiché i confini tra la tutela dell’ambiente e la disciplina dell’attività di pesca è particolarmente sottile è auspicabile che tale complesso aspetto venga trattato, e possibilmente approfondito, dal decreto di istituzione delle singole zone di protezione ecologica.

5. La vigilanza nelle aree ecologiche: compiti ed oneri

La vigilanza delle zone ecologiche sarà affidata gli stessi soggetti istituzionali che già sono chiamati a vigilare il mare territoriale e le acque internazionali per altre ragioni. Tuttavia un ruolo fondamentale verrà assunto dalla Guardia Costiera non solo perché è specializzata in materia di controllo ambientale e in polizia della pesca ma anche in quanto già dispone dei mezzi necessari per tale tipo di sorveglianza.

Suscita qualche perplessità la constatazione, evidenziata anche durante i lavori preparatori[45], secondo cui per la vigilanza delle zone di protezione ecologica non saranno necessari oneri aggiuntivi per la finanza statale in quanto l’attuale stato di controllo del mare da diversi enti e per diversi fini non causerà la necessità di nuove spese.

Molto dipenderà dalla ampiezza delle zone ecologiche e soprattutto dall’intensità ed efficacia del controllo che si vorrà esercitare in dette zone: infatti, per garantire pienamente l’applicazione delle norme in materia di protezione ambientale si dovrà necessariamente aumentare il numero di missioni di vigilanza rispetto a quelle attuali, con un maggiore impiego di uomini e mezzi. Diversamente, senza risorse aggiuntive per il controllo, l’efficacia della protezione potrebbe essere compromessa.

 



[1] LAVORI PREPARATORI, Senato, seduta n. 949 del 31 gennaio 2006.

[2] In accordo con il diritto consuetudinario la convenzione di Montego Bay regolamenta la zona economica esclusiva ma non prevede la zona di protezione ecologica. Comunque lo Stato costiero non è obbligato ad esercitare tutti i poteri previsti dalla disciplina sulla ZEE è può legittimamente esercitarne solo una parte. Sulla legittimità della zona ecologica come parziale attuazione della ZEE v. CATALDI, L’Italia e la delimitazione degli spazi marini. Osservazioni sulla prassi recente di estensione della giurisdizione costiera, in Rivista di Diritto internazionale, 2004, p. 621

[3] LAVORI PREPARATORI, Senato, cit. In particolare sulla Croazia v. ORZAN, La tutela del mare Mediterraneo: il provvedimento croato di protezione della pesca e dell’ambiente marino, in La comunità internazionale, 2005, p. 487.

[4] Sulla possibilità di istituire la ZEE nel Mare Mediterraneo esistono molte tesi: si segnala in particolare LEANZA Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, Torino, 1993, p. 361.364,  in cui si prospetta che la possibile istituzione della ZEE da parte di tutti gli stati costieri comporterebbe la scomparsa della porzione dell’alto mare causando una modifica dello stato giuridico del mediterraneo finora esistente, e la tesi di CAFFIO Glossario di diritto del mare, Rivista marittima, 2001, p.143,  in cui si prende in considerazione anche l’impossibilità spaziale per gli Stati costieri di istituire una ZEE di 200 miglia marine in modo unilaterale dato che in nessun punto nel mare mediterraneo le coste distano più di 400 miglia e quindi si causerebbe un contenzioso con gli altri stati.

[5] In tal senso v. LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, cit., p. 363

[6] Ancorché non si è trattato di delimitare una ZEE si pensi alle difficoltà sorte intorno al c.d. Mammellone e alle misure che è stato necessario intraprendere per tutelare gli interessi economici italiani. Sul punto si veda CAFFIO Glossario di diritto del mare,p. 84  cit. e RONZITTI, Le zone di pesca nel Mediterraneo e la tutela degli interessi italiani, Rivista Marittima, 1999.

[7] La convenzione di Barcellona del 1976 come modificata nel 1995, con i suoi diversi protocolli settoriali può essere considerato il perno del sistema di tutela del Mar Mediterraneo dall’inquinamento. Il sistema di Barcellona si articola su tre livelli: il primo è costituito dalla stessa Convenzione che costituisce il quadro programmatico; il secondo è costituito dai protocolli settoriali che assicurano l’attuazione della convenzione; il terzo livello è costituito dagli accordi sub-regionali. Il sistema di Barcellona, se effettivamente attuato, sarebbe un importante contributo per la realizzazione del “governo del mare” costituendo una concezione più moderna rispetto al tradizionale principio della “tutela del mare”  v. LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, cit., p. 516 e ss.; LEANZA, Le convenzioni internazionali sulla protezione del mediterraneo contro l’inquinamento marino, Napoli, 1992; CAMARDA, L’evoluzione della normativa internazionale comunitaria e nazionale vigente in materia di sicurezza della navigazione e prevenzione dell’inquinamento marino, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2001 p. 699.

[8] Il Santuario dei Cetacei è stato istituito con accordo tra Monaco, Francia e Italia firmato il 25 novembre 1999, e comprende la zona compresa tra Punta Escampobariou, Capo Falcone, Capo Ferro e la foce del Chiarore. La tutela però non è erga omnes non potendo riguardare stati terzi: questo differenzia profondamente il Santuario da una zona di protezione ecologica. V. CAFFIO, Glossario di diritto del mare, cit., p. 110

[9] Altri stati mediterranei hanno emanato atti finalizzati a tutelare i propri interessi economici ed ecologici. In particolare, oltre alla citata legge Francese hanno suscitato preoccupazione i provvedimenti adottati da Spagna e Croazia v. LAVORI PREPARATORI, Senato, cit..

[10] Sulle riserve marine v. CAMARDA - MICCICHÈ, Le riserve marine nell’ottica pluriordinamentale, in Diritto marittimo, 2001, p. 399.

[11] La linea guida distingue tra aree speciali ai fini MARPOL (SA) ed aree particolarmente sensibile (PSSA). La prima (SA) si configura come un’area in cui la protezione dell’ambiente è limitato ad un solo aspetto, cioè quello legato agli scarichi provenienti dalle navi. Al contrario nelle seconde (PSSA) la protezione dell’ambiente marino riguarda una serie più ampia di rischi e fattori, pur sempre legati alla navigazione internazionale; inoltre nelle PSSA è possibile individuare misure di tutela provenienti da fonti diverse dalla MARPOL, come la consuetudine, altre convenzioni o risoluzioni IMO. RAK, Le nuove linee guida dell’organizzazione marittima internazionale (IMO) per la designazione di aree speciali e di aree marine particolarmente sensibili, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2002 p. 591.

[12] La proclamazione unilaterale di zone economiche esclusive ovvero di altre zone  marine in cui lo stato costiero estende alcuni dei suoi poteri limitando quelli degli altri stati, nel mare mediterraneo è sempre stata fonte di controversia. Anche prima che la Convenzione di Montego Bay introducesse il concetto di zona economica esclusiva nel mare mediterraneo erano sorte alcune controversie per le zone di pesca e per le zone di ripopolamento, così come per la delimitazione della piattaforma continentale. Per una breve sintesi delle vicende che hanno riguardato più da vicino l’Italia v. RONZITTI, Le zone di pesca nel Mediterraneo e la tutela degli interessi italiani, cit. p. 66 e ss.

[13] Anche per l’ambiente marino vale il principio affermato dalla Cassazione secondo cui l’ambiente è una nozione unitaria e comprensiva delle risorse culturali; ciò è ancora più evidente quando l’opera dell’uomo giace sul fondo da molto tempo formando un tutt’uno con  l’ambiente marino. In tal senso v. CAMARDA, Soccorso in mare e tutela dell’ambiente, in Rivista dell’ambiente, 1997, p. 762

[14] La competenza del consiglio dei ministri in materia può essere fatta discendere direttamente dall’articolo 2 della legge 23 agosto 1988 n. 400. In tal senso VIRGA, Diritto amministrativo, I, Milano 1999 p. 63 e in linea generale CUOCOLO, Consiglio dei Ministri, in Enc. Dir. IX,  p. 237

[15] Si consideri, infatti, che a seguito della soppressione del Ministero della Marina Mercantile e all’inserimento del Ministero dei Trasporti  e della Navigazione nel Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (in cui è inserito anche il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto), esso è il ministero competente in materia di navigazione marittima per tutte le questioni che non sono strettamente inerenti l’ambiente marino. Si noti anche che ai sensi dell’articolo 83 del Codice della navigazione la decisione di vietare o limitare tratti di mare territoriale al transito o alla sosta di navi mercantili per motivi di protezione ambientale è assunta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il ministero dell’ambiente.

[16] Le difficoltà nel delimitare la ZEE, come si è anche chiarito in precedenza, ha di fatto reso inattuabile l’istituto della ZEE nel Mar Mediterraneo che oltre ad essere una importante via di comunicazione internazionale è anche un mare semi chiuso. D’altro canto bisogna notare che la nascita dell’istituto della ZEE è frutto del compromesso raggiunto durante la Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare ed è stato voluto soprattutto dagli stati le cui coste si affacciano nell’oceano. Infine, per meglio comprendere le difficoltà che sono connesse non solo alla delimitazione ma anche alla proclamazione della ZEE si pensi al caso degli stati isola che proclamando la propria ZEE avrebbero a disposizione una fascia di mare migliaia di volte più estesa del loro territorio. V. CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 2002 p. 271; LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, cit. p. 342, 354 e ss.. Come opera generale DEL VECCHIO, Zona Economica Esclusiva e stati costieri, Firenze, 1984. Inoltre per quanto attiene l’Italia in particolare v. CATALDI, L’Italia e la delimitazione degli spazi marini. Osservazioni sulla prassi recente di estensione della giurisdizione costiera,  cit. p.621

[17] Il principio dell’equità trova il suo autorevole fondamento nella sentenza della Corte internazionale di giustizia del 1969 in ordine alla controversia sorta tra Repubblica Federale Tedesca ed Olanda circa la delimitazione della piattaforma continentale nel Mare del Nord. Tale principio è stato trasfuso nel citato articolo 74 della convenzione di Montego Bay. V. CONFORTI, Diritto Internazionale, cit. p. 273.

[18] Il testo dell’articolo 74 è stato anche oggetto di critiche poiché si ritiene poco “pratico” affermare che in attesa di un accordo definitivo si deve comunque addivenire ad un accordo provvisorio. Inoltre è stato anche criticato il principio secondo cui l’accordo deve ispirarsi all’equità, poiché quando un accordo di delimitazione concluso esso resta valido a prescindere dal fatto che i criteri seguiti siano equi o iniqui, salvo affermare che il criterio dell’equità assurga a regola di jus cogens.  V. CONFORTI, Diritto Internazionale, cit. p. 274

[19] Il principio dell’equidistanza rimane il cardine della delimitazione anche se per ragioni di equità è necessario correggerlo con altri criteri che tengano conto della morfologia delle coste e della reale distribuzione delle risorse. V. CONFORTI, Diritto Internazionale, cit. p. 273, 274

[20] La stessa giurisprudenza internazionale, trattando delle controversie in materia di delimitazione della piattaforma continentale ha fornito dei criteri pratici che è possibile seguire nel corso della delimitazione per compensare le “iniquità” del principio dell’equidistanza. V. CONFORTI, Diritto Internazionale, cit. p. 274  LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, cit. p 281 e ss.

[21] V. CATALDI, L’Italia e la delimitazione degli spazi marini. Osservazioni sulla parassi recente di estensione della giurisdizione costiera, cit. p. 626 e ss.

[22] Infatti, nei lavori preparatori emerge chiaramente la convinzione che, a seguito dell’istituzione delle zone di tutela ecologica, in esse si potrà limitare l’inquinamento applicando le leggi italiane. LAVORI PREPARATORI, Senato, cit. I rapporti tra le leggi italiani e le convenzioni internazionali in materia di prevenzione dell’inquinamento, in particolare tra la legge 979/82 e la MARPOL 73/78 hanno dato luogo a diverse controversie giudiziali con orientamenti giurisprudenziali differenti fini alla pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 1998. Sulla predetta sentenza e sui rapporti tra legge 979/81 e MARPOL 73/78 V.: CAMARDA, Misure preventive e di soccorso in tema di inquinamento del mare e sicurezza della Navigazione, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2003 p.1087; RAK, Le nuove linee guida dell’organizzazione marittima internazionale (IMO) per la designazione di arre speciali e di aree marine particolarmente sensibili, cit. p.591; CAMARDA, L’evoluzione della normativa internazionale comunitaria e nazionale vigente in materia di sicurezza della navigazione e prevenzione dell’inquinamento marino, cit. p.699; ROSAFIO, Sulla successione di leggi nel tempo: legge sulla difesa del mare e Convenzione MARPOL, in Diritto dei trasporti, 1999 p.629; MERIALDI,. Legge 979/ 1982 e Convenzione MARPOL: La Cassazione penale si pronuncia a sezioni unite, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1999 p. 249; MERIALDI, Legge 979/1982 e Convenzione MARPOL: la Cassazione cambia indirizzo, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1997 p. 917; MERIALDI, Il Contrasto tra norme interne e Convenzione MARPOL: diritto internazionale del mare, codice penale e possibili sviluppi normativi, in Rivista giuridica dell’ambiente,1997 p. 683; SCOVAZZI, Inquinamento marino da navi. L’illuminazione in un contesto indigesto, in Rivista giuridica dell’ambiente,1997 p. 750; RONCELLI, Inquinamento da navi, in Rivista giuridica dell’ambiente,1996 p. 736; DI LEO; La tutela del mare: la legge n. 979/82 e la convenzione MARPOL, in Il Diritto marittimo, 1995, p. 505.

[23] V. RAK, Le nuove linee guida dell’organizzazione marittima internazionale (IMO) per la designazione di aree speciali e di aree marine particolarmente sensibili cit. Vedi anche la precedete nota 10.

[24] Tale principio può essere anche considerato come codificato nella stessa convenzione di Montego Bay, in particolare nella sezione 6^. V. CAMARDA, L’evoluzione della normativa internazionale comunitaria e nazionale vigente in materia di sicurezza della navigazione e prevenzione dell’inquinamento marino, cit. p. 705

[25] V. CAMARDA, L’evoluzione della normativa internazionale comunitaria e nazionale vigente in materia di sicurezza della navigazione e prevenzione dell’inquinamento marino, cit. p. 705.

[26]  In tal senso v. MERIALDI, Legge 979/ 1982 e Convenzione MARPOL: La Cassazione penale si pronuncia a sezioni unite,cit. p. 265.

[27] Alcune perplessità in particolare hanno sucitato il comportamento delle Autorità francesi  nei confronti della petroliera italiana San Matteo per un inquinamento causato all’interno della zona di protezione ecologica francese. V. CAFFIO, A che serve una marina, in Rivista Marittima, Novembre 2005, p. 21

[28] V. LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, cit. p. 485; DEL VECCHIO, Zona Economica Esclusiva e stati costieri,  cit. p. 168.

[29] V. CONFORTI, Diritto Internazionale, cit. p. 289

[30] La Convenzione MARPOL 73/78 contiene la disciplina del lavaggio delle cisterne delle petroliere nell’annesso I mentre la disciplina del lavaggio delle cisterne delle chimichiere è contenuto nell’annesso II.

Per le acque di lavaggio delle cisterne delle petroliere si precisa che l’annesso I della MARPOL consente a determinate condizioni lo scarico in mare a condizione che la nave stia navigando al di fuori delle aree speciali e ad una distanza dalla costa superiore alle 50 miglia. Dentro le aree speciali lo scarico delle acque di lavaggio è proibito salvo che si tratti di zavorra segregata (cioè mai in contatto con il carico) o di zavorra pulita (cioè non lasci alcun alone sull’acqua, l’effluente sia inferiore a 15 p.p.m. e provenga da una cisterna lavata con greggio e risciacquata con acqua.

Per le acque di lavaggio delle cisterne delle chimichiere si precisa che l’annesso II della MARPOL consente a determinate condizioni lo scarico in mare e che il mare Mediterraneo non è considerato area speciale.

[31] Il Mare Mediterraneo è particolarmente esposto all’invasione di organismi allogeni in quanto le sue acque sono più sensibili di altre al riscaldamento e da tempo in comunicazione naturale con il Mar Rosso a seguito dell’apertura del canale di Suez. Anche per questo motivo gli organismi tropicali trasportai nel Mare Mediterraneo con le acque di zavorra trovano un ambiente particolarmente favorevole per proliferare. V. MOJETTA, Gli alieni fra noi, in National Geographic Italia, Marzo 2006 p.46.

[32] Sulla zona archeologica v. CAFFIO, Glossario di diritto del mare, cit., p. 138. LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo,  cit. p. 253 e ss.

[33] La tutela della proprietà dei relitti è molto antica ed è strettamente connesso all’evoluzione giuridica dei relitti  ed al ius naufragii. Infatti la necessità di tutelare la proprietà dei relitti era tanto più forte quanto più rischioso era l’andare per mare. Su tale aspetto di natura storica e sull’evoluzione giuridica connessa allo ius naufragii v. CORRIERI, Il Consolato del mare, Roma, 2005 p. 203 e ss.

[34] In tal senso TREVES, Stato costiero e archeologia sommersa, in Rivista di Diritto internazionale, 1993, p. 705

[35] Infatti, la possibilità di esercitare i poteri di tutela sul patrimonio archeologico previsti dall’articolo 303 della convenzione di Montego Bay, trova il suo fondamento nella preventiva proclamazione della zona contigua. Lo stesso articolo 303 della convenzione prevede che i poteri di tutela archeologica possono essere esercitati in attuazione dell’articolo 33 V CAFFIO, Glossario di diritto del mare, cit., p. 138.

[36] In tal senso TREVES, Stato costiero e archeologia sommersa, cit. p. 706.

[37] In tal senso, v.  CAMARDA, Soccorso in mare e tutela dell’ambiente, cit. p. 762

[38] AA.VV., Competenze amministrative e normative della regione siciliana in tema di tutela e gestione del patrimonio archeologico sommerso, Palermo, 2005, in particolare p. 30 e ss.

[39] V. CAMARDA, La normativa nazionale ed internazionale per la protezione del patrimonio culturale subacqueo nel Mediterraneo. Considerazioni introduttive ad un recente convegno in Competenze amministrative e normative della regione siciliana in tema di tutela e gestione del patrimonio archeologico sommerso, cit. p. 63.

[40] V. LEANZA, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo,  cit. p. 266.

[41] V. CATALDI, L’Italia e la delimitazione degli spazi marini. Osservazioni sulla prassi recente di estensione della giurisdizione costiera, cit,. p .621 e ss.

[42] Un esempio in tal senso è dato dal recente provvedimento croato. V.  ORZAN, La tutela del mare Mediterraneo: il provvedimento croato di protezione della pesca e dell’ambiente marino, cit. p. 487 e ss., Le zona di pesca sono il predecessore delle zone economiche esclusive per cui non c’è traccia delle zone di pesca nella convenzione di Montego Bay sul diritto del mare ma non si può escluderne la legittimità in base alla consuetudine. La convenzione di Montego Bay attribuisce nella ZEE poteri più ampi allo stato costiero rispetto a quanti ne erano previsti nelle zone di pesca . A seguito della nascita della ZEE gli stati che avevano proclamato una zona di pesca hanno proceduto in modo diverso: alcuni hanno conservato le zone di pesca, altri le hanno convertite in ZEE altri hanno ampliato i poteri sulle zone di pesca fino a renderla nei fatti una ZEE. Sulle zona di pesca v. RONZITTI, Le zone di pesca nel Mediterraneo e al tutela degli interessi italiani, cit.

[43] La zona di ripopolamento ittico , tra cui rientra il c.d. Mammellone, è una zona in cui lo stato costiero vieta la pesca alle proprie unità ai fini di consentire la riproduzione di talune specie marine. Nel caso del Mammellone, anche a causa della nota controversia con la Tunisia, il divieto di pesca è stato sancito dal decreto ministeriale 25 settembre 1979 solo per le navi di bandiera italiana e non erga omnes, ma vale notato che citato decreto qualifica esplicitamente la zona come una porzione di “alto mare”. V. RONZITTI, Le zone di pesca nel Mediterraneo e al tutela degli interessi italiani, cit. p. 37 CAFFIO, Glossario di diritto del mare, cit. p.84.

[44] Sulle controversie che possono nascere a seguito di una decisione unilaterale in materia di pesca assunta da uno stato membro v. ORZAN, La tutela del mare Mediterraneo: il provvedimento croato di protezione della pesca e dell’ambiente marino, cit. p. 487 e ss. V. RONZITTI, Le zone di pesca nel Mediterraneo e al tutela degli interessi italiani, cit. p 50 e ss.

[45] V. LAVORI PREPARATORI, Senato, cit.

 

Data di pubblicazione: 15 giugno 2006.