Il sale and
lease back nella giurisprudenza della Suprema Corte
Giovanna Cucinella
Per anni dottrina e
giurisprudenza si sono occupati della questione del sale and lease – back (o leasing di ritorno), contratto atipico
nato nella pratica commerciale come evoluzione di un ulteriore atto negoziale
atipico, seppur ormai di utilizzo consolidato nel mondo economico, quale è il
leasing.
L’incerta qualificazione
giuridica ha dato il via ad una evoluzione del pensiero che solo di recente è
approdato ad una visione univoca tale da definire il sale and lease – back come
contratto atipico da inquadrare “in uno schema dotato di una sua
qualificante tipicità sociale” (cfr. Corte di Cassazione n. 4612 del
07/05/1998).
Il contratto di sale and lease
– back, infatti, non trova disciplina nel codice civile. Introdotto nella
prassi dei rapporti commerciali quale espressione dell'autonomia negoziale riconosciuta
alle parti di cui all'art. 1322 del c.c. , ha geneticamente nel leasing il proprio antecedente storico.
Vero è che in epoca
risalente il contratto di lease-back è stato, persino, dichiarato nullo da una
certa giurisprudenza[1] in
quanto ritenuto sostanzialmente riconducibile ad un mutuo assistito da garanzia
reale e, quindi, in contrasto con il divieto del patto commissorio di cui
all’art. 2744 c.c., ma è altrettanto indiscutibile che non si possa, sulla
scorta degli ordinari canoni di interpretazione dei contratti di cui agli
artt.1362-1371 del Codice Civile, tout
court ravvisare in ogni contratto di lease-back un mutuo assistito da
garanzia reale pur in mancanza di una prova specifica e rigorosa della
simulazione posta.
Ciò per la semplice ragione
che laddove la volontà dei contraenti è espressa con chiarezza, la ricerca
della comune volontà, attraverso le regole interpretative contenute nelle
predette norme, è – secondo gli orientamenti della Suprema Corte – già esaurita
o, addirittura, esclusa[2] .
Il problema relativo ai
rapporti tra il patto commissorio e la locazione finanziaria di ritorno nasce
dal fatto che la Suprema Corte ha allargato l’ambito di applicabilità dell’art.
2744 c.c. sino a farvi rientrare le cd. <<alienazioni in
garanzia>>, vale a dire quelle vendite che non hanno lo scopo di
trasferire la proprietà di un bene, dietro pagamento del prezzo da un soggetto
ad un altro, bensì quello di costituire in capo al creditore una garanzia su di
un bene affinché possa soddisfarvisi nell’eventualità che il debitore non
adempia l’obbligazione.
Se ci si ferma a tale dato
letterale, potrebbe, (invero) anche sorgere qualche dubbio sulla liceità del
lease – back atteso che quest’ultimo per la sua struttura può essere un mezzo
per eludere l’applicazione della norma imperativa di cui al citato art. 2744
c.c. .
Sennonché nello schema
contrattuale di che trattasi, il trasferimento della proprietà del bene è
effettivamente voluto dalle parti e non può essere ritenuto meramente fittizio
senza che sia provata l’avvenuta simulazione.
Senza considerare, poi, che
nel lease – back non esiste un tipico elemento della alienazione in garanzia e
cioè il preesistente credito da garantire.
Pertanto,
può concludersi che nonostante
l’orientamento giurisprudenziale (peraltro,
come si dirà nel proseguo, ormai superato) teso ad estendere
l’ambito di applicazione dell’art. 2744 c.c., il lease – back non rientri nell’ambito delle fattispecie colpite dal divieto
del patto commissorio.
D’altro canto o v’è in
concreto una prova specifica che la locazione finanziaria di ritorno dissimuli
un mutuo con patto commissorio oppure, in caso contrario, deve ammettersi la
liceità della stessa[3].
Il lease – back si sostanzia
in un negozio bilaterale in cui il proprietario vende un bene ad un soggetto il
quale, a sua volta, cede il bene stesso in locazione finanziaria a colui che in
precedenza ne era stato proprietario. Si è in presenza di un contratto atipico
in cui a fronte dei due negozi, uno di vendita e l'altro di locazione, rileva
un unico rapporto contrattuale[4] .
Nell'ambito di tale
configurazione, i soggetti in causa non
sono due ma tre ed in particolare, l'utilizzatore si obbliga a
restituire il tantundem in denaro,
rapportato al prezzo di acquisto del bene, riservandosi, peraltro, di decidere
alla scadenza del contratto se acquistarne o meno la proprietà. I canoni non
costituiscono il corrispettivo del trasferimento dell'utilità del bene, bensì
del denaro prestato dal concedente (più gli interessi); per cui il passaggio a
quest'ultimo della proprietà del bene, non avendo lo scopo di procurare al
finanziato la disponibilità del bene (dato che questi già l'aveva) riveste una
funzione di mera garanzia. Pertanto, oggetto del finanziamento non è l'utilitas del bene, ma il denaro.
Rileva
E' da rilevare come la
causa finanziaria del contratto di lease – back
- erroneamente - ha indotto ad equiparare tale figura contrattuale
all'operazione di mutuo (delibera SECIT n. 80 del 22 novembre 1988), ex art.
1813 del codice civile, con il quale una parte consegna all'altra una
determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili verso la restituzione
di altrettante cose della stessa specie e qualità.
La giurisprudenza ha affermato
l'autonomia e la legittimità dello schema contrattuale del sale and lease-back
nel momento in cui ha negato l'incompatibilità con il divieto di patto
commissorio ex art. 2744 del codice civile[5].
In particolare, con la
sentenza n. 10805 del 16 ottobre 1995,
Ne consegue che le
caratteristiche che sottostanno a tale schema contrattuale non consentono di
ritenere che esso integri una fattispecie che - in quanto realizzi una
alienazione a scopo di garanzia - si risolva in un negozio atipico, nullo per
illiceità della causa concreta.
Anche sul piano fiscale le
commissioni tributarie da sempre si sono orientate in favore della legittimità
del contratto di leasing di ritorno, tanto è vero che la prima pronuncia in tal
senso è datata 1 giugno 1991.
La delibera del Secit del 7
giugno 1999, n. 55 rappresenta lo spartiacque che consente di identificare la
mutata sensibilità , rispetto alle problematiche oggetto di discussione.
La Circolare del Ministero
delle Finanze del 30 novembre 2000, n. 218/E precisa però che anche il lease-back,
come qualsiasi altro contratto, può essere impiegato per scopi illeciti o
fraudolenti ed in particolare ai fini di violazione o di elusione del divieto
di patto commissorio ex art. 2744 del codice civile. In tal caso le operazioni
effettuate in esecuzione del medesimo contratto, qualificato da causa illecita,
non potrebbero trovare riconoscimento ai fini fiscali.
Peraltro, la stessa Suprema
Corte[6]
ha affermato che gli uffici non possono procedere a riqualificare in termini
sostanziali il rapporto giuridico sottostante al contratto di lease-back,
tranne che nei casi in cui sia possibile rilevare anomalie rispetto al
contratto socialmente tipico. Ove ciò si verificasse, tali anomalie andrebbero
a privare la concreta operazione di quelle connotazioni specifiche, idonee per
attribuire la qualificazione di vendita avente come scopo il leasing anziché di
garanzia. La Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia con circolare 24
maggio 2000, n.
a) la presenza di una
situazione di debito preesistente o contestuale alla vendita tra cedente e
cessionario del bene poi concesso in leasing;
b) il bene che permane nella disponibilità della
società di leasing;
c) la mancanza di interesse
dell'apparente venditore-utilizzatore ad usare il bene oggetto di leasing;
d) la sproporzione tra
valore elevato del bene e prezzo esiguo pagato dalla società di leasing al
venditore-utilizzatore;
e) il tasso di interesse applicato all'operazione,
particolarmente gravoso;
f) l'elaborazione di
vincoli contrattuali che impongono all'utilizzatore la corresponsione di tutti
i canoni fino alla scadenza del contratto, anche nell'ipotesi in cui sia
risolto anticipatamente;
g) la facoltà concessa all'utilizzatore di
sub-locare il bene.
Conclusioni
In definitiva, l’operazione di lease -
back è caratterizzata da uno schema negoziale tipico nel cui ambito il trasferimento
in proprietà del bene all'impresa di leasing rappresenta il necessario
presupposto per la concessione del bene in "locazione finanziaria", e
non è quindi preordinato per sua natura e nel suo fisiologico operare ad uno
scopo di garanzia, né - tanto meno - alla fraudolenta elusione del divieto
posto dall'art. 2744 c.c. (in tal senso, Cass. 06 agosto 2004 n. 15178).
Pertanto, pur dovendosi ammettere che
anche il lease and sale back, come qualsiasi altro contratto, può essere
impiegato per scopi illeciti e fraudolenti (e, in particolare, a fini di
violazione o di elusione del divieto del patto commissorio), deve tuttavia
sottolinearsi che tale ultima ipotesi si realizza solo se, per le circostanze
del caso concreto (difficoltà economiche dell'impresa venditrice, legittimanti
il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza;
sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato
dall'acquirente che confermi la validità di tale sospetto), l'operazione si
atteggi in modo da perseguire un risultato confliggente con il divieto sancito
dall'art. 2744 c.c. (in termini, ad esempio, Cass. 22 aprile 1998, n. 4095).
Pertanto, in base alle
conclusioni cui sono pervenute sia la dottrina che la giurisprudenza[7],
e ribadite da ultimo, dalla Suprema Corte con sentenza n. 13580 del 21 luglio
2004, sempre che non siano rilevabili i motivi di contrasto di cui sopra, le
operazioni di sale e lease-back sono perfettamente legittime, e ciò in quanto “il sale and lease back non è preordinato per
sua natura ad uno scopo di garanzia né alla fraudolenta elusione del divieto
stabilito dal codice civile”.
[1] Per tutti, Tribunale di Verona 15/12/1988 e Corte
d’Appello di Brescia 29/06/1990;
[2] Per tutti, Galgano, “Il negozio giuridico” in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu – Messineo, Milano, 1988, pagg. 407 e ss.;
[3] Sul punto, Bussani – Cendon “I contratti nuovi”,
Milano, 1989; De Nova “il contratto di leasing”, Milano, 1985;
[4] peraltro l'atto è perfettamente
legittimo avendo causa lecita, infatti l'illiceità rileva solo nell'eventualità
di contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume;
mentre il contratto è assimilato a quelli con causa illecita solo se adottato
al fine di eludere una specifica norma imperativa; si parla di contratto
illecito se concluso per un motivo illecito comune ad entrambe le parti;
[5] In tal senso, è ormai pacifico, che è nullo il
patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel
termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al
creditore. Infatti già con sentenza del 22 marzo 1979 il Tribunale di Roma
aveva affermato che "nel caso in cui il futuro utilizzatore trasferisca la
proprietà dell'immobile al futuro concedente e questo glielo conceda in leasing
non si ha compravendita dissimulante un mutuo con patto commissorio, di cui
l'art. 2744 del codice civile commina la nullità, ipotesi che ricorre quando il
trasferimento della proprietà avviene a seguito del mancato pagamento del
debito";
[6] Sentenza n. 4612 del 7 maggio 1998, cit.;