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Vol. V/2007

RIVISTA DI DIRITTO DELL’ECONOMIA,

DEI TRASPORTI E DELL’AMBIENTE

 

 

 

 

L’imprenditore Ittico e le attività connesse*

 

 

Elvira La Loggia**

 

 

Un  saluto  a tutti gli intervenuti ed un particolare ringraziamento alla Prof. ssa Amato per avermi dato l’opportunità di partecipare a questo interessante Convegno sulla “Nuova Imprenditoria per lo sviluppo locale” organizzato in memoria del papà, Bartolo Amato, imprenditore ittico, nel centenario della nascita.

Prendendo spunto dalle mie specifiche competenze vorrei, brevemente, sottolineare come l’imprenditore ittico ha assunto una  nuova e più consona configurazione giuridica, a seguito della  sua equiparazione  all’imprenditore agricolo.

Un primo determinante contributo a questa sua diversa qualificazione, è stato dato dal legislatore comunitario che, all’art.32 (ex 38) del Trattato della Comunità Europea, considera, come prodotti agricoli, non solo quelli derivante dal suolo e dall’allevamento, ma, anche, quelli della pesca, chiarendo, altresì, nell’allegato II, come il termine “allevamento” debba considerarsi comprensivo di tutti gli animali vivi, senza alcuna distinzione di specie.

 Questo ampliamento del concetto di allevamento verso ogni specie di animali, collegata all’indirizzo comunitario, aveva, però, creato non poche difficoltà,  sotto la vecchia formulazione dell’art 2135 c.c..

Infatti, per il legislatore del ’42, imprenditore agricolo era colui che esercitava una attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura e all’allevamento del bestiame, intendendo riferirsi, con questo ultimo termine, al c.d bestiame da lavoro, anche perché, a quel tempo, erano sconosciuti i moderni mezzi di lavorazione della terra, e l’attività agricola era, tradizionalmente, legata al suolo.

In tale concetto era, quindi, difficile inserirvi i prodotti della pesca.

Così,  nel corso degli anni, una copiosa legislazione speciale, aveva cercato di colmare le lacune della originaria normativa codicistica, orientandosi verso una interpretazione evolutiva del concetto di allevamento, e ricomprendendo in tale attività  anche altre specie animali  non tradizionalmente legate al fondo ed allo  sfruttamento della terra.

In sede di recepimento del regolamento comunitario n.° 1619/68, il legislatore speciale aveva, infatti, cominciato con includervi le specie avicole ( L. n.° 419/71)  e quelle di allevamento, selezione ed addestramento delle razze canine ( L. n.° 349/93), mentre la riproduzione e l’allevamento di cavalli da corsa aveva avuto difficoltà ad inserirsi tra le attività prettamente agricole a causa delle competenze specifiche richieste in materia.

Seguendo questo indirizzo voluto dalla Comunità Europea, veniva ricompresa nel concetto di allevamento, con legge n.° 102 del 1992, anche l’acquacoltura  come l’insieme di pratiche volte alla produzione di proteine animali in ambiente acquatico, mediante il controllo parziale o totale diretto o indiretto del ciclo di sviluppo degli organismi acquatici. 

L’acquacoltura veniva così inquadrata nella più ampia nozione di pesca professionale ed i prodotti della pesca considerati prettamente agricoli, estendendo  anche la qualificazione agricola agli imprenditori che svolgevano tale attività.

 Sempre sotto la pressante spinta degli orientamenti comunitari è stato, poi, emanato il d.lgs 228/2001 che, riformulando l’art. 2135 del c.c., ha sostituito la parola “ bestiame” con quella, molto più generica, e omnicomprensiva di “animali”, con un deciso orientamento per un concetto più ampio di allevamento.

La norma prevede adesso che per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali, si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria  del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano, o, possono  utilizzare, il fondo, il bosco o le acque dolci , salmastre o marine.

Il fondo, quindi, non viene più considerato il bene centrale  attorno al quale  nasce e si sviluppa l’impresa agraria, ed il collegamento funzionale tra quest’ultima ed il fondo diventa, così, solo eventuale.

Il legislatore, infatti, specifica che l’imprenditore “può”, ma, non necessariamente ”deve”, utilizzare il fondo per lo svolgimento della propria attività, per cui  tale requisito viene relegato ad una possibilità meramente potenziale e non più necessaria per intraprendere l’attività agricola.

Rientrano, così, in tale contesto sia le attività vivaistiche, ortovivaistiche, che quelle di serricoltura, e di funghicoltura, mentre ne restano fuori  la  raccolta di frutti spontanei, quali funghi,  bacche,  more etc.

D’altra parte anche il progresso tecnologico aveva via via allontanato il concetto di coltivazione dalla diretta utilizzazione del suolo.

Con la nuova formulazione dell’art 2135 c.c. anche l’allevamento fuori fondo viene considerato come attività agricola anche se esercitato in batteria o in capannoni, purché consista nella cura e nello sviluppo dell’intero ciclo biologico dell’animale o di una fase di tale ciclo.

 Ciò ha escluso, ab origine che possa considerarsi imprenditore agricolo chi acquista ed alimenta animali nella immediatezza del loro abbattimento al solo fine di lucrare sull’aumento ponderale degli stessi.

L’acquacoltura viene, così, ricompressa, a pieno titolo, tra le attività principali dell’imprenditore agricolo presentando tutte le caratteristiche proprie dell’allevamento.

 La materia, sulla base di tali rinnovati criteri, ha trovato, poi, sistematica disciplina nel d.lgs 226/2001,  in cui, per la prima volta, si è avuta una definizione di imprenditore ittico, riconoscendo, tale qualifica, a chi esercita una attività diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri e dolci, nonché le attività a queste connesse.

La necessità di incrementare le produzioni di organismi acquatici di acque dolci e salmastre si era fatta, infatti, sempre più pressante sia a livello mondiale che nel nostro Paese dove il sempre crescente depauperamento delle risorse ittiche aveva indotto a politiche restrittive di controllo della pesca privilegiando metodi di pesca sostenibile.

Con l’acquacolura si conciliano le esigenze economiche degli imprenditori con quelle di tutela dell’ambiente e con l’accresciuto fabbisogno alimentare legato alle migliori condizioni  di vita della popolazione.

L’espressa equiparazione dell’imprenditore ittico a quello agricolo, voluta dal legislatore speciale, senza, però, identificarlo con lo stesso, ha avuto, poi, un duplice vantaggio: il primo e, forse, il più rilevante, è di avere assoggettato l’imprenditore ittico al regime di favore previsto per quello agricolo, consentendogli, così, di godere del beneficio di non essere più sottoposto, in caso di crisi della impresa, alle procedure concorsuali, e, quindi al fallimento.

L’attività di pesca, infatti, come quella agricola, è soggetta ad un duplice rischio: quello, tipicamente legato ad ogni attività di impresa, a cui sono soggetti tutti gli imprenditori, ma anche un altro rischio, connesso, principalmente, alla natura ed alle sue leggi, a fattori ambientali, al tempo, alla aleatorietà delle condizioni metereologiche. Un rischio, cioè, imprevedibile.

Questo accentuato fattore, dipendente da più elementi, ha giustificato uno statuto speciale per l’imprenditore agricolo nei confronti di altre categorie di imprenditori, e, quindi, ora la sua estensione anche all’imprenditore ittico, in quanto, è proprio la precarietà della loro attività che ha determinato questo atteggiamento protettivo del legislatore, preoccupato, non solo di incentivare e tutelare questi particolari settori deboli dell’economia, ma anche di renderli, in tal modo, più competitivi ed adeguati agli altri segmenti del mercato, in linea, anche, con un preciso orientamento in tal senso a livello comunitario.

Altro aspetto, non meno rilevante del primo, è che la pesca, ora  regolamentata dal d.lgs 226/2001 è, ormai,  anche, comprensiva della fornitura di servizi, ( art 3) quale attività connessa a quella principale, svolta dall’imprenditore ittico mediante l’utilizzazione di prodotti provenienti in prevalenza dalla pesca, ovvero mediante l’utilizzo di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività principale.

 Il legislatore speciale, quindi, nel regolamentare le attività connesse alla pesca, si è rifatto, per grandi linee, a quelle che caratterizzano l’impresa agricola, e,  così come avviene per l’agricoltura, le ha  distinte dalle attività essenzialmente ittiche.

L’art 3 del citato D.P.R.226/2001 le individua nel “pescaturismo”, consistente nell’imbarco su navi da pesca di persone non facenti parte dell’equipaggio a scopo turistico ricreativo, e nell’ “ittiturismo”, come attività di ospitalità, ristorazione, di servizi, ricreative, culturali finalizzate ad una corretta fruizione degli ecosistemi acquatici e delle risorse della pesca, esercitata da pescatori professionisti mediante l’utilizzo della propria abitazione o struttura  nella disponibilità dell’imprenditore stesso.

Tra le attività connesse viene considerata anche la prima lavorazione dei prodotti del mare, la loro conservazione trasformazione, distribuzione e commercializzazione al dettaglio e all’ingrosso, nonché la promozione e valorizzazione dei i prodotti della pesca ( art 3 lett.c).

Si è avuta, così, una diversificazione della produzione verso altri settori creando nuove opportunità di incremento del reddito di impresa, come  del resto avviene per l’imprenditore agricolo che accanto all’attività principale svolge anche quella di  servizi, come l’agriturismo. 

Questa analitica elencazione dei contenuti, e dei possibili modi di esplicazione delle attività connesse, operata dal legislatore speciale, vuole essere la risposta ai numerosi dubbi interpretativi che avevano impegnato dottrina e giurisprudenza, sin dalla emanazione del codice del ’42, sul  significato e la portata da dare al criterio della connessione.

Le attività connesse, infatti, sono sostanzialmente ed intrinsecamente commerciali, ma se svolte dagli stessi soggetti che esercitano quelle principali, vengono attratte nell’area agricola, e, quindi, ora anche nell’area ittica.

Pertanto, perché una attività connessa possa venire qualificata come ittica, è necessaria la presenza di due elementi: uno soggettivo, consistente nella identità del soggetto operante che deve svolgere una delle attività tipiche della pesca;

 e l’altro oggettivo,  che si tratti di attività avente ad oggetto prodotti ottenuti “prevalentemente” dall’esercizio della attività principale, o beni e servizi forniti mediante l’utilizzazione “ prevalente” di attrezzature e risorse dell’azienda.

Pertanto determinante, è la contemporanea presenza di questi due elementi, dato che lo svolgimento autonomo delle attività connesse, considerate per natura prettamente commerciali, manterrebbe, in capo a chi le esercita, la qualifica di imprenditore commerciale, anche per la loro intrinseca capacità di offrire un reddito, indipendentemente da un diretto collegamento con l’attività principale.

Il loro esercizio deve, quindi, necessariamente, coordinarsi e porsi in funzione  con questa in quanto, se il collegamento  non esiste, ed esse sono, invece, autonome, si è al di fuori dell’ambito agricolo  e della pesca, con conseguente perdita dei benefici tipicamente legati a questi settori.

Non si richiede un criterio assoluto di accessorietà, ma, nel bilanciamento tra attività connesse e principali, queste ultime devono presentarsi con caratteri di prevalenza rispetto a quelle connesse che devono, quindi, avere solo funzione integrativa.

Il confine tra attività di pesca, e commerciale, sta proprio nel loro diverso  oggetto: per cui, mentre quelle essenzialmente ittiche, già di per sé qualificano, come imprenditore ittico, chi le esercita, per quelle connesse, è necessaria l’esistenza del suddetto requisito di accessorietà come legame meramente funzionale con l’attività principale.

Nel d.lgs 226/2001 vengono, altresì, indicati i principi generali delle politiche da attuare in materia di pesca e di acquacoltura, che dovranno essere sempre ispirate a principi di sostenibilità e responsabilità verso l’ambiente ma anche verso i consumatori, per assicurare non solo una produzione di qualità, ma anche nuove opportunità occupazionali attraverso l’incentivazione della multifunzionalità delle imprese.

 Con il d.lgs, 228/2001, che ha riformulato l’art 2135 c.c., e con il d.lgs. 226/2001  con cui è stata regolamentata l’attività di pesca, appare evidente un allargamento del campo di applicazione dello statuto agrario e del trattamento preferenziale riservato all’impresa agricola, ora estesa anche  a quella ittica.

Così il legislatore accomunando, in una visione integrata, agricoltura, acquacoltura e pesca, ha voluto estendere il concetto di agricoltura oltre i confini tradizionali, inserendovi tali nuovi settori che hanno punti di contatto con la materia, dando forma ad una figura di imprenditore dinamico, in linea con gli orientamenti comunitari in materia.

L’acquacoltura e la maricoltura, con il loro crescente sviluppo in alternativa alla pesca c.d. tradizionale, diventano, ora, un nuovo modo di concepire l’impresa ittica: il diffondersi di questa pratica ha, infatti, consentito e consentirà di migliorare non solo le prospettive economiche ed occupazionali del settore, ma anche di evitare il costante depauperamento delle risorse marine, riducendo, in tal modo, l’impatto negativo sull’ambiente.

Nell’ambito di queste attività viene favorito l’ammodernamento delle strutture, lo sviluppo occupazionale del settore, la tutela dell’ambiente, la qualità del prodotto, e la tutela del consumatore.

Il nostro legislatore intervenuto, recentemente, ancora in materia, con il d.lgs n.° 154/2004, relativo alla modernizzazione del settore della pesca e dell’acquacoltura, ha meglio specificato, all’art 6, che l’attività di pesca professionale, diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri o dolci, e quelle connesse, possono essere svolte, sia in forma singola che associata o societaria.

Per quanto riguarda le attività connesse, già disciplinate dal D.lgs 226/2001  il citato D.Lgs 154/2004 ne ha meglio specificato il contenuto.

Per l’ittiturismo l’art. 7, lett. b) stabilisce che può essere finalizzato sia all’ospitalità in case di pescatori professionisti all’uopo ristrutturate, sia ad attività ricreative didattiche, culturali e di servizi, per una corretta fruizione degli ecosistemi acquatici  e vallivi, delle risorse della pesca e dell’acquacoltura, e potranno essere offerti ai turisti anche prodotti della pesca, così come  avviene per l’agriturismo.

Per pescaturismo, l’art 7 lett.a), la normativa, prevede la possibilità, per gli operatori del settore, di ospitare, a bordo delle proprie imbarcazioni, previa autorizzazione dell’autorità marittima, persone diverse dall’equipaggio, per lo svolgimento di attività turistico-ricreative, realizzando, così, un ulteriore modo per divulgare la cultura del mare.

 Le escursioni lungo le coste, l’osservazione della attività della pesca, la ristorazione a bordo, avvicinano, infatti, il grande pubblico al mondo della pesca professionale, valorizzando, al tempo stesso, l’ambiente costiero ed il diffondersi della cultura marinara.

La normativa estende, poi, ( art 6 com 2 d.lgs 154/2004) la qualifica di imprenditore ittico anche alle cooperative ed ai consorzi quando utilizzano, “prevalentemente”, prodotti dei soci, ovvero forniscono ai medesimi beni e servizi.

L’avere ricompreso tali cooperative nella categoria degli imprenditori ittici, ha evitato, ab origine, questioni interpretative sulla loro qualificazione, così come era avvenuto per quelle agricole.

Le cooperative, infatti, sostituendosi ai singoli soci  produttori, svolgono, per loro conto, attività di trasformazione  e di alienazione del prodotto.

 Così, senza la suddetta estensione, l’autonoma personalità giuridica dell’organismo societario, facendo venire meno quella identità soggettiva, che, come abbiamo detto, è condizione necessaria per la qualificazione delle attività connesse, avrebbe ricondotto le cooperative nella area commerciale.

Pertanto con la riformulazione dell’art 2135 c.c.,( che ha esteso la qualifica di imprenditore agricolo anche alle cooperative) e con la previsione del richiamato art 6 com 2 del d.lgs n.°154/2004, che ha assimilato le cooperative all’imprenditore ittico, viene superato il momento della sussistenza o meno della identità soggettiva, e, quindi, la loro ricomprensione nell’area ittica non potrà essere messa in discussione, così come era avvenuto, in passato, per le cooperative agricole.

Conseguentemente, l’attività di queste società, pur presentandosi con caratteri di impresa diversa ed autonoma da quella della produzione, non potrà essere qualificata commerciale, anche se i prodotti utilizzati non proverranno, esclusivamente, dai soci, avendo, tale ultima norma (art 6 d.lg 154/2004), introdotto il criterio della “prevalenza”, e non quello della “esclusività”. Criterio, questo che viene, anche, previsto per la prestazione di beni e servizi, con una evidente apertura verso un nuovo modo di concepire l’attività di cooperazione, e la relativa loro qualificazione giuridica.

Possiamo, quindi, dire che ora, in una visione globale di modernizzazione e razionalizzazione dei settori agricolo e della pesca, viene agevolata la multifunzionalità delle aziende, con la attribuzione di più ampi poteri agli operatori, non soltanto nello svolgimento delle tradizionali attività, ma, anche, con apertura verso altri servizi, per favorire lo sviluppo occupazionale, e l’insediamento,  e la permanenza dei giovani in zone poco sviluppate.

In questa più ampia ottica, vanno, pertanto, inquadrati pescaturismo e ittiturismo: attività queste, che hanno raggiunto, negli ultimi anni, un sempre crescente interesse tra gli appassionati del mare, offrendo,  al tempo stesso agli operatori del settore, l’opportunità di operare su nuove realtà, creando anche alternative forme di lavoro, soprattutto per i giovani.

 Le attività connesse, con la diversa configurazione giuridica dell’imprenditore ittico, hanno acquistato rilevanza economica di sostegno alla pesca, dando valida risposta ai problemi a questa legati, riconvertendo anche gli operatori del settore ed arginando, così, l’esodo occupazionale specialmente in periodi di crisi, e nell’alternarsi delle stagioni.

La moderna impresa ittica dovrà, pertanto, da un lato realizzare la diversificazione delle attività produttive e, dall’altro, favorire più stretti rapporti tra turismo e tradizioni marinare, in una visione che vuole l’impresa ittica, non solo proiettata verso una maggiore produttività, ma, anche, verso la conoscenza e la valorizzazione dell’ambiente costiero.

Il ruolo affidato alle attività alternative, come il pescaturismo e l’ittiturismo, le attività ricreative, e culturali a queste connesse, la valorizzazione dei prodotti tipici e la loro vendita diretta, l’espansione dell’industria di trasformazione, e la incentivazione della piccola pesca costiera, può consentire una concreta svolta di modernizzazione del settore, puntando su una produzione di qualità, più che di quantità, nell’ottica, soprattutto, di tutela dell’ambiente e del consumatore.

La multifunzionalità dell’impresa ittica consentirà, così, non solo di risanare vecchi borghi marinari in località isolate, ristrutturando abitazioni tipiche dei pescatori per favorire l’ittiturismo in quelle zone, ma potrà anche dare vita ad una nuova economia, incrementata proprio da queste forme di turismo, con piani di intervento, mirati a rivitalizzare quelle zone, attraverso l’apertura verso altri servizi.

Coordinare le diverse attività di pesca, pescaturismo, ittiturismo, acquacoltura con l’obiettivo di creare nuove opportunità di reddito e di occupazione, ma anche uno sviluppo quanto più possibile compatibile con l’ambiente e l’ecosistema in generale, potrà arginare il fenomeno dell’ esodo dei giovani dai luoghi dove sono nati e cresciuti,  alla ricerca di altre, ed alternative forme di guadagno.

 

 



* Intervento al Convegno sulla “ Nuova imprenditoria per lo sviluppo locale”, svoltosi a Villa Filangeri- Santa Flavia –23/1/2007.

** Professore a contratto di diritto commerciale e legislazione turistica, Facoltà di economia, Università di Palermo.

 

Data di pubblicazione: 2 aprile 2007.