DISCIPLINA DELLA CESSIONE DEI CREDITI D'IMPRESA E
FACTORING
Maria
Luisa Musacchia*
1 OBIETTIVI PROGRAMMATICI E PROSPETTIVE DELLA LEGGE 52/91
La
normativa introdotta con la legge n. 52 del 1991 recante il titolo
"Disciplina della cessione dei crediti d'impresa" è la risposta,
anche se non del tutto esaustiva, alle molteplici aspettative ed esigenze che,
nel corso di 30 anni di vita del factoring in Italia, si erano evidenziate sia
sotto il profilo economico che giuridico.
Particolarmente
rilevanti erano le questioni giuridiche alle quali gli interpreti cercavano di
dare una risposta sulla base dei formulari predisposti dalle società di
factoring ed in via comparatistica riferendosi all'esperienza di altri stati ed
in particolare di quelli anglosassoni.
Tra
le suddette problematiche basti ricordare, data la loro centralità ed
essenzialità, quelle relative alla qualificazione giuridica del contratto ( che
a sua volta si può scindere nella duplice questione relativa alla natura
giuridica ed alla struttura giuridica assunta dal contratto di factoring ) ed
inoltre quella, non meno importante, della funzione che la cessione di credito,
ex art 1260 e segg. c.c., riveste nel contratto in esame.
Il
legislatore del
1)
Legittimare il cedente a cedere crediti anche futuri; 2) sancire la cedibilità,
al factor, dei crediti anche in massa; 3) rendere più agevole, per il
cessionario, il regime d'opponibilità delle cessioni ai terzi; 4) indicare, a
garanzia del cedente e dell'interesse pubblico, i requisiti che deve possedere
il cessionario per potere concludere, validamente, l'operazione.
La
legge ha prodotto altri effetti, che anche se ritenuti collaterali non sono, di
certo, marginali e precisamente:
1)
Non viene meno la possibilità del ricorso alla disciplina dettata dagli
art.1260 e segg. c.c., relativi alla cessione dei crediti, di cui le parti
potranno usufruire per operazioni prive dei requisiti ex art.1 L.52/91; 2) le
parti godono, sempre, di un'ampia autonomia negoziale; 3) si rende più sicura
la posizione del factor quale finanziatore; 4) si evidenzia una causa di
scambio ( cessione di crediti pecuniari verso corrispettivo ) del contratto,
che incide sulla qualificazione giuridica del contratto.
Rimane,
invece, irrisolto il problema relativo all'opponibilità, al cessionario, del
divieto di cessione; per cui le parti potranno, sempre, escludere la cedibilità
del credito. Il patto, però, non sarà opponibile al cessionario se non si prova
che egli lo conosceva al momento della cessione.
Il
testo approvato il 21/2/1991 è il risultato degli emendamenti apportati al
primo progetto di legge sul factoring (disegno di legge n.882) presentato al
Parlamento nel 1984.
In
realtà anche in tale progetto , come risulta dai lavori preparatori , non ci si proponeva una disciplina completa
della cessione dei crediti d'impresa; veniva disatteso, già da allora,
l'aspetto organizzativo del fenomeno e la regolamentazione dei servizi
contabili ed amministrativi offerti dal cessionario al cedente.
Ed
ulteriore conferma si ricava da un dato terminologico: mentre nel disegno di
legge del 1984 compariva il termine factoring, tra parentesi nel titolo,
"Disciplina dell'acquisto dei crediti d'impresa (factoring)", nel testo
definitivo della legge il termine è stato soppresso.
Le
osservazioni che precedono sono opportune per una migliore comprensione degli
effetti prodotti nel nostro ordinamento
e consentono di pervenire alla conclusione che non può essere condivisa un'eventuale tesi volta a sostenere
che il legislatore del
E'
appena il caso di rilevare, comunque, che un'indagine sulla cessione dei
crediti d'impresa non può prescindere da una serie di riferimenti al contratto
di factoring che ha costituito il punto di partenza per la nuova disciplina
normativa.
2
Esaminando
le opinioni espresse dalla dottrina, sulla natura giuridica del factoring, si
ricava che i tentativi volti a ricondurre il contratto di factoring a tipi già
previsti dall'ordinamento giuridico, sono stati molteplici.
Coloro[3] che hanno sostenuto l'unitarietà del negozio
in questione hanno ravvisato una affinità tra la causa di determinati contratti
tipici e quella del factoring.
Quanti[4],
invece, hanno sostenuto la pluralità negoziale hanno messo in evidenza
un'affinità tra la causa del contratto tipico e quella della convenzione di
factoring, il cui momento attuativo è dato dalle singole cessioni.
Altri
autori[5],
distinguendo tra factoring con rivalsa e senza rivalsa, assimilano il primo al
mutuo e l'altro alla vendita del credito.
Qualora
il factor, invece, anticipi l'importo
del credito senza assumersi il rischio dell'insolvenza del debitore,
l'operazione sembrerebbe vicina allo sconto; inoltre se il factor dovesse
assumersi il rischio dell'operazione si potrebbe pensare ad uno sconto a forfait[6].
Infine
si è posto[7] in rilievo come il factoring sia assimilabile
all'assicurazione del credito, nel caso in cui il factor non effettui alcun
anticipo ma si assuma il rischio dell'insolvenza.
Volendo
considerare la presunta identità con il mutuo basti constatare come nel
factoring si realizzi lo scambio di un
bene presente con un bene futuro;mentre nel mutuo si attua il
trasferimento di un bene presente (danaro), cui si aggiunge l'obbligo di
trasferire il bene futuro che il mutuatario assume. Quest'ultimo, poi, deve
restituire il tantundem, mentre nel
factoring non deve effettuare alcuna restituzione tranne che il debitore non
abbia pagato[8].
Passando
alla valutazione dell'affinità della vendita del crediti al factoring, si
giungerebbe a considerare l'anticipazione, erogata dal factor, quale
corrispettivo della cessione del credito e si finirebbe per non comprendere la
funzione della commissione e degli interessi che spettano al factor[9].
Particolare
attenzione, inoltre, è stata riservata[10] alle caratteristiche in comune rilevate tra lo
sconto ed il factoring. In realtà, l'identità tra i due negozi è fittizia se si
considera che i contratti di factoring prevedono l'anticipazione dell'importo
del credito ceduto come elemento normale, e non essenziale, e spesso rimesso
alla discrezionalità del factor.
Si
consideri, inoltre, che nel factoring non si ha una pre-deduzione degli
interessi, come nello sconto, ma il versamento di una somma che si aggira
intorno all'80% del credito ceduto. In caso, poi, di mancato pagamento, da
parte del debitore, nello sconto deve essere resa la somma che costituisce il
netto ricavo dello sconto, mentre nel
factoring va restituita solo la somma ricevuta
a titolo d'anticipazione.
Le
relazioni tra sconto e factoring sono state vagliate anche in sede di lavori
preparatori in quanto si è rilevato che il progetto di legge disponeva una
normativa più consona allo sconto che non al contratto che s'intendeva
introdurre nell'ordinamento italiano.
In
relazione all'assicurazione del credito si può[11] escludere la sua identità con il factoring
perché, per la parte assicurata del credito, il factor può rendersi cessionario
pro-soluto anche dell'intero credito, mentre l'assicuratore si assume il
rischio dell'insolvenza solo in parte, nei limiti di una quota del credito.
Nella cessione pro-soluto, inoltre, il factor non condiziona il proprio
intervento al verificarsi dell'insolvenza, quindi non assicura ma garantisce
che il debitore pagherà alla scadenza.
Si
è anche posta[12] la questione se il trasferimento del credito
abbia funzione di garanzia o solvendi causa. Ma anche tali
considerazioni hanno dato luogo a divergenze tra gli interpreti. Infatti, in
relazione alla prima ipotesi si obietta che il factor può disporre del
credito cedutogli, cedendolo a terzi, e
se il debitore adempie si soddisfa sull'oggetto della garanzia. Ciò è in
contrasto con il concetto di garanzia poiché il creditore che ha ricevuto in
garanzia un credito verso terzi non può né liberamente disporne (art.2792
c.c.), né soddisfarsi su di esso (art.2803 , 2804 c.c.).
La
rivalsa opera quando il debitore non adempie. Ne deriva che il pagamento
effettuato dal ceduto rappresenta il modo normale di soddisfacimento nei
confronti del factor, e che la rivalsa
verso il cedente è solo eccezionale ed assume funzione di garanzia. Quindi la
situazione, risulta economicamente capovolta.[13]
In
relazione alla presunta funzione solvendi causa attribuita al factoring
come è noto la datio in solutum (la cessione) precederebbe il
finanziamento da parte del factor, mentre dovrebbe essere il contrario: il finanziamento dovrebbe determinare in capo
al cedente l'obbligo della restituzione. Inoltre, poiché l'entità del
finanziamento dipende dall'importo del credito ceduto al factor, sarebbe la datio
in solutum a determinare l'ammontare della prestazione originaria (il
debito di restituzione della somma mutuata dal factor). Sarebbe, dunque, la
prestazione subordinata a determinare la misura di quella originaria, anziché
il contrario.
3
Nonostante
i tentativi della giurisprudenza di ricondurre il factoring ai tipi contrattuali
già noti e disciplinati dalla legge, non sono mancate sentenze in cui si
afferma che il contratto di factoring è atipico[14].
Il
Tribunale di Milano con la sentenza del 28/3/1977[15] si pronuncia in favore dell'atipicità del
factoring,come si ricava dal dispositivo ("Il contratto di factoring ha
natura atipica ed innominata poiché pur realizzandosi essenzialmente attraverso
una cessione di credito,presenta un più
ampio contenuto in senso economico e giuridico").
Del
16/7/1984[16] è la sentenza del Tribunale di Firenze in cui
si ribadisce l'atipicità del factoring ("Il contratto di factoring non può
essere considerato né come aleatorio né come normativo unilaterale.......ma
come contratto atipico........").
La
connessione del contratto di factoring all'impresa risulta, invece, dal dispositivo della sentenza del tribunale di
Verona del 4/5/1987[17] ("Il contratto di factoring è un negozio
innominato d'impresa.....").
Nell'85
è stata emessa la sentenza[18] ( in tema di qualificazione del factoring) che
forse ha suscitato più contrasti in dottrina; infatti il Tribunale di Bologna
ha statuito: "Il contratto di factoring è....un contratto atipico..."
La
causa consiste nell'impegno che un imprenditore-creditore assume per cedere ad
altro imprenditore tutti i crediti derivanti dall'esercizio dell'impresa ed il
factor si riserva il diritto di accettare o meno i crediti....".
La
dottrina sostiene che si tratta di una pronuncia "confusa" perché
indica come alternative le funzioni di finanziamento, servizio e garanzia, perdendo
di vista la caratteristica fondamentale del contratto che consiste nel legame
intercorrente tra le tre diverse funzioni contro l'insolvenza del debitore.
Infine
vanno segnalate due pronuncie del 1990[19] che, ancora una volta, confermano l'atipicità
del factoring, nonostante dal dispositivo della prima di esse si evinca il
tentativo dei giudici di ricondurre il contratto ad uno schema già disciplinato
nel nostro ordinamento[20].
Gli
interventi giurisprudenziali in tema di qualificazione del contratto di factoring
non sono molto numerosi a differenza di quelli relativi all'applicazione della
disciplina codicistica sulla cessione dei crediti al contratto di factoring e
di cui ci occuperemo nel capitolo seguente.
4 IL
FACTORING E L'ATIPICITA' CONTRATTUALE
Come
è noto nel nostro ordinamento viene dato un ampio riconoscimento alla autonomia
contrattuale che non è altro che il potere riconosciuto alle parti di
provvedere, con proprio atto di volontà alla costituzione, regolazione ed
estinzione dei rapporti patrimoniali.
Tale
autonomia si esplica nel riconoscere alle parti il potere di scegliere tra i
diversi tipi di contratto, previsti dalla legge, quello più adatto alla
realizzazione dei propri scopi.
Vuol
dire inoltre che le parti potranno determinare il contenuto del contratto,
entro i limiti prefissati dalla legge.
Ma
autonomia contrattuale significa anche libertà di concludere contratti atipici,
ossia contratti non previsti dalla legge ma praticati nel mondo degli affari[21].
L'art.
1322 c.c., infatti, al comma 2 riconosce alle parti il diritto di addivenire
alla conclusione di tali contratti ma con il limite derivante dal giudizio
sulla meritevolezza di tutela, secondo l'ordinamento giuridico, degli interessi
che si intendono realizzare con tali contratti.
Abbiamo
esaminato in precedenza come da parte della dottrina e della giurisprudenza si
sia tentato di ricondurre il factoring entro schemi negoziali riconosciuti e
regolati dall'ordinamento giuridico.
Ora,
anche se è possibile accostare il factoring
per alcuni aspetti a taluno dei
contratti tipici, non ci sembra, tuttavia, che il contenuto complessivo del
contratto stesso consenta di inquadrarlo interamente in nessuno dei tipi legali
e che, in ultima analisi, è opportuno che esso sia compreso tra i contratti atipici[22].
A
questo punto è legittimo il quesito circa le motivazioni che inducono gli
interpreti a tentare di
"ingabbiare" il “factoring” in un tipo già previsto dalla legge. In
realtà il fenomeno di cui si parla è tipico, soprattutto in campo giudiziale, di
tutte quelle pronunce in cui si tenta una qualificazione di un contratto nuovo.
E'
celebre l'affermazione del Sacco[23] (1966) secondo il quale: "Il contratto
atipico non ha mai fatto apparizione in
un ufficio giudiziario", con la quale l'autore intendeva evidenziare la
tendenza dei giudici a ricondurre le fattispecie negoziali ad un tipo legale o
giurisprudenziale.
Quali
i motivi di tale tendenza alla tipizzazione?
Il
De Nova[24] evidenzia, in essa, l'esigenza di assicurare
la certezza del diritto, mentre secondo il Giammaria[25] sarebbero tre le motivazioni più rilevanti, di
tale atteggiamento, e precisamente: A) La tutela del contraente più debole
(dato il proliferare dell'uso dei formulari predisposti, da una delle parti,
nella conclusione del contratto) che non avrebbe potere di negoziazione; B) Un
migliore coordinamento tra le norme che disciplinano i contratti in generale e
quelle relative ai contratti in particolare; C) La maggior facilità d'impiego,
da parte dei giudici, delle norme sui contratti tipici.
Gli
ostacoli che si pongono ai giudici nel processo di tipizzazione sono quelli
relative alla distinzione dei tipi legali e quello relativo alla riconduzione
del contratto ad un tipo.
In
merito alla prima questione il criterio distintivo sarebbe dato, secondo
alcuni, dalla causa e, secondo altri,dalle norme cogenti.
Sembra
preferibile la tesi che s'impernia sull'assunzione di criteri multipli ed
eterogenei (che valutino le qualità delle parti, l'oggetto del contratto
ecc..).
Le
figure contrattuali adottate più frequentemente per la riconduzione al tipo dei
contratti atipici sono il contratto misto (costituito da clausole che
costituiscono frammenti di più contratti tipici) e complesso (in cui sono
unificati gli effetti di più contratti tipici).
Qualificato
il contratto, come misto o complesso, i criteri adoperati per la riconduzione
al tipo sono due e cioè: A) Il criterio della prevalenza (si applica la
disciplina del tipo il cui elemento risulta prevalente); B) Il criterio della
combinazione (i vari elementi di una figura contrattuale devono essere
considerati nelle loro somme).
Riguardo
al criterio utilizzato per ricondurre un contratto ad un tipo, il De Nova[26] ha ritenuto più idoneo utilizzare il criterio
tipologico (e non più quello di sussunzione che consiste nel verificare se il
contratto in questione presenta i caratteri distintivi caratterizzanti un
determinato tipo) "che si elabora individuando i dati in un quadro
complessivo che si coglie mediante un'intuizione globale".
Tale
metodo può operare restrittivamente (porta ad escludere l'applicazione della
disciplina legale) o estensivamente (si applicano ad un contratto le norme
relative ad un tipo legale).
L'accoglimento
di tale metodo si è avuto da parte di coloro che si sono trovati di
fronte alla necessità d'individuare una normativa per i contratti nuovi.
Infatti, è chiaro che la qualificazione di un negozio è essenziale quanto
pregiudiziale per la determinazione della disciplina relativa allo stesso.
Ed
a tale proposito non mi sembra superfluo ricordare la sentenza[27] del Tribunale di Genova del 17/7/1991 in cui
si afferma che: "La qualificazione del contratto di factoring in termini
di atipicità non può consentire di sottrarre il rapporto all'applicazione di
eventuali norme imperative, sia speciali che proprie della disciplina dei
contratti tipici, che in esso si combinano".
D'altronde
il Bonavera, che commenta tale sentenza, aggiunge che il giudizio di
meritevolezza dell'interesse, ex art.1322 c.c., non è sufficiente, per il
contratto di factoring, e ciò è dimostrato dall'intervento legislativo attuato
con
Dalle
considerazioni sopra svolte, circa la natura giuridica del contratto di
factoring, nei lavori della dottrina e nelle pronuncie dei giudici emerge
l'impossibilità di considerare il factoring come un "tipo". Tutt'al
più potrebbe accogliersi la tesi dello Zuddas[28] il quale propende per l'emersione, nella
prassi, del factoring quale nuovo tipo "sociale", avente
caratteristiche peculiari che lo differenziano da tutti i contratti, nominati,
esistenti.
Ci
si potrebbe chiedere se, alla luce della L.52/91, non si sia verificato un
fenomeno di tipizzazione legale del contratto di factoring considerato, sino a
poco tempo prima, tipo sociale o, meglio, contratto atipico.
Io
non credo che dal testo legislativo possa pervenirsi ad una tale conclusione.
E
d'altronde anche dai lavori preparatori emerge la consapevolezza che il
factoring racchiude in sé un fenomeno ben più ampio del tipo di cessione dei
crediti che si intendeva disciplinare con la proposta di legge in esame.
Quindi
ritengo opportuno, per una maggiore chiarezza, utilizzare il termine
"cessione dei crediti di impresa" allorché ci si intenda riferire al contratto disciplinato
dalla L.52/91.
5
La
qualificazione del contratto di cessione dei crediti di impresa si può desumere
dal complesso delle norme che compongono
Ritengo
tuttavia che già dai primi due articoli della legge emerga la natura giuridica
del contratto, mentre per ciò che concerne la struttura bisognerà rinviare alla
interpretazione dell'art.3.
Dalla
disamina dei due primi articoli della L.52/91 si evince:
Art
1: Ambito d' applicazione
1)
La cessione dei crediti pecuniari verso corrispettivo è disciplinata dalla
legge quando concorrono le seguenti condizioni:
a)
il cedente è un imprenditore;
b)
i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio
dell'impresa;
c)
il cessionario è una società o un ente, pubblico o privato, avente personalità
giuridica, sempre che, in ogni caso, l'oggetto sociale preveda anche l'acquisto
di crediti d'impresa e il cui capitale sociale o il fondo di dotazione sia non
inferiore a dieci volte il capitale minimo previsto per le società per azioni.
2)
Resta salva l'applicazione delle norme del codice civile per le cessioni di
credito prive dei requisiti di cui al comma 1.
Art.
2: Albo delle imprese che esercitano l'attività di cessione dei crediti
1)
E' istituito presso
2)
Nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge il Ministro del
Tesoro provvede con proprio decreto a disciplinare l'iscrizione all'albo di cui
al comma 1 e la cancellazione dal medesimo, i contenuti e le modalità della
vigilanza, nonché le relative sanzioni amministrative.
3)
Il cessionario dei crediti d'impresa di cui alla presente legge è tenuto
all'osservanza dell'obbligo di certificazione del proprio bilancio annuale.
Nel
primo articolo si fa riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi del
contratto.
I
primi sono: A) La parte cedente deve essere un imprenditore; B) La parte
cessionaria deve essere una società o ente pubblico avente personalità
giuridica e che contempli nell'oggetto sociale anche o soltanto l'acquisto dei
crediti d'impresa; infine si richiede un capitale sociale non inferiore ai 2
miliardi (tale precisazione determina l'esclusione delle società di persone).
I
requisiti oggettivi, invece, sarebbero i seguenti: A) Trasferimento per atto
tra vivi; B) Di carattere pecuniario; C) Verso corrispettivo;
D)
Relativo a crediti che sorgono da contratti stipulati (o da stipulare)
nell'esercizio d'impresa del cedente.
Va
rilevato come nella legge si circoscrive l'applicabilità della disciplina alle
cessioni che abbiano ad oggetto un solo tipo di crediti, quelli pecuniari ( da ciò si deduce la specialità della legge)
e sempre che ricorrano le condizioni previste ai n. 1) 2) e 3).
Il
Rivolta[29] si sofferma con delle acute osservazioni sui
presupposti soggettivi richiesti dalla Legge 52/91.
Innanzitutto
"la veste imprenditoriale della parte cedente andrà appurata alla luce
dell'art.2082 c.c....né contemplando, la legge in esame , specificazioni
ulteriori si deve ammettere che l'imprenditore cedente possa essere di
qualunque specie". L'autore ritiene applicabile la nuova normativa alle
cessioni dei crediti effettuate dai professionisti-imprenditori, qualora
ricorra la fattispecie prevista dall'art.2238 c.c. ( "l'esercizio della
professione costituisce elemento di un'attività organizzata in forma
d'impresa" ).
Ulteriore
aspetto messo in rilievo dal Rivolta è quello relativo alle conseguenze
giuridiche determinate per effetto della mancanza, nel momento della
stipulazione del contratto di cessione dei crediti , dei presupposti soggettivi, che sopravvengano
poi nel corso del rapporto. La soluzione non può che derivare dalla
considerazione che i presupposti soggettivi non costituiscono requisiti di validità del contratto di
cessione di crediti, né del factoring.
La
mancanza di quei presupposti, quindi, non vizia il contratto ma impedisce la
sua sottoposizione alla normativa introdotta dalla L.52/91.
Risulta
evidente che i requisiti richiesti per il cessionario sono volti ad assicurare
una garanzia patrimoniale e professionale a coloro che entrano in rapporto con
tali categorie d'imprese.
Lapidario
l'ultimo comma dell'art.1, il quale sancisce l'applicabilità delle norme sulla
cessione dei crediti (art.1260 e segg.), qualora non ricorrano le condizioni su
esposte. Quindi si potrebbe considerare la nuova legge quale speciale, rispetto
alle norme del codice civile, in quanto volta a disciplinare cessioni di un
certo tipo.
La
disposizione dell'art.2 della legge può essere suddivisa in due parti e cioè:
la prima, volta a disciplinare
l'attività delle società cessionarie per quanto riguarda gli aspetti finanziari
e strutturali, e la seconda, diretta ad evitare l'impiego distorto del denaro.
Per
quanto riguarda le fasi relative all'iscrizione all'albo, alle cancellazioni ed
ai contenuti ed alle modalità della vigilanza nonché per le sanzioni amministrative,
la legge rinvia ad un successivo decreto da emanarsi da parte del Ministero del
Tesoro.
Tale
provvedimento è stato emanato il 16/6/1992 e reca il titolo di
"Disposizioni per l'iscrizione all'albo delle imprese esercenti l'attività
di cessione ed acquisto dei crediti d'impresa". In esso si stabilisce che
l'iscrizione all'albo costituisce condizione per l'esercizio professionale
dell'attività.
L'introduzione
di criteri incisivi di vigilanza era stata auspicata, anche, dal deputato
Bargone, in sede di Lavori Preparatori alla L.52/91, vista la genericità
dell'ambito d'applicazione dell'art.1, ed inoltre che "le società di
factoring, in quanto società finanziarie, possono costituire canali di riciclo
di capitali illeciti".
La
conoscenza, da parte della Banca d'Italia di tutti i flussi finanziari dovrebbe determinare l'eliminazione di tutte
le fasce d'anonimato.
Già,
quindi, dalla prima norma della L.52/91, emerge un motivo di critica, alla
legge, motivato dalla genericità con cui il legislatore ha disposto circa
l'ambito d'applicazione della legge. Critica che in sede di Lavori Preparatori
alla legge , aveva indotto la commissione, che esaminava il progetto, ad
introdurre dei mezzi di controllo sull'attività regolata dalla legge che si proponevano di approvare,
seppure con alcuni emendamenti.
E'
ora possibile dare una definizione del contratto di cessione dei crediti di
impresa che non sarebbe altro che quel contratto mediante il quale una parte
(cedente), che abbia requisiti di imprenditore, cede crediti pecuniari, sia
esistenti che futuri, all'altra parte (cessionario), sia essa una società o un
ente, avente personalità giuridica, che a sua volta paga il corrispettivo
pattuito.
Il
cedente garantisce, nei limiti di tale corrispettivo, la solvibilità del debitore,
salvo che il cessionario rinunci, in tutto o in parte alla garanzia.
Si
può concludere, quindi, che il suddetto è un contratto:
A) CONSENSUALE
poiché l'accordo tra le parti risulta essere requisito necessario e
sufficiente per perfezionare il contratto. D'altronde sappiamo che il nostro
sistema legislativo si basa, in materia di contratti ad effetti reali, sul
principio consensualistico ex art. 1376 c.c.
B)
A TITOLO ONEROSO, poiché è noto,
infatti, che per la dottrina la causa dei contratti a titolo oneroso risiede
nello scambio tra le prestazioni delle parti. Per questo, dei contratti a
titolo oneroso si parla anche come contratti a prestazioni corrispettive poiché
la prestazione di una parte (nel nostro caso la cessione del credito) trova
causa nella prestazione dell'altra (versamento del corrispettivo);
C) AD EFFETTI REALI, ex art. 1376 cod. civ.;
D) DI IMPRESA,
in quanto la collocazione del contratto in tale categoria è testimoniata
dai requisiti richiesti, ex art. 1 della L.52/91, per il cedente ed il
cessionario; nonché dall'oggetto della cessione
("crediti derivanti da contratti stipulati nell'esercizio
dell'impresa"), inoltre dalla vigilanza, predisposta dalla legge, per tali
operazioni e infine dalla cedibilità in massa dei crediti, carattere
tipico (quello della cessione in
blocco) dell'esercizio della attività di
impresa.
6
Al fine di concludere l'indagine relativa alla
qualificazione del contratto in esame è opportuno soffermarsi sulle questioni
relative alla struttura giuridica del factoring che hanno determinato un acceso
dibattito in dottrina.
Fondamentalmente,
il contrasto degli interpreti si è incentrato su un quesito e cioè se fosse più
corretto considerare il contratto di factoring come un negozio unitario[30] o quale negozio plurimo[31],
scomponibile in una convenzione di factoring cui si aggiungono le singole
cessioni (quali negozi attuativi della causa sottostante la convenzione).
Ed
inoltre ci si è chiesto se alla convenzione di factoring potesse riconoscersi
valore di contratto preliminare o, piuttosto, di contratto normativo.
Strenuo
assertore dell'unitarietà negoziale è stato il Carnevali il quale considera il
factoring come una cessione di crediti futuri il cui trasferimento al factor,
avverrebbe con il venire ad esistenza dei crediti. Egli ricorre allo strumento
condizionale, quindi, per spiegare la facoltà riconosciuta al factor di
accettare, o meno, i crediti.
Il
Frignani[32] ha criticato tale tesi, negando che possa
riconoscersi alcuna validità allo strumento condizionale, e sostenendo, invece,
la tesi della pluralità negoziale. Tesi che è stata condivisa anche dallo
Zuddas[33] e dal La Bianca[34].
Questi
due ultimi autori inoltre ravvisano un collegamento negoziale tra il contratto
di factoring e la cessione dei crediti.
E'
rilevante la conseguenza che deriva dall'accoglimento dell'una ( unitarietà
negoziale ) o dell'altra tesi (pluralità negoziale). Difatti, se si considera
il contratto di factoring come negozio unitario, allora il trasferimento dei
crediti è connesso al momento della cessione se, invece, si dovesse accogliere
la tesi della pluralità negoziale si dovrà ricollegare il momento traslativo
alla conclusione dei singoli negozi (di cessione).
Per
coloro i quali propendono per il riconoscimento della pluralità negoziale si
pone un ulteriore quesito circa il contenuto della convenzione di factoring
alla cui esecuzione provvederanno i negozi di cessione del credito.
A
quanti (Frignani, Zuddas, Fossati-Porro)[35] ritengono che la convenzione di factoring
abbia valore normativo si è obiettato (Carnevali)[36] che le clausole, inserite nei contratti di
factoring, hanno contenuto immediatamente vincolante per le parti e
costituiscono vere e proprie obbligazioni contrattuali e, almeno per quanto
riguarda il cedente, alla stipulazione del contratto definitivo. Da tali
osservazioni scaturiscono le affermazioni della prevalente dottrina volte a
riconoscere valore di preliminare alla convenzione di factoring.
Propendere
per la tesi che ritiene la convenzione di factoring quale preliminare significa ritenere che il
factoring vincola il fornitore a quel regolamento d'interessi che sarà poi
determinato nel definitivo. Optare per l'altra tesi significa considerare la
convenzione priva di effetti vincolanti, ed avente soltanto funzione
preparatoria dei futuri contratti di cessione.
Ma
è innegabile la presenza di clausole vincolanti per entrambi i contraenti.
Il
La Bianca[37],
infatti, distingue tra la cessione di crediti futuri (la cui convenzione avrà
efficacia normativa) ed esistenti (in tal caso le clausole si concretizzano in
obbligazioni che una parte assume nei confronti del factor e dei clienti).
Per
il factor lo schema assunto dalla convenzione avrebbe, sempre e solo, natura
normativa poiché rimarrebbe libero di stipulare, o meno, le singole cessioni.
Conclude
l'autore ritenendo, essere, la convenzione commista di un elemento normativo e
di uno dispositivo.
Altrettanto
interessante è la teoria della Teodori Giordani[38] che afferma esservi, nella convenzione, due
distinti contratti, quello normativo (in base al quale le parti predispongono
le regole giuridiche dirette a disciplinare una serie di negozi eventuali e
futuri) ed il preliminare (diretto alla creazione di obblighi giuridici).
La
Cassandro[39] sostiene a sua volta che bisognerebbe
considerare il contratto di factoring come unico e definitivo di cessione di
una massa di crediti presenti e futuri derivanti da transazioni di carattere
commerciale.
L'autrice
nota come il contratto di factoring, integrato dalle condizioni particolari,
costituisca un contratto definitivo da cui nascono diritti ed obblighi per
entrambe le parti ed al quale va ricollegato l'effetto traslativo dei crediti
d'impresa.
Le
singole cessioni sono, invece, i momenti attuativi del contratto definitivo.
I
vantaggi di questa costruzione sarebbero quelli relativi alle condizioni
d'opponibilità del trasferimento dei crediti d'impresa sia verso il debitore
che verso i terzi, poiché il factor diviene titolare dei crediti non appena
sorgono e prima, invece, sarebbe titolare di un'aspettativa giuridicamente
tutelata, almeno rispetto a quei rapporti di durata per i quali, al momento
della stipulazione del contratto, è sorto il fatto generatore del credito.
7
Per
una onnicomprensiva valutazione della portata dell'art.3 L.52/91, è necessario
soffermarsi sulla questione, assai dibattuta tra gli interpreti, in ordine
all'ammissibilità nel nostro ordinamento di una cessione di crediti futuri. Mi
propongo di accennare a quelle che sono state le opinioni più rilevanti sul
tema.
L'art.1472
c.c. disciplina la vendita di cose future e ci si è chiesti se, in tale ambito,
si possano ricomprendere anche i diritti futuri, derivanti da fattispecie,
negoziali o legali , non ancora perfezionate.
La
risposta, prevalentemente positiva, ha dato adito ad un quesito circa la natura
giuridica del negozio in esame. L'opinione prevalente[40] propende per la configurazione di un contratto
già perfetto nel quale l'effetto traslativo è procrastinato ad un momento
successivo, secondo lo schema della vendita obbligatoria.
Altri[41] ritengono che non possa considerarsi un
negozio perfetto.
E'
indubbio che fin quando la cosa venduta non acquista un'esistenza autonoma, il
contratto produce effetti soltanto preliminari. Gli effetti finali del
passaggio di proprietà e del trasferimento del rischio si producono con il
venire ad esistenza della cosa.
Il
problema connesso all'ammissibilità della cessione dei crediti futuri, prima
dell'entrata in vigore della L.52/91, era più complesso sussistendo alcuni
ostacoli.
Il
primo ostacolo era costituito dalla normativa codicistica (art.1260 e segg.)
che disciplina soltanto la cessione dei singoli crediti, non prendendo in
considerazione la cessione dei crediti in massa (propria dell'attività
d'impresa).
Altro,
non meno importante, ostacolo derivava dalla sentenza della Corte di Cassazione
n.3421 del 2/8/1977[42] in cui si affermava che perché potesse cedersi
un credito futuro occorreva che, al momento della cessione, esistesse un atto o
un fatto da cui il credito potesse derivare. Ciò al fine di garantire la
determinatezza o la determinabilità dell'oggetto (ex art.1346 c.c.).
Ma,
come esattamente rilevato dalla Cassandro[43] tali esigenze sussistono quando si fa
riferimento alla cessione di singoli crediti futuri e non in relazione al
trasferimento in blocco dei crediti futuri (come avviene nel factoring) poiché
la connessione di tale trasferimento all'attività d'impresa garantisce "il
requisito della determinatezza o della determinabilità sia rispetto
all'individuazione oggettiva dei crediti (connessione con la vendita di certi
beni o servizi) sia soggettiva (vendita a clienti abituali
dell'impresa)".
Data di pubblicazione: 23 aprile 2008.
* Avvocato in Palermo
[1] Cfr.
Cannata "Nuova cessione dei crediti d'impresa e prospettive di factoring"
[2]
Ved. anche
Cass 02.02.2001 n. 1510 e Cass.
14.10.2005 n. 19969.
[3] Carnevali "I problemi giuridici del
factoring" in Mon: Trib., 1976
[4] Frignani voce "factoring" in Nuov.
Dig. It.; Zuddas “Il contratto di Factoring”
[5] Fossati- Porro “Il Factoring”.
[6] Carnevali op.cit.
[7] Carnevali op.cit.
[8] Cfr. Zuddas “Il contratto di Factoring”
[9] Carnevali op.cit.
[10] Carnevali op.cit.
[11] Carnevali op.cit.
[12] Carnevali op.cit.
[13] Carnevali
op. cit.
[14] Cassazione
[15] in Fossati-
Porro op.cit.
[16] in Fossati-
Porro op.cit.
[17] in Giust. Civ., 1988
[18] in Alpa “Qualificazione del contratto di
leasing e factoring e suoi effetti nella procedura concorsuale” in nuova Giur.
Civ. 1988
[19] "Il
factoring è un contratto atipico che assume i caratteri propri della cessione
del credito..." Trib.Gen. 19/10/1990 in Nuova Giur. Civ., 1991
"Il factoring è un contratto atipico ad effetti reali avente
ad oggetto una cessione globale di crediti d'impresa..." Corte d'Appello
di Bari 13/7/1990 in Giur.It. 1991
[20] In senso
contrario ved. Tribunale di Genova 01.04.1999 n. 52.
[21] Cfr. Galgano
"manuale di diritto privato"
[22]
[23] Sacco "Autonomia contrattuale e
tipi"
[24] De Nova "Il tipo contrattuale"
[25] Giammaria "Il contratto atipico" in
Giust. Civ., 1990
[26] De Nova “Il
tipo contrattuale”.
[27] in Giur. Comm. 1992, I
[28] op.cit.
[29] Rivolta "la disciplina della cessione dei
crediti" in Riv. Dir. Civ., 1991, 709
[30] Carnevali op.cit.; Cassandro “il Factoring per
le piccole e medie imprese”
[31] Zuddas op.cit.; Frignani: voce Factoring in
Nuovo Digesto Italiano; Bighetti "Factoring" in Riv. Dir. Civ., 1987
[32] op.cit.
[33] op.cit.
[34]
[35] op.cit.
[36] op.cit.
[37]
[38] Teodori Giordani "Spunti sul
factoring" in Giur. Mer., 1989, 764
[39] op.cit.
[40] Cfr. Perlingieri "Commentario al codice
civile" a cura di Scialoja e Branca
[41] Rubino "
[42] in Rep.
Foro It. 1977
[43] op.cit.