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Vol. VI/2008

RIVISTA DI DIRITTO DELL’ECONOMIA,

DEI TRASPORTI E DELL’AMBIENTE

 

 

Regime dei beni destinati ai servizi "non aviation" in ambito aeroportuale


di Giulia Mancuso *



Sommario: 1) Spazi aeroportuali e regime concessorio – 2) Natura giuridica del rapporto: locazione o sub-concessione? – 3) Obbligo o facoltà del gestore aeroportuale di indire la gara ad evidenza pubblica per l’attribuzione degli spazi non aviation. Analisi soggettiva. 3a) Riconducibilità del gestore aeroportuale al concetto di “Amministrazione aggiudicatrice”. – 3b) E’ organismo di diritto pubblico? – 3c) E’ impresa pubblica? – 3d) E’ soggetto privato che opera in virtù di diritti speciali o esclusivi? – 4) Analisi oggettiva. – 5) Considerazioni conclusive.


1) Spazi aeroportuali e regime concessorio.

Ai fini dell’indagine che ci si appresta a condurre, occorre in via preliminare soffermarsi sulla tipologia dei beni che vengono in considerazione ed, all’uopo, si impone una premessa di carattere generale con riguardo al bene “aeroporto”1.

Pare opportuno evidenziare come tutte le prospettazioni che seguono prendano le mosse dalla funzionalizzazione del bene “aeroporto” alla logica trasportistica cui lo stesso risulta intimamente connesso. E’ in quest’ottica che l’aeroporto assume la connotazione di complesso di beni destinati all’erogazione di servizi alla navigazione aerea ed è, dunque, in questa prospettiva dinamica che tale bene, a prescindere dalle sue connotazioni strettamente strutturali, rileva per il ruolo strumentale che lo stesso riveste nell’ampio mercato trasportistico, come nucleo organizzativo di un insieme coordinato di attività e di servizi ausiliari e complementari alla citata attività-madre che intorno ad esso ruota, ovvero quella squisitamente navigazionistica. Un simile assetto permette di meglio comprendere il fitto intreccio di rapporti che possono venire in considerazione in seno a detta struttura, nell'accezione di complesso di beni deputato alla produzione di servizi.

Per le problematiche che si intende affrontare pare opportuno differenziare dagli aeroporti privati, quelli demaniali e quelli statali, con riguardo ai quali è stato attribuito rilievo ora all’istituzione ad opera dello Stato o di altri enti pubblici territoriali, ora all’appartenenza ai medesimi soggetti.

Sia che si dia prevalenza al criterio dell’appartenenza2 che a quello dell’istituzione, l’indagine, ivi, attiene unicamente agli aeroporti in quanto beni del demanio aeronautico.

Pertanto, ci si limiterà in questa sede all’esame di fattispecie appartenenti a tale categoria, ovvero a vicende concernenti gli aeroporti insistenti su beni di appartenenza statale o di altri enti pubblici territoriali.

Ciò posto, rileva ai nostri fini la diversificazione esistente in ambito aeroportuale tra spazi destinati ad attività connesse alla navigazione aerea e spazi destinati ad attività “non aviation”. Mentre con riguardo ai primi (infrastrutture centralizzate, beni in uso esclusivo e beni in uso comune) non si riscontra alcuna problematica in ragione della specifica e dettagliata regolamentazione esistente per i medesimi3; maggiori incertezze operative sussistono, invece, con riferimento ai secondi che integrano, appunto, l’oggetto della nostra analisi.

In particolare, l’indagine concerne il regime operativo relativo ai locali, infrastrutture ed impianti, il cui uso non risulta direttamente collegato all’attività operativa di cui all’allegato A del Decreto Legislativo 13 gennaio 1999, n. 184.

Orbene, è con riferimento a tali aree che rilevano due problematiche, relative ora alla natura giuridica dei rapporti che i gestori aeroportuali possono instaurare con soggetti terzi, ora all’esistenza o meno dell’obbligo di osservanza delle procedure ad evidenza pubblica ai fini dell’assegnazione delle stesse.

Con riguardo alla prima delle problematiche prospettate, occorre evidenziare come, a differenza dei rapporti caratterizzati dall’autoritatività, regolati da norme di diritto pubblico, i rapporti privatistici vengano in essere in un ambito piuttosto complesso, in quanto non riconducibile né alle sole norme di diritto pubblico né alle sole norme di diritto privato.

Al fine di comprendere la natura dei summenzionati rapporti, è necessario prendere le mosse dal dato codicistico.

A norma dell’art. 6935 co. 16 cod. nav., i beni del demanio aeronautico sono assegnati all’E.N.A.C. in uso gratuito ai fini dell’affidamento in concessione al gestore aeroportuale.

E’ pacifico, dunque, che il rapporto che si instaura tra l’Ente ed il soggetto giuridico deputato alla gestione dell’aeroporto abbia natura concessoria. Tale dato, relativo alla sussistenza di un atto concessorio in relazione ai beni del demanio aeronautico che vengono affidati dall’E.N.A.C. ai terzi gestori, risulta senz’altro rilevante al fine di comprendere gli atti di natura derivata che riguardano i medesimi beni, e che in esso trovano la propria ragion d’essere. In altri termini, la succitata premessa rileva al fine di inquadrare il rapporto intercorrente tra l’ente gestore dell’aeroporto ed i soggetti terzi che con esso entrino in relazione, instaurando rapporti giuridici che, invero, possono avere contenuti diversi.

Sennonché, l’assegnazione agli aeroporti della “qualifica privata” ad opera di leggi speciali7 che hanno provveduto ad affidare la gestione dei vari scali a società per azioni a partecipazione pubblica o ad enti di diritto pubblico, ad un superficiale sguardo, potrebbe apparire fuorviante, nell’equivoco che la stessa corrisponda al disconoscimento della proprietà pubblica.

Orbene, un tale assetto stravolgerebbe l’essenza delle considerazioni fatte fin qui in quanto, stando così le cose, tutti gli immobili, facenti parte del bene “aeroporto”, risulterebbero di proprietà della società concessionaria.

Difettando, infatti, uno degli elementi essenziali della qualifica demaniale, ovvero l’appartenenza allo Stato o ad altro ente pubblico territoriale, verrebbe meno ed anzi non sussisterebbe ab origine la natura di bene demaniale e dunque il regime di dominio pubblico.

Nonostante le possibili congetture in ordine alla natura dei beni di cui si discute, la qualifica non demaniale degli aeroporti è senz’altro da escludere in ragione del solo dato legislativo, posto che soccorrono a tal uopo le disposizioni dettate dal codice civile e dal codice della navigazione. In particolare l’art. 822 c.c. riporta un’elencazione dei beni di demanio pubblico, ricomprendendovi esplicitamente – al 2° comma – gli aerodromi8; mentre l’art. 6929 cod. nav. include tra i beni del demanio “aeronautico” ogni costruzione o impianto statale destinato al servizio della navigazione aerea.

Non pare dubbia, dunque, la natura dei beni su cui accedono gli immobili, che risultano di proprietà dello Stato, qualunque sia il soggetto che ne abbia la gestione.

Dall’analisi del suesposto quadro emerge indiscutibile la demanialità del bene “aeroporto”. Occorre, allora, interrogarsi sul potere condizionante di siffatta natura sugli eventuali rapporti che la società concessionaria potrebbe instaurare con soggetti ad essa estranei.

Con riguardo, dunque, alla prima problematica prospettata, ovvero quella relativa alla ricostruzione della citata natura giuridica dei rapporti tra gestori aeroportuali e terzi, pare opportuno prendere come parametro di riferimento un dato oggettivo ed, a tal fine, soffermarsi sull’alveo dei beni facenti parte del demanio aeronautico che, in quanto tali, possano essere assegnati all’E.N.A.C. ai fini della concessione ai gestori aeroportuali. All’uopo risulta di tutto rilievo un parere del Consiglio di Stato10, con il quale si è affermato che “all’E.N.A.C. vadano assegnati in modo gratuito soltanto i beni demaniali destinati ad assicurare in modo diretto, immediato e concreto i servizi di gestione aeroportuale”. Ne deriva, pertanto, che al gestore aeroportuale sono assegnati tutti i beni anche latamente correlati e complementari alla navigazione aerea, idonei a garantire una gestione proficua. A tal proposito, viene in considerazione il concetto di “struttura aeroportuale”, nella sua complessiva dimensione imprenditoriale con univocità di funzione, ovvero quella di assicurare la fruizione efficiente dell’aeroporto11.

Occorre, innanzitutto, evidenziare come l’atto concessorio si fondi sull’intuitus personae, posto che per il rilascio dello stesso è prevista una procedura di gara ad evidenza pubblica per la verifica della sussistenza dei necessari requisiti di idoneità. Pertanto, non sono immaginabili casi in cui soggetti terzi subentrino ai gestori per espletare attività di proprio, esclusivo interesse, al fine di fare del bene demaniale un uso finalizzato a scopi strettamente personali ed in alcun modo collegati al pubblico uso, e dunque al vantaggio della collettività. E’ di tutta evidenza, invero, che affinché un soggetto possa sostituirsi all’Amministrazione nella gestione di un bene demaniale, debba venire in considerazione un interesse pubblico che legittimi un simile assetto. Pertanto, l’utilizzatore non potrà che svolgervi attività collegate alla specifica destinazione del bene ovvero dei servizi e dunque, in relazione al demanio aeronautico, attività strumentali alle esigenze dello scalo.

L’utilizzazione delle strutture aeroportuali, intese anche in senso lato, non può astrarre, infatti, dal buon funzionamento dello scalo.

Anche a non volere addentrarsi nella disamina della natura giuridica dell’atto concessorio a monte – e, dunque, della configurabilità dello stesso in termini di concessione di beni, ovvero di concessione di servizi, o ancora di concessione complessa di beni e di servizi, se non addirittura come quartum genus, in quanto figura peculiare, per certi versi atipica – emerge ormai con chiarezza come tale atto non concerna più e non soltanto le infrastrutture deputate alla navigazione aerea, ma attenga altresì alle aree ed ai locali destinati specificatamente ad attività diverse, quali attività commerciali, parcheggi, ristorazione, ed altro.

Specie negli ultimi tempi, alle tipiche attività connesse alla navigazione aerea si sono andate affiancando attività ulteriori, che hanno assunto rilevanza specie in ragione del crescente numero di passeggeri, assurgendo a rami di attività particolarmente allettanti da un punto di vista strettamente imprenditoriale anche per soggetti estranei alla realtà aeroportuale. Non può sottacersi, infatti, il richiamo economico che le stesse operano in un settore, quale quello aeroportuale, le cui dimensioni, da un punto di vista sia statico che dinamico, risultano in netto aumento. E’ indubbio, al riguardo, che si tratti di attività idonee ad ottimizzare l’attività imprenditoriale del gestore aeroportuale, anche in termini di profitto.

Il mercato aeroportuale incarna un settore caratterizzato più che mai da un processo di apertura che ha coinvolto sia i traffici che l’insieme dei servizi predisposti in funzione degli stessi. Ed è così che all’aumento della domanda si è dovuta adeguare la prestazione dei servizi che attorno ad essa ruotano. Si è, in tal guisa, giunti all’attuale complessa situazione che vede protagoniste una moltitudine di realtà imprenditoriali del tutto autonome ma al tempo stesso strettamente correlate alla fornitura di servizi, tutti ricompresi nell’alveo della gestione aeroportuale.

Pertanto, alle tipiche attività espletabili dal gestore aeroportuale si affianca sempre più spesso l’attività contrattuale, da non ritenere più secondaria alla prima.

E’ in quest’ottica, dunque, che viene in rilievo l’operato di soggetti privati che riescono, seppure in via indiretta, ad operare in maniera talvolta più adeguata e soddisfacente rispetto al soggetto pubblico. Le formule di collaborazione tra il pubblico ed il privato sono molteplici e trovano riscontro in moduli concessori o in schemi convenzionali di vario genere finalizzati ad un’utilizzazione ottimale del patrimonio immobiliare pubblico ed ad una valorizzazione dello stesso.

Tralasciando, sul punto, le problematiche relative alla potenziale distorsione della concorrenza che l’operatività dei gestori può determinare in ragione della possibilità riconosciuta a questi ultimi di ostacolare – se non addirittura di impedire – ad imprese terze12 l’accesso al mercato, occorre approfondire la disamina delle ipotesi in cui il gestore consenta a terzi di operare in ambito aeroportuale.

In particolare, a norma dell’art. 705, co. 1, cod. nav., come sostituito dall’art. 3 co. 1 del D. Lgs. 96/2005, i gestori aeroportuali sono i soggetti giuridici tenuti ad amministrare e gestire le infrastrutture aeroportuali in via esclusiva o insieme ad altre attività, nonché a coordinare e controllare le attività dei vari operatori presenti nell’aeroporto.

Pertanto, i gestori, in ragione dei poteri loro attribuiti, hanno facoltà – oltre che di agire quali operatori economici in ambito aeroportuale – di ammettere altri soggetti ad operarvi autonomamente.

Posto che il carattere pubblico di una concessione amministrativa – quella tramite la quale i beni del demanio aeronautico sono affidati dall’E.N.A.C. al gestore aeroportuale – non è di ostacolo alla costituzione di un rapporto tra il concessionario e soggetti terzi, occorre allora soffermarsi sul caso in cui tali ultimi soggetti subentrino al concessionario originario.

A tal proposito occorre distinguere il caso in cui si configuri una cessione della concessione dall’ipotesi in cui venga posto in essere un altro tipo di sub-rapporto giuridico tra il concessionario e soggetti terzi in relazione al godimento della concessione.

Infatti, mentre nel primo caso ha luogo il sub-ingresso di un terzo nel rapporto originario, e dunque la successione di tale ultimo soggetto nell’identica posizione giuridica di cui era titolare il concessionario, con conseguente mantenimento da parte dell’amministrazione concedente della veste giuridica di soggetto attivo del rapporto (alla stessa stregua, latu sensu, dell’ipotesi di cessione del contratto di cui all’art. 1406 c.c.); nel secondo caso, invece, si verifica la creazione di un rapporto giuridico nuovo, seppure identico al primo in ordine al contenuto, nel quale il titolare del rapporto rimane il concessionario originario.

Orbene, in questa sede, tralasceremo il primo dei rapporti sopra richiamati – la cessione della concessione – che non rileva ai fini dello studio della tematica in oggetto, per analizzare il secondo.

Emerge con tutta evidenza come la fattispecie che si configura qualora ricorrano i suesposti elementi risulta di difficile inquadramento sistematico in quanto, mentre le ipotesi di cessione della concessione risultano disciplinate positivamente (si pensi al caso della cessione della concessione con riferimento a beni del demanio marittimo di cui all’art. 46 cod. nav.) analoga disciplina non si riscontra per la seconda delle figure. E la ragione sembra da ravvisare nell’intento del legislatore di evitare, per quanto possibile, gestioni indirette delle concessioni di beni demaniali, come si evince dall’art. 30 del regolamento di esecuzione della navigazione marittima, che pone l’esercizio della concessione da parte di soggetti terzi come eccezione alla regola.

Tuttavia, seppure non sussista una normativa ad hoc, che contempli espressamente un simile rapporto, non risulta che tale fattispecie sia, altrettanto espressamente, vietata.

Ed anzi, dalla disciplina dettata dal codice della navigazione sembrerebbe potersi desumere un’implicita ammissione della stessa laddove, sia pure sempre in relazione al demanio marittimo, è contemplata come causa di decadenza della concessione, l’abusiva sostituzione di altri nel godimento della concessione (art. 47 lett. e) cod. nav.). L’uso, infatti, del termine “abusiva” fa propendere per l’ammissibilità di ipotesi di avvicendamenti di soggetti ad altri nel godimento della concessione, in termini non solo di subentro, ma perché no, anche di “surrogazione”.

Se è pur vero, infatti, che nell’ambito delle fattispecie concessorie viene in considerazione l’intuitus personae, che ne precluderebbe la trasmissibilità; tuttavia, previa apposita autorizzazione del soggetto concedente, qualora in capo al terzo sussistano i requisiti tecnico-organizzativi che consentano l’esercizio dell’attività, nulla esclude che il rapporto concessorio primario possa subire delle modificazioni sotto il profilo soggettivo.

Ed, in effetti, l’oggetto del rapporto non è rappresentato dall’atto concessorio che, in quanto atto amministrativo, non può costituire oggetto di negoziazione tra le parti, bensì dal diritto del concessionario originario.

Com’è ovvio, le modalità operative della società di gestione, e con essa, le formule organizzatorie – anche a fini contrattuali – sono contenute e previste nelle singole convenzioni stipulate con il Ministero che, tuttavia, risultano alquanto generiche in merito alla gestione dei servizi commerciali, lasciando al gestore ampia discrezionalità. Orbene, il più delle volte il modulo adoperato è quello di tipo “sub-concessorio”. Pertanto, anche solo un simile dato sembrerebbe del tutto esaustivo. Tuttavia, la prassi spesso si discosta dall’indicato parametro facendo sì che i gestori ricorrano a modelli differenti, come schemi locativi.

E’ per tali ragioni che si impone un’analisi approfondita della fattispecie, al fine di comprendere sotto un profilo squisitamente giuridico la correttezza e la conformità di certune scelte alle prescrizioni normative contemplate dal nostro sistema.

Invero, le realtà aeroportuali italiane sono caratterizzate da forti elementi di diversificazione, connessi alle differenti situazioni concessorie dei vari scali. Com’è noto, infatti, alle imprese che hanno ottenuto una concessione totale dell’aeroporto, si affiancano quelle che godono di mere concessioni parziali, spesso precarie, in attesa della concessione totale. Nell’attesa che si addivenga a metodi omogenei di rilascio e rinnovo degli atti concessori, idonei a garantire certezza e trasparenza, non si può che fare i conti con le dissonanze esistenti in via di fatto. Nondimeno, diversificare l’indagine in funzione delle diverse forme di gestione risulterebbe oltremodo dispersivo ai fini dell’analisi che ci si appresta a condurre. Pertanto, si opta per un metodo certamente più celere che tiene, tuttavia, conto di un parametro-guida certo, costituito dall’esame dei soli scali interessati da gestioni totali. Tale sistema concessorio configura, infatti, il modello di riferimento, in quanto assurto a regime unico contemplato dalle nuove disposizioni del codice della navigazione13.

Ciò posto, tornando ai compiti di cui il gestore aeroportuale risulta investito, emerge come allo stesso sia riconosciuto il compito di “amministrare e gestire, secondo criteri di trasparenza e non discriminazione, le infrastrutture aeroportuali e di coordinare e controllare le attività dei vari operatori privati presenti nell’aeroporto o nel sistema aeroportuale considerato” (art. 705 cod. nav.14). Da tale disposizione derivano i compiti che il gestore espleta “a monte” ed “a valle” dei rapporti con i terzi, vale a dire in sede di affidamento degli spazi, in ossequio a criteri di trasparenza e non discriminazione ed, in via successiva, nella fase operativa del rapporto, attraverso un monitoraggio dell’attività in corso, anche attraverso l’organizzazione delle attività affinché sia garantito e mantenuto un livello qualitativo adeguato (lett. b) e g) del medesimo art. 705). Al di là, dunque, della previsione dei compiti di gestione delle infrastrutture e di controllo delle attività svolte in esse, nulla è specificato in ordine alla natura giuridica dei rapporti che il medesimo gestore instaura con i terzi ultimi.

Si impone, pertanto, un approfondimento della tematica concernente i due profili già esposti.


2) Natura giuridica del rapporto: locazione o sub-concessione?

Con riguardo ai citati rapporti, ci si interroga, in particolare, sulla configurazione degli stessi in termini di locazione15 o, piuttosto, di sub-concessione16.

Al fine di inquadrare giuridicamente il trasferimento, temporalmente limitato, del godimento dei locali all’interno delle strutture aeroportuali, pare opportuno prendere le mosse dall’esame della natura giuridica dei beni su cui l’attività viene svolta. Al riguardo, occorre premettere come l’ammissibilità del contratto privatistico di locazione, avente ad oggetto beni demaniali, non parrebbe a prima vista da escludere in ragione del contenuto dell’art. 35 della legge 27 luglio 1978 n. 392 sulla “Disciplina delle locazione di immobili urbani” che, nell’escludere, per gli immobili complementari o interni agli aeroporti, l’applicazione delle disposizioni relative all’indennità per la perdita dell’avviamento, sembra ammettere, per gli stessi, l’utilizzo dello strumento locativo.

L’applicazione della citata normativa comporta – com’è ovvio – effetti di tutto rilievo avuto riguardo agli aspetti pregnanti del rapporto, quali la durata, rinnovi più o meno automatici, entità dei corrispettivi e comunque alle modalità operative.

Dal citato dato normativo sembra derivare, dunque, che, con riguardo ad un bene avente natura demaniale, nessun ostacolo giuridico si frapponga alla valida costituzione di un contratto di locazione, tipicamente privatistico.

Ed invero, la natura locativa dei rapporti in questione ben si concilia anche con il disposto dell’art. 823 c.c., che prevede che i beni facenti parte del demanio pubblico non possano formare oggetto di diritti da parte di terzi “se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano”. Ed è proprio il dato normativo, e specificamente codicistico, che viene in ausilio ai fini della regolamentazione della gestione degli spazi in esame, seppure con riferimento agli aeroporti ed agli altri impianti “privati”. L’art. 695 cod. nav.17, intitolato “Mutamenti relativi ai diritti su aeroporti e su altri impianti privati”, infatti, contempla esplicitamente – a fianco degli altri atti dispositivi – la locazione.

Ed ancora, dal dato letterale dell’art. 703 cod. nav., intitolato “Devoluzione delle opere non amovibili”, si evince, sia pure indirettamente, la natura dominicale privatistica dei diritti del gestore sulle opere realizzate sul sedime aeroportuale, sussistendo, fino alla cessazione della concessione, una proprietà superficiaria dello stesso, destinata ad accedere al demanio al termine della gestione.

Dalla citata normativa si evince la possibile applicazione degli schemi tipici del diritto privato, utilizzabili da qualsivoglia soggetto nello svolgimento della propria attività imprenditoriale, che ben si attaglia alla natura demaniale dei beni su cui le attività sono espletate. Qualora, infatti, fosse stata indispensabile l’applicazione di una regolamentazione specifica esulante dagli schemi comuni del diritto privato, la normativa codicistica la avrebbe esplicitamente prevista.

Se nessun elemento si frappone alla configurazione del rapporto in esame nell’ambito locativo, tuttavia, appare più convincente la ricostruzione dello stesso in termini di sub-concessione.

La stessa sembra derivare dal fatto che l’utilizzazione – sia pure da parte di terzi – del bene demaniale rientra nell’oggetto specifico dell’atto concessorio a monte, concernente facoltà e diritti attribuiti al concessionario originario. L’atto concessorio con il gestore aeroportuale, infatti, prevede di norma anche la facoltà di affidare a terzi le aree oggetto della concessione; pertanto, ciò che viene in rilievo è un rapporto derivato dal primo, collegato alla concessione che ne rappresenta il presupposto ed alla cui sorte lo stesso rimane legato, rimanendo il rapporto pur sempre condizionato dalle vicende di quest’ultimo.

Ed, infatti, il rapporto tra il concessionario originario ed il soggetto terzo ha ad oggetto pur sempre diritti attribuiti ab initio dal Ministero dei trasporti, nell’ambito della concessione rilasciata al soggetto gestore.

Ed ancora, tale assetto trova conferma nella non estraneità del soggetto pubblico al rapporto con il concessionario derivato, stante la facoltà riconosciuta al Ministero – soggetto deputato alla predisposizione del decreto interministeriale di approvazione dell’atto concessorio originario – di prestare o meno il proprio assenso18 all’atto da stipulare con soggetti terzi.

Un ulteriore elemento a favore di tale soluzione pare ravvisabile nell’insieme di poteri pubblicistici – sostanzialmente analoghi a quelli esercitabili in un rapporto che coinvolga un soggetto pubblico ed un concessionario – che possono competere al concedente originario nelle varie fasi del rapporto (genetica, attuativa ed estintiva19).

La sub-concessione integrerebbe una concreta attuazione delle prerogative proprie del rapporto principale, tra concedente e concessionario originario. Da un simile rapporto deriva, com’è noto, una posizione del tutto peculiare di una delle parti – la Pubblica Amministrazione, appunto –, in quanto in capo alla stessa si configura l’affiancamento alle potestà tipiche di un rapporto paritario, di prerogative di privilegio e di supremazia derivanti dalla necessità di assicurare il perseguimento di quel pubblico interesse che esiste giocoforza in presenza di determinati elementi (ravvisabili nella natura pubblica del bene che ne costituisce oggetto) e che fa sì che in capo alla P.A. permangano i menzionati poteri peculiari.

Inoltre, a favore della qualificazione in termini di sub-concessione del rapporto depone un ulteriore fattore, che parrebbe decisivo ai nostri fini. L’espletamento di attività sia pure commerciali negli spazi aeroportuali presenta un “quid pluris” rispetto a qualunque altra cessione di godimento dietro corrispettivo, gravando sull’assegnatario, in via ulteriore, l’impegno di utilizzare il bene per attività imprenditoriali che, anche latu sensu, si inquadrino nell’attività del soggetto concedente. Le attività da espletarvi, infatti, devono risultare pur sempre strumentali all’attività primaria, ovvero quella di navigazione aerea. Il concessionario, in altri termini, si trova a dovere fare un uso del bene “vincolato” alle esigenze dello scalo, in considerazione dell’accezione unitaria dell’entità aeroportuale, complessivamente intesa, in cui risultano uniti in modo inscindibile la sfera strutturale e quella funzionale. A riprova di quanto detto stanno le clausole contrattuali che, di norma, impongono determinati obblighi al terzo utilizzatore del bene.

Considerato che il contratto di locazione consiste nel contratto con il quale “una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa per un dato tempo e un determinato corrispettivo”, qualora l’attività da espletare sul bene esorbiti dal mero godimento – risultando piuttosto collegata funzionalmente a quella dell’impresa cedente e vincolata nella destinazione e nella funzione, in ossequio all’interesse pubblico cui la concessione originaria è sottesa – si trascende dal contenuto essenziale del contratto di locazione, e si verifica un decentramento del bene concesso a terzi, complementare ed integrativo di una struttura economica ulteriore, di cui finisce con il risultare una ramificazione.

All’uopo, può prospettarsi, tra le attività “non aviation” e l’impresa aeroportuale, una “pertinenzialità” duplice, consistente in un vincolo ora di tipo fisico e spaziale – legato alla localizzazione delle prime, in quanto espletate in ambito aeroportuale – ora di tipo funzionale, in quanto correlate e riconducibili al ciclo di attività tipiche dell’impresa aeroportuale.

Un’ultima considerazione, che pare decisiva ai fini della corretta qualificazione giuridica dei rapporti in esame, attiene al profilo causale. In particolare, occorre rilevare che in ambito aeroportuale – specie in seno alle gestioni totali – le concessioni che vengono in considerazione sono concessioni complesse che hanno ad oggetto sia beni (ovvero il sedime) che servizi (le attività da espletare) concernendo la disponibilità di locali e la gestione degli esercizi.

Invero, la modifica dei titoli II e III del codice della navigazione, apportata con il D. Lgs. 09/05/2005, n. 96 e con il D. Lgs. 15/03/2006, n. 151, con la previsione dell’affidamento in concessione dei beni del demanio aeronautico al gestore aeroportuale, privilegia una prospettiva dinamica che dà rilievo al momento gestionale piuttosto che alla mera appartenenza o alla sola natura giuridica dei beni. Alla concessione di suolo cui si riferiva l’intestazione del vecchio art. 694 cod. nav. si sostituisce una specifica disciplina dell’“Assegnazione dei beni del demanio aeronautico” (art. 693 cod. nav.)20.

Pertanto, trattandosi di un atto complesso che abbraccia sia l’uno che l’altro elemento (beni e servizi), non pare corretta una qualificazione in termini di mera locazione, la quale per propria natura non può concernere mai le attività e che verrebbe in considerazione per i soli locali. Considerato, come già detto, che l’atto concerne anche i servizi, si realizza una fusione tra le esigenze dei privati che intendano svolgere la propria attività e la corretta gestione dell’impresa aeroportuale.

Né, può valere ai nostri fini il rilievo per cui un simile assunto varrebbe esclusivamente per gli spazi destinati alle attività strettamente legate alla navigazione aerea e non per quelli destinati a servizi non prettamente aeronautici, venendo in considerazione, in ambito aeroportuale, tutti i servizi inquadrabili nell’alveo del più complesso insieme di attività che – siano esse essenziali ovvero accessorie – contribuiscono ad accrescere il buon funzionamento dello scalo, essendo comunque prestate ad uso specifico della struttura aeroportuale, anche in un’ottica di ammortamento degli investimenti.

A riprova di un simile assetto sta la nuova formulazione dell’art. 692 cod. nav., in combinato disposto con l’art. 693 dello stesso codice, come riformati rispettivamente dal D. Lgs. 151/2006 (art. 3, comma 1) e dal D. Lgs. 96/2005 (art. 3, comma 1). A norma delle citate disposizioni, infatti, all'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile sono assegnati in uso gratuito – per il successivo affidamento in concessione al gestore aeroportuale – gli aeroporti civili appartenenti allo Stato ed “ogni costruzione o impianto appartenente allo Stato strumentalmente destinato al servizio della navigazione aerea”. Da tale ultimo inciso deriverebbe che i beni che vengono conferiti al concessionario sono da considerare tutti connotati da tale carattere di strumentalità e complementarietà, senza alcuna ulteriore distinzione.

In proposito merita menzione un noto orientamento secondo cui “Il sinallagma che si instaura tra le attività tecniche di gestione, controllo e coordinamento del traffico aereo in una grande e complessa struttura aeroportuale ed i proventi delle attività commerciali che si svolgono in una tale infrastruttura, costituisce una delle caratteristiche funzionali del rapporto di concessione che articola obblighi e diritti del concedente e del concessionario”. Emerge, infatti, il “carattere unitario e complesso della struttura aeroportuale, nella quale aspetti tecnici e commerciali vanno ad integrare un'unica gestione, finanziaria e patrimoniale, il cui punto di equilibrio è stato costruito21.

In altri termini, tutte le attività per le quali il bene va in assegnazione – relative alla gestione dei servizi aviation e non aviation – rientrano tutte nell’oggetto del rapporto concessorio, esistendo per tutte quel collegamento funzionale necessario a tale qualificazione. In ambito aeroportuale può senz’altro affermarsi che gli aspetti tecnici e quelli commerciali si fondono insieme per dare vita ad un unicum.

Tale logica permea, altresì, l'art. 8, comma 2, del D. Lgs. 25 luglio 1997, n. 250, secondo cui i beni del demanio aeroportuale da assegnare in uso gratuito all’E.N.A.C. sono quelli destinati – in relazione alle competenze del suddetto Ente – ad assicurare in modo diretto, immediato e concreto i servizi di gestione aeroportuale. Ed appare palese come i beni che, per prassi, vengono assegnati al gestore per l’espletamento delle sue mansioni, ricomprendono anche gli spazi “non aviation”.

Per concludere, ammessa l’applicabilità dei moduli privatistici anche per i beni interni agli aeroporti e non regolamentati, la qualificazione del rapporto in termini di sub-concessione sembrerebbe più appropriata in considerazione di una lettura dello stesso in senso dinamico, relativo all’uso che del bene venga fatto.

Emerge, tuttavia, come una soluzione univoca e necessariamente corretta non esista; pertanto, al di là del nomen iuris locazione o sub-concessione, ai fini che si considerano rilevano pur sempre le disposizioni delle convenzioni relative ai singoli scali aeroportuali e la prassi contrattuale tra gestori ed imprenditori.

Nondimeno, al riguardo si auspica la dettagliata definizione dei criteri idonei a garantire che l’assegnazione degli spazi avvenga mediante meccanismi di trasparenza e non discriminazione.

Nel privilegiare, dunque, la configurazione del rapporto in termini di sub-concessione, pare opportuno soffermarsi ulteriormente sulla natura giuridica della stessa.

La sub-concessione rappresenta una species atipica di sub-contratto, consistente in una forma contrattuale derivata, che trova la propria natura e ragion d’essere nel contratto base, con riguardo al quale risulta speculare per le posizioni giuridiche assunte dalle parti. L’atipicità della figura deriva dal fatto che non si tratta di un sub-contratto esplicitamente menzionato dalla legge, per il solo fatto che nel diritto privato non esiste la figura giuridica della concessione. Quella che viene in considerazione è, dunque, ipotesi desumibile dalla prassi, piuttosto che da previsioni normative. Ed, invero, la singolarità del modulo trova la propria ragion d’essere nell’inquadramento dello stesso in un ambito complesso – qual è quello aeroportuale – che risulta speciale proprio in considerazione della molteplicità ed eterogeneità di servizi e di attività che vi si svolgono.

Nella prassi privatistica, vi sono casi in cui il sub-contratto è ammesso senza limiti di sorta (ad es. artt. 1929, 1940, 1948 c.c.); casi in cui lo stesso è ammesso col solo consenso del contraente originario (ad es. artt. 1594 co. 2, 1624, 1656 c.c.); e casi in cui sussiste il divieto di sub-contratto (ad es. artt. 968 e 2792 co. 1, 1717, 1770 co. 1, 1804 co. 2 c.c.).

Per la fattispecie che ne occupa, invece, il solo dato che rileva è quello che emerge dagli atti convenzionali e dalla prassi.

Ciò premesso, occorre interrogarsi sulla natura giuridica del sub-contratto (sub specie di sub-concessione) e sulla possibilità di ricondurre siffatta figura alla categoria generale dei sub-contratti; e, per far ciò, non può prescindersi dall’esame delle caratteristiche di questi ultimi che ne consentano il riscontro.

Orbene, parrebbe corretto, piuttosto che ricondurre il sub-contratto nell’alveo di altre figure negoziali22, parlare di collegamento negoziale23 in termini di interdipendenza funzionale tra contratti, con riguardo ai quali uno risulta accessorio all’altro.

A differenza che nella cessione del contratto, infatti, non si verifica una successione a titolo particolare e, dunque, il subentro, in termini sostitutivi, di un soggetto ad un altro nel rapporto contrattuale già esistente, con relativo trasferimento dell’intera posizione giuridica del contraente originario; bensì la nascita di una nuova situazione in capo al terzo, che diventa titolare di un “acquisto derivativo-costitutivo”24.

Tale dato (ovvero l’esistenza del c.d. collegamento negoziale) sarebbe confermato dalla necessaria sussistenza di un atto autorizzativo (contestuale al sorgere del rapporto) o comunque del consenso (consistente nell’adesione successiva) del soggetto attivo del rapporto principale, che legittima il sorgere di una situazione potenzialmente pregiudizievole per lo stesso25.

Inoltre, come autorevolmente rilevato26, il collegamento negoziale si verifica ogni volta in cui “le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, danno vita, contestualmente o meno, a distinti contratti i quali, caratterizzati ciascuno in funzione della propria causa e conservando l’individualità di ciascun tipo negoziale alla cui disciplina rimangono rispettivamente sottoposti, vengono, tuttavia, concepiti e voluti come funzionalmente e teleologicamente collegati tra di loro, e posti in rapporto di reciproca dipendenza, cosicché le vicende dell’uno debbono ripercuotersi sull’altro condizionandone la validità e l’efficacia”. Ed infatti, uno degli elementi caratterizzanti il collegamento negoziale risiede nel comune intento delle parti di realizzare, oltre che gli scopi dei singoli contratti, il disegno unitario ed ulteriore sotteso ad entrambi27.

Invero, anche tale dato troverebbe riscontro con riferimento alla realtà aeroportuale, posto che in tali spazi le attività – come già evidenziato – risultano tutte orientate al soddisfacimento dei bisogni della collettività collegati al servizio del trasporto.

Per concludere, il sub-contratto può essere definito come una figura caratterizzata dal reimpiego, ad opera di una parte, della posizione contrattuale che trova origine in un rapporto ancora in corso di esecuzione.

La sub-concessione incarna un rapporto di natura privatistica che accede a quello di concessione per l’utilizzo del bene pubblico, assimilabile ai diritti reali su cosa altrui, la cui costituzione risulta legittima in quanto l’oggetto è rappresentato non dai beni demaniali in sé, bensì dai diritti che la Pubblica Amministrazione consente di esercitare sugli stessi con l’atto di concessione.

Per concludere sulla prima questione, dunque, ad avviso di chi scrive pare corretto optare per la configurazione dei rapporti relativi agli spazi “non aviation” tra il gestore aeroportuale e gli operatori privati in termini di sub-concessione e che la stessa sia riconducibile negli schemi privatistici, integrando una figura negoziale atipica.


3) Obbligo o facoltà del gestore aeroportuale di indire la gara ad evidenza pubblica per l’attribuzione degli spazi “non aviation”. Analisi soggettiva.

Con riguardo alla seconda problematica, relativa al più o meno doveroso espletamento di gare ad evidenza pubblica per l’assegnazione degli spazi in considerazione, occorre condurre l’analisi esaminando la questione sia da un punto di vista soggettivo che da un punto di vista oggettivo.

Con riferimento al primo, pare necessario partire dall’analisi della natura giuridica dei soggetti gestori.

Quello che emerge da un primo sguardo è che gli stessi sono frutto della profonda compenetrazione tra agire pubblico e logiche imprenditoriali tipicamente privatistiche. Tali società, infatti, sintetizzano in sé il connubio tra le risorse pubbliche e l’organizzazione imprenditoriale28 che riserva vantaggi di non poco momento, quali la possibilità di adoperare i flessibili strumenti offerti dal diritto comune, sia sotto il profilo organizzativo che contrattuale.

A tal proposito occorre evidenziare come, in ordine alla qualificazione giuridica delle società per azioni a partecipazione pubblica, si faccia riferimento a soggetti che, pur rivestendo una forma tipicamente privatistica, vale a dire quella societaria, risultano intimamente collegati con un “quid” pubblicistico, identificabile con la strumentalità rispetto al conseguimento di finalità tipicamente pubblicistiche e con riferimento ai quali la linea di confine tra il pubblico ed il privato risulta sottilissima29.

Al riguardo, si sono registrate opinioni disparate che hanno qualificato tali entità ora in termini di enti sostanzialmente pubblici30, ora in termini di soggetti di diritto privato31.

La prima delle dette tesi si fonda su molteplici fattori, quali: la partecipazione pubblica al capitale azionario, la fase genetica in cui difetta un atto di autonomia privata – trattandosi di società costituite, di norma, per legge, ovvero per atto di un’autorità pubblica a ciò autorizzata dalla legge – nonché il controllo pubblico esercitato sugli stessi, ovvero la preordinazione teleologica al soddisfacimento di interessi pubblici, che sussiste giocoforza nella misura in cui esiste una quota pubblica32, o ancora la peculiarità dei caratteri che le connotano, che non ne consentirebbero la riconduzione agli schemi tipici del diritto comune.

La qualificazione di detti enti in termini di soggetti di diritto comune trae spunto, invece, dallo sfruttamento dei moduli organizzativi imprenditoriali e dall’incompatibilità tra interesse pubblico e perseguimento di fini lucrativi.

Secondo tale secondo orientamento, si tratterebbe di soggetti distinti dall’Amministrazione pubblica, con riferimento ai quali l’unico momento che esula da un atto di autonomia contrattuale è rappresentato da quello di costituzione, con relativo affidamento del servizio e, tuttavia, una volta esaurito il momento di scelta del modello organizzatorio, che ha luogo per atto normativo, non si verifica più alcuna interferenza dell’ente pubblico con il modus operandi dell’organismo societario.

Partendo dall’assunto secondo cui la veste societaria è neutra33, occorre interrogarsi se, in ragione delle caratteristiche strutturali e funzionali della società, sia corretto privilegiare il versante pubblicistico dell’organismo societario – che emerge soprattutto in sede costitutiva – al fine di verificare se le anomalie rispetto allo schema societario ordinario non siano marginali – ovvero il versante privatistico, che si manifesta, invece, nel momento gestionale.

A tal riguardo, pare confacente una classificazione delle società miste in termini di tertium genus, caratterizzate da un aliquid di specialità, tale da escludere la natura privatistica ed al tempo stesso l’assimilabilità alle aziende pubbliche, aventi natura speciale, condizionata dal rapporto che l’organismo intesse con il soggetto pubblico che le partecipa34.

E, d’altronde, se si prescindesse dalla regolamentazione codicistica – sia pure in parte qua – si snaturerebbe la politica realizzata attraverso il ricorso a strumenti privatistici in luogo di quelli pubblicistici, improntata ad una strumentazione più duttile, finalizzata a garantire maggiore efficienza ed elasticità operativa35.

Si tratta di soggetti sostanzialmente “pubblici” e formalmente “privati” che gravitano in un sistema normativo piuttosto complesso.

Orbene, il dato relativo alla natura giuridica dei soggetti gestori sarebbe risultato decisivo solo qualora gli stessi fossero risultati “soggetti di diritto comune” che, in quanto tali, non sarebbero tenuti all’indizione della gara ad evidenza pubblica.

Concludendo, invece, per la “specialità” degli organismi in questione, si impone uno spostamento dell’indagine su altri fattori. In particolare, sulla possibilità di qualificazione degli stessi in termini di “soggetti aggiudicatori”, come tali obbligati ad indire la gara.


3a) Riconducibilità del gestore aeroportuale al concetto di “Amministrazione aggiudicatrice”.

Passando ad analizzare il dato normativo, la questione pone problematiche esegetiche di una certa complessità in ragione dell’ampliamento operato dal legislatore comunitario – e, di riflesso, anche da quello nazionale – con riferimento ai soggetti da considerare “amministrazioni aggiudicatrici”, come tali tenute alla suddetta osservanza. Si è passati, infatti da una classificazione di tipo chiuso ad una classificazione elastica e di tipo sostanziale, caratterizzata dall’assenza di una precisa elencazione dei soggetti da fare rientrare nella categoria, con la mera indicazione di una serie di indici di riconoscimento. E così, la categoria ricomprende, oltre alle amministrazioni tradizionalmente intese, anche soggetti che tali non sono e, ciò nondimeno, registrano una serie di collegamenti funzionali con le stesse.

L’applicazione della normativa sull’evidenza pubblica ai soggetti menzionati dalla normativa di riferimento si giustifica per il fatto che gli stessi godono di una posizione differenziata e di una certa protezione dal rischio di mercato, in virtù di diritti speciali o esclusivi, o beneficiando di posizioni di vantaggio derivanti dal coinvolgimento di soggetti pubblici: fattori che impongono la procedura competitiva per i potenziali contraenti, sì che la sfera economica interessata possa competere per la fornitura di opere, servizi e forniture ai richiamati soggetti.

Volendo muovere dal dato sistematico occorre, in via preliminare, evidenziare come l’inserimento nella categoria dei soggetti tenuti alle regole di evidenza pubblica segua una logica “funzionale”, non rilevando in via assoluta la sola natura giuridica: se, infatti, la natura giuridica pubblica non risulta sufficiente, quella privata non comporta l’esclusione dalla categoria.

Viene meno, dunque, ogni certezza legata ad una mera attività definitoria, risultando piuttosto necessario uno sforzo teleologico che sposti l’attenzione sul profilo oggettivo, dell’attività svolta.

La problematica risulta alquanto delicata specie in ragione della natura giuridica dei concessionari-gestori. Com’è noto, infatti, trattasi – nella maggioranza dei casi, che assurge ormai a paradigma di riferimento – di organismi che solo formalmente assumono la veste di soggetti privati, essendosi realizzato, per gli stessi, un processo di mera privatizzazione formale, quali società di capitali a partecipazione pubblica maggioritaria, e che tuttavia risultano teleologicamente orientati al perseguimento di interessi pubblici, e funzionalmente strumentali a questi ultimi.

Orbene, al fine di comprendere se tra le “amministrazioni aggiudicatici” possano farsi rientrare le società di gestione, si impone la disamina della normativa di riferimento dettata – a livello comunitario – dalla Direttiva 2004/18 del 31 marzo 200436 (e successive modifiche ed integrazioni) per i settori ordinari, e dalla Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/17/CE37 del 31 marzo 2004 (e successive modifiche ed integrazioni) per i settori speciali; nonché – a livello nazionale – dal Decreto Legislativo 12 aprile 2006 n. 163: Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (e successive modifiche ed integrazioni).

3b) E’ organismo di diritto pubblico?

Escluso che il soggetto gestore rappresenti una pubblica amministrazione tradizionalmente intesa, occorre esaminare se lo stesso sia configurabile in termini di “organismo di diritto pubblico” ai sensi dell’art. 1 della Direttiva 2004/1838, ovvero dell’art. 3, comma 26, del D. Lgs. 163/200639.

E’ noto che affinché si sia in presenza di un “organismo di diritto pubblico” occorre che ricorrano tre requisiti, ovvero la personalità giuridica, il dominio pubblico, anche attraverso il finanziamento maggioritario da parte di soggetti pubblici ed, infine, l’essere istituiti per soddisfare specifici bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale.

In ambito aeroportuale, con riguardo al soggetto gestore, non sussistono dubbi in ordine alla sussistenza del primo requisito, relativo alla personalità giuridica; così come un giudizio di positiva ricorrenza può formularsi – sia pure parzialmente – con riguardo al secondo requisito, consistente nel finanziamento dell’attività, in modo maggioritario, da parte di soggetti pubblici, ovvero nel controllo dei medesimi in ordine alla gestione o, ancora, nella designazione di almeno la metà dei membri degli organi di amministrazione, direzione, o vigilanza, ad opera dei suddetti soggetti.

In particolare, non può considerasi integralmente appropriata alla figura del gestore aeroportuale la prima parte della disposizione relativa al finanziamento dell’attività dello stesso da parte dei soggetti pubblici, posto che per “finanziamento” – da intendere come sovvenzionamento delle attività, senza specifica controprestazione – non può certamente intendersi la partecipazione pubblica al capitale azionario, e con essa i conferimenti pubblici, che in quanto tali integrano mera espressione della misura della partecipazione alla società. Infatti, i soggetti pubblici che partecipano al capitale azionario vengono in considerazione esclusivamente per la propria qualità di soci, alla stessa stregua dei soggetti privati, ed hanno riconosciute esclusivamente le facoltà che spettano ai restanti altri soci, senza alcuna posizione di vantaggio che consenta loro l’esercizio di una particolare influenza, legata alla qualifica degli stessi in termini di enti pubblici istituzionalmente intesi.

Pertanto, e sempre fatti salvi eventuali ulteriori finanziamenti pubblici alla società di gestione, la prima parte dell’inciso sopra richiamato non rileva ai fini della qualificazione del gestore aeroportuale in termini di “organismo di diritto pubblico”.

Un giudizio positivo va formulato, invece, con riferimento ai due requisiti presenti nella seconda parte del disposto normativo, relativo alla sussistenza di un controllo gestionale della società da parte dei richiamati soggetti ed alla designazione – da parte dei soggetti pubblici – dei membri degli organi di direzione, amministrazione e vigilanza.

In particolare, il controllo gestionale, a giudizio degli organi comunitari, sussiste solo qualora sia idoneo a tradursi in un intervento dei poteri pubblici nella politica di gestione della società. Ed invero, un simile requisito sembra ricorrere senz’altro per il paradigma – ormai invalso nella prassi – dei gestori aeroportuali partecipati, in via maggioritaria, da soggetti pubblici, che, proprio in ragione della misura della propria partecipazione azionaria, sono in grado di imporre profili gestori ben definiti40.

Altrettanto può dirsi, infine, per l’ulteriore requisito in ragione della nomina ministeriale della maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione. Indipendentemente, infatti, dalla circostanza che simili poteri derivino dalle quote di partecipazione alla società, ovvero rientrino tra i poteri speciali attribuiti per legge (in virtù, ad esempio, del golden share) resta pur sempre il controllo amministrativo dell’autorità pubblica.

Ciò posto, occorre in via ulteriore soffermarsi, criticamente, sull’ultimo dei caratteri, ovvero l’istituzione orientata al soddisfacimento di specifiche finalità di interesse generale, non aventi carattere industriale o commerciale.

Orbene, ancora una volta non paiono sussistere difficoltà di carattere esegetico con riguardo alla prima parte dell’inciso, attinente al perseguimento di “finalità di interesse generale”, da considerarsi come i bisogni di una rilevanza tale da far sì che un apposito organismo sia stato istituito per la loro soddisfazione. Si tratta, in particolare, di beni e servizi per i quali emerge l’intento dello Stato di provvedervi direttamente o, comunque, in ordine ai quali mantenere un’influenza dominante41.

Più complesso risulta, invece, cogliere l’essenza dell’ulteriore requisito relativo alla “finalità d’interesse non industriale o commerciale”42.

Innanzitutto occorre domandarsi se, a tal fine, risulti preclusivo l’operare in regime di concorrenza43, ovvero se debba trattarsi di beni o servizi la cui offerta non soggiaccia alle regole del mercato.

Tale ultimo dato sembrerebbe, ad un primo sguardo, essere confermato dall’elencazione – sebbene non esaustiva – contenuta nell’allegato I della Direttiva 71/305/CEE, richiamata dalla lettera b) dell’art. 1 della Direttiva 92/50/CEE, relativa agli organismi ed alle categorie di organismi di diritto pubblico, da cui emergerebbe come i bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale coincidano con quelli che possono essere soddisfatti in modo diverso dall’offerta di beni o servizi sul mercato.

Tuttavia, non esiste alcun elemento normativo che prescriva l’osservanza delle regole di gara esclusivamente a soggetti che agiscano in regime di monopolio.

Posto che non risulta decisivo – ai fini della configurabilità di bisogni aventi carattere non industriale o commerciale – l’operare o meno in regime di concorrenza44, e che i citati bisogni possono essere soddisfatti da imprese private, si impone l’indagine relativa alla più o meno doverosa assunzione del rischio d’impresa da parte del gestore. La Corte di Giustizia45, infatti, lega il carattere industriale o commerciale, non solo allo svolgimento dell’attività in regime di concorrenza, ma soprattutto all’assunzione del rischio d’impresa.

Invero, con riguardo al gestore aeroportuale, parrebbe da escludere la sussistenza del rischio di impresa avendo riguardo alla sussistenza di un regime del tutto peculiare che differenzierebbe il gestore da qualunque altro soggetto che non si trovi con le “spalle coperte”.

Il gestore aeroportuale, infatti, proprio in quanto posto in essere o, comunque, contribuito dal soggetto pubblico, può sfuggire alle logiche di mercato potendo contare – diversamente da quanto accade per gli organismi non partecipati – su possibili ripiani delle perdite subite, o su manovre di ricapitalizzazione in caso di difficoltà.

Ammesso, dunque, che difetti la ricorrenza del requisito relativo al rischio d’impresa, dato che – considerato isolatamente – varrebbe a confermare il perseguimento di finalità d’interesse non industriale o commerciale da parte dello stesso, non altrettanto può dirsi con riguardo ad un ulteriore fattore.

A volersi interrogare, infatti, sulla coincidenza del carattere non industriale o commerciale dei bisogni da soddisfare con l’assenza dello scopo lucrativo, così valorizzando il momento gestionale, risulta come tale requisito non sia ravvisabile con riguardo all’attività del gestore aeroportuale il quale, nonostante sia connotato da tratti pubblicistici, svolge pur sempre un’attività imprenditoriale, alla quale lo scopo di lucro è intrinsecamente connesso.46

L’organismo societario, infatti, è per propria natura, un modulo organizzativo teso all’esercizio di un’attività economica che è caratterizzata dallo scopo lucrativo, in quanto volta alla divisione degli utili tra i soci, a norma dell’art. 2247 c.c.47, ed elemento tipico dell’attività produttiva è la conduzione della stessa con metodo economico e la finalizzazione della stessa alla produzione o scambio di beni o servizi.

Con riferimento specifico al gestore aeroportuale, il perseguimento del suddetto scopo lucrativo emerge, in via esemplificativa, dai corrispettivi che vanno corrisposti allo stesso per lo sfruttamento degli spazi “non aviation” e per quello degli spazi destinati ai servizi più direttamente collegati alle operazioni di volo.

Sono connaturati alla realtà aeroportuale entrambi gli elementi, id est la strumentalità a finalità di pubblico interesse – trattandosi di un concessionario di un pubblico servizio – e lo scopo lucrativo, che esiste in quanto la società di gestione è improntata a razionalità e redditività e proiettata verso il perseguimento della massima efficienza48.

Ed, in effetti, non esiste necessariamente un conflitto tra lo scopo di lucro ed il perseguimento dell’interesse pubblico, che ben possono coesistere49. Lo scopo lucrativo, infatti, non comporta necessariamente la tendenza alla massimizzazione dei profitti a scapito dell’utilità collettiva, ovvero la ricerca di una remunerazione superiore a quella appropriata, di un sovrapprofitto, ma può ben essere inteso come l’equilibrio tra costi e ricavi, nell’ambito di una gestione imprenditoriale improntata al principio di economicità, ovvero al perseguimento della giusta remunerazione del capitale investito.  

Accertata, dunque, l’esistenza del perseguimento dello scopo di lucro come tratto caratteristico dell’attività dei gestori aeroportuali, risulta a dir poco arduo qualificare i bisogni che questi mirano a soddisfare come bisogni “aventi carattere non industriale o commerciale”.

Né vale a sconfessare tale assunto l’attribuzione di un significato di “prevalenza” piuttosto che di determinatezza e di esclusività all’inciso “specificatamente”50 esprimendo a riguardo un giudizio di relatività, nel senso di considerare la commercialità o industrialità come un mero strumento per conseguire un interesse pubblico, e non lo scopo precipuo per il quale l’organismo è stato istituzionalmente costituito.

Di tutta evidenza, infatti, risulterebbero le conseguenze che un’interpretazione “parziaria” del dato normativo, tale da fare rientrare nella categoria de qua solo gli organismi istituiti con lo scopo precipuo di soddisfare, in modo diretto ed immediato, bisogni della collettività e che, dunque, distingua tra appalti aggiudicati da un soggetto per soddisfare bisogni di interesse generale e quelli aggiudicati per finalità diverse, potrebbe ingenerare sulle esigenze di certezza del diritto, che verrebbero in tal guisa mortificate

Alla corretta interpretazione dell’avverbio “specificatamente” contribuisce, peraltro, la mera costruzione della locuzione di riferimento. Il fatto che lo stesso si trovi posizionato immediatamente prima (e non dopo) il termine “esigenze” parrebbe denotativo del riferimento ad essi in un’accezione prettamente qualificativa.

Tutto ciò posto, e considerato che, secondo consolidata giurisprudenza comunitaria51, le tre condizioni necessarie ai fini della configurabilità dell’ “organismo di diritto pubblico” devono ricorrere cumulativamente, e considerato che nella fattispecie che ne occupa difetta l’ultima delle tre, se ne deduce la impossibilità di attribuire tale qualifica al gestore aeroportuale.

Escluso, dunque, che il gestore sia configurabile in termini di organismo di diritto pubblico, occorre interrogarsi se lo stesso incarni un’impresa pubblica, che rappresenta una categoria che – pur non venendo in considerazione per gli appalti nei settori ordinari – rileva in relazione agli appalti nei settori esclusi, figurando tra i soggetti aggiudicatori di cui all’art. 2 lett. b) della Direttiva 17/200452 ed all’art. 3, punto 28, del D. Lgs. 163/200653; o, ancora, se lo stesso rilevi in termini di soggetto privato che, nell’esercizio delle attività inerenti al settore trasporti, si avvalga di diritti speciali o esclusivi.

Si tratta, infatti, di due ulteriori figure giuridiche – che si affiancano alle amministrazioni aggiudicatrici ed agli organismi di diritto pubblico – tenute all’applicazione della normativa ad evidenza pubblica, nei settori speciali.


3c) E’ impresa pubblica?

Partendo dalla definizione di “impresa pubblica” quale impresa su cui le amministrazioni dello Stato o altri soggetti pubblici possono esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante perché ne hanno la proprietà o perché hanno in esse una partecipazione finanziaria, tale configurazione non parrebbe – ad un primo sguardo – da escludere con riguardo al gestore aeroportuale, in ragione della “influenza dominante” che pubblici soggetti esercitano sulla quasi totalità degli stessi.

Se, infatti, l’“influenza dominante” sussiste laddove le amministrazioni dello Stato, gli enti territoriali locali (nonché gli altri soggetti indicati dall’art. 2, 1, a) della Direttiva 2004/1754, ovvero dall’art. 3, punto 25, del D. Lgs. 163/200655) abbiano la proprietà delle imprese pubbliche o abbiano in esse una partecipazione finanziaria o, presuntivamente, quando ne detengano la maggioranza del capitale56 ovvero controllino la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse, o ancora abbiano il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo o del collegio sindacale; allora, la qualificazione sembrerebbe addirsi ai gestori aeroportuali italiani, in quanto partecipati dai già citati soggetti pubblici.

Tuttavia, pur ammettendo la configurabilità del gestore aeroportuale in termini di impresa pubblica, qualifica astrattamente idonea ad imporgli l’obbligo di dare avvio alla gara ad evidenza pubblica per l’assegnazione degli spazi, occorre evidenziare come, in ogni caso, la categoria dell’“impresa pubblica” rilevi in termini di soggetto aggiudicatore solo nei c.d. “settori esclusi”57.

Orbene, per tali si intendono anche i settori afferenti alla materia dei “trasporti”, ovvero all’utilizzo di “porti ed aeroporti” nelle accezioni che seguono.

Ed, infatti, non rilevando ai fini della gestione degli spazi aeroportuali, il contenuto della lettera b) dell’art. 5 della Direttiva 2004/17, né l’art. 210 comma 1 del D. Lgs. 163/200658, relativi ai “servizi di trasporto”, vengono piuttosto in considerazione rispettivamente l’art. 7 della Direttiva 17/2006, dettante “Disposizioni riguardanti…porti ed aeroporti”, nonché l’art. 213 del D. 163/2006, intitolato “Porti e aeroporti”59.

Trattasi, in particolare, delle attività relative allo sfruttamento di un’area ai fini della “messa a disposizione di aeroporti… e degli altri terminali di trasporto ai vettori aerei”.

A ben guardare, dunque, già un simile dato letterale è idoneo ad escludere ex se l’applicazione delle indicate normative ai beni destinati ai servizi “non aviation”, sia con riferimento al profilo soggettivo che con riferimento a quello oggettivo.

Sotto il primo punto di vista rileva come non siano i vettori aerei ad incarnare gli interlocutori naturali dei gestori con riguardo all’affidamento degli spazi in esame.

Da un punto di vista oggettivo, inoltre, la disciplina richiamata concerne, per l’ambito aeroportuale, esclusivamente la “messa a disposizione dei vettori aerei…di aeroporti…, nonché di altri impianti terminali di trasporto”.

Posto che ai nostri fini non rileva la messa a disposizione degli impianti terminali di trasporto60, dovendosi per essi intendere gli impianti destinati all’arrivo ed alla partenza degli aeromobili; rileva, invece, quello di “aeroporto” di cui alla lettera b) dell’art. 7 della Direttiva 17/2004, ed all’art. 213 del D. 163/2006.

Orbene, a volere intendere il bene “aeroporto”61 come un “aerodromo”62 caratterizzato dalla presenza di attrezzature deputate al ricovero ed al rifornimento degli aeromobili, lo stesso non rileverebbe ai fini dell’applicazione della normativa richiamata agli spazi “non aviation”, in quanto si tratterebbe di un bene afferente esclusivamente alle attività aeronautiche, e non anche alle restanti attività aeroportuali, quali quelle commerciali o di somministrazione di servizi all’utenza. E, comunque, anche a volere intendere il bene “aeroporto” in senso dinamico, come organismo imprenditoriale complesso, che gestisce determinati servizi, parrebbe a chi scrive che il termine vada contestualizzato nella norma di riferimento, ed allo stesso vada data una lettura di stretta interpretazione, in guisa da intenderlo come complesso di beni destinati alla navigazione aerea e strumentali all’esercizio del servizio pubblico di trasporto, facendosi rientrare nel concetto, al massimo, oltre alle infrastrutture destinate all’approdo, alla sosta ed alla partenza degli aeromobili, quelle destinate all’attesa ed all’imbarco dei passeggeri.

Quanto detto sembra essere confermato dall’art. 210 del D. Lgs. 163/2006, intitolato “servizi di trasporto”, che applica le norme della parte III, relativa ai “Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nei settori speciali”, alla gestione delle reti deputate a fornire il servizio pubblico di trasporto; ed anche laddove fa rientrare nel settore dei trasporti le opere strettamente funzionali alla realizzazione dei sistemi trasportistici, sembra confermare la ratio della norma e, dunque, l’applicabilità della normativa di riferimento ai soli “servizi di trasporto” restrittivamente intesi63.

A riprova di tale assunto sta, infine – ad avviso di chi scrive – il contenuto dell’art. 37, comma 3, della Legge 1 agosto 2002, n. 166, che, sotto la rubrica: “Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti”, statuisce come l'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 15864 sia da intendere nel senso che sono ricomprese le opere “strettamente funzionali alla realizzazione dei sistemi trasportistici” (quali le strutture finalizzate all'intermodalità) nelle quali, pertanto, non possono essere fatti rientrare gli spazi destinati allo svolgimento di attività cui, per quanto connesse a quelle di trasporto, non si addice il carattere menzionato.

Per di più, tale soluzione sembrerebbe avvalorata da un ulteriore dato teleologico. Com’è noto, la categoria delle “imprese pubbliche” non è contemplata tra i soggetti aggiudicatori dalla restante normativa sugli appalti. Pertanto, il fatto che la stessa sia prevista, in via esclusiva, dalla disciplina che regolamenta i settori esclusi comporterebbe che la medesima rilevi solamente in riferimento ai settori da questa contemplati e, dunque, per i soli appalti strettamente connessi al conseguimento dei fini istituzionali del trasporto aereo.


3d) E’ soggetto privato che opera in virtù di diritti speciali o esclusivi?

Infine, allo scopo di analizzare la configurabilità dei gestori aeroportuali in termini di “soggetti privati che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi65 – per lo svolgimento delle attività rientranti nei settori speciali – di cui all’art. 3, punto 29, del D. Lgs. 163/200666, occorre partire da una definizione preliminare del concetto di “diritto speciale o esclusivo”, di cui gli stessi beneficerebbero.

Invero, la Direttiva 2004/17 non fornisce più un’elencazione dei presupposti in presenza dei quali possa asserirsi che il soggetto agisca in virtù di diritti speciali o esclusivi (di cui all’art. 2, lettera b) della direttiva 93/38/CE), ed anzi il 25° considerando della medesima direttiva rileva la necessità di una definizione appropriata della nozione.

Tuttavia, una formula – sebbene non esauriente – emerge dall’art. 2, punto 3), della Direttiva 2004/1767, nonché dall’art. 207, comma 2, del D. Lgs. 163/2006, secondo cui per essi devono intendersi i diritti costituiti per legge, regolamento o in virtù di una concessione o di altro provvedimento amministrativo avente l’effetto di riservare ad uno o più soggetti l’esercizio delle attività disciplinate dalla normativa sui settori esclusi.

Ciò che viene in considerazione, dunque, è nuovamente l’attività di “trasporto”, ovvero quella di messa a disposizione ai vettori aerei delle reti o di aeroporti e di altri terminali di trasporto (di cui agli artt. 5 e 7 della Direttiva 2004/17 e dagli artt. 210 e 213 del D. Lgs. 163/2006) e che si sostanzia nelle operazioni per le quali sono riconosciuti i diritti speciali o esclusivi che riservano l’esercizio di alcune attività ad un numero limitato di operatori, e tra le quali non rientra quella di gestione degli spazi “non aviation”.

Tale lettura risulterebbe, peraltro, avvalorata dalla logica che permea l’art. 20 della Direttiva 2004/1768, riprodotto dall’art. 217 del D. Lgs. 163/200669, il quale provvede ad escludere l’applicazione della stessa agli appalti aggiudicati per scopi diversi dall’esercizio delle attività speciali (di cui agli articoli da 3 a 7)70. Ne deriva che l’applicazione della disciplina propria dell’evidenza pubblica, correlata all’essenza propria della pubblica impresa sussiste solo per il servizio di trasporto – come definito nell’art. 5 – e, dunque, per le attività citate, in ordine alle quali il soggetto giuridico gode di un diritto speciale o esclusivo.

Di tutta evidenza è il fatto che l’attività di gestione degli spazi “non aviation” non rientra tra le attività regolamentate dalla normativa relativa ai settori speciali e da essa contemplata, per le considerazioni di cui sopra.

Ed, in effetti, è chiara anche la ratio di un simile assetto, rintracciabile nel fatto che nei settori esclusi le autorità nazionali concedono diritti esclusivi soltanto ad alcuni soggetti, anche in considerazione delle particolarità tecniche delle attività da svolgere, affidate, in quanto tali, ad un numero limitato di soggetti, ed in relazione ai quali si impongono esigenze di ripristino delle regole concorrenziali e dei meccanismi regolatori del mercato.

Tutto ciò premesso, pare doversi senz’altro concludere per l’insussistenza dell’obbligo di indire il bando per i gestori aeroportuali in relazione agli spazi “non aviation”.

Tuttavia, l’assenza di un dato normativo che imponga al gestore aeroportuale l’obbligo di indire pubblica gara per la gestione dei citati spazi non comporta il divieto per lo stesso di prevederla, e così trarre il massimo profitto dalla messa a disposizione dei locali del sedime.

Le conclusioni cui si perviene sembrano, in ultimo, avvalorate da un dato pratico, che pare confermare i suesposti ragionamenti.

Com’è noto, infatti, la direzione verso cui stanno andando gli scali italiani è quella della gestione totale che, come già evidenziato, è assurto ad unico modello previsto a livello codicistico.

La gestione totale incarna uno strumento di programmazione, che attribuisce al titolare un’ampia autonomia decisionale nell’organizzazione del complesso di beni, attività e servizi da espletare in aeroporto.

Si tratta, dunque, di un modello che avvalora il connotato “imprenditoriale” del gestore, che non è più soltanto tenuto ad incassare i diritti aeroportuali per conto dello Stato, bensì è libero di adottare ogni iniziativa utile ai fini dello sviluppo dello scalo.

Il gestore totale, infatti, pur essendo tenuto ad erogare servizi all’utenza con regolarità e continuità, tende ad operare ottimizzando le risorse a disposizione, i fattori di produzione e coordinando le attività aeroportuali.

Ne deriva che il medesimo gode, nello svolgimento della propria attività, di piena autonomia imprenditoriale ed economico-commerciale, anche con riguardo all’affidamento degli spazi “non aviation”.

Inoltre, l’affidamento degli spazi in questione pur in assenza dell’osservanza delle regole ad evidenza pubblica parrebbe del tutto legittimo in quanto il momento decisionale pubblico risulterebbe esaurito con l’esercizio dell’opzione esercitata a monte con l’affidamento in concessione delle aree al gestore aeroportuale – società per azioni – per l’espletamento del servizio. Di seguito, l’attività – anche negoziata – che tale ultimo soggetto pone in essere per l’espletamento dell’attività rientrante nell’esercizio di impresa rimane rimessa alla discrezionalità dello stesso; con l’assunzione, com’è ovvio, delle opportune responsabilità, relative alle scelte dallo stesso effettuate, e con l’onere di una gestione economicamente corretta.

Tale soluzione trova la propria ragion d’essere nella possibilità, che è lasciata al soggetto gestore, di compiere scelte imprenditoriali scaturenti da libere valutazioni sulle modalità di perseguimento del fine per il quale il soggetto stesso è stato costituito. Tali scelte organizzative non risultano neanche indirettamente riconducibili al soggetto pubblico, il quale – come già detto – ha esaurito il proprio potere di scelta nel momento dell’affidamento al gestore del servizio.


44) Analisi oggettiva.

Esaurita l’analisi del profilo soggettivo della tematica, occorre ulteriormente soffermarsi su quello oggettivo, al fine di riscontrare se anche questo confermi la soluzione prospettata, ovvero il non necessario avvio della procedura pubblicistico-competitiva ai fini dell’assegnazione degli spazi “non aviation”.

In particolare, occorre comprendere se l’assegnazione di spazi possa essere ricondotta allo schema contrattuale degli appalti.

Ed, a ben guardare, tale soluzione sembra doversi escludere in ragione della differenza tra i rispettivi schemi contrattuali.

Mentre, infatti, lo schema dell’appalto si sostanzia – in ambito privatistico71 – nella costruzione di un’opera o nella prestazione di un servizio con assunzione del rischio in capo all’appaltatore ovvero incarna – in ambito pubblicistico72 – un contratto a titolo oneroso, concluso per iscritto tra un operatore economico ed un’amministrazione aggiudicatrice, avente ad oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi; l’attività di assegnazione degli spazi commerciali esula da tali schemi, consistendo, invece, nella messa a disposizione di spazi a fronte di un corrispettivo e dello svolgimento di determinate attività.

Inoltre, ulteriore tratto che segna la differenza tra il modulo tipico degli appalti e la fattispecie in esame sta nel fatto che mentre nel primo caso è corretto parlare di contratti passivi, in quanto si tratta di contratti che determinano uscite a fronte dell’acquisizione di opere, servizi e forniture; nella fattispecie che ci occupa, invece, vengono in considerazione contratti attivi, in quanto generatori di introiti a favore del gestore, quali le royalties derivanti dallo sfruttamento commerciale delle aree.

Infine, occorre rilevare che si è in presenza di un appalto di servizi quando il costo dell’opera grava sull’autorità aggiudicatrice, la quale è tenuta a compensare l’attività svolta dal privato. Nel caso che ci occupa, invece, il contraente si remunera attraverso i proventi derivanti dalla gestione degli spazi.

Per di più, a differenza di quanto avviene nel caso di un pubblico appalto, il servizio oggetto del rapporto è reso a terzi, e cioè ai singoli fruitori dell'area aeroportuale, e non all'Amministrazione.

Dunque, è da escludere – da un punto di vista squisitamente soggettivo – che il gestore aeroportuale sia qualificabile come “Amministrazione aggiudicatrice” – e, dal punto di vista oggettivo – che possa ricondursi lo schema dei rapporti in esame a quello degli appalti: fattori, entrambi idonei ad escludere la sussistenza dell’obbligo di osservanza delle procedure di evidenza pubblica.

Ciò comporta che il rispetto delle procedure pubbliche di gara non derivi da obblighi normativi, bensì unicamente da autonome scelte a carattere gestionale.


5) Considerazioni conclusive.

Tutto ciò premesso, si impone una riflessione di mera tutela giudiziaria che pone una problematica di non poco momento. A ritenere, infatti, non necessario il ricorso alle procedure ad evidenza pubblica, risulterebbero quasi del tutto privi di tutela i soggetti potenzialmente interessati all’assegnazione degli spazi, che si ritenessero pregiudicati dai comportamenti posti in essere dai gestori, rimanendo i medesimi rimessi al mero arbitrio del concessionario. Agli stessi, infatti, sarebbe precluso il ricorso al sindacato del giudice ordinario, non sussistendo alcuna ragione per vedersi preferiti ad altri; laddove un sistema di tutela adeguato innanzi al giudice degli interessi sussisterebbe qualora fosse assicurato l’ossequio alle procedure di evidenza pubblica.

Se, dunque, la tutela azionabile in via successiva non pare soddisfacente, tuttavia, soccorrerebbe in via preventiva una prospettazione che emerge da alcune pronunce intervenute a livello nazionale e comunitario, che affermano la necessaria applicazione dei principi del Trattato dell’Unione Europea – di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento, proporzionalità, mutuo riconoscimento, adeguata pubblicità – indipendentemente dalla specifica ricorrenza di norme interne o comunitarie73.

Alla stessa stregua rileva, in proposito, il contenuto della comunicazione della Commissione europea del 12 aprile 200074, richiamata ed ampliata da una circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie n. 945 dell’01 aprile 2002, secondo cui “nella misura in cui si configurano come atti dello Stato aventi per oggetto prestazioni di attività economiche o forniture di beni, le concessioni sono soggette alle norme conferenti del trattato ed ai principi sanciti in materia dalla giurisprudenza della Corte” o, ancora, “benché il Trattato non contenga alcuna esplicita menzione degli appalti pubblici, né delle concessioni, molte delle sue disposizioni sono rilevanti in materia”. Orbene, il superiore riferimento è ai principi che governano il sistema in quanto volti a garantire il buon funzionamento del mercato.

E, d’altronde, non potrebbe essere diversamente anche nel settore in oggetto, quello aeroportuale appunto, in cui lo sfruttamento degli spazi per le attività di cui si discute costituisce pur sempre un’occasione di guadagno di soggetti operanti sul mercato che, come tale, esigerebbe la procedura competitiva.

Ed, invero, alla stregua di recente giurisprudenza, si deduce che dall'art. 81 del trattato Ce e dalle direttive comunitarie in materia di appalti discende il principio generale e direttamente applicabile, in forza del quale tutte le concessioni di servizi, inclusi gli appalti sottosoglia e i contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti, nonché le concessioni di beni pubblici di rilevanza economica, si devono svolgere nel rispetto dei principi fondamentali del trattato, tra cui la non discriminazione, la parità di trattamento, la trasparenza. Di conseguenza, si impone una scelta ispirata a criteri obiettivi, tali da assicurare in ogni caso la concorrenza tra i soggetti interessati75.

Ne consegue, pertanto, che in ogni caso la “governance” aeroportuale nella scelta dell’affidatario degli spazi “non aviation”, sia pure in un’ottica di proficua utilizzazione del bene, anche se non tenuta alla gara pubblica, dovrà comunque attenersi a parametri idonei a garantire il rispetto dei principi che presiedono alle procedure ad evidenza pubblica, magari mediante l’espletamento di una previa gara informale, con predeterminazione dei criteri selettivi, cui siano invitati un certo numero di concorrenti, affinché sia assicurata la cessione del bene alle condizioni di mercato migliori.

L’auspicio è che – considerato il crescente interesse per l’affidamento degli spazi aeroportuali destinati a servizi “non aviation” – si addivenga alla definizione di criteri idonei ad assicurare che lo stesso abbia luogo in modo equo e non discriminatorio, fattore idoneo a contribuire altresì alla creazione di un soddisfacente assetto concorrenziale delle attività.


* Dottoranda in Diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente presso la facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Palermo

1 Gli aeroporti sono qualificabili in termini di “aerodromi aventi attrezzature particolari per il rifornimento, il ricovero, la riparazione degli aeromobili, ed inoltre forniti degli uffici necessari allo svolgimento delle pratiche relative al movimento degli aeromobili stessi, e dei passeggeri e delle merci da essi trasportati” in Enc. Dir., voce Aerodromo, a cura di A. M. Sandulli e S. Rosa, pag. 637.

2 Orientamento da condividere a seguito della novella introdotta dal D. Lgs. 15/03/2006, n. 151 (art. 3 co. 1) che, riformando l'art. 692 cod. nav., ha provveduto a sostituire il criterio dell'istituzione con quello dell'appartenenza, eliminando dalla lettera a) dell’art. 692 l’inciso “istituiti dallo Stato” che rappresentava la vecchia formulazione, antecedente anche all’intervento riformatore del D. Lgs. 96/2005.

3 Sia pure con alcune eccezioni, rintracciabili nel difetto di regolamentazione per talune attività “aviation”, quali biglietterie e sale vip.

4 In particolare, l’indagine del presente lavoro concerne – più che la gestione degli spazi pubblicitari ovvero dei parcheggi – la gestione degli spazi da affidare a terzi, relativi,principalmente, ad attività di natura squisitamente commerciale, negozi al dettaglio, attività di autonoleggio, ristorazione, rifornimento di combustibile agli aeromobili, rivendite di generi di monopolio, ad attività di duty-free, di noleggio di auto, bancarie e così via. Prima del secondo conflitto mondiale tali rapporti vennero qualificati in termini ora di locazione di immobili, ora di concessione di beni pubblici, ora di attività di interesse pubblico connotate dalla fruizione, in via strumentale, di beni , come si legge in nota a Trib. Torino, Sez. I, 02/04/84, a cura di C. Ramella, in Giur. It., 1985, I, 2, pag. 436.

5 Come sostituito dal Decreto Legislativo 09/05/2005, n. 96 (art. 3 co. 1).

6 Come modificato dal Decreto Legislativo 15/03/2006, n. 151 (art. 3 co. 3).

7 Art. 1 della Legge 18 aprile 1962, n. 194 (in Gazz. Uff., 5 maggio, n. 115). - Norme concernenti l'istituzione del sistema aeroportuale di Milano; Art. 1 della Legge 20 aprile 1965, n. 914 (in Gazz. Uff., 2 agosto, n. 192 ). - Norme concernenti l'aeroporto di Torino-Caselle.

8 Categoria – non più esistente come si evince dalla nuova formulazione dell’art. 692 cod. nav., come sostituito ex art. 3, co. 1, D. Lgs. 15/03/2006, n. 151 – in cui si sono tradizionalmente fatti rientrare gli aeroporti, intesi in un'accezione dinamica, come organismi imprenditoriali, dotati di una certa complessità, che provvedono a gestire, oltre ai beni, servizi sempre più articolati.

9 Come sostituito dal D. Lgs. 15/03/2006, n. 151 (art. 3 co. 1).

10 Parere del 19 marzo 2002 n. 542.

11 Che i gestori aeroportuali siano imprese, svolgendo – oltre ad attività puramente amministrative – attività di gestione e di esercizio di aeroporti, che incarnano attività aventi carattere economico, emerge, tra le altre, da Corte di Giustizia Ce, Sez. VI, 24 ottobre 2002, causa C-82/01, Aéroports de Paris c. Commissione (punto 78), in Racc. I-9297 secondo cui “costituisce un'attività di natura economica la messa a disposizione delle compagnie aeree e dei vari prestatori di servizi, contro il pagamento di un canone il cui tasso è fissato liberamente dall'ADP, di installazioni aeroportuali”.

12 A tal proposito ciò che si è verificato nella maggior parte degli scali italiani è che i gestori talora abbiano prestato, in via diretta o tramite società controllate, servizi ulteriori rispetto a quelli strettamente collegati all’aviazione civile, rivestendo in tal guisa il duplice ruolo di gestore esclusivo delle aree ed al tempo stesso di competitore sul medesimo mercato, talaltra abbiano assegnato gli spazi aeroportuali ad imprese terze, essendo agli stessi riservata ampia discrezionalità. Per di più il rischio assume dimensioni tanto più preoccupanti qualora le attività commerciali che vengono in considerazione, nella loro accezione e dimensione di “mercato rilevante”, coincidano con lo scalo di riferimento.

13 Si veda l’art. 704 cod. nav., come sostituito dall’art. 3 del D. Lgs. 09/05/2005, n. 96.

14 Come sostituito dall’art. 3, comma 1 del D. Lgs. 09/05/2005, n. 96.

15 In tale senso si è espresso: Tribunale Torino, Sez. I, 02 aprile 1984, cit.

16 In tal senso: Cass., Sez. I, 29 maggio 1982, n. 3324, in Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 5; id., S.U., 26 luglio 1991 n. 8368, in Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 7; CdS, Sez. IV, 27 novembre 1996 n.1244, in Foro amm. 1996, 3215. Giova, inoltre, menzionare taluni orientamenti che si sono pronunciati per la possibile configurazione sia di rapporti locativi che di rapporti di sub-concessione: Cass., Sez. III, 26 aprile 2000, n. 5346, in Giust. civ. Mass. 2000, 888; id., Sez. I, 29 novembre 2001, n. 15190, in Giust. civ. Mass. 2001, 2054 .

17 Come sostituito ex art. 3, comma 1, del D. Lgs. 09/05/2005, n. 96.

18 Che – a norma della Circolare n. 13775 AC del 16 ottobre 1998, cui ha fatto seguito la Circolare 20 otobre 1999, n. 12479 AC – rileva in termini di vera e propria autorizzazione nel caso di aree e locali destinate alle attività aeronautiche; laddove, si configura come mero comunicazione all’Enac con riguardo alle attività commerciali. Tale assenso, a prescindere dalla sua qualificazione in termini di atto di controllo successivo di un atto già perfetto (e, dunque, come requisito di efficacia dello stesso) ovvero di presupposto di legittimità di un atto (da perfezionare in un secondo momento) è pur sempre manifestazione di un potere discrezionale dell’Amministrazione, la cui assenza è idonea a configurare un fatto impeditivo dell’ulteriore perfezionamento della fattispecie.

19 Si pensi ai poteri di revoca o all’ipotesi di decadenza dalla concessione.

20 Come sostituito ex art. 3, comma 1, D. Lgs. 09/05/2005, n. 96.

21 CdS, Sez. V, 18 dicembre 2002, n. 7043, in Foro amm. CDS 2002, 3210. La visione complessiva del fenomeno imprenditoriale che evidenzia l’univocità della funzione affiora altresì da CdS, Sez. V, 04 maggio 1998, n. 492, in Riv. giur. edilizia 1998, I, 938,
che prevede l'applicabilità dell'esenzione contributiva prevista dall'art. 9 lett. f) l. n. 10 del 1977 non solo con riguardo alle strutture strettamente connesse con la gestione di un aeroporto, ma anche alle opere strumentali al suo funzionamento “siccome legate da un rapporto immediato e diretto con le esigenze operative connesse allo svolgimento di tale servizio”. Ne deriva la rilevanza della destinazione delle aree al servizio prestato in ambito aeroportuale, a prescindere dall’ubicazione e dall’attività espletata.

22 A mero titolo esemplificativo, si rimanda alle ricostruzioni del fenomeno in termini ora di contratto a formazione successiva, con adesione dei vari contraenti, ora di successione costitutiva: M. Baccigalupi, Appunti per una teoria del subcontratto, in Riv. dir. comm., 1943, I, 181 ss.; ora di contrattazione con stipulazione a favore di terzo: B. Grasso, Il sub-contratto, Camerino-Napoli, 1977.

In particolare si deve al Baccigalupi, (cit., 190) la formulazione, con riguardo al sub-contratto, della teoria della “sovrapposizione” in termini di “successione temporale del contratto secondario rispetto al contratto principale”; al Messineo quella della “derivazione” in base alla quale “il contratto derivato si caratterizza per avere il medesimo o analogo contenuto economico e per essere informato al medesimo tipo di causa del contratto padre, donde il nome di contratto-figlio o subcontratto. ..Il contratto derivato ha in comune col contratto-padre una delle parti; ciò avviene perché tale parte dispone a favore di altri, sua controparte nel contratto derivato, interamente o parzialmente, della posizione patrimoniale attiva già acquisita sulla base del primo contratto” (in Contratto derivato, Subcontratto, in Enc. dir., X, Milano, 1962). In altri termini, tra i contratti esiste una “successione costitutiva, in cui dal contratto principale ne discende e dipende un altro, conclusosi separatamente che si individua e contrappone al primo, come contratto nuovo, che genera un diritto del pari nuovo”. Tale seconda ricostruzione fu, invero, superata in ragione dell’inutilizzabilità della stessa per le varie fattispecie contrattuali ulteriori rispetto alla sublocazione. Non possono, altresì, tralasciarsi gli sforzi compiuti ai fini di una ricostruzione del fenomeno in termini di “contratto a favore di terzo” caratterizzata dal fatto che una parte del rapporto stipulerebbe con un soggetto terzo un contratto del medesimo tipo di quello originario, allo scopo di ottenere un’utilizzazione plurima della propria posizione contrattuale. Tuttavia, una simile ricostruzione è risultata, a sua volta, non convincente, difettando il favor tertii. E’ stata, così, formulata la teoria del contratto collegato.

23 Definito da Cass. 27 aprile 1995 n. 4645, in Giust. civ. Mass. 1995, 912 come un meccanismo attraverso il quale parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto, come normalmente avviene, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi”; … “un fenomeno di regolamento degli interessi economici delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc. possono ripercuotersi sull'altro…”.

24 Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, 4° ed., Napoli, 1991, 711.

25 Ed, invero, nella fattispecie che ci occupa, viene in rilievo – come evidenziato in testo – l’assenso del Ministero dei Trasporti.

26 Cass., 15 febbraio 1980 n. 1126, in Giust. civ. Mass. 1980, fasc. 2.

27 Cass., 20 novembre 1992 n. 12401, in Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 11, secondo cui “perché possa configurarsi un collegamento di negozi in senso tecnico, che, come tale, imponga la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia un profilo oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, sia un profilo soggettivo costituito dal comune intento delle parti di voler non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento e il coordinamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, non essendo sufficiente che detto fine sia perseguito da una sola parte all'insaputa e senza la partecipazione dell'altra”. Alla stessa stregua: Cass, Sez. II, 31marzo 1987, n. 3100, in Giust. civ. Mass. 1987, fasc.3.

28 Al riguardo, rileva il concetto di “impresa” elaborato nell’ambito del diritto alla concorrenza, in termini di entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo stato giuridico della stessa entità e dalle sue modalità di finanziamento: in particolare, si vedano: Corte di Giustizia Ce, 17 febbraio 1993, cause riunite C-159/91 e C-160/91, Christian Ppucet c. Assurances Generales de France e Caisse Mutuelle Regionale du Languedoc-Roussillon e Daniel Pistre c. Caisse Autonome Nationale de Compensation de L'Assurance Vieillesse des Artisans, (punto 17) in Racc., I-637; Corte di giustizia Ce, 23 aprile 1991, causa C-41/90, Klaus Hofner e Fritz Elser c. Macroton GMBH, (punto 21), in Racc. 1991, I-1979 ss.

29 Né l’esistenza di simili organismi risulta anomala in un ordinamento – qual è il nostro – in cui, specie negli ultimi anni, si è assistito alla privatizzazione (talvolta, anche solo formale) di enti pubblici ovvero alla creazione di persone giuridiche private, con contestuale attribuzione di funzioni pubbliche.

30 Per tutte, CdS, Sez. VI, 20 maggio 1995, n. 498, in Giorn. dir. amm., 1995, p. 1138 ss.

31 Cass, Sez. Un., 06 maggio 1995, n. 4989, in Giust. civ. Mass. 1995, 32; id., 06 maggio 1995 n. 4991, in Riv. Corte Conti, 1995, fasc. 3, 178 che richiamano sul punto la decisione 04 gennaio 1993, n. 3, in Rass. giur. Enel 1994, 471; conf. 27 marzo 1997, n. 2738, in Riv. it. dir. pubbl. comunit. 1997, 775.

32 Si è, in proposito, sostenuto, infatti, che la mera veste formale non risulti idonea ad escludere la natura pubblicistica di soggetti che sono chiamati, pur sempre, a perseguire interessi pubblici, attraverso l’offerta di servizi alla collettività. E’ quanto è stato statuito, sia pure per la diversa finalità di riaffermare il controllo della Corte dei Conti sulle società soggette ad un processo di mera privatizzazione formale, con la nota pronuncia della Corte Costituzionale, 17 dicembre 1993, n. 466, in Giur. cost. 1993, fasc. 6. E, d’altronde, che la netta differenziazione tra ente pubblico ed organismo societario di diritto comune sia andata, nel tempo, scemando è dimostrato dal sempre crescente ricorso al modulo societario per il perseguimento di finalità di interesse pubblico: si pensi all’art. 22 della L. 8 giugno 1990 n. 142, all'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come modificato dal comma 1 dell'articolo 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, all’art. 14 del DL 269/2003 (convertito nella L. 326/2003) ed all’art. 4 comma 234 della L. 350/2003.

33 Secondo CdS, Sez. VI, 01 aprile 2000, n. 1885, in Foro Amm. 2000, 1329 : “ai fini dell'identificazione della natura pubblica di un soggetto la forma societaria è neutra e la quasi integrale pertinenza a referenti pubblici del pacchetto azionario dimostra che si è al cospetto di uno strumento alternativo alle tradizionali forme di intervento e consente di ritenere che anche le società per azioni si possano presentare come un'articolazione organizzativa dell'ente o degli enti di riferimento”. Sulla stessa linea: CdS, Sez. VI, 27 ottobre 1998 n. 1478, in Giur. it. 1999, 628. In altri termini, si è ritenuto che, ai fini dell’inquadramento giuridico, l’assetto societario assurge a mero dato di struttura, strumentale al perseguimento di fini pubblici.

E che ciò sia vero è dimostrato anche dalla tendenza registrabile a livello comunitario di conferire maggiore rilevanza al dato sostanziale piuttosto che a quello nominalistico e formale. Si pensi alla creazione operata dall'art. 1, lett. b) della direttiva 89/440/CEE e successivamente riproposta nelle altre direttive appalti degli organismi di diritto pubblico, nati per l’intento di affiancare alle persone giuridiche pubbliche, anche a quelle che pur apparendo come soggetti di diritto privato, di fatto presentassero connotati pubblicistici sostanziali, riconoscibili nella sussistenza dei controlli, nella designazione pubblica degli organi di amministrazione, e così via, in guisa da evitare che nel settore degli appalti pubblici, attraverso un uso strumentale di articolazioni formalmente private ma sostanzialmente pubbliche – in ragione delle finalità perseguite – si aggirasse il rispetto delle procedure ad evidenza pubblica.

34 E, tuttavia, si tratta di soggetti che – a parte alcune specifiche eccezioni dal punto di vista genetico, organizzativo e funzionale, relative alla riserva di nomina pubblica di amministratori e sindaci – restano disciplinate dalle norme codicistiche; dato che emergeva sin dalla Relazione al Ministro Guardasigilli, Roma, 1943, n. 999, in cui si leggeva che “in difetto di deroghe espresse da parte del legislatore speciale sono organicamente soggette alla disciplina generale delle società per azioni contenuta nel codice”. Ed, invero, già nel 1933 Ravà parlava di influenza del diritto pubblico ad opera del diritto privato e non viceversa, ed ancora che se pure è vero che “l’azionariato degli enti pubblici…rappresenta un travestimento in forma privata di una impresa sostanzialmente pubblica” tale realtà economica non può tradursi, per scelta dell’ordinamento, sul piano giuridico: da “L’azionariato dello Stato e degli enti pubblici”, in Riv. Dir. comm., 1933, I, 324 e ss.

35 Intento che, con riferimento alle società di gestione, trova riscontro nelle previsioni contenute nel Decreto Ministeriale 12 novembre 1997, n. 521 (in Gazz. Uff., 9 aprile, n. 83). - Regolamento recante norme di attuazione delle disposizioni di cui all'art. 10, comma 13, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, con cui è stata disposta la costituzione di società di capitali per la gestione dei servizi e infrastrutture degli aeroporti gestiti anche in parte dallo Stato.

36 Relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.

37 Che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali.

38 Che riprende la definizione contenuta nell’art. 1 lett. b) della Direttiva 93/37/CEE, quella di cui all’art. 1 lett. b) della Direttiva 92/50/CEE e quella di cui all’art. 1 lett. b) della Direttiva 93/36/CEE: tutte abrogate dall'articolo 82 della Direttiva 2004/18/CE.

39 Che, all’art. 256, ha provveduto ad abrogare espressamente la disciplina nazionale relativa gli appalti di lavori, servizi e forniture, ovvero il decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406, la legge 11 febbraio 1994, n. 109, il D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 – in materia di appalti di lavori pubblici – il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 – relativo agli appalti pubblici di servizi – il decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358 – relativo agli appalti pubblici di forniture – il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158 – relativo alle procedure di appalti nei settori esclusi, e che, tuttavia, ha ripreso la definizione di “organismo di diritto pubblico” contenuta nell’art. 2 lettera b) del D. Lgs. 157/95, nell’art. 2 comma 7 della L. 109/94, nonché nell’art. 1 comma 3 lettera b) del D. Lgs. 358/92.

40 Corte di Giustizia Ce, 01 febbraio 2002, causa C-237/99, Commissione c. Repubblica francese, (punto 21), in Racc. I-939.

41 Ex multis, Corte di Giustizia Ce, 16 ottobre 2003, C-283/2000, Commissione c. Regno di Spagna, (punto 80), in Racc. I-11697.

42 La formula letterale è contenuta nella Direttiva 2004/18 (art. 1, punto 9, lettera a) – che riprende la lettera delle Direttive 92/50/CEE: art. 1, lettera b); 93/37/CEE: art. 1, lettera b); 93/36/CEE: art. 1 lettera b) – e nel D. Lgs. 163/2006 (art. 3, punto 26) – che riprende la formula della legge 109/94 (art. 2, punto 7, lettera a); e, mutandola leggermente, quella di cui al D. Lgs. 157/95 (art. 2, comma 1, lettera b) ed al D. Lgs. 358/92 (art. 1, comma 3, lettera b) – e qualifica l’organismo pubblico come quell’organismo istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale.

In particolare, l’interpretazione più appropriata è quella di ritenere esistente all’interno della categoria dei bisogni di interesse generale, una sottocategoria che ricomprende quelli che rivestono carattere non industriale o commerciale. Se così non fosse, infatti, il legislatore comunitario non avrebbe indugiato con ulteriori specificazioni.

43 Invero, l’esame di tale dato rileva solo in via teorica, considerato che in ambito aeroportuale, lo sfruttamento economico dei beni aeroportuali è di spettanza esclusiva del gestore che, dunque, per la gestione degli stessi, non opera in regime di concorrenza. Ed infatti, la concorrenza sussiste semmai – specie da ultimo – con riferimento alla prestazione dei servizi resi agli aeromobili ed ai passeggeri, operando – specie da ultimo – a fianco dei gestori aeroportuali, operatori terzi.

44 Corte di Giustizia Ce, Sez. V, 22 maggio 2003, C-18/2001, Arkkitehtuuritoimisto Riitta Korhonen Oy, Arkkitehtitoimisto Pentti Toivanen Oy e Rakennuttajatoimisto Vilho Tervomaa contro Varkauden Taitotalo Oy, (punto 50), in Racc. I-5321; Corte di Giustizia Ce, 27 febbraio 2003, C-373/2000, Adolf Truley GmbH c. Bestattung Wien GmbH, (punti 59-61) in Racc. I-1931; Corte di giustizia Ce, V, 10 maggio 2001, Cause riunite C-223/99 e C- 260/1999, Agorà Srl e Excelsior Snc di Pedrotti Bruna & C. contro Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano e Ciftat Soc. coop. arl., (punto 61), in Racc. I-3605.

45 Corte di Giustizia Ce, C-18/01 cit.

46 Come statuito da T.A.R. Lombardia Brescia, 09 marzo 2004, n. 203, in Foro amm. TAR 2004, 594: se il soggetto agisce avendo quale obiettivo primario l'interesse generale, e la copertura dei costi – ove non si raggiunga con i proventi dell'attività - è assicurata da finanziamenti pubblici o ricapitalizzazioni, il bisogno riveste carattere non industriale o commerciale e la persona giuridica è sussumibile nella categoria dell'organismo di diritto pubblico”. Orbene, il finanziamento pubblico non rappresenta – come già evidenziato – connotato essenziale dei gestori aeroportuali, pur potendo sussistere. Alla stessa stregua: Corte di Giustizia Ce, C-18/01 cit.

47 Articolo che non è stato toccato dalla riforma del Diritto societario operata con D.lgs. n 5-6 del 17 gennaio 2003 in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366, e che, pertanto, conserva la propria vigenza e, di riflesso, la propria attualità. Ed, invero, che lo scopo di lucro assurga a fine primario delle società di persone e delle società di capitali (nelle forme delle s.p.a., s.r.l. e delle s.a.p.a.) trapela da tutta la disciplina dettata per le stesse, e non ultimo dal contenuto dell’art. 2497 c.c. che disciplina il diritto alla redditività della partecipazione. Tale dato risulta indiscusso nonostante si sia registrata nel tempo una tendenza all’affievolimento della finalità lucrativa, in ragione della esistenza delle società mutualistiche, per le quali è lecito parlare di un’attenuazione della distribuzione degli utili ai soci, che non assurge a scopo primario del modulo societario che è, invece, rappresentato dalla fornitura ai membri dell’organizzazione di beni e servizi (od occasioni di lavoro) a condizioni più vantaggiose di quelle ottenibili sul mercato.

48 Secondo T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, 07 novembre 2005, n. 298, in Foro amm. TAR 2005, 11, 3447, il requisito relativo al soddisfacimento di finalità di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, sussiste ove l’organismo, oltre all’attività diretta a realizzare profitto economico secondo le condizioni di mercato sia, altresì, strumentale al perseguimento dell’interesse generale previsto istituzionalmente; dovendosi intendere per esigenze di interesse generale quei bisogni che “sono soddisfatti in modo diverso dall'offerta di beni o servizi sul mercato e, dall'altro, al cui riguardo l'ente pubblico, per motivi di interesse generale, preferisca mantenere un'influenza determinante”. Tale definizione emerge, altresì, da costante giurisprudenza comunitaria, id est: Corte di Giustizia Ce, 27 febbraio 2003, causa C-373/00 cit. (punto 50), e 22 maggio 2003, causa C-18/01, cit. (punto 47). Orientata a ritenere che il perseguimento degli interessi di carattere generale possa convivere con il perseguimento di interessi diversi ed ulteriori: Corte di Giustizia Ce, 15 gennaio 1998, C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria, (punto 26), in Racc. I-73.

49 E ciò nonostante si sia ritenuto che la possibile coesistenza degli interessi generali con finalità diverse ed ulteriori non farebbe venire meno la qualificabilità del soggetto in questione in termini di “organismo di diritto pubblico”. Infatti, secondo CdS, Sez. III, 11 aprile 2000, n. 588, in Foro it. 2002, III, 427: “La condizione secondo cui l'organismo di diritto pubblico deve essere istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale non implica che esso sia incaricato unicamente di soddisfare bisogni di tal genere”.

50 Di cui all’art. 1, punto 9, lett. a) della Direttiva 2004/18, ovvero all’art 3, comma 26, del D. Lgs. 163/2006, che qualificano l’organismo di diritto pubblico come quello “istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale”.

51 Ex multis, Corte di giustizia Ce, 15 gennaio 1998, causa C-44/96 cit.; Corte di Giustizia Ce, 10 novembre 1998, C-360/1996, Gemeente Arnhem e Gemeente Rheden c. BFI Holding BV, in Racc. I-6821; Corte di giustizia Ce, V, 10 maggio 2001, C-223/1999 e C. 260/1999 cit., (punto 26), in Racc. I-3605, che ha escluso la natura di organismo di diritto pubblico in capo all'Ente Fiera di Milano; Corte di giustizia, 15 maggio 2003, C-214/2000, Commissione c. Regno di Spagna, in Racc. I-4667; Corte di Giustizia Ce, V, 22 maggio 2003, C-18/2001 cit.

52 Che ha sostituito la definizione contenuta nell’art. 1, punto 2, della Direttiva 93/38/CEE.

53 E figurava nel vecchio art. 2 par. 1 lett. b) del Decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158.

54 Che riprende la formula contenuta nell’abrogato art. 1 punto 2 della Direttiva 93/38/CEE.

55 Che riprende l’art. 2 punto 2 del D. Lgs. 158/95.

56 Fattore che attribuisce, altresì, la facoltà di influire sulle delibere societarie.

57 L’imposizione della gara si giustifica in tale ambito per un ordine preciso di ragioni, ravvisabile nel fatto che nei settori esclusi accade, di norma, che siano affidati a società partecipate diritti speciali o esclusivi – idonei, per ciò solo, ad attribuire vantaggi di mercato e riserve – senza il previo espletamento della gara, che pertanto si impone per le attività da esercitare nel settore interessato dall’esclusiva.

58 Alla stessa stregua dell’art. 5 lett. b) del D. Lgs. 158/95.

59 Che riproducono la vecchia normativa contenuta nell’art. 5 del D. Lgs. 158/95.

60 Impianti che – per il settore aereo in cui non esiste una rete fisicamente tangibile, bensì solo le rotte – la lettera b) affianca alla “gestione delle reti di trasporto pubblico” che caratterizza gli altri settori trasportistici (ferroviari e stradali). Ne deriva, pertanto, che per essi debbano intendersi le infrastrutture deputate all’attività di trasporto vera e propria.

61 La cui accezione originaria è rintracciabile nell’art. 6 del Regio Decreto 11 gennaio 1925, n. 356: Approvazione del Regolamento per la navigazione aerea, che lo qualifica come ogni località, sia terrestre che acquea, destinata, anche in via temporanea, alla partenza, all’approdo ed allo stazionamento degli aeromobili”.

62 Categoria ormai scomparsa dal codice della navigazione come riformato dal D. Lgs. 09/05/205, n. 96 e dal D. Lgs. 15/03/2006, n. 151.

63 E, d’altronde, anche a volere dare una lettura estensiva alla norma – operazione che, invero, non appare necessaria nel nostro caso – ed a volere fare riferimento alla nozione di “infrastruttura di trasporto”, emerge come a norma dell'articolo 1 del regolamento (CEE) n. 1108/70 del Consiglio, del 4 giugno 1970, per essa debba intendersi il complesso delle vie e degli impianti fissi dei tre modi di trasporto nella misura in cui gli stessi sono necessari per la circolazione dei veicoli e la sicurezza della circolazione stessa. Ne deriverebbe che la medesima non ricomprenderebbe gli immobili destinati all’espletamento delle attività commerciali ed affini.

64 Ora: art. 5 della Direttiva 2004/17 ed art. 210 del D. Lgs. 163/2006.

65 A norma dell’art. 2 co. 3 lett. a) della Direttiva 93/38/CEE e dell’art. 2 co. 4 lett. a) del D. Lgs. 158/95 erano qualificabili tali i diritti che attribuivano la facoltà di fare ricorso, a pieno titolo, a procedure espropriative o impositive di oneri di servitù per la realizzazione degli impianti. A norma, invece, della nuova Direttiva 2004/17 (25° considerando): “il fatto che un ente si possa avvalere, per costruire reti o installare strutture portuali o aeroportuali, di una procedura per l'esproprio per pubblica utilità o per l'uso della proprietà privata, o possa usare, per installare impianti della rete, il suolo, il sottosuolo e lo spazio sovrastante la pubblica via, non costituisce in sé un diritto esclusivo o speciale ai sensi della presente direttiva”. Ed, infatti, la Direttiva 17 non riporta più il n. 4 dell’art. 2 del D. Lgs. 158/95.

66 Sulla falsariga della vecchia formula adoperata dall’art. 2 punto 1 lettera c), poi ripreso dal punto 3 del D. Lgs. 158/95.

67 Che sostituisce l’art. 6, comma 1, della Direttiva 93/38/CEE.

68 Che riprende il contenuto dell’art. 6 della Direttiva 93/37/CEE.

69 Che, a sua volta, riprende l’art. 8, punto 1 lettera a) del D. Lgs. 158/95.

70 Ovvero quelle – rispettivamente – di cui agli artt.da 3 e 7 e da 208 a 213.

71 Desumibile dall’art. 1655 c.c.

72 Per esso si rimanda all’art. 1 della Direttiva 2004/17 e della Direttiva 2004/18 ovvero all’art. 3 del D. Lgs. 163/2006.

73 ex multis, Corte di Giustizia Ce, 07 dicembre 2000, C-324/98, Telaustria Verlags GmbH e Telefonadress GmbH c. Telekom Austria AG, in Racc. I-10745 .

74 Pubblicata in Gazz. Uff. n. C 121 del 29/04/2000.

75 CdS, Sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168, in Vita not. 2005, 199.

Data di pubblicazione: 21 gennaio 2008.