Sulla interpretazione
del concetto di “place of business” del vettore,
quale criterio di
individuazione del foro competente nella disciplina uniforme del trasporto
aereo
Marco
Cottone*
L’individuazione del foro competente
per l’attivazione di richieste risarcitorie derivanti da conflitti che nascono
da un contratto di trasporto aereo regolato dalla convenzione di Montreal del
1999, costituisce, com'è ovvio, un momento di particolare rilevanza per le
parti coinvolte[1].
La materia è disciplinata
all’articolo 33 della Convenzione di Montreal, la quale individua cinque fori presso cui è possibile
avanzare la richiesta di risarcimento da parte del danneggiato nei confronti
del vettore.
Il passeggero ha diritto di
esercitare l’azione di risarcimento nel territorio di uno Stato Parte alla Convenzione,
con la possibilità di scegliere o il tribunale “of the domicile of the carrier or of its principal
place of business, or where it has a place of business through which the
contract has been made or before the court at the place of destination”; inoltre l’azione potrà essere
promossa, nei soli casi di danni da morte o lesione del passeggero, nel
territorio dello Stato della sua residenza principale e permanente con la
condizione che nello stesso territorio il vettore svolga, direttamente o indirettamente,
un servizio
di trasporto aereo di passeggeri.
Dalla lettura dell’articolo si
evince che
La difficoltà di garantire una
interpretazione univoca dei termini adottati dalle norme internazionali in
materia di trasporti aerei, è strettamente connessa alle differenze
sostanziali e terminologiche esistenti tra i vari ordinamenti giuridici, questo
comporta l’impossibilità di poter prevedere un’applicazione del tutto omogenea
ed uniforme della disciplina da parte degli Stati contraenti, a tal punto che un commentatore della Convenzione
di Varsavia ha scritto: “..almost every article of the existing
Convention includes defects or obscurities, and some of them contain several. These are not merely theoretical or technical
defects……they cause almost daily practical difficulties and problems..” [2].
Interrelazioni tra il
luogo di conclusione del contratto e la
sede di affari del vettore: problematiche applicative
Con riferimento alle
problematiche interpretative della disciplina, particolare rilievo assume il
concetto di sede d’affari del vettore, adottato per individuare il terzo foro,
con il quale si fa riferimento al luogo
in cui la compagnia aerea ha stipulato il contratto di trasporto con il
passeggero, per il tramite di un soggetto che rientra nella propria struttura
organizzativa[3].
La presenza di una effettiva
attività commerciale collegata al vettore, esclude l’accostamento di tale
criterio al mero luogo di conclusione del contratto. Così ad esempio, non può
essere adito il tribunale del luogo di emissione del biglietto operato da
un’agenzia di viaggi, quando questa agisca autonomamente. D’altronde nel caso in
cui si fosse preferito il mero luogo di conclusione del contratto come criterio
di individuazione del foro, sarebbe risultato superfluo l’accostamento di
questo elemento con il “place of business” del vettore.
Sulla interpretazione di tale
criterio, in dottrina si è consolidato l’orientamento secondo cui l’ufficio, a
cura del quale il contratto è stato concluso, deve essere una struttura
appartenente al vettore[4]; quindi, l’espressione usata nel
testo inglese ove si adotta il verbo “avere”, sta ad indicare che il vettore
abbia stipulato il contratto attraverso un proprio ufficio, sia esso secondario
e con proprio personale. Su tale questione esistono orientamenti
giurisprudenziali contrapposti tra loro, proprio con riferimento alla
individuazione di un ufficio “secondario” del vettore, a cura del quale il
contratto è stato stipulato.
Una recente decisione delle Sezioni Unite
Civili della Cassazione[5], ha confermato l’atteggiamento
restrittivo che sia in giurisprudenza che in dottrina trova nel nostro Paese larghi
consensi[6]. I giudici della S.C. hanno
chiarito che per l’applicazione del terzo criterio di collegamento, è necessario che il vettore si sia avvalso o
di una propria struttura o di un soggetto estraneo ad esso “quale può essere un agente di viaggi”, ma
quando “l’attività di tale agente faccia capo allo stabilimento e non ad altra
sede del vettore o addirittura ad altri soggetti”.
Un atteggiamento restrittivo
sulla interpretazione del concetto di “établissement”, usato nella versione francese del testo, è stato adottato
dai giudici francesi i quali ritengono che debba esistere una stretta relazione
tra il luogo del contratto e l’organizzazione del vettore. Nel caso Orcheste Symphonique de
Vienne c. TWA[8],
Una interpretazione più elastica
è stata data dalla giurisprudenza statunitense, che include nel concetto di “place of business”
del vettore anche il semplice agente che, con una propria struttura,
stipula il contratto di trasporto con il passeggero. Nel noto caso Eck[10], i giudici americani hanno
stabilito che il dettato della norma internazionale non richiede che la sede
d’affari del vettore sia la stessa che ha stipulato il contratto, bensì è
necessario che entrambe le sedi siano situate negli U.S.A. Nel caso di specie
si è riconosciuto rilevante un accordo di Interagency, con il quale il passeggero aveva acquistato il biglietto
presso un’agenzia di un’altra Compagnia, ed è stato possibile attivare l’azione
davanti ad un giudice americano in quanto negli U.S.A. era inoltre presente un
“office” del vettore[11].
Anche
L’esame comparato delle
interpretazioni giurisprudenziali che si sono succedute nei vari Paesi, porta a
concludere che la comunità internazionale è divisa tra due orientamenti che
sono decisamente opposti tra loro. Da un lato, come si è detto, esiste un
atteggiamento restrittivo che attribuisce al dettato normativo un significato
connesso al concetto di “appartenenza” dell’ufficio, per il tramite del quale
il contratto è stato concluso, alla organizzazione vettoriale. In tale
direzione si muove la maggior parte dei Paesi europei, ad eccezione della Germania.
Dall’altro lato, invece, si ritiene che anche quando un contratto di trasporto
è stipulato in virtù di un accordo di interline o di interagency, si viene
a concretizzare una “carrier’s
place of business”,
sganciandosi del tutto dal concetto di appartenenza diretta.
Gli orientamenti sopra esaminati
sono stati espressi, sia in dottrina che in giurisprudenza, con riferimento
alla Convenzione di Varsavia del 1929 che, come più volte ricordato, contiene
le stesse caratteristiche dell’art. 33.1 del testo di Montreal. Ad oggi non si
registrano decisioni giudiziali sulla nuova Convenzione proprio per la sua
recente entrata in vigore. Sicuramente il concetto di “possesso”, che
caratterizza la linea più rigida ai fini della individuazione della sede di
affari della società, poteva essere ben compreso in un periodo storico in cui
il settore dell’aeronautica civile era nella sua fase di primo sviluppo e
pertanto la necessità di evitare oneri eccessivamente gravosi al vettore
trovava forti consensi; oggi, però, in virtù di una constatata evoluzione in
tale campo, che ormai assume caratteristiche perfettamente adeguate al mercato
“globale”, qualche riflessione sull’adattamento della disciplina può essere
fatta. In considerazione della ben nota diffusione dei sistemi di prenotazione
telematica, che vengono condotti tramite accordi tra le compagnie aeree o
tramite accordi con
Occorre precisare che la
qualificazione del “place
of business” del vettore
, presenta delle complessità applicative con riferimento alle ipotesi di
vendita on
line dei biglietti aerei,
tramite i siti web ufficiali delle compagnie aeree
o i siti web delle agenzie di viaggio. Questa
tipologia di distribuzione si caratterizza per il fatto che il servizio offerto
è difficilmente individuabile in un determinato territorio, anzi può essere
considerato “dematerializzato”[14].
Infatti, è chiara l’impossibilità
per l’utente, che intenda acquistare un biglietto aereo tramite il web, di localizzare con esattezza il
luogo dove è registrato il server del sito internet del vettore; da ciò ne
consegue che risulta difficile individuare il luogo in cui il l’impresa del
vettore ha provveduto a stipulare il contratto.
Pertanto la soluzione che appare
preferibile, si inquadra in un’ottica protezionistica a favore dell’utente,
secondo la quale il luogo dove il contratto è stato concluso corrisponde al
luogo in cui il passeggero ha ricevuto la conferma dell’acquisto, nel caso di pagamento
on line tramite carta di credito[15]. Di fatto, l’accesso a internet
da parte del consumatore corrisponderebbe alla sua residenza o domicilio, che
quindi risulterebbero rilevanti per l’individuazione dello Stato competente
anche quando il sito web del vettore è registrato in un altro Paese.
Tali osservazioni prendono in
considerazione due fattori: da un lato la compagnia aerea che decide di
attivare la vendita via web dei propri servizi, deve accettare il rischio di
essere citata davanti a tribunali in cui non è presente con una propria
struttura commerciale; dall’altro, la scelta di far coincidere il luogo di
conclusione del contratto con la residenza o il domicilio dell’acquirente, si
pone in stretta connessione con le tendenze evolutive della disciplina,
soprattutto con riferimento a quanto previsto per il “quinto foro” della
convenzione di Montreal.
Rapporti tra i criteri di giurisdizione
internazionale e le regole di competenza interna nell’ordinamento italiano
La disomogenea interpretazione
del concetto di “place
of business” del vettore,
induce a delle brevi considerazioni sulle problematiche inerenti il rapporto
tra le regole di Montreal e le norme processuali interne.
È indubbio che il giudice, oltre
a determinare che la fattispecie sia compresa nella disciplina internazionale,
ovvero si tratti di un volo soggetto alle norme di Montreal, è tenuto ad
individuare anche la giurisdizione in base ai criteri di collegamento definiti
a livello internazionale e non in base alle regole processuali interne sulla
giurisdizione[16].
Pertanto la scelta del passeggero
o dell’avente diritto, sulla determinazione del foro competente, avrà effetto
in primo luogo sulla giurisdizione internazionale.
Vi sono però discordanti orientamenti sia a
livello nazionale, che vedono giurisprudenza e dottrina opposti tra loro, sia a
livello internazionale in merito alle conseguenze che tali criteri producono
anche sulla regolazione della competenza interna. In dottrina la tesi
prevalente, e sicuramente la meno opinabile, riconosce che i primi quattro
fori, oltre ad indicare in quale Stato debba essere proposta l’azione,
contengono precisi elementi sulla competenza ratione loci dell’organo giurisdizionale da adire[17]. Al riguardo, si nota che il
dettato dell’articolo individua i tribunali di uno Stato contraente, e non si
limita ad indicare criteri riferiti al solo Stato[18]; inoltre, un ulteriore supporto
a tale soluzione è offerto dal testo originario della convenzione di Varsavia,
nella sua unica formulazione ufficiale in lingua francese, che all’articolo
D’altronde se si accettasse che
le regole internazionali sul trasporto aereo siano determinative della sola giurisdizione
dello Stato, si finirebbe per ridurre la finalità e la ratio di tali norme quale compromesso tra le contrapposte esigenze
degli utenti del trasporto e dell’industria dell’aeronautica civile. Infatti,
se sulla base dei criteri sulla competenza interna di un ordinamento, non si
riuscisse ad instaurare la causa nello Stato indicato da uno dei fori ai sensi
dell’art. 33, si finirebbe con il
penalizzare il danneggiato nell’esercizio della scelta del foro, che la
convenzione prevede come contrappeso al favor riconosciuto al vettore di essere citato in un luogo in cui è presente
una sua organizzazione[20]. Naturalmente, volendo
concordare con la soluzione prevalente in dottrina, la previsione del comma 4
dell’art. 33, che rinvia alle regole procedurali interne operanti
nell’ordinamento individuato, ha un’applicazione di carattere residuale, ovvero
destinata a regolare questioni diverse dalla giurisdizione dello Stato e dalla
competenza per territorio dell’organo giudicante.
L’orientamento della dottrina non
ha trovato nella giurisprudenza nazionale importanti consensi; al contrario,
nelle poche pronunce adottate si registra una tendenza completamente opposta.
Sulla questione è intervenuta, sia incidentalmente[21] che direttamente,
Un’inversione di tendenza da
parte della giurisprudenza della Cassazione si legge nelle motivazioni presenti
nella recente decisione, prima citata, n. 13689/2006, sul mancato riconoscimento quale “sede del
vettore” dell’agenzia di viaggi che, in qualità di agente I.A.T.A., emette
biglietti di trasporto di una compagnia aerea straniera. Infatti, nelle
motivazioni si dice che “ove si fosse ritenuto che la competenza giurisdizionale fosse
appartenuta al giudice italiano, questo non poteva essere quello di Salerno, sede dell’agenzia di viaggi, ma quello di Roma, sede del rappresentante per
l’Italia della compagnia straniera, a norma del citato art. 28 della convenzione di Varsavia”[24]. È pur chiaro che il tenore di
tali affermazioni porta a concludere che i giudici della Suprema Corte hanno,
sia pur indirettamente, considerato i criteri stabiliti dalla norma pattizia
non solo per determinare la giurisdizione, ma anche per individuare nel foro di
Roma l’organo giudiziario territorialmente competente.
Non vi è dubbio che la norma in
esame, non fissa in maniera puntuale tutti gli aspetti della competenza
interna, soprattutto con riferimento alla competenza per funzione, materia e
valore. Al riguardo in dottrina[25] si è precisato che le
espressioni “tribunal”, usata nel testo francese e “court” , adottata nella versione inglese, sono da intendersi nel senso
generico di “autorità giudiziaria”, non provvedendo in alcun modo a fissare
delle regole per la determinazione della competenza interna, per materia e per
valore, di uno Stato. A conferma di ciò, si segnala l’orientamento
giurisprudenziale che riconosce la competenza funzionale al Giudice di Pace a “decidere le controversie in materia di trasporto
aereo internazionale”, in
quanto la norma internazionale “si riferisce a qualsiasi organo giurisdizionale il quale eserciti la funzione
di sua competenza in base alle normali regole processuali del proprio Stato di
appartenenza”[26].
Sul piano internazionale si
segnala l’atteggiamento della giurisprudenza statunitense, che ha optato per il
riconoscimento del dettato uniforme solo con riferimento alla giurisdizione
internazionale. Così i giudici americani al fine di accettare la domanda
avanzata dall’attore sulla base di uno dei quattro fori summenzionati, si sono
spesso limitati a verificare la coincidenza dei requisiti con riferimento alla
sola giurisdizione degli Stati Uniti. A conferma di tale orientamento, si è
notato che il termine adottato nelle versioni in lingua inglese sia della
convenzione di Varsavia che di Montreal, é “jurisdiction” che si differenzia dal termine “venue”, usato nell’ordinamento
statunitense per indicare le regole di competenza interna[27].
In una posizione contrastante, si
collocano i giudici francesi che intendono la norma internazionale processuale
attributiva sia di competenza internazionale che di competenza interna[28].
Infine, con riferimento al quinto
foro previsto dalla convenzione di Montreal, è pacifico ritenere che tale
criterio si riferisca soltanto alla giurisdizione degli Stati aderenti, in
quanto il dettato normativo si limita ad indicare gli elementi che devono
coincidere in un determinato Stato al fine di legittimare la sua applicazione[29]. La scelta del legislatore
uniforme di non inserire, nell’ambito del comma in esame, ulteriori
specificazioni riguardanti la competenza interna, è giustificata dall’esigenza
di evitare un eccessivo allargamento dei fori territorialmente individuati
secondo gli altri quattro criteri.
* Dottorando di ricerca in scienze giuridiche,
diritto della navigazione, Università degli studi di Milano-Bicocca.
[1] La disciplina di Montreal si applica anche ai voli comunitari
e nazionali, in virtù degli espressi richiami presenti nel reg. 2027/97, così
come modificato dal reg. 889/2002, e nella riformata disposizione contenuta
nell’art. 941, del codice della navigazione
[2] K.M. Beaumont, Need
for revision and amplification of the
[3] Nella pratica può accadere che il biglietto di
passaggio aereo venga emesso in un luogo diverso da quello in cui il contratto
di trasporto è stato concluso; in questo caso è rilevante la sede in cui il
contratto si è perfezionato; cfr. J. Mc Kay, The Refinement of the Warsaw system: why the 1999 Montreal convention
represents the best hope for uniformity, in Case Western Riserve Journal of International Law, n. 73, 2002 p.
95. Inoltre, quando le parti apportano delle variazioni al contratto in un
momento successivo alla sua conclusione, e queste non hanno comportato costi
aggiuntivi al prezzo originariamente pattuito, allora tali variazioni non
avranno alcun effetto sulla determinazione del luogo di conclusione del
contratto. Cfr. Fountain Court Chambers, Carriage by air, Londra-Edimburgo-Dublino,
2001, p. 186.
[4] Cfr. Busti, Il contratto di trasporto aereo,
Milano, 2001, p. 833; C.Punzi, La risoluzione delle controversie concernenti
il risarcimento dei danni, in L.Tullio (a cura di), La nuova disciplina
del trasporto aereo, Napoli, 2006, p. 322;
M.L. de Gonzalo, , Trasporto internazionale marittimo e aereo di passeggeri,
danno alla persona, foro competente, in Dir.
Tur., n.III/2005, p. 250. Quest’ultimo osserva che la coincidenza
tra il luogo di conclusione del contratto e il “place of business” del vettore,
caratterizza il dettato dell’art. 17.1.d, della Convenzione di Atene del 1974
sul trasporto marittimo di persone. Tale Convenzione richiede solamente la
presenza del vettore nel territorio di conclusione del contratto, e non che
quest’ultimo sia stato curato da un ufficio di diretta dipendenza del vettore.
[5] Cassazione Sezioni Unite Civili, 14 giugno 2006,
n. 13689, Air New Zealand Limited c. R.A., in Mass. Giur. It., 2006
e in CED Cassazione, 2006.
[6] Sul diretto controllo della società nei confronti della
sede secondaria, si veda in senso positivo Trib. di Viterbo 2 maggio 1968, Scopani
c. British Airways, in Dir.aereo, 1969, p. 285.
[7] L’agenzia di viaggio che stipula un contratto di
trasporto per conto di una compagnia aerea, in virtù di un contratto di appalto
di servizi, assume la responsabilità nei confronti del committente per il
proprio operato, cfr. Cass. civ. n. 3504/1997.
[8] Trib. Grande Inst. Paris 22 marzo 1971, Orcheste Symphonique de Vienne c. TWA, in Rev. gén. air., 1972, p.
202; nello stesso senso vedi App. Paris
2 marzo 1962, Herfroy c. Comp. Artop, in Rev. fr. dr. aér., 1962, p. 177.
[9] Cfr. L.B.
Goldhirsch, The
[10] Court of
Appeal, 19 ottobre 1965, Eck v. United Arab Airlines, in Lloyd’s Law
Rep., 1966, 2, p. 485.
[11] I giudici di New York non hanno riconosciuto come “place
of business” del vettore il luogo di stipulazione di un contratto di
charter avvenuto a New York, in quanto secondo
[12] Bundesgerichtshof 16
giugno
[13] Sull’adattamento della Convenzione di Varsavia del
1929 agli sviluppi tecnici ed economici, autorevole dottrina ha motivato un
atteggiamento liberale in quanto “the treaty should accord with the present
factual situation”; cfr. G. Miller, Liability in International Air
Transport, Deventer, 1977, p. 308.
[14] Cfr. M.L.de
Gonzalo, op. cit. , p. 250; vedi amplius J. Heinonen, The
Warsaw convention jurisdiction and the internet, in Journal of Air Law
& Comm., 2000, p. 453 ss; Lyck – Dornic, Electronic ticketing under
the Warsaw convention: the risk of “going ticketless” on international flights,
in Air & Space Law, XIII/1997, p. 26.
[15] Così Polanski
v. KLM Royal Dutch Airlines,
[16] S.F.Montanari, Sull’interpretazione dell’art. 28 della
Convenzione di Varsavia in materia di giurisdizione e competenza territoriale
nel trasporto aereo internazionale, in Dir. trasp., I/1994, p. 199
[17] Così tra gli altri S. Busti, Il contratto di
trasporto aereo, op. cit., p. 829; S. Montanari, op. cit., p. 199;
C. Punzi, op. cit., p. 327; C. Medina, Appunti di diritto
aeronautico, 1983, Torino, p.
[18] “An
action for damages must be brought, at the option of the plaintiff, in the
territory of one of the States Parties, either before the court……” (art. 33.1).
[19] Per indicare la giurisdizione internazionale nella
lingua francese si parla di juridiction o di competénce
juridictionelle; cfr. S. Busti, Il contratto di trasporto aereo, op.
cit., nota 952, p. 829.
[20] Vedi S. Busti, Il contratto di trasporto aereo,
op. cit., nota 952, p. 830; S. Montanari, op. cit., p. 202.
[21]
[22] Così Cass. Civ. sez. III, 15 luglio 2005, n.
15028, Compagnie nationale air france s.a. c. Simone, in Guida al
diritto, 2005, 39, p.66
[23] Cass. Civ. sez III, 26 maggio 2005, n. 11183, Soc.
Swissair c. Mehlman Corona e altri, in Foro It., 2006, 6, 1, p.
1877
[24] così Cass.
Sez. un., 14 giugno 2006, n. 13689, cit. supra.
[25] cfr. M. Grigoli, Sulla
esegesi dell’art. 28 della convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 per la
unificazione di alcune regole relative al trasporto aereo internazionale, in
Giust. Civ., I/1994, p. 756; cfr. S. Busti, Il contratto di trasporto
aereo, op. cit., p. 828.
[26] Giudice di Pace di Roma, sede distaccata di Ostia
– sentenza 4 luglio
[27] Così U.S. Court of Appeals for the 2d Circ., 16
febbraio 1965, Mertens v. Flying Tiger Line, in 9 Avi, 17.475;
Nel sopra citato caso Eck
[28] Si vedano le decisioni del tribunale Parigi, 8 dicembre
[29] S.M. Carbone, Criteri di collegamento giurisdizionale le clausole arbitrali nel
trasporto aereo: la soluzione della Convenzione di Montreal del
Data di pubblicazione: 28 febbraio 2007.