Laicita’
e simbolismo religioso
Salvatore
Piraino*
Sommario: 1. La laicità dello Stato. - 2.
La croce e i principi identitari dell’ordinamento giuridico italiano.
1. La laicità dello Stato
“La laicità dello Stato non significa indifferenza
di fronte all’esperienza religiosa ma comporta equidistanza e imparzialità
della legislazione rispetto a tutte le confessioni”. Così
In dottrina si precisa che, nel moderno Stato
sociale, la laicità non comporterebbe agnosticismo né indifferentismo, ma
semplicemente aconfessionalità o non confessionalità. Da ciò conseguirebbe che
l’azione dei pubblici poteri non possa in alcun modo assumere determinazioni su
questioni riguardanti la religione senza pregiudicare la pari dignità delle
confessioni religiose e la loro libertà.
La laicità, se è vero che presuppone l’esistenza di
una pluralità di sistemi di senso o di valore, di scelte personali riferibili
allo spirito o al pensiero, reputandosi funzionale all’affermazione della
libertà di coscienza, si atteggia insieme come condizione e limite del
pluralismo, perfezionandosi nella neutralità, che impone allo Stato di essere
equidistante ed imparziale rispetto ad ogni visione della vita.
Secondo la cosiddetta “ideologia dello Stato
laico”, la laicità è un valore culturale, che assurge a principio giuridico nel
momento in cui tale valore sia condiviso dalle persone che formano una determinata
società. Di esso, tuttavia, non può omettersi il rilievo che tenda a risolversi
in un inconsistente flatus vocis, per
la duttilità concettuale che lo caratterizza, tanto da fargli assumere le
significanze più diverse, secondo le circostanze e le occorrenze. Si osserva in
dottrina come la laicità non sia un valore acquisito, semplicemente desumibile
attraverso l’analisi del dato normativo di un ordinamento, ma essa è un
concetto morale astratto che si riempie di un contenuto storico specifico.
Pur prospettata la laicità come principio posto a
tutela della pacifica convivenza delle persone, nelle società pluraliste e
multiculturali, ciò non esclude che lo Stato laico si atteggi anche come uno
Stato etico quando si renda portatore di valori che nella assoluta “asetticità”
trovano il miglior modo di affermarsi: valori che nell’individualismo, inteso
come ogni rivendicazione dei diritti del singolo contro la sua subordinazione a
un sistema che lo trascenda, colgono la loro sintesi sfociando sovente nella
configurazione di un’individualità egoistica, che esalta soprattutto la libertà
dell’individuo di perseguire il suo tornaconto per assicurare il proprio
benessere, rispetto al quale si pone come eventuale il benessere della comunità
voluta dagli individui e ordinata al bene degli stessi individui.
L’utilitarismo, che confluisce in questa
concezione, acquisterebbe un certo tono di effettiva moralità se non scadesse
in un utilitarismo puramente egoistico, sprezzante, piuttosto che asettico, nei
confronti di ogni visione della vita, la cui tutela tuttavia si richiede
essenzialmente al fine di determinare il conveniente punto di equilibrio tra le
contrapposte esigenze dei diversi gruppi religiosi e degli stessi cittadini che
religiosi non sono, il quale attenui o renda tollerabile ogni possibilità di
contrasti.
Nell’era tecnologica, ritenere che lo Stato laico
possa riuscire ad abbandonare un atteggiamento di acritica ed astratta
constatazione delle molte etiche della realtà contemporanea, per riuscire a
rapportarsi con esse, nella comune ricerca del progresso della società umana,
appare poco probabile in un tempo in cui peraltro la società umana si mostra
sempre più dipendente dall’economia, dalla scienza e dalla tecnologia,
confidando in esse per il raggiungimento del maggior benessere generale.
Poiché non si può fronteggiare la morale se non
facendo della morale, l’intento di mantenersi equidistante in ogni conflitto
fra le varie etiche conduce la neutralità dello Stato moderno a rinvenire il
movente della propria azione in un individualismo che in larga misura si
identifichi col pluralismo e, quindi, nella laicità che, per l’elasticità della
sua concezione, può tornare utile per tutte le stagioni, anche nella niente
affatto remota eventualità che, posta la liceità come funzionale alla libertà
di coscienza, con essa si mirasse artatamente a promuovere la fede nella
libertà magnificata, così fornendosi l’ordinamento giuridico di una base etica,
che però, invece di favorire la coesione dei cittadini, ne accentuerebbe la
frammentazione in gruppi di pressione.
La persistente incertezza e confusione sul
significato della laicità non rende certamente agevole la considerazione delle
varie questioni collegate al problema della laicità dello Stato, rispetto alle
quali si osserva in dottrina come appaia poco esaustiva la semplice valutazione
della realtà normativa del diritto positivo, non potendosi prescindere dalla
costante dialettica tra il dato normativo e i molteplici interessi che si
rivelano nell’ambito della realtà sociale, tanto più se si è di fronte ad una
normazione disordinata e ad un quadro normativo tutt’altro che ben definito,
con numerosi elementi di contraddizione e di difficile interpretazione.
Il concetto di laicità, prestandosi ad essere
inteso in una enorme varietà di accezioni, finisce col rendere evanescente la
stessa configurazione dello Stato laico, nel quale in definitiva sembra
rimettersi al mero arbitrio ogni questione in materia di religione e di etica
generale concernente il rispetto dei relativi valori, nella piena libertà di
dare al rispetto i contenuti che possano ritenersi più opportuni, sia pure
nell’ottica dei valori sociali attinenti alla condizione terrena dell’uomo e,
quindi, degli interessi temporali dei cittadini, nelle loro dimensioni etiche o
spirituali.
2. La croce e i principi identitari
dell’ordinamento giuridico italiano
In una società democratica e pluralista, che evolve
in senso multietnico e multiculturale, è inevitabile il contrasto fra modelli e
comportamenti derivanti da culture e religioni diverse, ponendosi il problema
di stabilire entro quali limiti vada tutelato il diritto dei singoli e dei
gruppi, confessionali e non, di esprimere e di praticare le proprie idee e fino
a qual punto queste possano influire sulle determinazioni dell’intera
collettività. In altri termini, si discute sempre più vivamente sui limiti che
una società democratica e pluralista incontrerebbe nella scelta e
nell’imposizione di determinati modelli comportamentali, suscettibili di
contrastare con le convinzioni spirituali o etiche di una parte dei cittadini.
Uno dei casi di conflitto attualmente si è
rinvenuto nel problema dell’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche
o, più in generale, negli edifici pubblici. Il caso è emblematico, perché
l’approccio a tale problematica rivela i funambolismi con cui le pubbliche
istituzioni si sforzano di dimostrare che lo Stato è più laico della società
civile, di una società in cui la maggioranza cattolica sembra ormai avere
acquisito uno spirito laico, rinunziando da tempo al tentativo di conquistare
al suo credo gli altri consociati e disattendendo disinvoltamente le
indicazioni e gli insegnamenti della Chiesa di Roma, quando questi siano in
contrasto con gli aggiornamenti della scala dei valori sollecitati
dall’evolversi dei costumi nel dissolversi delle idee.
Alla luce delle enunciazioni della Corte
costituzionale (sentenze n. 203/1989, n. 259/1990, n. 195/1993 e n. 329/1997)
sulla laicità dello Stato come principio supremo dell’ordinamento
costituzionale, il quale “comporta equidistanza e imparzialità della
legislazione (o delle pubbliche autorità) rispetto a tutte le confessioni
religiose”, si è sviluppato un articolato orientamento giurisprudenziale, che
ha affrontato sotto vari profili la questione della presenza del crocifisso
nelle aule scolastiche pubbliche.
Si è discusso sull’esistenza di disposizioni che
impongano l’esposizione del crocifisso nelle scuole, nonché sulla loro natura
regolamentare o no, come pure sulla sopravvenuta abrogazione di dette
disposizioni, contenute nei regolamenti degli anni ’20, ad opera di norme
successive. Si è anche posto il problema della legittimità di tale normativa,
se ancora in vigore, alla stregua dei precetti costituzionali e, in
particolare, del principio di laicità dello Stato. E migliore considerazione
non poteva riservarsi ad un simbolo religioso, quando si è perfino tentato di
individuare la fonte dell’obbligo di esposizione del crocifisso nella normativa
sull’istruzione scolastica che si occupa degli arredi scolastici, il cui
acquisto, manutenzione e rinnovamento spetta ai Comuni e che include il
crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche (ordinanza Corte cost.
n.389/2004).
Ritenuti, se pure non pacificamente, superati i
regolamenti sulla presenza del crocifisso nelle scuole, si è individuata la
fonte di tale presenza in una mera consuetudine radicata, da rispettarsi a
certe condizioni, se ed in quanto cioè al crocifisso si attribuisca un valore
culturale, nel senso di configurarlo come un simbolo popolare facente parte
della tradizione del popolo italiano, tanto da rinvenire in esso un elemento
identitario sulla base del suo valore storico e culturale.
Non sono mancati neanche i contrasti sulla
giurisdizione, in ordine al carattere discrezionale o no dell’azione della
pubblica Amministrazione sulla materia di che trattasi ed alla natura giuridica
degli interessi lesi.
Quasi tutti gli orientamenti giurisprudenziali
ruotano intorno alla questione del senso da attribuire ai contenuti di cui
presumibilmente non sarebbe privo il concetto di laicità, indulgendo ora sulla
neutralità, o sull’asetticità, o sull’indifferenza, e via dicendo.
L’indifferenza sembrerebbe stimolare un recente
giudizio del giudice amministrativo (TAR Lombardia, Brescia, 22 maggio 2006),
che, sfiorando le problematiche connesse al valore proprio del crocifisso,
affronta la questione della sua presenza o no nelle aule scolastiche muovendo
dall’assunto che tale simbolo religioso, anche esprimendo messaggi universali,
apparterebbe comunque alla sfera della coscienza e delle libere scelte
individuali. Sicchè, andrebbe rimessa all’autonomia delle istituzioni
scolastiche, che “è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo
culturale” (art. 1 D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275), la soluzione del problema
dell’affissione o no del crocifisso nelle aule scolastiche, in mancanza di
un’espressa previsione di legge che disponga in proposito: soluzione da
adottare, da parte dell’autorità scolastica, nel pieno rispetto del metodo
democratico, attraverso il coinvolgimento di insegnanti, studenti e genitori,
negli appositi organismi collegiali rappresentativi.
Appare indubbiamente riduttivo e semplicistico
correlare acriticamente la croce come simbolo religioso con la questione della
sua presenza o no in un’aula scolastica o edificio pubblico, senza soprattutto
inquadrare tale simbolo nell’ambito della realtà ordinamentale alla luce dei
suoi complessi significati, rispetto ai quali col principio di laicità non v’è
presunta contrapposizione che non rischi di alterare la fisionomia stessa
dell’ordinamento giuridico.
In proposito, una sensibile ed attenta
giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 febbraio 2006, n. 556) ha
affermato come il crocifisso non assuma significato discriminatorio sotto il
profilo religioso, ma rappresenti e richiami, in forma sintetica immediatamente
percepibile e intuibile (al pari di ogni simbolo), l’origine religiosa di
valori civilmente rilevanti, e chiaramente di quei valori di uguaglianza, di
tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di
affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della
coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto
di ogni discriminazione, che caratterizzano il nostro ordinamento giuridico e
dai quali non può prescindere il principio di laicità dello Stato, pur nella
indeterminatezza del suo contenuto.
I principi costituzionali di libertà si radicano
indubbiamente anche nel Cristianesimo, nella sua essenza. Sicchè, sarebbe
paradossale e contraddittorio escludere un segno cristiano da una struttura
pubblica in nome di una laicità che certamente trae alimento da quei valori di
accettazione e di rispetto d’ogni prossimo che, costitutivi delle fondamenta e
dell’architrave del Cristianesimo, sono stati trasfusi nei principi
costituzionali di libertà dello Stato, “sancendo così visivamente, ed anche in
un’ottica educativa, la condivisione dei principi fondamentali della Repubblica
italiana con il patrimonio cristiano” (TAR Veneto, Venezia, sez. III, 22 marzo
2005, n. 1110).
L’assunto del crocifisso come espressione di
fondamentali principi che connotano la nostra società civile, oltre che simbolo
di una particolare storia, cultura e identità nazionale, lungi dal porre
un’equazione tra italianità e cristianità, che potrebbe sospettarsi a discapito
dell’ispirazione pluralista e democratica dell’ordinamento vigente, da taluno
si considera rivelatore di una configurazione simbolica complessa del crocifisso,
il cui significato sarebbe comprensivo non solo di quello religioso, ma anche
di quello storico-culturale, che segnerebbe il recupero del carattere lato sensu identitario del simbolo.
Anche se, com’è stato opportunamente osservato, in fondo il crocifisso
rappresenta tutti, perché prima di Cristo nessuno aveva mai enunciato
l’uguaglianza di tutti gli uomini, ricchi e poveri, credenti e non credenti,
neri e bianchi, “e nessuno prima di lui aveva mai detto che nel centro della
nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini”.
D’altra parte, il pluralismo culturale non
significa occultazione o mortificazione delle identità, ma se il crocifisso è
simbolo della cultura di una società civile, tale cultura deve essere
rispettata dalle altre in essa presenti, così come queste quella deve
rispettare.
L’identità della nostra società civile è
incontestabilmente costituita anche dalla tradizione cristiana. Sicchè il
crocifisso, nel suo significato composito, appartiene a tutti ed a pieno titolo
se ne può disporre l’esposizione negli edifici pubblici, senza che ciò si ponga
in contrasto con la libertà di coscienza, quando appunto il simbolo assuma
valore per l’intera società civile, pur nel contesto di una pluralità di
culture e, quindi, di etiche. La croce è, infatti, un simbolo polivalente,
portatore di una pluralità di valori, oltre che religiosi, legati ad una
cultura determinata ed anche universali dal punto di vista umano. Basti
ricordare che il Cristianesimo non solo è parte integrante delle nostre radici
culturali, ma la croce si considera addirittura come simbolo riassuntivo delle
fondamenta culturali della società europea.
In effetti, non si tratta di assumere come
preminente la cultura tradizionale né di imporla, perché ciò rappresenterebbe
comunque la negazione del principio di libertà, ma soltanto di preservare una
determinata identità, sintesi di un processo storico-culturale di cui il popolo
italiano è autore e protagonista e che reca in se le luci e le oscurità
impenetrabili, in grembo alle quali maturano le grandi risoluzioni storiche.
Tale identità, risultato di trasformazioni
laboriosissime e di adattamenti graduali talvolta lentissimi, è un patrimonio
di valore morale e pratico inestimabile, che la costruzione tanto auspicata di
un diritto effettivamente multiculturale non può mortificare, stravolgendo i
nostri stessi valori e tradizioni, che sono tradizioni romano-cristiane, di cui
L’ostilità, in vari modi ed occasioni manifestata
nei confronti dell’esposizione del crocifisso negli edifici pubblici, mal
dissimula ciechi vieti pregiudizi anticattolici nell’eguagliare
Se è inscindibile il nesso tra laicità ed
eguaglianza, non può sottacersi che, come insegnò già Platone, la vera
eguaglianza non consiste nel trattare egualmente enti diseguali, sì bene nel
trattarli disegualmente.
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* Docente di diritto pubblico e di diritto
amministrativo, facoltà di economia, Università degli Studi di Palermo.
Data di
pubblicazione: 31 luglio 2007.