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Vol. V/2007

RIVISTA DI DIRITTO DELL’ECONOMIA,

DEI TRASPORTI E DELL’AMBIENTE

 

 

Sulla interpretazione del concetto di “place of business” del vettore,

quale criterio di individuazione del foro competente nella disciplina uniforme del trasporto aereo

Marco Cottone*

 

L’individuazione del foro competente per l’attivazione di richieste risarcitorie derivanti da conflitti che nascono da un contratto di trasporto aereo regolato dalla convenzione di Montreal del 1999, costituisce, com'è ovvio, un momento di particolare rilevanza per le parti coinvolte[1].

La materia è disciplinata all’articolo 33 della Convenzione di Montreal, la quale  individua cinque fori presso cui è possibile avanzare la richiesta di risarcimento da parte del danneggiato nei confronti del vettore.

La Convenzione, al primo comma del detto articolo, riprende i criteri di collegamento giurisdizionale già presenti nella previgente disciplina della convenzione di Varsavia del 1929, applicabili sia al trasporto di persone che di merci; mentre, al secondo comma, limitatamente alle ipotesi di sinistri accorsi al passeggero, prevede la possibilità di incardinare la richiesta risarcitoria davanti ad un foro particolare, il c.d. “quinto foro”.

Il passeggero ha diritto di esercitare l’azione di risarcimento nel territorio di uno Stato Parte alla Convenzione, con la possibilità di scegliere o il tribunale “of the domicile of the carrier or of its principal place of business, or where it has a place of business through which the contract has been made or before the court at the place of destination”; inoltre l’azione potrà essere promossa, nei soli casi di danni da morte o lesione del passeggero, nel territorio dello Stato della sua residenza principale e permanente con la condizione che nello stesso territorio il vettore svolga, direttamente o indirettamente, un servizio di trasporto aereo di passeggeri.

Dalla lettura dell’articolo si evince che la Convenzione oltre a contenere norme uniformi di carattere sostanziale, si prefigge l’obiettivo di regolare il rapporto contrattuale anche dal punto di vista processuale, sia attraverso l’indicazione di criteri di giurisdizione sia attraverso la regolamentazione dei termini di decadenza dell’azione, così come previsto all’art. 35. Al riguardo, è pacifico il rapporto di specialità che la norma pattizia vanta nei confronti delle regole processuali interne dei singoli ordinamenti, in ragione della precisa volontà dei legislatori nazionali di regolare determinate materie secondo dettami che derivano da obblighi internazionali assunti.

La difficoltà di garantire una interpretazione univoca dei termini adottati dalle norme internazionali in materia di trasporti aerei, è strettamente connessa alle differenze sostanziali e terminologiche esistenti tra i vari ordinamenti giuridici, questo comporta l’impossibilità di poter prevedere un’applicazione del tutto omogenea ed uniforme della disciplina da parte degli Stati contraenti, a tal punto che un commentatore della Convenzione di Varsavia ha scritto: “..almost every article of the existing Convention includes defects or obscurities, and some of them contain several. These are not merely theoretical or technical defects……they cause almost daily practical difficulties and problems..” [2].

 

Interrelazioni tra il luogo di conclusione del contratto e la  sede di affari del vettore: problematiche applicative

Con riferimento alle problematiche interpretative della disciplina, particolare rilievo assume il concetto di sede d’affari del vettore, adottato per individuare il terzo foro, con il quale si fa  riferimento al luogo in cui la compagnia aerea ha stipulato il contratto di trasporto con il passeggero, per il tramite di un soggetto che rientra nella propria struttura organizzativa[3].

La presenza di una effettiva attività commerciale collegata al vettore, esclude l’accostamento di tale criterio al mero luogo di conclusione del contratto. Così ad esempio, non può essere adito il tribunale del luogo di emissione del biglietto operato da un’agenzia di viaggi, quando questa agisca autonomamente. D’altronde nel caso in cui si fosse preferito il mero luogo di conclusione del contratto come criterio di individuazione del foro, sarebbe risultato superfluo l’accostamento di questo elemento con il “place of business” del vettore.

Sulla interpretazione di tale criterio, in dottrina si è consolidato l’orientamento secondo cui l’ufficio, a cura del quale il contratto è stato concluso, deve essere una struttura appartenente al vettore[4]; quindi, l’espressione usata nel testo inglese ove si adotta il verbo “avere”, sta ad indicare che il vettore abbia stipulato il contratto attraverso un proprio ufficio, sia esso secondario e con proprio personale. Su tale questione esistono orientamenti giurisprudenziali contrapposti tra loro, proprio con riferimento alla individuazione di un ufficio “secondario” del vettore, a cura del quale il contratto è stato stipulato.

 Una recente decisione delle Sezioni Unite Civili della Cassazione[5], ha confermato l’atteggiamento restrittivo che sia in giurisprudenza che in dottrina trova nel nostro Paese larghi consensi[6]. I giudici della S.C. hanno chiarito che per l’applicazione del terzo criterio di collegamento,  è necessario che il vettore si sia avvalso o di una propria struttura o di un soggetto estraneo ad esso  “quale può essere un agente di viaggi”, ma quando “l’attività di tale agente faccia capo allo stabilimento e non ad altra sede del vettore o addirittura ad altri soggetti”. La Corte non ritiene che sia necessaria la diretta partecipazione della compagnia, tramite propri uffici, alla  conclusione del contratto di trasporto, ma è sufficiente che vi sia una intromissione nella contrattazione anche attraverso l’operato di un soggetto esterno all’organizzazione a lei legata contrattualmente. Pertanto un’agenzia di viaggi, che conclude un contratto di trasporto per conto di un compagnia aerea straniera, con la quale è legata da un contratto di appalto di servizi[7], stipulato con la rappresentanza italiana del vettore, potrà essere individuata come “a place of business through which the contract has been made”.  Ancora, la Corte esclude che il rapporto esistente tra l’agenzia di viaggi e la I.A.T.A., in virtù del quale la prima è legittimata a emettere biglietti per conto delle compagnie aeree, possa essere inquadrato come rilevante ai fini della individuazione del “place of  business” del vettore.

Un atteggiamento restrittivo sulla interpretazione del concetto di “établissement”, usato nella versione francese del testo, è stato adottato dai giudici francesi i quali ritengono che debba esistere una stretta relazione tra il luogo del contratto e l’organizzazione del vettore. Nel caso Orcheste Symphonique de Vienne c. TWA[8], la Corte francese ha dichiarato la propria incompetenza perché l’“établissement” del vettore non aveva nella fattispecie assunto un ruolo decisionale rilevante nella conclusione del contratto di trasporto. Il biglietto di viaggio era stato acquistato presso un’agente sito a Parigi senza alcuna partecipazione diretta dell’ufficio del vettore, presente nella stessa città. Nell’ordinamento francese, con il termine “établissement” si intende il centro delle operazioni di una “corporation”, da ciò si esclude che una filiale o un’agenzia possano rientrare in tale categoria[9].

Una interpretazione più elastica è stata data dalla giurisprudenza statunitense, che include nel concetto di “place of business”  del vettore anche il semplice agente che, con una propria struttura, stipula il contratto di trasporto con il passeggero.  Nel noto caso Eck[10], i giudici americani hanno stabilito che il dettato della norma internazionale non richiede che la sede d’affari del vettore sia la stessa che ha stipulato il contratto, bensì è necessario che entrambe le sedi siano situate negli U.S.A. Nel caso di specie si è riconosciuto rilevante un accordo di Interagency, con il quale il passeggero aveva acquistato il biglietto presso un’agenzia di un’altra Compagnia, ed è stato possibile attivare l’azione davanti ad un giudice americano in quanto negli U.S.A. era inoltre presente un “office” del vettore[11].

Anche la Germania ha assunto sulla questione un atteggiamento più liberale rispetto agli interpreti degli altri Paesi di civil law, avvicinandosi per certi versi all’orientamento statunitense. Infatti, secondo i giudici tedeschi può sussistere la giurisdizione tedesca, al fine della individuazione del terzo foro, anche quando il soggetto che conclude il contratto di trasporto non ha alcun legame con la struttura organizzativa della compagnia aerea. Peraltro, si è più volte precisato che se il contratto viene stipulato in un ufficio indipendente dal vettore e quest’ultimo è presente nello Stato tedesco con una propria sede, ma in una differente Regione, allora l’azione dovrà essere attivata davanti al tribunale regionale competente per il vettore. Diversamente, se nel territorio tedesco non è presente il vettore con un proprio “branch office”, l’attore potrà inoltrare la richiesta di risarcimento davanti al tribunale competente situato nel luogo della sede dell’agenzia[12].

L’esame comparato delle interpretazioni giurisprudenziali che si sono succedute nei vari Paesi, porta a concludere che la comunità internazionale è divisa tra due orientamenti che sono decisamente opposti tra loro. Da un lato, come si è detto, esiste un atteggiamento restrittivo che attribuisce al dettato normativo un significato connesso al concetto di “appartenenza” dell’ufficio, per il tramite del quale il contratto è stato concluso, alla organizzazione vettoriale. In tale direzione si muove la maggior parte dei Paesi europei, ad eccezione della Germania. Dall’altro lato, invece, si ritiene che anche quando un contratto di trasporto è stipulato in virtù di un accordo di interline o di interagency, si viene a concretizzare una “carrier’s place of business”, sganciandosi del tutto dal concetto di appartenenza diretta.

Gli orientamenti sopra esaminati sono stati espressi, sia in dottrina che in giurisprudenza, con riferimento alla Convenzione di Varsavia del 1929 che, come più volte ricordato, contiene le stesse caratteristiche dell’art. 33.1 del testo di Montreal. Ad oggi non si registrano decisioni giudiziali sulla nuova Convenzione proprio per la sua recente entrata in vigore. Sicuramente il concetto di “possesso”, che caratterizza la linea più rigida ai fini della individuazione della sede di affari della società, poteva essere ben compreso in un periodo storico in cui il settore dell’aeronautica civile era nella sua fase di primo sviluppo e pertanto la necessità di evitare oneri eccessivamente gravosi al vettore trovava forti consensi; oggi, però, in virtù di una constatata evoluzione in tale campo, che ormai assume caratteristiche perfettamente adeguate al mercato “globale”, qualche riflessione sull’adattamento della disciplina può essere fatta. In considerazione della ben nota diffusione dei sistemi di prenotazione telematica, che vengono condotti tramite accordi tra le compagnie aeree o tramite accordi con la I.A.T.A., si nota che potrebbe trovare applicazione la teoria secondo la quale un’agenzia di viaggi che emette un biglietto, quale agente I.A.T.A., è sufficiente a rappresentare la sede d’affari del vettore. D’altronde, i vantaggi economici che la società di trasporto ottiene attraverso l’offerta del proprio servizio da parte di una struttura, come la I.A.T.A., che opera in tutto il mondo, non possono essere svincolati dai c.d. rischi imprenditoriali (in ottemperanza al principio ubi commoda ibi incommoda), che al contrario porterebbero il vettore ad essere citato in Paesi in cui non è presente con un ufficio di sua appartenenza. Tale eventualità non dovrebbe ad oggi, creare imprevedibili costi alle compagnie aeree, visto che ormai le loro attività sono strutturate tenendo conto di esigenze che hanno una forte connotazione internazionale[13].   

Occorre precisare che la qualificazione del “place of business” del vettore , presenta delle complessità applicative con riferimento alle ipotesi di vendita on line dei biglietti aerei, tramite i siti web ufficiali delle compagnie aeree o i siti web delle agenzie di viaggio. Questa tipologia di distribuzione si caratterizza per il fatto che il servizio offerto è difficilmente individuabile in un determinato territorio, anzi può essere considerato “dematerializzato”[14].

Infatti, è chiara l’impossibilità per l’utente, che intenda acquistare un biglietto aereo tramite il web, di localizzare con esattezza il luogo dove è registrato il server del sito internet del vettore; da ciò ne consegue che risulta difficile individuare il luogo in cui il l’impresa del vettore ha provveduto a stipulare il contratto.

Pertanto la soluzione che appare preferibile, si inquadra in un’ottica protezionistica a favore dell’utente, secondo la quale il luogo dove il contratto è stato concluso corrisponde al luogo in cui il passeggero ha ricevuto la conferma dell’acquisto, nel caso di pagamento on line tramite carta di credito[15]. Di fatto, l’accesso a internet da parte del consumatore corrisponderebbe alla sua residenza o domicilio, che quindi risulterebbero rilevanti per l’individuazione dello Stato competente anche quando il sito web del vettore è registrato in un altro Paese.

Tali osservazioni prendono in considerazione due fattori: da un lato la compagnia aerea che decide di attivare la vendita via web dei propri servizi, deve accettare il rischio di essere citata davanti a tribunali in cui non è presente con una propria struttura commerciale; dall’altro, la scelta di far coincidere il luogo di conclusione del contratto con la residenza o il domicilio dell’acquirente, si pone in stretta connessione con le tendenze evolutive della disciplina, soprattutto con riferimento a quanto previsto per il “quinto foro” della convenzione di Montreal.

 

Rapporti tra i criteri di giurisdizione internazionale e le regole di competenza interna nell’ordinamento italiano

La disomogenea interpretazione del concetto di “place of business” del vettore, induce a delle brevi considerazioni sulle problematiche inerenti il rapporto tra le regole di Montreal e le norme processuali interne.

È indubbio che il giudice, oltre a determinare che la fattispecie sia compresa nella disciplina internazionale, ovvero si tratti di un volo soggetto alle norme di Montreal, è tenuto ad individuare anche la giurisdizione in base ai criteri di collegamento definiti a livello internazionale e non in base alle regole processuali interne sulla giurisdizione[16].

Pertanto la scelta del passeggero o dell’avente diritto, sulla determinazione del foro competente, avrà effetto in primo luogo sulla giurisdizione internazionale.

 Vi sono però discordanti orientamenti sia a livello nazionale, che vedono giurisprudenza e dottrina opposti tra loro, sia a livello internazionale in merito alle conseguenze che tali criteri producono anche sulla regolazione della competenza interna. In dottrina la tesi prevalente, e sicuramente la meno opinabile, riconosce che i primi quattro fori, oltre ad indicare in quale Stato debba essere proposta l’azione, contengono precisi elementi sulla competenza ratione loci dell’organo giurisdizionale da adire[17]. Al riguardo, si nota che il dettato dell’articolo individua i tribunali di uno Stato contraente, e non si limita ad indicare criteri riferiti al solo Stato[18]; inoltre, un ulteriore supporto a tale soluzione è offerto dal testo originario della convenzione di Varsavia, nella sua unica formulazione ufficiale in lingua francese, che all’articolo 32, in tema di arbitrato, fornisce un importante contributo di interpretazione letterale. Tale articolo, individua quale sede eletta per l’arbitrato uno dei luoghi di competenza previsti nell’art. 28 di Varsavia, usando con ciò l’espressione “règle de compétence” che nell’esperienza francese è pacificamente intesa come competenza interna per materia, per valore e territoriale[19].

D’altronde se si accettasse che le regole internazionali sul trasporto aereo siano determinative della sola giurisdizione dello Stato, si finirebbe per ridurre la finalità e la ratio di tali norme quale  compromesso tra le contrapposte esigenze degli utenti del trasporto e dell’industria dell’aeronautica civile. Infatti, se sulla base dei criteri sulla competenza interna di un ordinamento, non si riuscisse ad instaurare la causa nello Stato indicato da uno dei fori ai sensi dell’art. 33, si  finirebbe con il penalizzare il danneggiato nell’esercizio della scelta del foro, che la convenzione prevede come contrappeso al favor riconosciuto al vettore di essere citato in un luogo in cui è presente una sua organizzazione[20]. Naturalmente, volendo concordare con la soluzione prevalente in dottrina, la previsione del comma 4 dell’art. 33, che rinvia alle regole procedurali interne operanti nell’ordinamento individuato, ha un’applicazione di carattere residuale, ovvero destinata a regolare questioni diverse dalla giurisdizione dello Stato e dalla competenza per territorio dell’organo giudicante.

L’orientamento della dottrina non ha trovato nella giurisprudenza nazionale importanti consensi; al contrario, nelle poche pronunce adottate si registra una tendenza completamente opposta. Sulla questione è intervenuta, sia incidentalmente[21] che direttamente, la Corte di Cassazione che ha più volte stabilito che le regole dettate dalla normativa processuale internazionale in tema di trasporto aereo (le pronunce fanno riferimento alla convenzione di Varsavia) sono da considerarsi determinative della giurisdizione internazionale e non possono interferire con le regole interne sulla competenza dei giudici italiani. I giudici della Suprema Corte si sono pronunciati con riferimento all’esame del quarto foro, ossia il luogo di destinazione finale del viaggio, stabilendo che con tale espressione si intende lo Stato competente e motivando l’opposizione al riconoscimento di tale criterio come elemento per la competenza territoriale, sulla base del dettato della norma in esame che all’ultimo comma fa espresso rinvio alle regole processuali interne. Da ciò, in una recente decisione si legge che “dal tenore dell’intera disposizione, infatti, si ricava che il disegno manifestato dal legislatore uniforme con la norma de qua è stato quello di affidare al criterio del collegamento a uno dei fori alternativi contemplati dalla norma in oggetto la individuazione dello Stato aderente, in cui è giustificato radicare la giurisdizione per tali controversie e di lasciare all’ordinamento giuridico interno la disciplina del processo introdotto innanzi al giudice dello Stato aderente, disciplina necessariamente comprendente le regole della competenza territoriale interna, esse pure regole di procedura[22]. Inoltre, in un’altra decisione della Cassazione, aderente al medesimo orientamento, si aggiunge, a sostegno della tesi di cui sopra, che qualora si ritenesse che la norma internazionale sui fori competenti, oltre a regolare la giurisdizione di uno Stato, detti regole anche in materia di competenza interna, dovrebbe “necessariamente ritenersi che essa avrebbe determinato non solo la competenza per territorio, ma anche una competenza per materia in favore del tribunale: e ciò non è sostenuto da alcuno[23].     

Un’inversione di tendenza da parte della giurisprudenza della Cassazione si legge nelle motivazioni presenti nella recente decisione, prima citata, n. 13689/2006,  sul mancato riconoscimento quale “sede del vettore” dell’agenzia di viaggi che, in qualità di agente I.A.T.A., emette biglietti di trasporto di una compagnia aerea straniera. Infatti, nelle motivazioni si dice che “ove si fosse ritenuto che la competenza giurisdizionale fosse appartenuta al giudice italiano, questo non poteva essere quello di Salerno, sede dell’agenzia di viaggi, ma quello di Roma, sede del rappresentante per l’Italia della compagnia straniera, a norma del citato art. 28 della convenzione di Varsavia[24]. È pur chiaro che il tenore di tali affermazioni porta a concludere che i giudici della Suprema Corte hanno, sia pur indirettamente, considerato i criteri stabiliti dalla norma pattizia non solo per determinare la giurisdizione, ma anche per individuare nel foro di Roma l’organo giudiziario territorialmente competente.

Non vi è dubbio che la norma in esame, non fissa in maniera puntuale tutti gli aspetti della competenza interna, soprattutto con riferimento alla competenza per funzione, materia e valore. Al riguardo in dottrina[25] si è precisato che le espressioni “tribunal”, usata nel testo francese e “court” , adottata nella versione inglese, sono da intendersi nel senso generico di “autorità giudiziaria”, non provvedendo in alcun modo a fissare delle regole per la determinazione della competenza interna, per materia e per valore, di uno Stato. A conferma di ciò, si segnala l’orientamento giurisprudenziale che riconosce la competenza funzionale al Giudice di Pace a decidere le controversie in materia di trasporto aereo internazionale”, in quanto la norma internazionale “si riferisce a qualsiasi organo giurisdizionale il quale eserciti la funzione di sua competenza in base alle normali regole processuali del proprio Stato di appartenenza[26].

Sul piano internazionale si segnala l’atteggiamento della giurisprudenza statunitense, che ha optato per il riconoscimento del dettato uniforme solo con riferimento alla giurisdizione internazionale. Così i giudici americani al fine di accettare la domanda avanzata dall’attore sulla base di uno dei quattro fori summenzionati, si sono spesso limitati a verificare la coincidenza dei requisiti con riferimento alla sola giurisdizione degli Stati Uniti. A conferma di tale orientamento, si è notato che il termine adottato nelle versioni in lingua inglese sia della convenzione di Varsavia che di Montreal, é “jurisdiction” che si differenzia dal termine “venue”, usato nell’ordinamento statunitense per indicare le regole di competenza interna[27].

In una posizione contrastante, si collocano i giudici francesi che intendono la norma internazionale processuale attributiva sia di competenza internazionale che di competenza interna[28].

Infine, con riferimento al quinto foro previsto dalla convenzione di Montreal, è pacifico ritenere che tale criterio si riferisca soltanto alla giurisdizione degli Stati aderenti, in quanto il dettato normativo si limita ad indicare gli elementi che devono coincidere in un determinato Stato al fine di legittimare la sua applicazione[29]. La scelta del legislatore uniforme di non inserire, nell’ambito del comma in esame, ulteriori specificazioni riguardanti la competenza interna, è giustificata dall’esigenza di evitare un eccessivo allargamento dei fori territorialmente individuati secondo gli altri quattro criteri.

 



* Dottorando di ricerca in scienze giuridiche, diritto della navigazione, Università degli studi di Milano-Bicocca.

[1] La disciplina di Montreal si applica anche ai voli comunitari e nazionali, in virtù degli espressi richiami presenti nel reg. 2027/97, così come modificato dal reg. 889/2002, e nella riformata disposizione contenuta nell’art. 941, del codice della navigazione

[2] K.M. Beaumont, Need for revision and amplification of the Warsaw Convention, in  Air Law & Com., 1949, p. 411-12. 

[3] Nella pratica può accadere che il biglietto di passaggio aereo venga emesso in un luogo diverso da quello in cui il contratto di trasporto è stato concluso; in questo caso è rilevante la sede in cui il contratto si è perfezionato; cfr. J. Mc Kay, The Refinement of the Warsaw system: why the 1999 Montreal convention represents the best hope for uniformity, in Case Western Riserve Journal of International Law, n. 73, 2002 p. 95. Inoltre, quando le parti apportano delle variazioni al contratto in un momento successivo alla sua conclusione, e queste non hanno comportato costi aggiuntivi al prezzo originariamente pattuito, allora tali variazioni non avranno alcun effetto sulla determinazione del luogo di conclusione del contratto. Cfr. Fountain Court Chambers, Carriage by air, Londra-Edimburgo-Dublino, 2001, p. 186.

[4] Cfr. Busti, Il contratto di trasporto aereo, Milano, 2001, p. 833; C.Punzi, La risoluzione delle controversie concernenti il risarcimento dei danni, in L.Tullio (a cura di), La nuova disciplina del trasporto aereo, Napoli, 2006, p. 322;  M.L. de Gonzalo, , Trasporto internazionale marittimo e aereo di passeggeri, danno alla persona, foro competente, in Dir. Tur., n.III/2005, p. 250. Quest’ultimo osserva che la coincidenza tra il luogo di conclusione del contratto e il “place of business” del vettore, caratterizza il dettato dell’art. 17.1.d, della Convenzione di Atene del 1974 sul trasporto marittimo di persone. Tale Convenzione richiede solamente la presenza del vettore nel territorio di conclusione del contratto, e non che quest’ultimo sia stato curato da un ufficio di diretta dipendenza del vettore. 

[5] Cassazione Sezioni Unite Civili, 14 giugno 2006, n. 13689, Air New Zealand Limited c. R.A., in Mass. Giur. It., 2006 e in CED Cassazione, 2006.

[6] Sul diretto controllo della società nei confronti della sede secondaria, si veda in senso positivo Trib. di Viterbo 2 maggio 1968, Scopani c. British Airways, in Dir.aereo, 1969, p. 285.

[7] L’agenzia di viaggio che stipula un contratto di trasporto per conto di una compagnia aerea, in virtù di un contratto di appalto di servizi, assume la responsabilità nei confronti del committente per il proprio operato, cfr. Cass. civ. n. 3504/1997.

[8] Trib. Grande Inst. Paris 22 marzo 1971, Orcheste Symphonique de Vienne c. TWA, in Rev. gén. air., 1972, p. 202; nello stesso senso vedi App. Paris 2 marzo 1962, Herfroy c. Comp. Artop, in Rev. fr. dr. aér., 1962, p. 177.

[9] Cfr. L.B. Goldhirsch, The Warsaw Convention annotated: a legal hand book, Aja-Londra-Boston, 2000, p.181. L’A. nota che anche la giurisprudenza canadese si rifà al concetto di appartenenza tra la sede in cui si è concluso il contratto e l’organizzazione del vettore; ad es. la Corte canadese ha stabilito che l’agenzia che autonomamente vende dei biglietti di trasporto per conto di una compagnia aerea, dietro il pagamento di una commissione da parte di quest’ultima, non può essere qualificata come una sede del vettore; cfr. Querschi v. KLM, 102 Dom. L. Rep. 3rd 205 (Nova Scotia Sup. Ct. 12 gugno 1979).

[10] Court of Appeal, 19 ottobre 1965, Eck v. United Arab Airlines, in Lloyd’s Law Rep., 1966, 2, p. 485.

[11] I giudici di New York non hanno riconosciuto come “place of business” del vettore il luogo di stipulazione di un contratto di charter avvenuto a New York, in quanto secondo la Corte la disciplina di Varsavia si applica quando le parti stabiliscono l’oggetto del contratto ovvero il trasporto aereo e il suo itinerario. Non può essere considerato come contratto di trasporto un accordo charter in cui non sono ravvisabili, nella volontà espressa dai soggetti contrattuali, gli elementi tipici del contratto di trasporto; U.S. Discrict Court, Southern District of New York, 18 aprile 2001, Adjoyi v. Federal Air (PTY) Ltd., in 28 Avi, 15,199.

[12] Bundesgerichtshof 16 giugno 1982, in ZLW, 1983, p. 367; Bundesgerichtshof 23 marzo 1976, in Eur. Tr. Law, 1976, p. 862; Landegericht Dűsseldorf 29 giugno 2004, in ZLW, 2004, p. 666 e in Air e Space Law, XXX/2005, p. 153. In particolare l’orientamento tedesco ha, contrariamente alla decisione della Sezioni Unite sopra citata, riconosciuto l’agenzia di viaggi che emette un biglietto di passaggio aereo per conto della I.A.T.A., come una “place of business” del vettore.

[13] Sull’adattamento della Convenzione di Varsavia del 1929 agli sviluppi tecnici ed economici, autorevole dottrina ha motivato un atteggiamento liberale in quanto “the treaty should accord with the present factual situation”; cfr. G. Miller, Liability in International Air Transport, Deventer, 1977, p. 308.

[14] Cfr. M.L.de Gonzalo, op. cit. , p. 250; vedi amplius J. Heinonen, The Warsaw convention jurisdiction and the internet, in Journal of Air Law & Comm., 2000, p. 453 ss; Lyck – Dornic, Electronic ticketing under the Warsaw convention: the risk of “going ticketless” on international flights, in Air & Space Law, XIII/1997, p. 26.

[15] Così Polanski v. KLM Royal Dutch Airlines, 378 F. Supp. 2d 1222 (C.D. California, 2005); decisione commentata da G. N. Tompkins, Internet purchases and article 28 of the Warsaw convention, in Air & Space Law, XXXI/2006, p. 79.

[16] S.F.Montanari, Sull’interpretazione dell’art. 28 della Convenzione di Varsavia in materia di giurisdizione e competenza territoriale nel trasporto aereo internazionale, in Dir. trasp., I/1994, p. 199

[17] Così tra gli altri S. Busti, Il contratto di trasporto aereo, op. cit., p. 829; S. Montanari, op. cit., p. 199; C. Punzi, op. cit., p. 327; C. Medina, Appunti di diritto aeronautico, 1983, Torino, p. 103. In giurisprudenza si segnala una isolata decisione a favore della tesi attributiva della competenza ratione loci della norma pattizia, in Trib. Viterbo, 9 maggio 1968, in Riv. Dir. Int., 1968, p. 729.

[18] “An action for damages must be brought, at the option of the plaintiff, in the territory of one of the States Parties, either before the court……” (art. 33.1).

[19] Per indicare la giurisdizione internazionale nella lingua francese si parla di juridiction o di competénce juridictionelle; cfr. S. Busti, Il contratto di trasporto aereo, op. cit., nota  952, p. 829.

[20] Vedi S. Busti, Il contratto di trasporto aereo, op. cit., nota  952, p. 830;  S. Montanari, op. cit., p. 202.

[21] La Corte, nella decisione relativa al noto incidente avvenuto a Cuba il 2 settembre 1989,  aveva per la prima volta analizzato la questione, senza però risolvere il tema specifico riguardante il riconoscimento delle regole sulla competenza interna contenute nell’art. 28 di Varsavia. Cass. Sez. Un., 15 giugno 1993, n. 6630, in Dir. Trasp., 1994, p. 185 e in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 1995, p. 121.

[22] Così Cass. Civ. sez. III, 15 luglio 2005, n. 15028, Compagnie nationale air france s.a. c. Simone, in Guida al diritto, 2005, 39, p.66

[23] Cass. Civ. sez III, 26 maggio 2005, n. 11183, Soc. Swissair c. Mehlman Corona e altri, in Foro It., 2006, 6, 1, p. 1877

[24] così Cass.  Sez. un., 14 giugno 2006, n. 13689, cit. supra.

[25] cfr. M. Grigoli, Sulla esegesi dell’art. 28 della convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 per la unificazione di alcune regole relative al trasporto aereo internazionale, in Giust. Civ., I/1994, p. 756; cfr. S. Busti, Il contratto di trasporto aereo, op. cit., p. 828.

[26] Giudice di Pace di Roma, sede distaccata di Ostia – sentenza 4 luglio 2004 in Dir. Tur., n.II/2004. p. 156, con nota di A.Colavolpe, L’art. 28 della Convenzione di Varsavia del 1929 e l’(asserita) incompetenza “funzionale” del Giudice di pace. 

[27] Così U.S. Court of Appeals for the 2d Circ., 16 febbraio 1965, Mertens v. Flying Tiger Line, in 9 Avi, 17.475; Nel sopra citato caso Eck la Corte ha stabilito che la norma internazionaluniforme si riferisce allo Stato e non alle circoscrizioni interne del Paese. Sul tema vedi anche i casi annotati su A.A.V.V., Article 28 of the Warsaw Convention construed to have non effect on availability of forums within the United States, in Utah Law Review, 9/1964-65, p. 10031. Dello stesso orientamento la giurisprudenza svizzera cfr. Handelsgericht Zürich, 11 novembre 1983, in ZLW , 1984, p. 252. Per un analisi comparata tra i vari ordinamenti vedi ampiamente L.B. Goldhirsch, op.cit., p. 178.

[28] Si vedano le decisioni del tribunale  Parigi, 8 dicembre 1973, in R.F.D.A., 1974, p. 287 e Cass. fr., 16 aprile 1975, in R.F.D.A., 1975, p. 293, in cui si applicano i criteri della norma pattizia come individualizzanti per la competenza territoriale del giudice.

[29] S.M. Carbone, Criteri di collegamento giurisdizionale le clausole arbitrali nel trasporto aereo: la soluzione della Convenzione di Montreal del 1999, in Riv. Dir. Int. Priv. Proc., I/2000, p. 10; C. Punzi, op. cit., p. 327.

 

Data di pubblicazione: 28 febbraio 2007.