Il contratto a termine nel settore aeroportuale
Daniela Malfitano*
Sommario: 1. Brevi cenni sull’evoluzione storica della disciplina. – 2. L’art. 2 del D. lgs. 3 settembre 2001, n. 368. – 3. Le conseguenze della violazione dei limiti contenuti nella disciplina speciale. – 4. Considerazioni in merito al rapporto tra disciplina generale e disciplina speciale del contratto a tempo determinato nel settore aeroportuale.
1. Il settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali si caratterizza per una notevole variabilità delle esigenze di personale. Infatti a periodi durante i quali il numero di utenti resta costante ne seguono altri in cui invece si rende necessario l’incremento dei servizi, e dunque del personale da utilizzare.
Per il personale navigante è stato tradizionalmente possibile ovviare al problema facendo ricorso al contratto a tempo determinato nell’ampia ipotesi di cui all’art. 902 cod. nav. (sul quale si tornerà oltre). Per il personale utilizzato nei servizi di terra invece (sottratto alla disciplina dell’articolo citato) trovava applicazione la regolamentazione generale in materia. Questa, nella versione originale della l. 18 aprile 1962, n. 230[1], non consentiva un impiego flessibile della manodopera in tali attività, le quali non rientravano in nessuna delle ipotesi tassativamente individuate dall’art. 1 della legge stessa. Per fare fronte alle esigenze specifiche del settore il legislatore aveva dunque con la l. 22 marzo 1986, n. 84, aggiunto la lett. f) all’art. 1, c. 2, della l. 230 del 1962[2].
L’art. 1 così novellato si proponeva come obiettivo quello di risolvere il contenzioso sviluppatosi in tema di “punte stagionali” nel settore aereo e aeroportuale. Infatti i provvedimenti amministrativi che autorizzavano le assunzioni necessarie a fare fronte a tali incrementi di attività erano stati oggetto di impugnazioni da parte dei soggetti interessati, i quali spesso erano riusciti ad ottenere la conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato.
La norma riconosceva alle aziende del settore del trasporto aereo che esercitano servizi aeroportuali la possibilità di concludere contratti di lavoro a tempo determinato per determinati servizi operativi di terra e di volo, e previa comunicazione alle organizzazioni sindacali provinciali di categoria. Non era richiesta l’esistenza di una causale predeterminata, ma vi erano dei limiti temporali e quantitativi. Veniva infatti consentita innanzitutto l’apposizione di un termine nei contratti, per un periodo massimo complessivo di 6 mesi, compresi tra aprile e ottobre di ogni anno. Era inoltre permessa la previsione di un termine nei contratti aventi una durata massima di 4 mesi, diversamente distribuiti nell’anno, purché entro il limite del 15 per cento dell’organico aziendale relativo ai servizi interessati. La data di riferimento per il calcolo dell’organico aziendale era quella dell’1 gennaio dell’anno nel quale venivano conclusi i contratti a tempo determinato. Tale limite poteva essere incrementato con l’autorizzazione della Direzione provinciale del lavoro, solo negli “aeroporti minori”, e su istanza documentata dalle aziende stesse.
2. L’art. 2 del D. lgs. 6 settembre 2001, n. 368, ha sostanzialmente riprodotto la disciplina sopra sintetizzata[3]. Questa, secondo la rubrica della disposizione, costituisce una normativa “aggiuntiva per il trasporto aereo ed i servizi aeroportuali”. Di conseguenza nei settori in questione, oltre alla normativa di carattere generale in merito alla legittima apposizione del termine, contenuta all’art. 1 del citato D. lgs., trova applicazione tale regolamentazione particolare.
E’ evidente nella prima delle ipotesi sopra richiamate una presunzione legale di punta stagionale: in altri termini il datore di lavoro nel settore del trasporto aereo non dovrebbe, diversamente da quanto previsto dall’art. 1 del D. lgs. 368 del 2001, specificare le ragioni tecniche produttive, organizzative o sostitutive legittimanti l’apposizione del termine. E’ lo stesso legislatore che in tal caso ritiene sussistenti in via presuntiva le ragioni giustificative sulla base delle caratteristiche del settore, che necessita come tale in determinati periodi dell’anno di un incremento dell’organico aziendale.
La presunzione legislativa di esistenza di una punta stagionale non opera invece per i contratti a tempo determinato rientranti nella seconda delle ipotesi suesposte. Il datore di lavoro potrà apporre un termine in presenza di una qualsiasi ragione aziendale, purché venga rispettato il limite percentuale inderogabilmente stabilito dal legislatore. E’ evidente che in tale ultima ipotesi la ratio giustificatrice è stata l’esigenza di liberalizzazione delle assunzioni a termine e di maggiore flessibilità del lavoro nel settore dei servizi aeroportuali.
Si esclude in dottrina[4] che le “ragioni aziendali” che consentono di opporre un termine ai contratti della durata massima di quattro mesi “diversamente distribuiti” siano da equipararsi alle ragioni di carattere tecnico produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui all’art. 1 del D. lgs. 368 del 2001, in considerazione del carattere aggiuntivo e speciale della disciplina e dell’esigenza liberalizzatrice sostenuta dal decreto in esame. Pertanto le aziende del settore del trasporto aereo esercenti servizi aeroportuali in sede di stipula di contratti del secondo tipo, dovranno semplicemente rispettare il limite quantitativo del 15% godendo esse secondo la dottrina[5] di una quota di flessibilità “pura” nella gestione degli organici, senza cioè che esse debbano di volta in volta accertare la sussistenza delle ragioni oggettive contenute nell’art. 1 del D. lgs. 368 del 2001, e quindi senza esplicitare alcuna causale di assunzione. L’eventuale controllo giudiziario verterà soltanto sul rispetto di detto limite percentuale e non anche su quella ragione aziendale sottostante le assunzioni a termine.
Si è sostenuto in dottrina che il rispetto del principio di eguaglianza avrebbe dovuto comportare l’applicazione della normativa in questione a tutti i settori che presentano analoghe esigenze[6]. Tuttavia ad oggi il legislatore si è limitato ad estendere tale disciplina alle sole imprese operanti nel settore dei servizi postali. Si è in quel caso trattato di una disciplina di favore delle società del gruppo Poste Italiane S.p.a., protagoniste da oltre un decennio di un contenzioso in materia di contratti a tempo determinato che le aveva viste spesso soccombenti di fronte alle richieste dei lavoratori assunti a termine di conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato[7].
3. Le conseguenze della violazione del limite percentuale previsto per l’apposizione del termine ai contratti di lavoro sono state oggetto di numerose discussioni. Secondo un primo orientamento la violazione di detto limite percentuale comporterebbe la nullità parziale della clausola che contiene l’apposizione del termine, la quale in applicazione dell’art. 1419, c. 2, c.c. non si estenderebbe all’intero contratto, con conseguente “conversione”, per i dipendenti eccedenti il limite indicato, del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Per l’individuazione dei soggetti il cui contratto dovrebbe essere convertito si è da alcuni ipotizzato l’utilizzo di un criterio meramente cronologico, per cui la conversione interesserebbe i primi (o in alternativa gli ultimi) lavoratori assunti. Secondo altri invece dovrebbero essere applicati criteri di scelta generali e “ragionevoli” che tengano conto ad esempio della debolezza, e cioè delle condizioni personali effettive del lavoratore (ad es. il criterio del carico familiare)[8].
Altri autori ritengono invece che la sanzione della conversione opererebbe solo per le vicende successive al primo contratto (es. prosecuzione di fatto oltre la scadenza del termine). Nel caso in esame invece dovrebbe applicarsi la regola della nullità parziale di cui all’art. 1419, c. 1, c.c., con conseguente pronunzia di invalidità dell’intero contratto. Il datore di lavoro dovrebbe quindi semplicemente provare che non avrebbe concluso il contratto senza quel termine, fermo restando però il diritto del lavoratore alla retribuzione per il periodo di lavoro effettivamente prestato (art. 2126 c.c.)[9]. Tuttavia tale orientamento, che riprende la tesi avanzata dagli stessi autori ai fini dell’individuazione della sanzione conseguente all’assenza delle ragioni tecniche, produttive, organizzative e sostitutive legittimanti l’apposizione del termine di cui all’art. 1 del D. lgs. 368 del 2001, non trova alcun seguito in dottrina, ed appare smentito dai primi orientamenti giurisprudenziali[10].
Nulla esclude che il contratto a termine possa essere successivamente prorogato ma sempre nei limiti di sei e quattro mesi, sempreché tale proroga sia dettata da esigenze oggettive e abbia ad oggetto la stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato, così come previsto dall’art. 4 del D. lgs. 368 del 2001.
4.
Come già accennato in precedenza, la disciplina contenuta
nell’art. 2 del D. lgs. 368 del 2001 assume una valenza
sostitutiva, nello specifico settore di destinazione, rispetto alla
regola di cui al precedente art. 1. In altri termini a fronte di una
regola generale che postula, per la valida stipula di un contratto a
tempo determinato, l’esistenza di esigenze oggettive di
carattere temporaneo, esiste una regola speciale, che ammette
limitatamente ai servizi aeroportuali la conclusione di un contratto
a termine anche in assenza del carattere temporaneo dell’interesse
imprenditoriale da soddisfare. Il regime speciale deve quindi
considerarsi autosufficiente dal punto di vista causale, proprio
perché bilanciato dall’introduzione per legge di limiti
percentuali e di durata.
Per tali motivazioni la dottrina ritiene che i due regimi, quello speciale e quello comune, siano destinati a concorrere, ove sussistano ragioni temporanee di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ulteriori rispetto a quelle preventivamente valutate e quantificate nell’art. 2 del D. lgs. 368 del 2001. Non diverso significato può darsi all’indicazione della disciplina del lavoro a termine per il trasporto aereo ed i servizi aeroportuali, come avente carattere aggiuntivo rispetto a quella generale[11].
Ne deriva quindi che, laddove le aziende intendano assumere lavoratori con contratti a tempo determinato rientranti nelle ipotesi di cui all’art. 2 del D. lgs. 368 del 2001, non dovranno indicare nel contratto alcuna causa giustificativa del termine. Qualora invece le assunzioni avvengano in ipotesi diverse rispetto a quelle indicate dalla citata disposizione, e quindi anche oltre i periodi temporalmente definiti, o in eccesso rispetto alla percentuale del quindici per cento, dovranno essere specificate le specifiche ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo dell’apposizione del termine, come disposto dall’art. 1 del citato D. lgs.
Per favorire il controllo sindacale sul rispetto dei vincoli percentuali imposti dalla norma, l’art. 2 del D. lgs. 368 del 2001 obbliga le aziende di trasporto aereo o esercenti servizi aeroportuali a comunicare le richieste di assunzione alle organizzazioni provinciali. La mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali provinciali potrebbe però essere al più considerata un comportamento antisindacale, a cui le organizzazioni interessate potrebbero reagire proponendo un ricorso ai sensi dell’art. 28 della l. 20 maggio 1970, n. 300. Non inciderebbe invece sulla legittima apposizione del termine, in quanto questo è esclusivamente legato alla presenza delle ipotesi previste dalla legge.
Alcuni dubbi sono stati manifestati in dottrina in ordine alla permanente vigenza dell’art. 902 c. nav. Questo prevede infatti che per il personale di volo in senso stretto l’unica ipotesi legittimante la conclusione di un contratto a tempo determinato è quella della specialità del rapporto, “intesa tradizionalmente (così come l’omologa disposizione contenuta nell’art. 2097 c.c.) come sussistenza di speciali esigenze dell’impresa, tali da rendere l’assunzione a tempo indeterminato incompatibile con l’organizzazione dell’attività imprenditoriale”[12].
Secondo parte della dottrina infatti la disciplina del D. lgs. 368 del 2001 andrebbe estesa al personale di volo, in considerazione dell’inserimento della disciplina speciale “aggiuntiva” all’interno della disciplina generale sul lavoro a termine. Ciò rivelerebbe la volontà del legislatore di considerare l’intera normativa sul lavoro a termine come disciplina speciale rispetto al diritto della navigazione, con conseguente abrogazione dell’art. 902 cod. nav. in quanto norma speciale antecedente nel tempo[13].
Sembra preferibile la tesi[14] la quale operando una distinzione tra personale di volo in senso stretto e non, ammette l’operatività della disciplina generale dell’art. 902 cod. nav. solo per la prima categoria di personale, mentre per l’assunzione dell’altro personale le imprese operanti nel settore aereo ed aeroportuale sarebbero tenute all’osservanza della disciplina contenuta nell’art. 2 del D. lgs. 368 del 2001, con tutte le relative conseguenze.
* Dottoressa di ricerca in diritto dell’impresa nell’Università degli studi di Palermo.
[1] Cfr. per tutti M. Roccella, I rapporti di lavoro a termine, in P. A. Varesi – M. Roccella, Le assunzioni. Prova a termine nei rapporti di lavoro, Milano, Giuffrè, 1990.
[2] Cfr. V. Nobile, Il lavoro a termine nel trasporto aereo e nei servizi aeroportuali, in Lav. ’80, 1987, 919.
[3] Cfr. M. Marinelli, Contratto a termine e cause di giustificazione, in A. Garilli – M. Napoli (a cura di), Il lavoro a termine in Italia ed in Europa, Torino, Giappichelli, 2003, 66; A. Russo, Disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo ed i servizi aeroportuali, in M. Biagi (a cura di) Il nuovo lavoro a termine, Milano, Giuffrè, 2002; G. Della Rocca, Disciplina specifiche di lavoro a termine, in G. Perone (a cura di), Il contratto di lavoro a tempo determinato nel D. lgs. 6 settembre 2001, n. 368, Torino, Giappichelli, 2002, 184.
[4] Cfr. G. Della Rocca, Disciplina specifiche, cit., 188.
[5] Cfr. M. Roccella, I rapporti di lavoro a termine, cit., 139
[6] Cfr. V. Nobile, Il lavoro a termine, cit., 894.
[7] Cfr. L. Menghini, Contratto a termine e Poste Italiane tra vecchia e nuova disciplina, in Riv. giur. lav., 2006, II, 509.
[8] Cfr. G. Della Rocca, Condizioni personali del lavoratore e distribuzione delle tutele, in Dir. lav., 2001, I, 265.
[9] Cfr. per tutti A. Vallebona – C. Pisani, Il nuovo lavoro a termine, Padova, Cedam, 2001.
[10] Cfr. per tutti L. Nannipieri, La riforma del lavoro a termine: una prima analisi giurisprudenziale, in Riv. it. dir. lav., 2006, I, 327.
[11] Cfr. M. Marinelli, Contratto a termine, cit., 66.
[12] Cfr. M. Marinelli, Contratto a termine, cit., 68.
[13] Cfr. A. Russo, Disciplina aggiuntiva, cit. 117.
[14] Cfr. M. Marinelli, Contratto a termine, cit., 68.
Data di pubblicazione: 16 aprile 2008.