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Vol. V/2007

RIVISTA DI DIRITTO DELL’ECONOMIA,

DEI TRASPORTI E DELL’AMBIENTE

 

 

 

La concessione di aree e banchine·

Cinzia Ingratoci*

 

Sommario

1. La gestione del demanio marittimo funzionalmente destinato alle attività commerciali svolte nel porto

2. La qualificazione soggettiva del concessionario di aree e banchine portuali

3. La delimitazione oggettiva dell’attività di impresa

4. Le obbligazioni inerenti la concessione di aree e banchine

5. Le procedure di rilascio della concessione

6. Considerazioni conclusive

 

 

1. La gestione del demanio marittimo funzionalmente destinato alle attività commerciali svolte nel porto

L’ordinamento dei porti italiani trova una organica disciplina nelle disposizioni introdotte con la legge 28 gennaio 1994, n. 84 e successive modifiche e integrazioni[1]. La c.d. “riforma dei porti” –  che, in materia, modifica radicalmente il regime già delineato dal codice della navigazione – ha liberalizzato il mercato delle operazioni e servizi portuali ed assegnato ad enti di nuova istituzione, le Autorità Portuali, il compito di promuovere il massimo sviluppo della concorrenza in un settore caratterizzato da una naturale limitatezza delle infrastrutture di riferimento[2].

Giova premettere che la privatizzazione operata dalla legge n. 84 del 1994 riguarda le attività commerciali esercitate all’interno dello scalo marittimo, ma non tocca il regime delle aree portuali, che rimangono elemento del demanio necessario dello Stato, sottoposte allo speciale ordinamento di cui al codice della navigazione[3]. Anzi, è proprio la natura demaniale del “porto” a suggerire al legislatore della riforma la definizione di un contesto normativo di più rigorosa regolamentazione, che affida la tutela del “bene” e la salvaguardia degli interessi marittimi cui lo stesso è destinato alla programmazione, intesa come eterodeterminazione dei fini dell’iniziativa economica, ed al controllo sulla effettiva conformità alla prima dell’attività privata d’impresa[4].

La liberalizzazione delle operazioni portuali opera, in sintesi, una risistemazione dei limiti e delle modalità di intervento dello Stato nel mercato considerato[5], ed in particolare il passaggio dal modello della “riserva” di impresa (monopolio amministrato dell’esercizio dei servizi portuali) al sistema della regolazione, programmazione e controllo[6].

 

Allo scopo, la legge n. 84 del 1994 disciplina – tra l’altro – la gestione del demanio portuale funzionalmente destinato alle attività commerciali marittime, rivisitando nelle finalità e nei contenuti i tradizionali atti amministrativi di autorizzazione e di concessione.

Come rilevato da autorevole dottrina[7], le disposizioni della riforma costituiscono un corpus che si aggiunge alla normativa del codice della navigazione, di cui vengono superati i principî e la fondamentale impostazione relativamente ad alcuni profili della gestione di un ambito demaniale particolare, la “circoscrizione portuale”[8].

Nell’economia del presente lavoro sorge, dunque, il problema di coordinare le norme sulla gestione del demanio di cui agli articoli 36 e ss. del codice della navigazione, con le nuove disposizioni dettate dalla legge n. 84 del 1994, in particolare con l’articolo 18, rubricato “concessione di aree e banchine”.

 

Le due discipline avranno – una volta emanate le norme di attuazione dell’articolo 18, legge n. 84 del 1994 [9] – un ambito di applicazione non del tutto coincidente: la “concessione di aree e banchine” riguarda, infatti, una porzione chiaramente delimitata del territorio rientrante nella circoscrizione delle Autorità Portuali, ossia l’area demaniale o banchina utilizzabile, per sua natura e destinazione, ai fini commerciali proprî della navigazione marittima[10].

Al di fuori di dette aree, le Autorità Portuali continueranno ad applicare, anche a regime, le disposizioni contenute nel codice della navigazione e nel correlato regolamento di attuazione. La persistente vigenza della normativa codicistica è, peraltro, espressamente prevista da alcune norme della legge n. 84 del 1994.

Infatti, nel definire i compiti degli organi direttivi delle nuove Autorità Portuali, è disposto, ad esempio, che il Presidente dell’Ente:

a)       esercita le competenze attribuite dagli articoli 16 e 18 della legge n. 84 del 1994  (cioè rilascio di autorizzazioni e concessioni di aree e banchine in ambito portuale per l’esercizio di operazioni portuali, di durata non superiore al quadriennio, come disposto dall’articolo 8, co. 3, lett. i), legge n. 84 del 1994),

ma, in pari tempo

b)       amministra le aree e i beni del demanio marittimo compresi nell’ambito della circoscrizione territoriale esercitando (…) le attribuzioni stabilite negli articoli da 36 a 55 e 68 del codice della navigazione e relative norme di attuazione (così l’articolo 8, co. 3, lett. h), legge n. 84 del 1994, che opera un preciso rinvio recettizio alle disposizioni del codice della navigazione relative al demanio marittimo).

 

I correlati atti, relativi alla gestione del demanio, non vanno confusi con le concessioni di servizi che l’Autorità Portuale è tenuta ad assentire, previo esperimento di procedure di gara:

c)        per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni dell’ambito portuale[11] (art. 6, comma 3, lett. b), della legge n. 84 del 1994);

d)       per le attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti di servizi di interesse generale, non coincidenti né connessi con le operazioni portuali (articolo 6, comma 3, lett. c), della legge n. 84 del 1994) [12].

Infine, per la costruzione e gestione di opere a mare, funzionali alla realizzazione delle operazioni portuali (di cui all’articolo 18, co. 5, legge n. 84 del 1994) dovrà farsi riferimento anche alle norme in materia di lavori pubblici[13].

In base al disposto dell’articolo 18, co.1, della legge n. 84 del 1994, è altresì sottoposta a concessione la realizzazione e gestione di opere attinenti ad attività marittime e portuali collocate a mare nell’ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee, da considerarsi anch’essi “ambito portuale” purché interessati dal traffico portuale e dalla prestazione di servizi portuali.

L’“ambito portuale”[14] che, dunque, costituisce il possibile oggetto dell’atto di concessione di cui all’articolo 18 della legge n. 84 del 1994, che ci occupa, è qualificabile come quella parte della circoscrizione territoriale (area o banchina portuale) affidata alla giurisdizione dell’Autorità Portuale (o Marittima) per l’esercizio delle funzioni di competenza, e specialmente destinata alle operazioni portuali da un atto di regolazione contenuto in uno strumento di pianificazione generale, come il Piano Regolatore Portuale, ovvero in un provvedimento ordinatorio (ordinanza) di destinazione degli ambiti[15].

 

2. La qualificazione soggettiva del concessionario di aree e banchine portuali

Ai sensi dell’articolo 18, co. 1, della legge n. 84 del 1994, la concessione di aree demaniali e banchine comprese nell’ambito portuale è rilasciata “alle imprese di cui all’articolo 16, comma 3”.

Il concessionario, pertanto, deve necessariamente essere un’impresa autorizzata all’esercizio di operazioni portuali, sottoposta alla normativa dettata dall’articolo 16 della legge n. 84 del 1994 e dal correlato regolamento di attuazione[16].

Brevemente, la norma da ultimo citata dispone che le “operazioni portuali” (carico, scarico, trasbordo, deposito e movimento di merci e di ogni altro materiale svolti in ambito portuale) ed i “servizi portuali” riferiti a prestazioni specialistiche, complementari o accessorie al ciclo delle operazioni portuali, sono svolti dalle imprese previo rilascio di una autorizzazione dell’autorità competente (Autorità Portuale o, in mancanza, Autorità marittima)[17] subordinata alla verifica del possesso dei requisiti richiesti dalla legge ed alla presentazione di un programma operativo[18].

L’autorizzazione ha una durata annuale o la durata rapportata al programma operativo presentato dall’impresa, ovvero (se l’impresa autorizzata è anche concessionaria di aree o banchine) ha durata identica alla concessione[19]. Peraltro “l’autorizzazione può essere rinnovata ... a seguito del rinnovo della concessione” (così testualmente l’articolo 16, co. 6, legge n. 84 del 1994).

L’impresa autorizzata è legittimata a esercitare la propria attività in tutto l’ambito portuale ed è iscritta in un apposito registro.

Le Autorità Portuali determinano il numero massimo di autorizzazioni che possono essere rilasciate in relazione alle esigenze del porto ed all’obiettivo della massima concorrenza (c.d. autorizzazioni contingentate) [20].

 

Non è impresa portuale autorizzata ai sensi dell’articolo 16, co. 3 della legge n. 84 del 1994, e dunque non potrà ottenere una concessione ai sensi dell’art. 18, co. 1, l’impresa di navigazione autorizzata all’autoproduzione delle operazioni portuali.

L’esercizio del diritto di autoproduzione – riconosciuto dall’articolo 16, co. 4, lett. d) della legge n. 84 del 1994 in ossequio alle disposizioni comunitarie in tema di libera prestazione dei servizi, ed alle pronunce giurisprudenziali sul punto[21] – è sottoposto parimenti al rilascio di autorizzazione (al solo fine di consentire all’Autorità competente di espletare le proprie funzioni di controllo e coordinamento), ma il relativo atto non rientra nel novero delle autorizzazioni a numero chiuso.

Con Circolare n. 32/VI del 5 gennaio 1996, il competente Ministero dei Trasporti ha dettato raccomandazioni volte a garantire, ove possibile, l’uso di apposita banchina per il self-handling, o comunque la disponibilità di adeguati spazi operativi, anche nelle aree in concessione, secondo modalità da convenire con i concessionari[22].

Le Ordinanze delle Autorità Portuali sul punto consentono, in linea di massima, l’accesso del soggetto autoproduttore alla banchina in concessione esclusiva, previo nulla osta del concessionario e compatibilmente alle esigenze organizzative di questi[23].

 

Sempre con riferimento al possesso dei requisiti necessari ad ottenere una concessione di aree e banchine portuali, giova infine sottolineare che il legislatore non distingue, sul piano formale, tra imprese autorizzate all’esercizio di operazioni portuali e imprese ammesse ad erogare servizi specialistici[24]. Infatti, l’articolo 18, co. 1, dispone testualmente che la concessione di aree e banchine ricomprese nell’ambito portuale è riservata alle imprese “di cui all’articolo 16, comma 3”, e cioè sia le imprese autorizzate per l’esercizio delle “operazioni portuali” di cui al comma 1, sia le imprese che hanno ottenuto autorizzazione per l’esercizio di uno o più “servizi specialistici” da individuare nell’atto.

Nondimeno, si ritiene che il soggetto legittimato a presentare istanza di concessione ex art. 18 della legge n. 84 del 1994, sia esclusivamente l’impresa autorizzata all’esercizio di operazioni portuali, posto che – sul piano oggettivo – la concessione in parola è finalizzata esclusivamente “all’esercizio delle operazioni portuali”, eventualmente in una con i servizi specialistici richiesti dall’utenza, per realizzare un ciclo produttivo a carattere continuativo e integrato.

Infatti, il comma 6 dello stesso articolo 18 in commento prevede, tra i requisiti per ottenere il rilascio della concessione, il possesso di “adeguate attrezzature tecniche ed organizzative idonee anche dal punto di vista della sicurezza a soddisfare le esigenze di un ciclo produttivo ed operativo a carattere continuativo ed integrato per conto proprio e di terzi”. Ancor di più, il concessionario ex art. 18 non può operare al di fuori delle aree detenute in concessione (art. 18, co. 7), vincolo poco coerente con il rilascio di una autorizzazione all’esercizio di servizi specialistici che, per loro natura, devono essere resi a favore di tutti i soggetti autorizzati all’esercizio delle operazioni portuali, siano essi imprese che operano in banchina libera, siano essi terminalisti.

 

Invero, il rinvio formale operato dall’articolo 18, co. 1, in esame risente, sul piano letterale, del mancato coordinamento tra la citata disposizione e la modifica apportata al richiamato articolo 16, co. 1, dalla legge n. 186 del 2000 [25], la quale ha introdotto in un secondo momento, nel contesto della disposizione dedicata alle operazioni portuali, la nuova categoria dei servizi specialistici sottoponendoli alla medesima disciplina.

 

3. La delimitazione oggettiva dell’attività di impresa

La concessione di aree e banchine è rilasciata per “l’espletamento delle operazioni portuali” (così articolo 18, co. 1, legge n. 84 del 1994), ovvero di prestazioni di natura imprenditoriale rivolte alle merci o ad altri materiali ed erogate in ambito portuale.

Come detto, l’articolo 16 della legge n. 84 del 1994 riconduce al concetto di operazioni portuali “il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale svolti in ambito portuale”, ricalcando sostanzialmente il disposto dell’articolo 108 del codice della navigazione, abrogato[26], fatte salve alcune precisazioni che rappresentano la positivizzazione – nella legge di riforma dei porti – delle conclusioni cui era pervenuta la dottrina più attenta alla problematica in esame[27].

La delimitazione della categoria può essere agevolata dal ricorso ad alcuni criteri, quali:

a)       un criterio di ordine economico, legato al carattere commerciale della prestazione resa a domanda individuale;

b)       un criterio di ordine spaziale, ovvero la localizzazione dell’attività (che oggi va rapportata all’ambito portuale destinato alle operazioni medesime);

c)        un criterio di ordine funzionale, ovvero la riconduzione dell’attività a prestazioni correlate al “ciclo nave”.

 

Sul piano economico, le operazioni portuali integrano servizi di natura imprenditoriale, non aventi carattere sociale o amministrativo. La nota sentenza “Porto di Genova”, per quanto di interesse in questa sede, sancisce espressamente che le operazioni portuali non sono servizi pubblici, né servizi di interesse economico generale, ma attività di impresa svolte in ambito portuale da soggetti che devono mantenere una gestione di diritto privato, non potendo godere di diritti speciali o esclusivi dei quali sono automaticamente portati ad abusare[28].

La giurisprudenza nazionale più recente ha considerato le operazioni portuali come “attività economiche private, sia pure di interesse generale, per la cui regolamentazione è sufficiente da parte dell’Autorità Pubblica quella forma di controllo preventivo che si esplica nel richiedere taluni requisiti di professionalità e di organizzazione, propedeutici alla autorizzazione medesima e volti a fare in modo, in definitiva, che l’iniziativa privata non si svolga in condizioni di totale deregulation[29].

 

Con riferimento al criterio spaziale, l’articolo 16 della legge n. 84 del 1994 contiene una precisazione rispetto all’articolo 108 del codice della navigazione, limitando l’esercizio delle operazioni ad una porzione del “porto” definita “ambito portuale”[30]. Rientrano, inoltre, nel concetto di operazione portuale solo quelle attività che implicano un contatto (in arrivo, partenza, transito) delle merci (e di ogni altro materiale) con la banchina e le sue dotazioni e attrezzature, ivi incluse le opere a mare interessate dal traffico portuale. Non è pertanto operazione portuale il movimento della merce a bordo della nave, se effettuato dall’equipaggio in autoproduzione[31].

 

Sul piano funzionale, la nozione oggettiva di cui all’articolo 16 della legge n. 84 del 1994 appare più ampia rispetto al disposto della corrispondente norma del codice della navigazione, ricomprendendo anche attività di movimentazione che non hanno origine o destinazione nella nave, pur essendo funzionalmente correlate al ciclo nave, posto che il legislatore sostituisce all’espressione “imbarco e sbarco” dell’abrogato articolo 108 i termini “carico e scarico”[32].

 

Ulteriore circoscrizione della categoria può desumersi dall’insieme delle qualificazioni utilizzate dal legislatore per descrivere l’attività.

Il servizio in parola, infatti, deve essere in grado di imprimere un “movimento” alla merce, preordinato a consentire l’avvio o la conclusione del ciclo di trasporto: tale è il carico e lo scarico, tale è il trasbordo mentre, in via residuale, lo stesso legislatore definisce l’operazione portuale rinviando ad attività di “movimentazione in genere” delle merci e dei materiali, in connessione con l’arrivo e la partenza della nave. Ne deriva che non possono rientrare nel novero delle “operazioni portuali” le attività che non integrano movimentazione (ad es. pesatura della merce), così come quelle che non assumono rapporto strumentale con i traffici marittimi (confezionamento).

Rimangono escluse anche le attività che non richiedono manipolazione delle merci o le operazioni totalmente meccanizzate (ad es. aggancio di manichette o attivazione di valvole di pompaggio, per il trasferimento di rinfuse liquide dalle navi ai locali di un deposito costiero)[33].

Unica eccezione alla costante del “movimento”, come elemento qualificante l’attività sostanzialmente riconducibile all’operazione portuale, è rappresentata dal termine “deposito”, pur presente nell’articolo 16 della legge n. 84 del 1994: vocabolo da interpretare, comunque, in senso letterale e senza specifica connotazione giuridica, ovvero come indice di un’attività di momentanea allocazione della merce sulla banchina in prosecuzione di un carico e/o scarico, quando non si provveda ad operazioni di trasbordo da un mezzo all’altro. Già in vigenza della disciplina codicistica, infatti, la Corte di Cassazione ha rilevato che, nel concetto di deposito di cui all’articolo 108 del codice della navigazione, non rientra l’attività di conservazione e custodia delle merci all’interno di locali dove è effettuato il deposito stesso[34].

A conferma di quanto sopra, alcune Autorità Portuali, nell’esercizio dei poteri regolamentari in materia, hanno incluso attività riconducibili al “deposito” delle merci in banchina nel novero dei c.d. “servizi specialistici”, cioè di quelle attività che, per essere complementari o accessorie al ciclo delle operazioni portuali, secondo quanto previsto dall’art. 16, co.1, legge n. 84 del 1994, perciò stesso non costituiscono “operazione portuale” in senso stretto[35].

 

Elementi di definizione discendono, infine, dall’oggetto della movimentazione.

Sia l’abrogato articolo 108 del codice della navigazione, che l’articolo 16 della legge n. 84 del 1994, ed il citato regolamento attuativo di cui al D.M. n. 585 del 1995, riconducono le operazioni portuali ai servizi commerciali rivolti a merci o altri materiali, legittimando la conclusione per cui non rientrano nella nozione  i “servizi ai passeggeri”.

Questi ultimi, se a struttura complessa (stazioni marittime), integrano servizi di interesse generale all’utenza[36]; se a struttura semplice, possono rientrare tra le prestazioni complementari o accessorie al contratto di trasporto, ed essere eventualmente sottoposte al controllo generale del Comandante del Porto, oggi del Presidente dell’Autorità Portuale, di cui all’articolo 68 del codice della navigazione.

 

Qualche ulteriore precisazione è desumibile dalla prassi e dalle pronunce giurisprudenziali.

Già la giurisprudenza più datata, sebbene sporadicamente, ha incluso le operazioni di imbarco e sbarco relative al traffico gommato su navi traghetto nella categoria delle operazioni portuali “riservate” ex art. 110 del codice della navigazione. Più di recente, le operazioni di incolonnamento, imbarco e sbarco degli automezzi, funzionali e accessorie all’attività di traghettamento, sono state ritenute operazioni portuali sulla base dell’assunto che trattasi di attività funzionalmente collegata al “ciclo nave”, mentre “sarebbe illogico ritenere che la locuzione <carico e scarico di merci > debba leggersi in senso restrittivo, da non ricomprendere anche operazioni analoghe ed assimilabili concettualmente, della medesima importanza economico-sociale, se non maggiore, quali l’imbarco e lo sbarco di automezzi”. La sostanziale ambiguità del servizio in parola non sfugge comunque al giudice amministrativo, che conclude, invero, affermando come tali attività “debbano essere incluse nella disciplina autorizzatoria prevista dall’articolo 16 della legge n. 84 del 1994, se non in qualità di operazioni portuali quantomeno come servizi specialistici, complementari o accessori al ciclo delle operazioni portuali”[37].

Non costituisce operazione portuale, infine, la gestione di mezzi meccanici, rientrante nel novero dei servizi specialistici.

 

A tal proposito, e ferme restando le considerazioni svolte in tema di legittimazione attiva a presentare istanza di concessione di aree e banchine, si aggiunge che i servizi specialistici, complementari o accessori al ciclo delle operazioni portuali, sono stati ricondotti alla disciplina delle operazioni medesime in seguito alla modifica apportata alla legge n. 84 del 1994 con la citata legge n. 186 del 2000 [38]. Ciò al fine di sottoporre al medesimo regime di regolazione e controllo altre attività, diverse dalle operazioni portuali, ma strettamente collegate all’esercizio di queste, da individuarsi dalle singole Autorità competenti in quanto funzionali alle esigenze del singolo porto[39].

Il carattere specialistico delle prestazioni “è costituito dalla particolare competenza tecnica del fornitore, rappresentata anche dalla disponibilità di attrezzature e/o macchinari specificatamente dedicati alla fornitura del servizio”, mentre il carattere complementare o accessorio è costituito dalla circostanza che, pur trattandosi di attività distinte dalle operazioni portuali, sono “funzionali al proficuo svolgimento delle stesse”, contribuiscono a migliorare la qualità di queste ultime in termini di produttività, celerità e snellezza, risultano necessarie ad “eliminare i residui o le conseguenze indesiderate delle attività del ciclo”[40].

Anche in questo caso deve trattarsi di servizi accessori alla movimentazione delle merci e dei materiali, con esclusione del traffico passeggeri[41].

 

Il complesso delle operazioni portuali si qualifica come “ciclo” quando ricopre l’insieme delle attività di movimentazione funzionalmente connesse al trasporto marittimo, finalizzate al passaggio del carico o di parte di esso da una nave ad un’altra o da una nave ad altra modalità di trasporto e viceversa[42].

Tale attività costituisce l’oggetto della concessione di aree e banchine, in cui i servizi alle merci sono organizzati secondo i criteri di un moderno “terminal portuale”, con la precisazione che il terminalista, mentre di norma offre all’utente servizi specialistici gestiti da imprese terze, con le quali intrattiene rapporti contrattuali, è tenuto di contro ad erogare direttamente le operazioni portuali nell’area in concessione (e soltanto in essa), salvo il disposto dell’art. 18, co.7 [43].

 

In sintesi, la concessione di cui all’articolo 18 della legge n. 84 del 1994, rispetto alle concessioni demaniali regolate dal codice della navigazione, è qualificata dalla destinazione funzionale dell’area ad una determinata attività di impresa che richiede altresì una specifica legittimazione soggettiva del concessionario all’esercizio della stessa, ovvero il possesso della prescritta autorizzazione di impresa portuale, cui si aggiungono requisiti ulteriori (ex art. 18, co. 6): pur data, infatti, la relazione condizionale tra autorizzazione e concessione, il positivo esito della procedura ex articolo 16 non assorbe la procedura ex articolo 18 della legge n. 84 del 1994.

In particolare, l’impresa portuale che richieda una concessione di area o banchina, si impegna a garantire – nell’infrastruttura posta sotto il suo controllo – un ciclo produttivo e operativo a carattere continuativo ed integrato, per conto proprio e di terzi (articolo 18, co. 6, lett. a) legge n. 84 del 1994), responsabilità che non grava, certo, sull’impresa meramente autorizzata ad operare su banchina libera.

 

4. Le obbligazioni inerenti la concessione di aree e banchine

L’impresa concessionaria è, dunque, necessariamente un’impresa autorizzata, mentre quest’ultima può svolgere, e normalmente svolge, la propria attività commerciale avvalendosi delle banchine libere o, in determinate ipotesi, delle strutture di altra impresa concessionaria.

L’atto di concessione di cui all’articolo 18 della legge n. 84 del 1994, conferisce una utilità aggiuntiva all’impresa autorizzata, ovvero il diritto di utilizzare aree demaniali e banchine in esclusiva, per l’espletamento delle operazioni portuali.

Ai fini del rilascio della concessione è richiesto, tra l’altro, che l’impresa presenti un programma di attività volto all’incremento dei traffici e della produttività nel porto (articolo 18, co.6, lett.a), legge n. 84 del 1994).

 

Il legame normativo tra la concessione ex articolo 18 e l’autorizzazione ex articolo 16, non si risolve, pertanto, nella mera legittimazione attiva alla presentazione dell’istanza, ma esprime una relazione sostanziale tra l’uso speciale del bene pubblico e l’attività privata conformata a fini di interesse generale (incremento dei traffici e della produttività del porto).

Come già chiarito, finalità della concessione di aree e banchine non è, infatti, il mero trasferimento del diritto di utilizzo del bene per la realizzazione di un’attività economica coerente all’interesse demaniale marittimo, come è proprio delle ipotesi disciplinate dagli articoli 36 e ss. del codice della navigazione, bensì il conferimento al privato di compiti di organizzazione e gestione di un “ciclo operativo a carattere continuativo e integrato”, secondo le modalità indicate nel programma di attività.

 

L’obbligazione assunta dal concessionario è caratterizzata da un quid pluris, ovvero l’onere del coordinamento dell’intero ciclo di attività nei rapporti con l’utenza[44], rispetto alla quale il terminalista finisce per svolgere il ruolo di “soggetto canalizzatore della totalità dei servizi relativi alle merci”[45].

Fattore qualificante la concessione di cui all’articolo 18 della legge n. 84 del 1994, è dato, dunque, dalla pre-determinazione dei fini del programma di attività, che regola le operazioni nel terminal e conferisce interesse generale, per i profili di sviluppo di un comparto strategico dell’economia marittima, al complesso dei servizi che, singolarmente considerati, rimangono attività di carattere privato e commerciale.

Il vincolo di destinazione all’esercizio delle operazioni portuali, secondo le modalità approvate dall’Autorità nel piano di attività presentato dall’impresa, permea il rapporto tra privato e pubblica amministrazione[46]: l’atto di concessione perde il suo autonomo rilievo, rimanendo del tutto condizionato dall’esercizio, dal conseguimento degli obiettivi prefissati e dalla corretta gestione dei profili pubblicistici (sicurezza) inerenti.

Nell’area posta sotto il suo controllo, il terminalista organizza una complessa attività che abbraccia l’individuazione degli strumenti più idonei al conseguimento dell’obiettivo (pubblico) di incremento dei traffici nel porto (programma di attività), così partecipando delle funzioni strategiche proprie dell’amministrazione, ed attende anche all’esercizio di compiti di interesse generale riservati, sulle banchine libere, all’Autorità (quali, ad esempio, la manutenzione ordinaria e straordinaria).

Ancora, il concessionario è chiamato a collaborare con l’amministrazione nell’esercizio di importanti funzioni pubblicistiche, che sono inerenti alla complessiva organizzazione ed al controllo dell’uso del bene demaniale.

Così è a dirsi, ad esempio, per l’implementazione delle disposizioni in materia di security (norme volte alla prevenzione di eventuali attacchi di terrorismo a danno della nave o dell’infrastruttura portuale): in aderenza alla valutazione dei rischi realizzata, sentiti le imprese autorizzate ed i terminalisti, le Autorità Portuali elaborano il Piano di security degli impianti non affidati in concessione, con il coinvolgimento delle imprese autorizzate ad operare su banchina libera, mentre i terminalisti sono chiamati ad elaborare essi stessi i Piani di security dei rispettivi impianti e curarne l’attuazione[47].

 

Alla luce delle brevi osservazioni di cui sopra, è possibile affermare – come peraltro intuito, già all’indomani della riforma, da autorevole dottrina – che l’operazione portuale svolta nel terminal non è più, o non è solo, manipolazione di merce, ma è attività complessa, programmata in funzione dello sviluppo e delle capacità operative dello scalo[48].

Tale notazione consente di distinguere ulteriormente la posizione dell’impresa meramente autorizzata rispetto all’impresa concessionaria: la prima si impegna ad apprestare mezzi e personale adeguati alla realizzazione del programma operativo presentato, ma non è tenuta al conseguimento di un risultato utile per l’economia portuale[49]. Al contrario, il terminalista che, senza giustificato motivo, non raggiunga gli obiettivi del programma di attività, è passibile di revoca del provvedimento[50].

 

L’Autorità Portuale (o Marittima) è tenuta a verificare periodicamente l’osservanza degli obblighi assunti dal concessionario, il permanere dei requisiti e l’attuazione degli investimenti previsti nel programma (articolo 18, co. 8).

 

5. Le procedure di rilascio della concessione

Come accennato nelle pagine precedenti, l’articolo 18 della legge n. 84 del 1994 rinvia, per una dettagliata disciplina sui contenuti della domanda per il rilascio della concessione, sugli obblighi del concessionario, sulle verifiche dell’Autorità Portuale, ad un emanando regolamento, imponendo comunque idonee forme di pubblicità per la scelta del concessionario, nonché il controllo sulla realizzazione del programma di attività e la verifica della costante compatibilità dello stesso ai piani di sviluppo del porto.

Con il medesimo decreto il Ministro “adegua la disciplina relativa alle concessioni di aree e banchine alle normative comunitarie” (art. 18, co. 3).

Non di meno, l’articolo 27, comma 4, della riforma dispone che – sin dalla data di entrata in vigore della legge n. 84 del 1994 – le Autorità Portuali procedono alla revoca di autorizzazioni e concessioni assentite a soggetti che non abbiano i requisiti di cui agli articoli 16 e 18, o la cui attività non sia coerente con le linee programmatiche di sviluppo dei traffici nel porto.

Ciò legittima l’interpretazione per cui, nonostante la mancata emanazione del previsto regolamento di attuazione dell’articolo 18, legge n. 84 del 1994, la norma è immediatamente applicabile limitatamente alle disposizioni sufficientemente dettagliate ed ai principî in essa contenuti, peraltro in analogia con quanto previsto – ad esempio – per le direttive comunitarie c.d. self executing[51].

A tale tesi non osta l’articolo 20, co. 4, della stessa legge n. 84 del 1994, ove è previsto che “fino all’entrata in vigore delle norme attuative della presente legge continueranno ad applicarsi le disposizioni previgenti in materia”, dovendosi detta norma riferire esclusivamente alle disposizioni programmatiche, non di immediata applicabilità.

 

La posizione qui accolta impone, quindi, di verificare il possibile coordinamento – sino alla emanazione del succitato regolamento ministeriale di attuazione – tra i principî dell’articolo 18 della legge n. 84 del 1994 e le disposizioni codicistiche di usuale applicazione nelle procedure di rilascio di concessioni demaniali, anche in prospettiva di una possibile integrazione, a regime, tra le due normative[52].

Sul piano procedurale, l’Autorità Portuale (o Marittima) dovrà applicare, infatti, le norme del vigente codice della navigazione e – in particolare – le disposizioni contenute nel capo I, Titolo II, del libro I del Regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione marittima, di cui al D.P.R. 328/1952 [53].

 

Il regolamento di esecuzione del codice della navigazione distingue tre procedure per il rilascio della concessione, agli articoli 8 (concessioni per licenza), 9 (concessioni di durata superiore al quadriennio o per atto formale) e 10 (concessioni provvisorie)[54].

 

In dettaglio:

a. L’ipotesi prevista dall’articolo 8 del D.P.R. 328/1952, è quella del rinnovo al precedente concessionario. Le concessioni “possono essere rinnovate senza formalità di istruttoria”, purché si tratti di provvedimento di durata non superiore al quadriennio e non importi impianti di difficile rimozione. In presenza di questi presupposti, la ratio della norma è quella di favorire la continuità del rapporto con il precedente concessionario[55].

a)       La concessione definitiva, di durata superiore al quadriennio o che importi impianti di difficile rimozione (ex art. 9 del D.P.R. 328/1952) è provvedimento che determina modificazioni giuridiche di una certa rilevanza e stabilità, conferendo al privato l’uso esclusivo del bene pubblico per la realizzazione di determinate attività: in tal caso l’autorità dovrà avviare un formale procedimento istruttorio, con richiesta di pareri alle amministrazioni ed enti competenti (artt. 12 – 15 del D.P.R. 328/1952) e, qualora si tratti di concessioni di particolare importanza per l’entità e lo scopo, provvedere preliminarmente anche alla pubblicazione della domanda (art. 18 del D.P.R. 328/1952) per garantire opponibilità e partecipazione.

Il procedimento ad evidenza pubblica da ultimo citato che, a prima vista, meglio risponde ai principî di trasparenza richiamati dalla riforma dei porti, non integra in ogni caso un procedimento di gara. Finalità dell’istruttoria ex art. 18 del D.P.R. 328/52, infatti, è verificare la compatibilità dell’utilizzo prospettato dal richiedente con il complesso degli interessi pubblici e privati che insistono sul bene. Esigenza – questa ultima – estranea alla concessione ex articolo 18, legge n. 84 del 1994, ove la destinazione del bene è predeterminata dalla norma e consiste esclusivamente nell’esercizio di operazioni portuali.

b)       La concessione provvisoria, ex articolo 10 del D.P.R. 328/1952, risponde ad esigenze del tutto diverse e, pertanto, è rilasciata sulla base di presupposti e finalità connessi al carattere temporaneo della medesima. In questo caso si richiede che il soggetto che ha inoltrato istanza per il rilascio di una concessione (definitiva) presenti in pari tempo una apposita istanza per concessione provvisoria. Con il relativo provvedimento, di norma emanato nelle more dell’espletamento di una istruttoria formale, l’amministrazione può garantire la funzionalità dell’uso del bene demaniale, ove convenga.

La concessione provvisoria è così assentita “senza formalità di istruttoria” (come testualmente recita l’articolo 10 D.P.R. 328/52), in quanto destinata a cessare i suoi effetti al momento del rilascio di una concessione definitiva[56].

 

Dette disposizioni vanno oggi integrate con le, invero scarne, norme procedurali contenute nella legge n. 84 del 1994, per cui il rilascio delle concessioni di durata non superiore al quadriennio rientra nelle competenze del Presidente dell’Autorità Portuale, richiedendosi soltanto il previo parere della Commissione Consultiva Locale e del Comitato Portuale, mentre per le concessioni di durata superiore è richiesta una delibera del Comitato Portuale[57].

Si ricorda inoltre la facoltà conferita dall’articolo 18, co. 4, legge n. 84 del 1994, al Presidente dell’Autorità Portuale di concludere, per le iniziative di maggiore rilievo, previa delibera del Comitato Portuale, accordi sostitutivi della concessione demaniale ai sensi dell’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 [58].

 

Le evidenti lacune sul piano procedurale, presenti nel sistema della riforma, dovute alla mancata emanazione del Regolamento di attuazione dell’articolo 18, legge n. 84 del 1994, appaiono tanto più gravi se relazionate alla natura delle concessioni: atti di per sé idonei a circoscrivere gli ambiti di esercizio della libera attività di impresa in concorrenza, e per i quali è perciò necessario individuare – in adeguamento alle norme comunitarie – criteri di trasparenza nella scelta dei concessionari e meccanismi di contendibilità del mercato, eliminando sistemi preferenziali e diritti di insistenza[59].

 

Pertanto, anche nelle more dell’emanazione del più volte citato Regolamento di attuazione dell’articolo 18, dovrebbe quantomeno recarsi in dubbio la legittimità dell’utilizzo di una procedura di rinnovo senza istruttoria, quale quella ex art. 8 del D.P.R. 328/52.

La qualità di gestore uscente è, infatti, apprezzabile solo subordinatamente alla verifica delle capacità economico-gestionali di eventuali concorrenti, né può condurre a diverse conclusioni la, pur presente, esigenza di remunerazione degli investimenti normalmente realizzati dal terminalista nell’area oggetto di concessione. A tal proposito giova ricordare che le disposizioni della legge n. 84 del 1994, collegando la durata della concessione anche al piano di attività dell’impresa, spingono il privato a pianificare i propri investimenti, ed i correlati margini di ammortamento, nell’ambito della vigenza di un unico atto concessorio.

A ciò si aggiunga che l’Autorità aggiudicatrice ha comunque la facoltà di inserire nella concessione una serie di clausole di salvaguardia, quali – ad esempio – indennità di ammortamento a carico del gestore entrante, cessione degli impianti al nuovo gestore[60], clausole sociali per l’assorbimento del personale, ed in genere tutti gli strumenti contrattuali che consentono di garantire investimenti privati in infrastrutture pubbliche, senza per tale ragione riconoscere o favorire gestioni sottratte ad un confronto concorrenziale.

Nulla quaestio, invece, a nostro avviso, circa la persistente applicabilità dell’articolo 10 del D.P.R. 328/52 [61].

 

Ritornando alle modalità di selezione del concessionario, non appare soddisfacente neppure la richiamata procedura ad evidenza pubblica, di attuale usuale utilizzo, disciplinata dall’articolo 18 del D.P.R. 328/1952, la cui distanza dal procedimento di gara è evidente: detta procedura (c.d avviso ad opponendum) garantisce la pubblicità e visibilità dell’azione amministrativa, ma non limita minimamente la discrezionalità dell’ente pubblico, stante l’assenza di un bando e la mancata predeterminazione di criteri di selezione delle domande[62].

Peraltro, la comparazione tra più domande in concorrenza diviene ancor più complessa nel contesto degli elementi di valutazione indicati dall’art. 18, legge n. 84 del 1994, presentando caratteri di ampia discrezionalità, non sempre riconducibili al mero dato tecnico[63]. Basti pensare al rilievo del “programma di attività” dell’impresa, documento ove è consacrato il ruolo del privato come partner operativo dell’amministrazione, per il conseguimento di quell’obiettivo di “sviluppo dei traffici nel porto” che è proprio dell’attività di indirizzo e promozione dell’Autorità Portuale: la ponderazione di elementi come “l’effetto delle strategie di impresa per la promozione dei traffici”, il potenziale “riflesso dell’attività sull’economia portuale”, l’effettiva capacità del richiedente di conseguire i “risultati previsti”, sfuggono a prerequisiti di obiettività rigorosi. Un ruolo decisivo giocheranno, sul punto, i piani di investimento prospettati, il valore delle prestazioni rese, la capacità di fornire un ciclo completo di operazioni, relazionate alla complessiva affidabilità dell’impresa quale è desumibile dai requisiti personali e professionali.

 

In tale quadro, la procedura (di futura emanazione) per la selezione del concessionario dovrebbe tendere ad una normalizzazione dei margini di discrezionalità, acquisendo le caratteristiche della “procedura di gara”, ove la più proficua utilizzazione del bene è definita sulla base di criteri obiettivi, mentre le valutazioni legate al programma di attività potranno essere parametrate ad indici di ottimizzazione dello sviluppo dei traffici nel porto, rimanendo comunque elemento chiave del giudizio comparativo[64].

 

6. Considerazioni conclusive

Il concessionario ex articolo 18, legge n. 84 del 1994, assolve, per legge, ad un servizio ulteriormente qualificato rispetto a quello offerto dalle imprese meramente autorizzate, dal momento che egli è tenuto a garantire un ciclo completo nelle operazioni portuali, finalizzato all’incremento dei traffici nel porto. Gli obblighi che gravano sul terminalista sono strettamente connessi alla natura di infrastruttura dedicata ai pubblici usi del mare propria della banchina portuale, mentre il contenuto della concessione è qualificato dall’esercizio di rilevanti compiti organizzativi, compresivi anche di funzioni, che finiscono per inserire elementi di servizio pubblico nell’attività privata svolta dal concessionario.

Come sottolineato da attenta dottrina “subordinando il rilascio dell’autorizzazione all’indicazione delle tariffe da adottare e rendere pubbliche (…) il legislatore non intende garantire solo trasparenza, ma anche parità di trattamento a parità di condizioni a tutti gli utenti portuali”[65]. Ed ancora, il concessionario è tenuto ad espletare “operazioni e servizi connessi in regime di offerta permanente al pubblico, stante la loro natura essenziale”[66].

Ciononostante la legge n. 84 del 1994 non contempla disposizioni direttamente incidenti sulla libertà contrattuale del terminalista.

 

All’interno dell’ordinamento comunitario, un obbligo a contrarre è stato riconosciuto in relazione alla (eventuale) posizione del concessionario, nella qualità di gestore di una infrastruttura essenziale all’esercizio di un servizio liberalizzato, al pari del gestore di un terminal ferroviario o aeroportuale[67]. In tale ipotesi, è ormai pacifico che il terminalista che applichi condizioni diverse per prestazioni equivalenti, nei rapporti commerciali con i contraenti, realizza un abuso incidendo sul libero gioco della concorrenza nel mercato della domanda di servizi portuali[68]. In sintesi, nei casi in cui il terminal acquista, per le caratteristiche del sistema portuale in cui è inserito, i caratteri dell’essential facility, le Autorità dovrebbero prevedere, nei regolamenti locali che sono chiamate ad emanare, perlomeno un obbligo a contrarre a parità di condizioni (e sulla base di tariffe rese pubbliche) con tutti i vettori richiedenti, secondo la disponibilità delle strutture dell’impresa e l’ordine delle domande: infatti, sostituendosi all’amministrazione nella gestione di una infrastruttura dedicata, il terminalista dovrebbe operare in regime di imparzialità e neutralità nei confronti del cliente (armatore)[69].

 

Anche la giurisprudenza nazionale ha affermato che l’Autorità è tenuta ad “adottare tutti i provvedimenti del caso al fine di permettere il transito ad un porto e da un porto” stante la natura del “bene porto” come appartenente al “demanio necessario dello Stato”, mentre la limitazione dell’accesso “all’uso di una infrastruttura essenziale pubblica, qual è un porto” può integrare ipotesi di violazione della normativa antitrust (legge 10 ottobre 1990, n. 287) e dell’articolo 41 della Costituzione[70]. Ancora, la continuità dei servizi nel terminal è considerata di fondamentale interesse pubblico, tanto che l’Autorità concedente può assentire autorizzazioni provvisorie non solo per le attività da esercitarsi sulle banchine libere, ma anche in caso di servizi che la legge sottopone a concessione, nelle more del rilascio del relativo atto[71].

È d’obbligo sottolineare che, nei casi richiamati, le scelte commerciali del terminalista sono censurabili nella misura in cui assumano i caratteri dell’abuso, e cioè siano idonee a determinare un’alterazione della libera concorrenza nel mercato dei servizi di navigazione. La posizione del terminalista può essere considerata “dominante”, comunque, solo in quanto l’infrastruttura posta sotto il suo controllo è “essenziale” per l’esercizio dell’attività di impresa in un “mercato rilevante”[72].

In mancanza, nell’ordinamento comunitario, come in quello nazionale, le relazioni contrattuali dell’imprenditore non costituiscono oggetto di specifica regolazione, salvo il principio della parità di trattamento.

 

D’altro lato, il problema di eventuali abusi da parte del terminalista è affrontato, nella legge n. 84 del 1994, già in via preventiva, negli indirizzi di programmazione delle destinazioni d’uso del territorio portuale fissati dal legislatore e, in particolare, nelle norme che impongono alle Autorità Portuali di riservare spazi operativi liberi per l’esercizio di operazioni portuali alle imprese non concessionarie, e per l’esercizio del diritto di autoproduzione alle imprese di navigazione.

In caso di indisponibilità di approdi, entrano in funzione gli strumenti di salvaguardia come, ad esempio, l’autorizzazione all’esercizio di operazioni in autoproduzione presso le banchine in concessione, che l’Autorità Portuale assicura attraverso atti di regolazione generale o nei singoli contratti con i concessionari[73].

 

In altri termini, l’ordinamento dei porti italiani è pianificato in modo da non consentire a priori un monopolio privato sulle banchine portuali, che favorisca abusi da parte del terminalista, arginando in nuce il rischio che il terminal assuma i caratteri di “infrastruttura essenziale”, stante la doverosa riserva di banchine libere ed aree comuni ove le operazioni portuali sono garantite da imprese autorizzate in concorrenza.

Alla luce di detta norma, a nostro avviso, l’Autorità non potrebbe assentire in concessione esclusiva, ad esempio, l’unica banchina destinata ad un determinato tipo di operazioni portuali nell’ambito di un dato mercato rilevante.

Parimenti, le uniche disposizioni più direttamente finalizzate a scongiurare posizioni dominanti del terminalista mirano ad evitare l’eccessivo potere contrattuale (nel mercato delle operazioni portuali) di una singola impresa in un dato porto[74].

 

Ciò premesso, è comunque interessante verificare se - indipendentemente dall’applicazione delle regole di concorrenza in mercati a valle rispetto a quello delle operazioni portuali e delle implicazioni della teoria dell’essential facility - la libertà commerciale del terminalista possa risultare ex se condizionata delle disposizioni che disciplinano la concessione di aree e banchine, sistematicamente considerate. In altri termini, posto che l’organizzazione del ciclo di attività commerciali all’interno del terminal deve essere funzionale ad obiettivi di incremento dei traffici nel porto, che travalicano l’interesse individuale dell’impresa, pur comprendendolo, non è illogico argomentare che la libertà del gestore nell’intrattenere relazioni commerciali con gli utenti deve mantenersi coerente al programma di attività approvato dall’Autorità, e può dunque risultare verosimilmente condizionata, almeno, dal rispetto di principî di trasparenza, logicità e ragionevolezza e da obblighi di motivazione.

L’esigenza che il concessionario apra – in via generale – la propria attività a tutti gli utenti che intendono avvalersi delle sue strutture, può desumersi, ad esempio, dalla disposizione per cui (in sede di rilascio della concessione) l’Autorità Portuale è tenuta a verificare la sussistenza di “adeguate attrezzature tecniche e organizzative, idonee anche dal punto di vista della sicurezza a soddisfare le esigenze di un ciclo produttivo ed operativo a carattere continuativo e integrato, per conto proprio e di terzi” (articolo 18, comma 6, lett. b) legge n. 84 del 1994), mentre l’impresa ex art. 16 esercita le operazioni o i servizi specialisti per conto proprio o di terzi (articolo 16, comma 3, legge n. 84 del 1994)[75].

Alcune argomentazioni significative discendono ancora dai contenuti del programma di attività dell’impresa.

Il documento, approvato e fatto proprio dall’Autorità, descrive investimenti, oneri manutentivi, realizzazione di infrastrutture, organizzazione dei servizi, anche di interesse generale, nel terminal e, ovviamente, l’esercizio delle operazioni portuali, con obbligo di parità di trattamento a parità di condizioni, per l’incremento dei traffici e della produttività nel porto[76]. In tale contesto, il rifiuto a contrarre è certamente legittimo in caso di impossibilità della prestazione, come nelle ipotesi di saturazione della capacità del terminal, e sempre a condizione che l’ingresso di nuovi vettori non determini, per le modalità di organizzazione della linea, un incremento dei traffici o dell’efficienza, con positivi risultati per l’utenza[77]. Legittimo anche il rifiuto di contrarre in caso di (comprovata) inaffidabilità o insolvenza dell’impresa di trasporto “cliente”.

In mancanza, le determinazioni del terminalista possono essere oggetto di controllo da parte dell’Autorità Portuale, sia per “mancata osservanza degli obblighi assunti”, in caso di palese disparità di trattamento, sia per ingiustificata distrazione delle risorse dal conseguimento dell’interesse generale di efficacia ed efficienza nell’uso delle dotazioni portuali, in caso di decisioni palesemente illogiche e fuorvianti rispetto al raggiungimento degli obiettivi di incremento dei traffici e produttività del porto[78].

 

Le problematiche sopra richiamate sembrano ispirare anche la bozza di decreto di attuazione dell’articolo 18 della legge n. 84 del 1994, diffusa con Circolare dell’allora Ministero dei Trasporti e della Navigazione già nel 1996, e ad oggi non ancora approvata[79].

Ciò che preme qui richiamare è la ratio complessiva del provvedimento, emanato dal competente Ministero a pochi anni dalla riforma, e dal quale è agevole, pertanto, trarre argomenti interpretativi sulla natura e finalità della concessione di aree e banchine di cui all’articolo 18 della legge n. 84 del 1994.

In particolare, il ricorso al sistema del bando di gara per la selezione del concessionario, la assoluta preminenza delle previsioni del programma di attività ai fini della selezione – con particolare riferimento alla rispondenza alle previsioni di Piano Operativo Triennale –, l’aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la determinazione del canone rapportata al valore erariale del bene, rivelano la riconducibilità della fattispecie anche al modello delle concessioni di servizio, piuttosto che al tradizionale assetto della concessione di bene.

È espressamente affermato, nella Circolare ministeriale prima citata, che il “fenomeno concessorio va visto come un vero e proprio strumento di gestione dell’attività propria del porto, finalizzata allo sviluppo del medesimo, ragione per cui la rispondenza dei programmi di attività stilati dai concessionari alle caratteristiche ed ai programmi di sviluppo del porto costituisce il principale criterio di preferenza tra più concorrenti”.

In sintesi, sono ravvisabili nella struttura della concessione ex articolo 18 della legge n. 84 del 1994 gli aspetti ordinatori tipici dell’autorizzazione all’uso esclusivo di un bene demaniale, cui accede l’affidamento di un servizio regolato attraverso un disciplinare, che è lo stesso programma di attività presentato dall’impresa e fatto proprio dall’amministrazione.

La concessione di servizi portuali, già regolata dall’abrogato art. 111 del codice della navigazione, accede dunque alla concessione del bene caratterizzandone il regime secondo modelli e finalità estranei agli artt. 36 e ss. del codice della navigazione: il riferimento all’area demaniale, infatti, diviene il “limite” spaziale dell’esercizio dell’attività di impresa portuale del terminalista.

Il provvedimento acquista – nel comparto in esame – la precipua funzione di strumento di conformazione dell’iniziativa economica privata alle finalità di pubblico interesse, espresse negli atti di indirizzo generale dell’Autorità Portuale, ponendosi come momento attuativo di scelte programmatiche effettate in via generale e astratta nel Piano Regolatore Portuale e nel Programma Operativo Triennale[80], con tutto ciò che ne consegue anche sul piano del (doveroso) rispetto degli obiettivi programmati.

 

In tale contesto,  non è escluso che  le disposizioni della legge n. 84 del 1994 suggeriscano una diversa lettura delle stesse norme del codice della navigazione. Se, infatti, il disegno e l’assetto complessivo di tutta la circoscrizione portuale rimangono fissati negli strumenti di pianificazione e programmazione emanati dalle Autorità competenti, è di fatto sottratta all’amministrazione la possibilità di procedere alla ponderazione dei diversi interessi che si appuntano sul bene in sede di rilascio del singolo atto di concessione o quale criterio di scelta in caso di domande concorrenti, ai sensi dell’articolo 37, cod. nav..

 In un sistema dove le “garanzie di proficua utilizzazione del bene” sono affidate ad un processo di governance che coinvolge tutta la comunità portuale, mentre le scelte di destinazione funzionale delle singole aree ed i programmi di sviluppo del porto sono contenuti in atti di carattere generale, di ampia diffusione, il criterio di selezione del concessionario si sposta in ogni caso, in linea di principio, sulla maggiore o minore conformità dell’uso previsto alle destinazioni generali predefinite dall’Autorità Portuale e sull’affidabilità dell’istante, a garanzia dell’attuazione del programma medesimo.



· Scritto destinato agli Atti in memoria del Prof. Elio Fanfara.

* Ricercatrice di diritto della navigazione presso l'Università degli studi di Messina.

[1] In G.U. n. 28 del 4 febbraio 1994.

[2] Le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali e industriali esercitate nei porti sono state affidate, negli scali ritenuti strategici a livello nazionale, alle Autorità Portuali, mentre nei restanti porti le medesime funzioni fanno capo alle Autorità marittime, le quali conservano, in ogni caso, le tradizionali competenze in materia di sicurezza (v. art. 6 e art. 14, legge n. 84 del 1994). Sull’Autorità Portuale in generale, v. Citrigno, Autorità Portuale, Milano 2003; Longobardi, I porti marittimi (nella legge 28 gennaio 1994, n. 84), Torino, 1997.

[3] Sul punto v. per tutti Carbone, Munari, Il diritto marittimo attraverso i casi e le clausole contrattuali, Milano, 2006, 124 ss.. Sulla nozione di demanio marittimo come complesso di beni destinati a soddisfare gli interessi pubblici riguardanti la navigazione ed il traffico marittimo, v. pure Angelone, Silingardi, Il demanio marittimo (rassegna sistematica di giurisprudenza), Milano, 1999, passim; Querci F. A., Demanio marittimo, in Enc. del Diritto, XII, 1964.

[4] Sulla privatizzazione delle attività portuali nel contesto del regime demaniale del bene, v. Carbone, Munari, La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2006, 2 ss.. In tema v. pure Casanova, Brignardello, Diritto dei Trasporti (infrastrutture e accesso al mercato), Milano, 2004, 69 ss.; Carbone, La privatizzazione dei porti e delle attività portuali in Italia tra disciplina nazionale e diritto comunitario, in Il diritto dell’Unione Europea, Milano, 2000, 1 ss.; Sirianni, I porti marittimi in Cassese (a cura di), Trattato di Diritto amministrativo. Diritto Amministrativo speciale, Milano, II, 2000, 1889 ss.; Xerri Salamone, L’ordinamento giuridico dei porti italiani, Milano, 1998, passim; Ciliberti, Stato di attuazione della legge 28.01.1994, n. 84 a tre anni dalla sua entrata in vigore, in Tullio, Deiana (a cura di), La riforma dei porti: realtà e prospettive, Atti del Convegno di S. Margherita di Pula (Cagliari) 3-7 settembre 1997, Cagliari, 1998, 67; Fanara(a cura di), Autorità Antitrust e Commissione U.E. versus Società italiane di gestione dei servizi portuali e aeroportuali (La liberalizzazione dei servizi), Atti del Convegno, Giardini Naxos (Messina) 4 -7 settembre 1994, Messina, 1995, passim.

[5] Sui nuovi modelli di intervento dello Stato nel mercato, correlati anche alle esigenze di conformazione del diritto interno all’ordinamento comunitario, v. per tutti Cassese, La nuova Costituzione economica, Bari, 2000, passim.

[6] Come chiarito dal Pototschnig, I pubblici servizi, Padova, 1964, 236 ss., il programma è lo strumento con cui l’amministrazione fissa la misura, ovvero il limite (positivo e negativo) della dimensione dell’attività in senso spaziale (zona di realizzazione), e in senso temporale (durata). La misura spaziale può trovare altresì un contingentamento nella predeterminazione del numero di soggetti legittimati a svolgere l’attività, per cui l’Autorità si avvale di procedimenti concessori o autorizzatori. I controlli sono strettamente connessi al programma che ne costituisce il limite di legittimità e il riferimento essenziale. Definito il programma, l’attività oggetto di regolazione si presenta come attuazione del medesimo con riferimento al rispetto dei limiti e degli obiettivi ivi indicati, mentre le singole operazioni commerciali e industriali rimangono attività materiale finalizzata al conseguimento di un profitto. Il controllo è la verifica ex post del rispetto del programma da parte del soggetto autorizzato.

[7] Carbone, Il diritto marittimo attraverso i casi e le clausole contrattuali, cit., 124; Carbone, Munari, La disciplina dei porti, cit., 38 ss..

[8] I limiti della circoscrizione territoriale delle Autorità Portuali sono individuati con decreto del Ministro dei Trasporti e della Navigazione (oggi dei Trasporti) ai sensi dell’articolo 6, co. 7, legge n. 84 del 1994.

[9] L’articolo 18, co. 1, della legge n. 84 del 1994 dispone che le concessioni sono affidate “sulla base di idonee forme di pubblicità, stabilite dal Ministro dei Trasporti e della Navigazione, di concerto con il Ministro delle Finanze con proprio decreto”, con il quale vengono, tra l’altro, indicati la durata della concessione, i poteri di vigilanza e controllo, le modalità di rinnovo dell’atto. Ad oltre dieci anni dalla riforma, il regolamento de quo non è stato ancora emanato, nonostante la predisposizione di un testo diffuso dal competente Ministero già nel 1996. Il dato, sul quale non è possibile ulteriormente soffermarsi in questa sede, è comunque estremamente significativo della difficoltà, nell’attuale regime economico dei porti, di definire modelli amministrativi di generale applicazione, cui si aggiunge oggi la questione giuridica emergente dal nuovo riparto costituzionale delle competenze Stato-Regioni. Se, infatti, la materia “porti civili” è affidata alla legislazione concorrente dall’articolo 117, comma 2 della Costituzione, come modificato con legge costituzionale 18.10.2001, n. 3, va quantomeno revocato in dubbio che le attese disposizioni regolamentari possano (ancora) essere emanate con decreto ministeriale. In tema, v. Carbone, Munari, La disciplina dei porti, cit., 25 ss.; Vermiglio, Porti e reti di trasporto e di navigazione tra Stato e Regioni (dopo la modifica del Titolo V della Costituzione) in Dir. Trasp., 2003, 449 ss.; Id., La portualità tra Stato e Regioni, in Fanara (a cura di), Mare Porti e reti infrastrutturali: per una nuova politica dei trasporti, Atti del Convegno di Acireale (CT), 27-31 agosto 2001, Messina, 2002, 167 ss.; Dè Vergottini, Le competenze in materia di porti alla luce della riforma della Costituzione, in Dir. Amm., 2001, 4, 593 ss..

[10] La “circoscrizione” di competenza dell’Autorità Portuale è più ampia rispetto alle aree riconducibili alla nozione, già nota alla dottrina ed alla giurisprudenza, di demanio portuale, come tale contrapposto al demanio costiero. All’interno del territorio circoscrizionale, infatti, possono ricadere aree e banchine destinate alle operazioni portuali, ma anche zone destinate a servizi ai passeggeri, ambiti commerciali, industriali, turistici e da diporto. Sulla distinzione tra demanio marittimo e demanio portuale, legata alle attuali prospettive di utilizzazione economica del porto ed alla capacità delle aree ivi incluse di soddisfare interessi ultronei rispetto a quelli strettamente legati al pubblico uso del mare v. Maltese, Demanio portuale e pubblici usi del mare, Relazione al Convegno su “Porti italiani nella rete dei trasporti europei”, in Dir. Mar., 2002, 1506 ss.; Corbino, Demanio costiero e demanio portuale: attuale regime concessorio e prospettive di riforma, in Studi in onore di Gustavo Romanelli, Milano, 1997, 377 ss..

[11] Una lettura sistematica delle norme porta a ritenere che tali parti comuni siano le aree e le banchine non assentite in concessione esclusiva, i cui oneri manutentivi – dunque – non possono essere posti a carico dei concessionari: sul punto v. pure Taccogna, Le operazioni portuali nel nuovo diritto pubblico dell’economia, Milano, 2000, 621.

[12] I servizi di interesse generale sono stati individuati dal legislatore ed elencati nel Decreto Ministeriale 14 novembre 1994, in G.U. del 24 novembre 1994, n. 275.

[13] Sulle opere di infrastrutturazione portuale, v. Tellini, Le politiche per il rafforzamento infrastrutturale del trasporto marittimo: il project financing, in Fanara (a cura di) Mare Porti e reti infrastrutturali: per una nuova politica dei trasporti, Atti del Convegno, cit., 229 ss.; nonché Taccogna, op. cit., 613 ss..

[14] All’interno del territorio portuale possono distinguersi diversi “sotto-ambiti”, tra cui l’ambito operativo commerciale, ambiti dedicati alla cantieristica, alle attività diportistiche, al turismo nautico. In tema v. pure Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Linee guida per la redazione dei Piani Regolatori Portuali, Roma, 2004. Sulla nozione di ambito portuale, v. in dottrina Vermiglio, L’organizzazione delle operazioni portuali, in Tullio, Deiana (a cura di) La riforma dei porti: realtà e prospettive, Atti del Convegno, cit., 83 ss..

[15] Nella prassi, è possibile trarre elementi di definizione dagli atti emanati dalle Autorità Portuali per l’applicazione delle nuove disposizioni: ad es., l’Ordinanza n. 1 del 2002 dell’Autorità Portuale di Messina indica le zone demaniali destinate all’esercizio di operazioni e servizi portuali, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, escludendo le aree che – per caratteristiche oggettive o per destinazioni previste – sono sottratte alla disciplina dell’articolo 18 della legge n. 84 del 1994. Il Regolamento per l’esercizio delle operazioni e dei servizi portuali, emanato con decreto n. 357 del 12.03.2002 dal Presidente dell’Autorità Portuale di Genova, include in tale nozione “le aree destinate in sede di Piano Regolatore Portuale a funzioni commerciali per lo svolgimento di operazioni portuali”. V. però l’Ordinanza n. 10 del 19 dicembre 2001 dell’Autorità Portuale di Savona che fa coincidere tale ambito con tutto il territorio portuale.

[16] Emanato con Decreto Ministeriale 31 marzo 1995, n. 585, in G.U. del 26 febbraio 1996, n. 47.

[17] Infatti, in via generale, nei porti dove non è istituita l’Autorità Portuale le funzioni ed i compiti ad essa affidati dalla riforma sono espletati dalla Autorità marittima (art. 16, co. 2; art. 18, co.1, legge n. 84 del 1994).

[18] Il rilascio dell’autorizzazione è subordinato inoltre alla comunicazione delle tariffe che saranno adottate dall’impresa nei rapporti con l’utenza portuale, suddivise per filoni merceologici o per singoli servizi, e rese pubbliche. Per un approfondimento, v. per tutti Carbone, Munari, La disciplina dei porti, cit., 219 ss..

[19] Art. 16, co. 6, legge n. 84 del 1994 e art. 4 del Regolamento di esecuzione dell’articolo 16 della legge n. 84 del 1994, di cui al citato D.P.R. n. 585 del 1995.

[20] Il contingentamento non può discendere dalle stime del volume dei traffici e, dunque, da una ripartizione tra un numero limitato di imprese della domanda esistente, ma deve essere rapportato soltanto agli spazi operativi di banchina disponibili.

[21] V. per tutti Corte Giustizia CE, sent. 10 dicembre 1991 n. 179, C 170/90, Merci Convenzionali Porto di Genova c. Siderurgica Gabrielli, in Racc., 1991, 5889.

[22] Invero, è molto discussa la possibilità di operare in autoproduzione nelle aree assentite in concessione a imprese portuali autorizzate. L’articolo 8 del Decreto Ministeriale del 31 marzo 1995, n. 585, contente il citato regolamento di attuazione dell’articolo 16 della legge n. 84 del 1994, dispone che il diritto di autoproduzione “opera in deroga alle concessioni di cui all’articolo 18”, prevalendo, pertanto, sui diritti del concessionario, ma solo “secondo le direttive stabilite dall’Autorità Portuale”. Peraltro, lo stesso Ministero dei Trasporti, con Circolare del 15 febbraio 1996, esplicativa del succitato regolamento, chiarisce che il self handling può avvenire nell’ambito degli accosti ed aree date in concessione a privati solo in caso di “mancanza o insufficienza di spazi operativi da adibire a uso pubblico”, con obbligo della pubblica amministrazione di disciplinarne l’esercizio in via generale e nei singoli atti concessori. Lo stesso Ministero ha di recente confermato tale orientamento nel Dispaccio DEM 3/52 del 15 gennaio 2004. Peraltro, alcune Autorità Portuali hanno dettato precise norme volte a garantire il diritto di autoproduzione, pur tutelando le ragioni dei concessionari. Sul punto, v. il Regolamento per l’esercizio delle operazioni portuali e servizi specialistici nei porti di Messina e Milazzo, emanato dall’Autorità Portuale di Messina con Ordinanza n. 35 del 2006 e visionabile sul sito dell’Ente (www.porto.messina.it, alla voce “Normativa”). In dottrina v. Carbone, Munari, Il Diritto Marittimo, cit., 144. Id., La disciplina dei porti, cit., 262ss..

[23] Così, ad es., il citato Regolamento per l’esercizio delle operazioni e servizi portuali nei porti di Messina e Milazzo, nonché il Regolamento per l’esercizio delle operazioni e dei servizi portuali di cui all’Ordinanza n. 10 del 19 dicembre 2001 dell’Autorità Portuale di Savona.

[24] Sulla nozione di servizi specialistici, v. infra, par. 3.

[25] Legge n. 186 del 30 giugno 2000, in G.U. del 7 luglio 2000, n. 157.

[26] La disposizione elencava le “operazioni di imbarco, sbarco, trasbordo e movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale nel porto”, purché connesse al trasporto marittimo.

[27] Corbino, Le operazioni portuali, Padova, 1979, 124. Sulla nozione di operazioni portuali v. pure Taccogna, Le operazioni portuali, cit., 788 ss.; Brignardello, Operazioni portuali e deposito minore, in Dir. Mar., 2002, 1035; Vermiglio, L’organizzazione delle attività portuali, in Tullio, Deiana (a cura di), La riforma dei porti, cit., 76 ss.; Lombardi, Disciplina giuridica delle operazioni di imbarco e sbarco, Milano, 1972, passim;

[28] Così Corte Giust. CE, sent. 10 dicembre 1991 n. 179, Merci Convenzionali Porto di Genova, cit. , 5889.

[29] TAR Catania, sent. n. 2111 del 6 luglio 2004, rinvenibile sul sito www.giustizia-amministrativa.it.

[30] Sulla nozione di ambito portuale, v. infra nota 14

[31] Sul punto v. Cons. Stato, II, 3 luglio 1996, n. 1177 in Dir. Trasp., 1998, 537.

[32] La dottrina ha evidenziato come il nuovo concetto di operazioni portuali ricomprenda anche la movimentazione tra vettori di diversa tipologia, tipica dei centri intermodali e delle moderne stazioni logistiche. Per un approfondimento v. Campailla, Le operazioni portuali: lineamenti nozionali e profili funzionali”, Trieste, 2000, 31 ss..

[33] L’esclusione, invero, risente degli orientamenti formatisi in epoca anteriore alla legge di riforma dei porti, al fine di escludere dalla riserva di lavoro portuale attività non implicanti impiego di manodopera. Sul punto v. già Cass. Civ., I, sent. 5 novembre 1984, n. 5583, in Giust. Civ. Mass., 1984, 9.

[34] Cass. Civ., I, sent. 30 luglio 1991, n. 8430, in Giust. Civ. Mass. 1991, 7. In tema v. pure Brignardello, Operazioni portuali e deposito minore, cit., nota a TAR Friuli Venezia Giulia, 25 luglio 2001, in Dir. Mar., 2002, 1032 ss..

[35] Art. 16, co. 1, legge n. 84 del 1994; art. 2, co. 1, D.M. 6 febbraio 2001, n. 132, in G.U. del 9 aprile 2001, n. 91. Così, ad es., il citato Regolamento per l’esercizio delle operazioni portuali e dei servizi specialistici nei porti di Messina e Milazzo, include “lo stoccaggio e la sosta temporanea delle merci in banchina” nell’elenco dei servizi autorizzabili (art. 2).

[36] Così il citato D.M. 14 novembre 1994, di individuazione dei servizi di interesse generale non coincidenti né connessi con le operazioni portuali, da rendersi a titolo oneroso all’utenza portuale ai sensi dell’articolo 6, comma 1, lett. c) della legge n. 84 del 1994.

[37] Così TAR Catania, sent. n. 2111 del 2004, cit., anche per la giurisprudenza richiamata.

[38] L’esercizio dei servizi specialistici è sottoposto ad autorizzazione da parte dell’Autorità Portuale, sulla base delle procedure indicate nell’apposito Regolamento emanato ai sensi dell’articolo 16, comma 1, legge n. 84 del 1994, di cui al citato Decreto n. 132 del 6 febbraio 2001. In dottrina, v. per tutti Grigoli, Sull’ulteriore novella concernente l’ordinamento portuale in Giust. Civ., 2000, II, 523 ss..

[39] In dottrina, v. Carbone, Munari, La disciplina dei porti, cit., 227 ss.. Nella prassi, le Autorità Portuali italiane hanno individuato, con Ordinanza, diversi servizi, dai più semplici (quali stoccaggio e sosta temporanea di merci e mezzi pubblici in banchina), ai più complessi: ad es., l’Autorità Portuale di Genova distingue servizi di assistenza alle merci (pulizia merce, marcatura, campionatura), servizi di assistenza al carico (fardaggio, rizzaggio e derizzaggio) e servizi di assistenza al terminal (pontoni, punti per l’elettricità, aree refrigerate, strumentazione di controllo della temperatura). Ulteriori attività riconducibili ai servizi complementari al ciclo delle operazioni portuali sono la pesatura merce, la raccolta e smaltimento dei residui prodotti da operazioni portuali, sorveglianza antifurto e antincendio, noleggio mezzi meccanici e navetta merci, ecc…

[40] Art. 2, commi 3 e 4 del D.M. n. 132 del 2001.

[41] Così Nota Ministeriale, DEM3 - 860 in data 3 aprile 2003.

[42] Art. 2, comma 2, D.M. n. 132 del 2001.

[43] L’art. 18, co. 7, legge n. 84 del 1994, nella versione novellata dall’art. 13, comma 4, della legge n. 172 del 2003, consente al terminalista, normalmente tenuto a esercitare direttamente l’attività per cui ha ottenuto concessione, di richiedere motivatamente all’Autorità Portuale autorizzazione all’affidamento ad altre imprese autorizzate dell’esercizio di talune attività inerenti il ciclo operativo. In tema v. Duca, Impresa terminalista e affidamento a terzi dell’attività, in Dir. Mar., 2003, 507.

[44] Secondo la definizione contenuta nella Convenzione di Vienna del 17 aprile 1991 sulla responsabilità del terminal operator, il terminalista è “il soggetto che professionalmente si obbliga a prendere in carico beni in transito nell’ambito di attività di trasporto internazionale al fine di svolgere o far svolgere rispetto a tali beni servizi collegati al trasporto nell’ambito di un’area posta sotto il suo controllo o rispetto alla quale egli gode di un diritto di accesso o utilizzo”. In dottrina, l’operatore terminalista è stato definito come colui che professionalmente gestisce un terminal marittimo rendendosi responsabile dell’intero ciclo delle operazioni portuali, e dunque è il soggetto chiamato, per conto dell’Autorità Portuale e nell’interesse dell’utenza (ovvero degli armatori, agenti, spedizionieri), a gestire un’infrastruttura pubblica dedicata. Il terminal è, infatti, uno spazio attrezzato costituito da banchine, magazzini e pertinenze, aree di stoccaggio tali da costituire un unico handling portuale. Sul punto v. ampiamente Carbone, Munari, La disciplina dei porti, cit., 209 ss.; Maresca, La regolazione dei porti tra diritto interno e diritto comunitario, Torino, 2001, 75 ss.; Duca, Impresa terminalista, cit., 495 ss..

[45] Carbone, Il diritto marittimo, cit., 141.

[46] Cons. Stato, VI, sent. 4 ottobre 2002, n. 5259, con nota di Duca, Impresa terminalista, cit., 507.

[47] Così Ministero Infrastrutture e Trasporti, Circolare n. 01, Port Security, 7 aprile 2004. In tema, v. Reg. CE n. 725 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004, relativo al miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali, in G.U.C.E. L129 del 29 aprile 2004.

[48] Vermiglio, L’organizzazione delle operazioni portuali, cit., 89.

[49] L’articolo 7, co.1, lett. c) del D.M. n. 585 del 1995, consente l’adozione di misure di revoca della autorizzazione all’esercizio di operazioni portuali quando la mancata attuazione del programma operativo sia conseguenza di carenze organizzative o inefficienza dei servizi. Deve trattarsi, dunque, di mancata realizzazione delle attività indicate nel programma, in quanto l’eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi può essere causa di revoca del provvedimento solo in presenza di carenze organizzative o di inefficienza gestionale, fattori che attengono al concreto “perseguimento” di un dato risultato, piuttosto che al suo conseguimento. In tal senso v. Campailla, op. cit., 81 ss.

[50] Così articolo 18, co. 9, lett. a), legge n. 84 del 1994.

[51] In tal senso v. pure TAR Puglia, I, sent. 24 gennaio 2002, n. 184, in Foro Amm., 2002, 233, ove il giudice amministrativo ha evidenziato come gli elementi che necessitano di attuazione tramite regolamento siano relativi a fattori procedimentali (criteri per il rilascio, modalità di rinnovo o cessione impianti), oppure elementi del rapporto tra il concessionario e la pubblica amministrazione (durata, canone, poteri di vigilanza), mentre non è procrastinabile l’adeguamento dell’ordinamento ai principî comunitari che largamente hanno ispirato la riforma dei porti. In dottrina, v. per tutti Carbone, Il diritto marittimo, cit., 137 ss.

[52] Sul punto v. Ingratoci, Riflessioni sulle procedure di rilascio di concessioni di aree e banchine portuali, in Zunarelli (a cura di)  La riforma dell’Ordinamento portuale italiano, Atti del Convegno di Ravenna, 27-28 febbraio 2004, Bologna, 2006, 217 ss..

[53] G.U. 21 aprile 1952, n. 94.

[54] La differenza tra “concessione per licenza” e “concessione per atto formale”, cui si fa riferimento nel testo, attiene a dati meramente esteriori e procedimentali: la concessione per licenza si caratterizza sia sotto il profilo della minore importanza ed entità, sia per durata e attività consentite al concessionario, ma non certo dal punto di vista della natura dell’atto. Sul punto v. pure Querci F.A., Demanio marittimo, cit., 101.

[55] Vedi però, in senso contrario, Corte dei Conti, Sez. contratti, dec. n. 111 del 01 agosto 1996, in Cons. Stato, 1996, II, 1989, secondo cui in materia di concessioni di beni del demanio marittimo l’attività istruttoria prevista dall’articolo 37 del codice della navigazione, e 8 e 18 del correlato regolamento di attuazione, va effettuata anche in caso di rinnovo al precedente concessionario, il quale non vanta alcun diritto ad un automatico rilascio del nuovo provvedimento, ma una mera prelazione: talché non è legittimo il rinnovo di concessione in mancanza di attività istruttoria e procedura concorsuale.

[56] Il provvedimento definitivo può essere rilasciato ad un soggetto anche diverso da colui al quale è stata rilasciata una concessione provvisoria. Infatti, quest’ultima è assentita dall’Autorità per prevalenti finalità di interesse pubblico, legate alla superiore esigenza di continuità dei servizi erogati grazie all’utilizzo di aree demaniali. Il provvedimento ha, dunque, come tutte le concessioni precarie, preminentemente la funzione di soddisfare situazioni urgenti di pubblico interesse, come chiarito dallo stesso legislatore che parla di provvedimento rilasciato “per il periodo intercorrente tra la scadenza del relativo atto e la sua rinnovazione” (così testualmente l’articolo 10 del regolamento del codice della navigazione). Sul punto v. pure Cons. Stato, VI, 13 aprile 1992, n. 257, in Cons. Stato, 1992, I, 610.

[57] Art. 8, co. 3, lett. i) ed art. 9, co. 3 lett. f) e g) legge n. 84 del 1994.

[58] In G.U. del 18 agosto 1990, n. 192. Il rilievo della disposizione è oggi ridimensionato in virtù della generale facoltà, per le amministrazioni, di procedere ad accordi sostitutivi del provvedimento secondo il disposto dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990 come modificata con legge n. 15 del 2005.

[59] Sul punto v. pure Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, parere del 18 novembre 2001, in Boll. 6-2002. In dottrina, v. Carbone, Munari, La disciplina dei porti, cit., 210 ss..

[60] Così l’art. 18, co.1. legge n. 8 4 del 1994.

[61] Sul punto v. Ingratoci, Riflessioni,  cit., 234 ss., 240.

[62] In tal senso v. Cons. Stato, VI, sent. 13 novembre 2001 n. 5817 in Foro Amm. 2001, 2878; Tar Puglia, Sez. Lecce, sent. 11 giugno 2001, in Dir. Mar., 2003, 586.

[63] Campailla, Le operazioni portuali, cit., 76.

[64] L’inadeguatezza dei procedimenti previsti dal codice della navigazione, qualora si voglia assicurare una selezione non discrezionale, è già stata valutata dal legislatore, ad esempio, con riferimento al procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto: infatti, il D.P.R. 1 dicembre 1997, n. 209 prevede il ricorso a procedure concorsuali, sancendo l’inapplicabilità del codice della navigazione e del relativo regolamento di attuazione. La procedura per il rilascio di concessione di aree e banchine potrebbe, in via del tutto propositiva, essere regolata, ad esempio, nelle forme dell’appalto-concorso, modello di gara flessibile che consente una certa discrezionalità all’ente, ma sempre rigorosamente ed esclusivamente tecnica. Sul punto v. pure Ministero dei Trasporti e della Navigazione, Circolare n. 41 del 1996. In dottrina, Carbone, Munari, La disciplina dei porti, cit., 212.

[65] Vermiglio, L’organizzazione delle operazioni portuali, cit., 94.

[66] Righetti, Trattato di diritto marittimo, Parte V, Milano, 2001, 135.

[67] Commissione CE, Decisione 21 dicembre 1993 relativa al rifiuto di accesso alle installazioni del porto di Rødby, in G.U.C.E. n. L 055 del 26 febbraio 1994.

[68] Commissione CE, decisione 21 dicembre 1993, Sea Containers/Stena Sealink, in G.U.C.E. n. L 015 del 18 gennaio 1994.

[69] Sulla teoria, di origine statunitense dell’essential facility e sue evoluzioni nell’ambito della giurisprudenza comunitaria, v. Carbone, Munari, La disciplina dei porti, cit., 242 ss.; Righetti, Trattato di Diritto Marittimo, cit., 134 ss.; Carbone, La c.d. privatizzazione dei porti, cit., 15 ss.; Improda, La questione delle essential facilities ed il diniego di accesso alle infrastrutture portuali, in Tullio, Deiana, (a cura di) La riforma dei porti, cit., 145 ss..

[70] Così Cons. Stato, VI, sent. n. 1868 del 2004 visionabile sul sito: www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, v. ampiamente Maresca, La regolazione dei porti tra diritto interno e diritto comunitario, cit. , passim

[71] Sul punto v. Cons. Stato, VI, sent. 12 gennaio 2001, con nota di Longobardi, in Dir. Mar., 2001, 1443 ss..

Nello stesso senso, l’allora Ministero dei Trasporti e della Navigazione, con Circolare del 13 marzo 1996, contenente indirizzi circa le competenze in materia di rilascio di concessioni per servizi portuali, ha già chiarito che nel caso di servizi di interesse generale, per cui già la legge n. 84 del 1994, prevede il ricorso a procedure di gara, “nelle more della conclusione” delle suddette procedure, si possa procedere “al rilascio di concessioni provvisorie al fine di evitare l’interruzione dell’erogazione dei servizi in questione”.

[72] Sulla nozione v. per tutti Carbone, Munari, La disciplina dei porti, cit., 205.

[73] Il competente Ministero ha chiarito che qualora l’esercizio del self-handling debba avvenire necessariamente nell’ambito di accosti o aree date in concessione, per mancanza o insufficienza di spazi operativi da adibire a uso pubblico, l’Autorità portuale deve disciplinare l’esercizio prioritariamente in via generale, o nei singoli atti di concessione, d’intesa con i concessionari. Ad ogni modo è raccomandato di garantire l’esercizio del diritto di autoproduzione. V. Ministero dei Trasporti e della Navigazione, Circolare VI, n. 33 del 15 febbraio 1996.

[74] Il già citato articolo 18, co. 7, legge n. 84 del 1994, fa divieto ai terminalisti di operare al di fuori degli spazi in concessione, e di ottenere altra concessione nello stesso porto per le medesime attività.

[75] Sul punto v. pure Cons. Stato, VI, sent. 4 ottobre 2002, n. 5259 con nota di Duca, cit., 501. Diversa è l’ipotesi in cui il terminal sia dedicato ad operazioni portuali da realizzarsi necessariamente su dotazioni infrastrutturali dedicate, gestite in monopolio dall’impresa, come nel caso dei terminali ferroviari per il servizio di traghettamento: così Cons. Stato, VI, sent. 23 ottobre 2001 in Foro Amm., 2001, 2865.

[76] Così articolo 6, co. 6, del citato D.M. n. 585 del 1995. Parimenti recita, in materia di servizi specialistici, l’articolo 6, co. 1 del D.M. n. 132 del 2001, ove è espressamente disposto che “I soggetti autorizzati (…) assicurano nell’esercizio della propria attività la più ampia trasparenza e garantiscono parità di trattamento a parità di condizioni”.

[77] Infatti, “persino su un mercato saturo, il miglioramento della qualità dei prodotti o dei servizi offerti oppure la diminuzione dei prezzi che possono derivare dall’introduzione della concorrenza costituiscono un vantaggio evidente per i consumatori”. Così, Commissione CE, decisione 21 dicembre 1993, porto di Rødby , cit..

[78] Art. 18, co. 9, legge n. 84 del 1994.

[79] Ministero dei Trasporti e della Navigazione, Circolare n. 41 del 6 maggio 1996.

[80] Il Piano Regolatore Portuale è l’atto con cui l’Autorità Portuale delimita e disegna “l’ambito e l’assetto complessivo del porto” (art. 5, co.1, legge n. 84 del 1994); il Piano Operativo Triennale è il documento “concernente le strategie di sviluppo delle attività portuali e gli interventi volti a garantire gli obiettivi prefissati (art. 9, co.3, lett. a) legge n. 84 del 1994).

 

Data di pubblicazione: 19 marzo 2007.