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Vol. V/2007

RIVISTA DI DIRITTO DELL’ECONOMIA,
DEI TRASPORTI E DELL’AMBIENTE

 


LEGGE FINANZIARIA E COMPENSO DEGLI AMMINISTRATORI

DELLE SOCIETÀ IN MANO PUBBLICA

Angela Intermaggio


SOMMARIO

  1. Considerazioni introduttive

  2. Diritto al compenso

  3. Identificazione delle fattispecie rilevanti: art.2389 c.c.

  4. I fattori che influiscono sull’entità dei compensi degli amministratori

  5. Disposizioni della Legge Finanziaria 2007: compensi e numero degli amministratori delle società partecipate da enti locali;

    1. compensi degli amministratori;

    2. numero dei componenti del consiglio di amministrazione

  1. Gli effetti delle norme sugli organi amministrativi in carica.



  1. Considerazioni introduttive

Il compenso degli amministratori è uno dei temi più delicati nel più vasto dibattito sulla corporate governance societaria, di fondamentale importanza per il buon governo della società.1 Nonostante la riforma del diritto societario (D.lgs. n.6/ 2003) la normativa relativa ai compensi degli amministratori è tuttora scarsa e frammentaria.

In particolare, la disciplina codicistica detta le modalità da seguire per fissare i compensi degli amministratori che sono stabiliti dall’assemblea (art. 2364 e art. 2389 c.c.) o all’atto della nomina (art. 2389 c.c.), ma non dice alcunché con riferimento all’onerosità della carica. Questo aspetto, comunque, non sembra in discussione in quanto l’amministratore svolge un’attività professionale nell’interesse altrui (della società) ed è principio generale, secondo le norme del mandato (art. 1709, c.c.), che egli debba percepire un compenso. Piuttosto, va osservato come le lacune relative alla disciplina dei compensi sono oggi divenute più evidenti e perciò più censurabili, a causa delle diverse soluzioni che la pratica ha messo in atto soprattutto per la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche, nonché per l’accentuata responsabilità dell’organo amministrativo. In questo difficile contesto si è di recente inserita, con l’ultima Legge Finanziaria, una particolare disciplina unicamente destinata alle società partecipate, totalmente o parzialmente, da enti locali. Questa disciplina interviene non solo nella fissazione di un tetto massimo per la determinazione dei compensi degli amministratori (pubblici), ma anche pone un freno alla moltiplicazione dei posti di consigliere di amministrazione di queste società, limitandone, nella sostanza, la sfera di autonomia.

Ciò premesso, è di questa disciplina che il presente lavoro vuole occuparsi.

2. Il diritto al compenso

Diversi orientamenti si sono delineati da parte della dottrina riguardo alla natura giuridica del rapporto di gestione data l’ampiezza e la varietà dei poteri spettanti agli amministratori, nonché la posizione di autonomia rispetto all’organo assembleare. Tuttavia vi è un sostanziale accordo in dottrina2 e in giurisprudenza3 sull’esistenza di una presunzione di onerosità della funzione gestoria e di conseguenza dell’acquisizione di un diritto soggettivo dell’amministratore anche nel silenzio dello statuto o in carenza di una deliberazione.

Il diritto al compenso nasce in seguito all’accettazione della carica da parte dell’amministratore che, secondo i principi generali, può anche essere tacita e ricavarsi da un comportamento concludente.4

La remunerazione può essere determinata sia per tutta la durata dell’incarico che per il singolo esercizio sociale.

I referenti normativi in materia sono offerti dagli artt. 2364 e 2364-bis c.c. che individuano in linea generale l’organo competente a determinare il compenso, nonché gli artt. 2389 e 2409 terdecies c.c. che, unitamente all’art. 2409- noviesdecies c.c. concernono più da vicino la remunerazione spettante ai componenti degli organi investiti dalla gestione in ciascuno dei tre differenti sistemi di governance; quest’ultima norma (di mero rinvio), dice applicabile al sistema monistico tra l’altro, l’art. 2389, di modo che è consequenziale il potere dell’assemblea dei soci di stabilire, anche in questo modello gestuale, il compenso dell’organo amministrativo.

Nessuna di queste prescrizioni, tuttavia, sancisce in maniera esplicita il principio di remunerabilità dell’ufficio.

La presunzione di onerosità, per il vero, era individuabile nell’art. 2392 secondo cui gli amministratori dovevano rispettare, nell’adempimento dei propri doveri, la diligenza del mandatario. Il fatto che l’art. 2392 c.c. richiamasse una regola del mandato ha comportato nel silenzio della legge un rinvio a tale istituto.

In seguito alla nuova stesura dell’art. 2392 c.c. che assume come parametro normativo di condotta non più la diligenza del mandatario, bensì la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze degli amministratori il richiamo alla normativa del mandato finirà per limitarsi all’art. 1709 c.c. espressione del principio dell’agire per conto altrui.


3. Identificazione delle fattispecie rilevanti: art. 2389 c.c.

L’art. 2389 c.c. definisce in vario modo gli emolumenti spettanti agli amministratori in virtù della carica rivestita, mentre il primo comma dell’articolo è relativo ai compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo, di competenza assembleare, il terzo comma concerne la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche (Presidenti con deleghe, Amministratori Delegati) in conformità dello statuto, di competenza consiliare.

Secondo il primo comma di tale articolo la retribuzione spettante ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo è stabilita “all’atto della nomina o dall’assemblea”.

Evidente risulta la cattiva tecnica redazionale dell’art. 2389 c.c. non soltanto perché non si coniuga con la previsione d’ordine generale prevista nell’art. 2364 c.c. secondo cui, nelle società per azioni prive del consiglio di sorveglianza, l’assemblea ordinaria determina il compenso degli amministratori, “se non è stabilito dall’atto costitutivo”, ma anche perché coordina in un’unica espressione due elementi non equivalenti quali il tempo della determinazione del compenso e la competenza per la stessa.

Diverse sono, inoltre, le questioni inerenti alla discrepanza esistente tra le due fattispecie previste dal primo e dal terzo comma dell’art. 2389 c.c.

È opinione consolidata in dottrina e in giurisprudenza che la volontà del legislatore di aver sancito nel primo comma dell’art. 2389 c.c. e prima ancora nell’art. 2364 terzo comma c.c. la competenza assembleare in materia di compensi stia nell’intento di evitare che gli amministratori possano autodeterminarsi il compenso al di fuori del controllo dei soci profilandosi una situazione di conflitto di interessi5. Ma ciò è in contrasto con le disposizioni previste al terzo comma in quanto sembrerebbero assegnare la competenza a determinare la rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche proprio all’organo di appartenenza contraddicendo il fondamento precedente.

Per cui i commi primo e terzo sono espressione di due fattispecie distinte, non interdipendenti ma autonome, da cui scaturisce una differenziazione sia sotto il profilo della competenza a fissare la remunerazione, sia riguardo alla quantità della stessa, in quanto è prevista una remunerazione supplementare a quella che i medesimi percepiscono come semplici consiglieri6. Lo speciale compenso attribuito all’amministratore investito della delega è giustificato dall’aggravio di lavoro che la concentrazione di attività in capo allo stesso comporta7. La riforma del diritto societario ha provveduto a modificare l’ultimo comma della disposizione, attraverso una prescrizione finale che consente di inserire nell’atto costitutivo una clausola che assegni all’assemblea la facoltà di “determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori inclusi quelli investiti di particolari cariche”.

Secondo l’interpretazione prevalente l’introduzione di una clausola statutaria risulti necessaria qualora si intenda riconoscere all’assemblea e non all’organo direttivo il potere di stabilire l’importo retributivo globale comprensivo anche della retribuzione degli amministratori investiti di particolari cariche.

Se viene fissato tale compenso globale per gli amministratori non è richiesto il parere dei sindaci, mentre è richiesto quando il consiglio di amministrazione, in base al potere riconosciuto dalla legge, determina la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto.

Riguardo al riparto di tale compenso il legislatore non si pronuncia né sull’organo deputato alla ripartizione né sui criteri da osservare per eseguire la medesima, per cui si ricorre al consiglio di amministrazione non essendo pensabile un organo diverso e risultando necessaria la formulazione del riparto.

Al secondo comma l’articolo 2389 c.c. contiene la previsione della legittimità di stabilire emolumenti “costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione8. Nella precedente versione l’art. 2389 c.c. al primo comma, indicava le partecipazioni agli utili dopo i compensi unendoli con una congiunzione, come se le partecipazioni agli utili non fossero da inquadrare fra i compensi, pertanto si perveniva o alla concessione di partecipazione agli utili oppure alla determinazione di compensi in misura fissa.

La scelta di collocare l’indicazione di emolumenti variabili proprio nel secondo comma dell’art. 2389 c.c., non riveste una valenza negativa in relazione alla posizione degli amministratori investiti di particolari cariche, ma corrisponde all’intenzione del riformatore di far emergere un principio secondo il quale simili forme retributive vanno necessariamente deliberate con l’intervento dei soci riuniti in sede statutaria o assembleare. La varietà terminologica adottata dall’art. 2389 c.c., remunerazione, compenso, partecipazione azionaria, non riveste alcun significato operativo.

Il compenso previsto per gli amministratori è considerato un costo che ha natura di spesa di esercizio anche se corrisposto sotto forma di partecipazione agli utili.

Secondo diversi orientamenti la funzione di tale forma di retribuzione è evidentemente quella di coinvolgere maggiormente gli amministratori, collegando il corrispettivo dovuto per la loro attività ai risultati di gestione; per cui compenso e partecipazione agli utili si distinguono in ragione della fissità e certezza del primo e della variabilità e aleatorietà del secondo9. Gli amministratori che accettino di essere retribuiti sulla base di una partecipazione agli utili diventano in qualche misura partecipi del rischio di impresa, anche se essi non partecipano alle perdite, ma in caso di risultato negativo potranno non ricevere alcunché quale corrispettivo dell’attività prestata10. Ma la più incisiva innovazione introdotta dal legislatore della riforma è relativa all’introduzione del compenso sotto forma di stock options ; a ciò fa esplicito riferimento il secondo comma dell’art. 2389 c.c. quando stabilisce che il compenso può essere costituito, in tutto o in parte, dall’attribuzione del diritto di sottoscrivere azioni di futura emissione a prezzo determinato (strike price), per cui il beneficiario è libero di esercitare o meno il suo diritto, mentre la società è vincolata all’obbligo di far acquistare i titoli oggetto dell’accordo. Il diritto d’opzione è assegnato gratuitamente a titolo d’incentivazione, poiché la posizione del beneficiario differisce da quella del normale acquirente di un’option call sul mercato, in quanto non è tenuto a versare il corrispettivo (premio).

La ratio sottesa alla configurazione di un piano di stock options consiste nella volontà della società emittente di creare un meccanismo attraverso il quale il comportamento dell’amministratore è orientato ad accrescere il valore di listino del titolo, soddisfacendo il suo interesse ma nello stesso tempo quello degli azionisti11.

Per quanto riguarda il sistema dualistico che prevede il consiglio di sorveglianza si rende operante l’art. 2364-bis, mentre per il sistema tradizionale e per quello monistico è da applicare l’art. 2364 c.c.

Nel contesto normativo del sistema dualistico l’unica disposizione relativa al trattamento economico spettante ai consiglieri di gestione è l’art. 2409-terdecies; secondo l’attuale formulazione il consiglio di sorveglianza, mentre ha una competenza esclusiva per la nomina e la revoca dei componenti del consiglio di gestione, ha un’autorità derogabile dallo statuto a favore dell’assemblea per la fissazione del loro compenso.

Bisogna a tal proposito evidenziare l’omissione del legislatore il quale, nell’art. 2409-undecies c.c., non richiama affatto l’art. 2389 c.c. tra le norme del modello tradizionale dichiarate applicabili, in quanto compatibili, al consiglio di gestione del sistema dualitico.


4. I fattori che influiscono sull’entità dei compensi degli amministratori

Uno dei problemi più delicati in materia di compensi degli amministratori è relativo all’entità del trattamento economico dato che la normativa codicistica non contiene indicazioni espresse al riguardo. Ciò starebbe a significare che esiste una certa libertà di determinazione che, comunque, non si traduce in una completa autonomia in quanto la società deve essere gestita con criteri razionali avendo cura di contemperare gli interessi dell’amministratore con quello della società.

Condizione che non si verifica, ovviamente, tanto se si eccede nella misura, quanto se il compenso non appare adeguato. Riguardo al metodo cui ancorare la quantificazione degli emolumenti bisogna sottolineare che la retribuzione variabile, legata ai risultati economici dell’impresa, pone in maniera ancora più stringente il problema della correlazione tra remunerazione, attività gestoria e redditività aziendale. Il nesso tra questi tre elementi ha sollevato diversi dubbi. In giurisprudenza si rinvengono pronunce a favore dell’assoluta indifferenza dei compensi dei manager rispetto ai risultati conseguiti e allo stato di salute della società12; a tal proposito, tuttavia, è in atto una nuova tendenza volta ad imporre una più generale condotta etica alle imprese nella prospettiva di legare anche la remunerazione fissa di base agli obiettivi ottenuti e alla performance sociale.

In assenza di una norma espressa13 sulla metodologia di determinazione della remunerazione , bisogna valutare la questione alla luce della qualificazione che si attribuisce al rapporto intercorrente tra società e amministratori. Le disposizioni da valutare sono: l’art. 1709 c.c. che pone la presunzione di onerosità del mandato14, l’art. 2233 c.c. che disciplina le modalità di determinazione del compenso del professionista intellettuale15, e gli artt. 2099 c.c. e 36 Cost. che concernono la retribuzione del prestatore di lavoro subordinato16.

Nonostante tali prescrizioni non trovino immediata applicazione è possibile ricavare, in particolare dall’art. 36 Cost., il principio di ordine generale per cui l’attività o l’opera svolte meritano di essere retribuite in proporzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato. Il concetto di proporzionalità, inoltre, risulta sotteso al richiamo che il legislatore compie nell’art. 2233 c.c. “all’importanza dell’opera” e al “decoro della professione”; ed è altresì sotteso nell’art. 1709 c.c., laddove si limita a devolvere al giudizio del magistrato la determinazione del compenso del mandatario in assenza di pattuizioni al riguardo. Da ciò si evince, secondo parte della dottrina,17 il richiamo al parametro dell’equità come espressione del concetto di proporzionalità. Tale criterio risulta inoltre condivisibile dalla stessa giurisprudenza precisandolo talora in relazione alla particolare qualità della prestazione resa18, talvolta in relazione alle peculiari mansioni affidate all’amministratore19, talaltra in relazione all’importanza dell’incarico e dell’impegno che esso comporta20 o ancora in relazione alle dimensioni e al giro di affari della società21 . Per cui è attraverso la combinazione di questi indicatori di massima, collocati nella situazione del caso concreto, che si può pervenire alla fissazione di un’equa e adeguata retribuzione. Per quanto riguarda la qualità del lavoro, la stessa, è suscettibile di miglioramento in rapporto all’applicazione dell’art. 2387 c.c. relativo ai requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza. Da ciò risulta, in particolare, che lo statuto può subordinare la nomina ad amministratore al possesso di speciali requisiti di professionalità.

Un altro aspetto, di certo influente, per determinare l’entità dei compensi, è quello della responsabilità. Il rilievo della responsabilità secondo le comuni leggi economiche non può non formare oggetto di valutazione, sia pure sotto forma di stima; il che, conduce ad un “quid pluris”in un compenso che molto spesso è basato sull’impiego di tempo e, eventualmente,sulla qualità del lavoro dell’amministratore.

In conclusione, bisogna sottolineare che i parametri principali intorno a cui far ruotare la determinazione del compenso sono rappresentati dai compiti che è chiamato ad eseguire l’amministratore e la situazione della società intesa in senso lato, senza che si possa omettere di considerare le diverse variabili che soltanto la contingenza della singola fattispecie può evidenziare.

È convinzione radicata, nonostante il silenzio della legge, che in caso di omessa o inadeguata determinazione del compenso da parte dell’organo competente, l’amministratore possa adire l’autorità giudiziaria per ottenere la liquidazione.

La possibilità di rivolgersi al giudice è prevista, inoltre, nell’ipotesi in cui l’atto costitutivo non contenga previsioni circa il trattamento economico dei componenti dell’organo amministrativo, nonché nell’ipotesi in cui sorga controversia in ordine alla corretta applicazione dei parametri previsti dallo statuto mentre rimane preclusa nel caso di gratuità dell’incarico.


5. Disposizioni della Legge Finanziaria 2007: compensi e numero degli amministratori delle società partecipate da enti locali.

In connessione con quanto appena rilevato bisogna evidenziare l’analisi delle diverse implicazioni del tema del compenso nell’ambito della struttura societaria, in seguito alle misure previste dalla Legge Finanziaria relative al compenso degli amministratori di società partecipate da Enti Pubblici. A riguardo va subito anticipato che la nuova e speciale disciplina non si presenta particolarmente curata quanto alla tecnica redazionale, infatti è stata oggetto di diverse critiche. Inoltre, presenta un carattere disorganico e frammentario; in particolare, si sono evidenziate problematiche relative ai criteri interpretativi, all’efficacia temporale delle norme, alla gerarchia delle fonti e alla coerenza con i principi generali dell’ordinamento giuridico. La parte della manovra finanziaria che ci interessa analizzare è quella riguardante gli Enti Locali, in particolare i commi da 725 a 729 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 introducono alcune norme sia in materia di compensi agli amministratori di società pubbliche “locali” ovvero partecipate, totalmente o parzialmente, da Comuni o Province (commi 725-728) sia sul numero complessivo dei componenti i relativi consigli di amministrazione (comma 729).


5.1. Compensi agli amministratori

Quanto al primo tema, la Legge Finanziaria ha distinto le società in funzione dei soci (pubblici o pubblici e privati) che le partecipano. Così possiamo avere società a totale partecipazione di singoli comuni o province; società a totale partecipazione pubblica di una pluralità di enti locali e società a partecipazione mista di enti locali e altri soggetti pubblici e privati. Inoltre, la legge ha previsto una esplicita esclusione di applicazione della normativa in esame per le società quotate in borsa (c. 733).

Come evidenzia la disciplina dei servizi locali, lo strumento associativo è utilizzato in vario modo per assicurare l’intervento pubblico in determinati settori magari con il coinvolgimento del capitale privato.

Nell’ipotesi di società interamente posseduta da un solo ente locale (comune o provincia), il comma 725 prevede che “il compenso lordo annuale, onnicomprensivo, attribuito al presidente e ai componenti del consiglio d’amministrazione non può essere superiore, per il presidente all’80%, e per i componenti del consiglio d’amministrazione al 70% delle indennità spettanti, rispettivamente al sindaco e al presidente della provincia ai sensi dell’art. 82, d.lgs. 267/00”. Sotto il profilo soggettivo la regola di onnicomprensività prevista dal comma 725 ha determinato un dibattito riguardo al problema se il tetto ai compensi vada o meno applicato agli amministratori investiti di particolari cariche ai sensi del terzo comma dell’art. 2389 c.c. Mentre una prima tesi, ancorata ad un eccessivo formalismo, nega che i limiti in parola possano applicarsi anche agli amministratori delegati, osservazioni successive evidenziano come il termine “ onnicomprensivo” debba riferirsi a qualsiasi compenso percepito dal Presidente o dal componente (provvisto o meno di deleghe) del consiglio di amministrazione in virtù del rapporto societario22 comprendendo, pertanto, sia quello stabilito “ all’atto della nomina o dall’assemblea” (art. 2389 c.c.), sia quello attribuito dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale, agli amministratori “investiti di particolari cariche in conformità dello statuto”23.

La possibilità da parte del consiglio di amministrazione di attribuire un compenso separato agli amministratori di società partecipate da enti locali “investiti di particolari cariche” non è esclusa ma limitata dal c. 725, nel senso che tale compenso, anche se differenziato rispetto a quello concesso agli altri amministratori, non può comunque essere fissato in misura tale che, complessivamente,ossia tenendo anche conto di quello stabilito “ all’atto della nomina o dall’assemblea”, venga a superare quello massimo determinato in applicazione dei criteri previsti dal medesimo c. 725.

La previsione di “onnicomprensività” della retribuzione dovuta agli amministratori di società partecipate da enti locali trova una parziale deroga nel secondo periodo del c. 725, in virtù del quale è consentito erogare agli amministratori suddetti un compenso ulteriore e aggiuntivo sotto forma di “ indennità di risultato” nel caso di produzione di utili e in misura ragionevole e proporzionata. Ne consegue che l’indennità di cui trattasi potrà essere deliberata dall’assemblea dopo l’approvazione del bilancio di esercizio e solo se la società ha realizzato degli utili. La disposizione ora citata sembra fare riferimento al comma 2 dell’art. 2389 c.c., il quale prevede che i compensi degli amministratori di società per azioni “possono essere costituiti in tutto o in parte di partecipazione agli utili”.

Non sembra, invece, che sia applicabile alle società partecipate dagli enti locali, in considerazione di quanto stabilito dal c. 725, l’altra fattispecie disciplinata dal comma 2 dell’art. 2389 c.c., ossia quella che prevede la possibilità che gli amministratori di società per azioni vengano retribuiti mediante “l’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione” (stock option).

Per il caso di società a totale partecipazione pubblica, ma detenuta da due o più enti locali, al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione possono essere riconosciuti rispettivamente non più dell’80 e del 70 per cento dell’indennità spettante al rappresentante legale del socio pubblico con la maggiore quota di partecipazione ovvero, soltanto in caso di parità di quote, a quella di maggiore importo tra le indennità spettanti ai rappresentanti dei soci pubblici.

Tra i modelli di società, un’ulteriore forma di gestione dei servizi pubblici locali, a cui la Legge Finanziaria fa riferimento è quella della società a partecipazione mista24, tale modello prevede la partecipazione al capitale sociale, non solo degli enti locali, ma anche di altri soci, pubblici o privati, per cui si è introdotta un’ulteriore distinzione in società a capitale pubblico maggioritario e società a capitale pubblico minoritario.

Essa rappresenta un modello integrativo delle risorse e delle necessità di garanzia di determinati servizi tipicamente pubblici con le risorse, le capacità e l’organizzazione tipicamente imprenditoriali. La natura giuridica delle società miste resta un punto estremamente controverso sia in dottrina che in giurisprudenza; si tratta di società a natura pubblica se si offre rilievo alla fase costitutiva del soggetto, nel quale entrano logiche pubblicistiche e valutazioni (politiche) in merito al perseguimento di fini pubblici25, i quali conducono alla creazione della società come modulo organizzativo dell’amministrazione26; si tratta altresì di società privata se si guarda al momento operativo della vita dell’ente, dotato di capacità imprenditoriale a tutti gli effetti, sganciato anche funzionalmente dalla collettività di riferimento27. Mentre per le società a capitale pubblico maggioritario è possibile incrementare le percentuali già previste dal comma 725 nella misura di un punto percentuale ogni cinque punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi dagli enti locali, per quelle a capitale pubblico minoritario il meccanismo premiale è raddoppiato in quanto l’incremento è di due punti ogni cinque punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi da enti locali.

Ciò sembra favorire le società a capitale pubblico minoritario a differenza della nuova formulazione dell’art. 113, d.lgs. 267/2000 (TUEL) che aveva eliminato ogni differenza tra i due modelli di società, ponendo l’accento piuttosto che sulla quantità di capitale detenuto dagli enti locali, sulle modalità di selezione “del socio privato”.

Tale articolo infatti prevede espressamente che quest’ultimo sia scelto attraverso l’espletamento di gare con procedura ad evidenza pubblica, al fine di evitare discrezionalità da parte dell’Ente Pubblico nella scelta del socio.

Un altro aspetto da valutare concerne l’equiparazione, ai fini dell’applicazione dell’incremento dei compensi, tra soci privati e soci pubblici differenti dagli enti locali, scoraggiando la sola partecipazione degli enti locali alle società di capitali e non anche quella di altri soggetti pubblici (Stato, università, aziende sanitarie ed altre amministrazioni pubbliche); da ciò traspare un possibile elemento di irragionevolezza della norma, soprattutto laddove sembra limitare l’esigenza di contenimento della spesa pubblica ai soli enti locali28.

Va inoltre sottolineato il possibile effetto controproducente29 di una norma che impone limiti, nella determinazione dei compensi agli amministratori, anche alle società a capitale pubblico minoritario in cui sia il socio privato a detenere la maggioranza.

Il comma 727 infine dispone,che, in materia di rimborsi spese e indennità di missione, al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione si applica la disciplina di cui all’art. 84, d.lgs. 267/00; tale norma sembrerebbe riferirsi alle sole società a totale partecipazione di enti locali, ma una lettura armonica dell’intero complesso normativo rende possibile stenderla anche all’ipotesi di società a partecipazione mista30.

Come già anticipato tale disciplina si presenta piuttosto frammentaria, la scelta, poi, di intervenire in materie già coperte in parte da disciplina generale e oggetto di accordi tra soggetti anche privati, solleva dubbi di opportunità per violazione dei principi di ragionevolezza e di libertà di iniziativa economica. In primo luogo, tutti i commi considerati (725-729) fanno riferimento indiscriminato alle società (senza indicare di quale modello) al presidente e ai componenti del “consiglio d’amministrazione”31, organo previsto soltanto nel sistema tradizionale e in quello monistico. Le norme della Legge Finanziaria sembrano ignorare i tre diversi assetti di governance introdotti con la riforma del diritto societario, una parte della dottrina, infatti, esclude, basandosi sulla lettera della legge, l’applicabilità delle disposizioni ai componenti del consiglio di gestione, del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo sulla gestione. Al fine di giungere ad una disciplina uniforme, il codice civile utilizza l’espressione “amministratori” per indicare i componenti del consiglio d’amministrazione nel sistema tradizionale, ma chiarendo all’art. 223 septies delle disposizioni attuative che “se non diversamente disposto, le norme del codice civile, che fanno riferimento agli amministratori e ai sindaci trovano applicazione, in quanto compatibili, anche ai componenti del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza, per le società che abbiano adottato il sistema dualistico, e ai componenti del consiglio d’amministrazione e ai componenti del comitato per il controllo sulla gestione, per le società che abbiano adottato il sistema monistico”.

Tuttavia è stato osservato, da diversi autori, che il principio di applicabilità automatica riguarda le norme del codice civile e non anche quelle di leggi speciali32 e che il suddetto principio di applicabilità riguarda l’espressione generica di “amministratori”e non anche quella specifica di “componenti del consiglio di amministrazione”.

Un’interpretazione delle norme della Legge Finanziaria fondata sull’intenzione del legislatore e sulla relativa omogeneità di funzioni tra i diversi organi, a differenza di un’interpretazione rigorosamente letterale, ci consente di applicare la norma anche ai membri del consiglio di gestione nel caso del sistema dualistico.

Qualche incertezza si presenta, invece, in caso di adozione del sistema monistico in quanto ove si applicasse la normativa al consiglio d’amministrazione di tale società, nel caso di limite massimo di tre membri, diverrebbe impossibile la nomina di un comitato di gestione33; una parte della dottrina, a tal proposito, sostiene che il numero dei componenti del comitato di controllo sulla gestione non possa essere inferiore a tre, anche per le società che non facciano ricorso al mercato del capitale di rischio, inoltre il “ tetto” ai compensi sarebbe vanificato dal fatto che uno dei tre componenti avrebbe diritto ai maggiori compensi in funzione della particolare carica rivestita.

La disciplina di cui ai commi 725-728, introduce elementi di differenziazione tra i diversi sistemi di governance delle società per azioni, senza alcuna ragione ammissibile sul piano del contenimento della spesa pubblica. Come risulta evidente, inoltre, il legislatore ha preso in considerazione con tali disposizioni, la sola ipotesi in cui l’amministrazione delle società partecipate da enti locali sia affidata a più persone, che costituiscono il consiglio di amministrazione.

È tuttavia possibile che vi siano società partecipate da enti locali amministrate da una sola persona ( amministratore unico); in questo caso la misura del compenso massimo da corrispondere a tale amministratore è quella prevista per il presidente e cioè l’80% delle indennità spettanti al sindaco o al presidente della provincia.

In merito alle società controllate, una parte della dottrina,ha osservato che il comma 725 in materia di compensi sembrerebbe riferirsi esclusivamente alle società partecipate direttamente dagli Enti Locali considerato che il successivo comma 729 riguardo al numero degli amministratori, al contrario fa espressamente riferimento alle partecipazioni indirette.ù

Alla luce di ciò, quindi, si ha l’impressione che la volontà del legislatore sia di penalizzare, per quanto attiene ai compensi, le società partecipate esclusivamente e direttamente dagli Enti Locali stessi34 in quanto la norma non porrebbe limiti all’ammontare dei compensi delle partecipate o controllate dalle società degli Enti Locali.


5.2 Numero dei componenti del consiglio di amministrazione

La Legge Finanziaria, al fine di contenere la spesa degli enti locali, non solo ha stabilito la misura massima dei compensi spettanti agli amministratori delle società partecipate da tali enti, ma ha altresì determinato, se si tratta di società totalmente partecipate, anche in via indiretta, da enti locali, il numero massimo dei componenti il consiglio di amministrazione e, se si tratta, invece, di società miste, il numero massimo di componenti di detto consiglio che possono essere “designati” dagli enti locali (c. 729).

In relazione al “tetto” del numero massimo di amministratori delle società pubbliche totalmente partecipate anche in via indiretta da enti locali, il legislatore ha posto il limite numerico di tre componenti ovvero di cinque nell’ipotesi in cui il capitale sociale, interamente versato, sia superiore a un certo importo, che dovrà essere determinato con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, entro sei mesi dall’entrata in vigore della Legge Finanziaria 2007. La determinazione del numero “massimo”di componenti dei consigli di amministrazione, pertanto, non è, diversamente da quanto avviene per le società disciplinate dal codice civile, nella completa disponibilità dei soci (art. 2380-bis, c.4), dipendendo, sia pure in parte, dall’entità del capitale della società; nonostante il criterio dell’entità del capitale sociale serva per individuare il numero massimo dei componenti del consiglio d’amministrazione, sembra chiaro che gli enti locali possano determinare tale numero in misura inferiore a quella massima stabilita dalla Legge Finanziaria o anche non prevedere la costituzione del consiglio di amministrazione, affidando l’amministrazione della società ad un solo amministratore. Per quanto riguarda, invece, le società a partecipazione mista, il criterio dell’entità del capitale sociale, non risulta applicabile in quanto, in tali società, qualsiasi sia l’entità del capitale sociale, il numero massimo dei componenti designabili dai soci pubblici locali (ivi comprese anche le Regioni) non può essere superiore a cinque. Il numero dei componenti del consiglio di amministrazione che possono essere designati dagli altri soci è, quindi, libero. Da ciò si evince che libero è anche il numero complessivo dei componenti del consiglio di amministrazione delle società miste. Si tratta di una fattispecie alquanto particolare, in quanto si è in presenza di una sorta di patto di “sindacato di voto” , non necessariamente “parasociale” dato che risulta possibile che le relative previsioni siano inserite nello statuto, con il quale i soci della società mista stabiliscono il numero di amministratori che dovranno rispettivamente nominare e si impegnano a votare in assemblea in modo conforme a ciò che è stato oggetto dell’accordo.

In connessione con quanto appena rilevato bisogna sottolineare che nel caso in cui lo statuto o eventuali patti parasociali, attualmente esistenti, riservino ai soci pubblici locali la nomina da parte dell’assemblea di un numero di componenti del consiglio di amministrazione di società mista superiore a cinque, la società dovrà, ai sensi del c. 729, adeguare lo statuto o i patti parasociali al fine di ricondurre la riserva di nomina a favore dei soci pubblici locali entro il limite massimo fissato dalla Legge Finanziaria. Nel caso in cui, invece, lo statuto e gli eventuali patti parasociali, nulla stabiliscono a riguardo, qualora il numero complessivo dei membri del consiglio di amministrazione sia superiore a cinque, i soci hanno l’obbligo di modificare lo statuto o di stipulare tra loro un patto parasociale allo scopo di stabilire la ripartizione delle nomine degli amministratori della società.

La disciplina di cui al comma 729 appare riferibile sia al presidente e ai componenti del consiglio d’amministrazione delle società che adottino il sistema tradizionale ed al presidente e ai componenti del consiglio di gestione delle società che adottino il sistema “dualistico”. Non risulta possibile, per ragioni logiche, un’interpretazione estensiva della disciplina in oggetto in relazione alle società che adottino il sistema monistico.


6. Gli effetti delle norme sugli organi amministrativi in carica

Nulla è previsto riguardo agli effetti delle norme della Finanziaria sugli organi amministrativi in carica; soltanto il comma 729, nel fissare il numero massimo di componenti del consiglio d’amministrazione delle società a totale partecipazione pubblica designabili dai soci pubblici locali, stabilisce che “ le società adeguano i propri statuti e gli eventuali patti parasociali entro tre mesi dall’entrata in vigore” del decreto con cui il Presidente del Consiglio fisserà l’importo del capitale sociale, interamente versato, oltre il quale il numero massimo di consiglieri nominabili sale da tre a cinque. Peraltro, nonostante una formulazione della norma certamente più chiara rispetto a quella del comma 725, non sono mancate sul punto interpretazioni divergenti.

Parte della dottrina ha sostenuto l’inefficacia della norma fino all’adozione del previsto Dpcm e quindi l’ammissibilità di atti di nomina di un numero di amministratori diverso rispetto a quello previsto dalla Legge Finanziaria. D’altro canto, su di un versante opposto si è collocato chi ha asserito, riguardo al tetto massimo di cinque consiglieri, che la norma debba applicarsi da subito, senza attendere l’emanazione del Dpcm, almeno nei casi in cui si debba procedere al rinnovo dei consigli di amministrazione.

Inoltre diversi autori,35 pur dubitando dell’applicabilità immediata della norma ai consiglieri in carica e pur condividendo le argomentazioni basate sulla mancanza del Dpcm, ritengono che per quanto attiene ai rinnovi dei consigli che debbano avvenire in questo periodo, il tetto massimo dei cinque consiglieri sembrerebbe essere considerato vincolante da subito in quanto conciliabile con la ratio di contenimento della spesa pubblica.

La decorrenza dell’applicazione della normativa è stata una delle questioni più dibattute, soprattutto riguardo alle norme relative ai compensi , e la dottrina ha offerto diverse soluzioni al problema. Una prima interpretazione nega l’applicabilità delle norme in esame ai consigli di amministrazione in carica, in base ad un raffronto sistematico con altre disposizioni della Legge Finanziaria che, invece, esplicitamente prevedono, la cessazione immediata degli incarichi ricoperti “ alla data di entrata in vigore della presente legge”36, mentre una simile previsione risulta al contrario assente nel comma 725. A sostegno di questa tesi, inoltre, il principio generale di irretroattività della legge, il principio di certezza del diritto37, nonché il divieto di reformatio in peius nei rapporti privatistici in atto. Altri autori hanno evidenziato, con un percorso argomentativo ancorato al diritto societario, che la norma, pur se immediatamente efficace, sarebbe inidonea ad incidere su atti legittimamente adottati dall’assemblea dei soci38. Un’analisi della giurisprudenza in materia non aiuta a pervenire a risultati univoci. Da un lato, infatti, un primo filone giurisprudenziale pone l’accento sulla natura privatistica del rapporto dei componenti il consiglio di amministrazione con le rispettive società pubbliche. In tale prospettiva il diritto al compenso diventa intangibile, quindi, non modificabile “se non con espressa manifestazione di volontà dell’amministratore”39. In tale senso, si è pronunciata anche la Giustizia Amministrativa40. La qualificazione dei rapporti in parola come squisitamente privatistici sostiene la tesi relativa alla non applicabilità della nuova disciplina agli organi in carica soprattutto in virtù dell’intangibilità degli effetti di un atto tipicamente espressione di autonomia privata, qual è quello assembleare. Diversi orientamenti giurisprudenziali collocano le società degli enti locali su di un versante più prettamente pubblicistico pervenendo a riflessioni di segno opposto. La stessa Corte Costituzionale41 relativamente alle Società degli enti locali ha sostenuto che si tratta di “società che, per essere a capitale interamente pubblico, ancorché formalmente privata, può essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici”. In tal senso la Corte dei Conti che è un Organo chiamato ad applicare le disposizioni in esame, in funzione dell’obiettivo di risanamento della finanza pubblica, è pervenuta ad una interpretazione di tale normativa in chiave sostanziale e non formale42, propendendo per una immediata applicazione della norma anche ai consigli in carica.

In realtà, quest’ultimo orientamento a sostegno dell’immediata applicazione della norma di cui al comma 725 anche ai consigli di amministrazione in carica, non appare del tutto convincente in quanto viene meno l’aderenza a principi fondamentali dell’ordinamento giuridico quali il principio di certezza del diritto e il divieto di interpretazione analogica o estensiva ex art. 14 preleggi.

Risulta, pertanto, indispensabile, considerati gli aspetti problematici della norma che pongono gli amministratori degli enti locali, nella loro veste di soci, e gli amministratori delle società partecipate in una condizione di grande incertezza operativa che il legislatore si pronunci in tempi rapidi sulla materia in oggetto con un intervento chiarificatore.

1 V., in argomento: Giovanni Caselli in Trattato delle SpA diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Utet;

Francesco Galgano in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Cedam;

Francesco Bonelli in Gli amministratori di società per azioni, Utet;

Anna Laura Bonafini in Compensi degli amministratori di società per azioni, Giuffrè.

2 Associazione Preite, Il diritto delle società, a cura di G. Olivieri,, G. Presti, F. Vella, Bologna, il Mulino, 2004, 175; G.F. Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, Torino, Utet, 2004, 111; F. Di Sabato, Istituzioni di diritto commerciale, Milano, Giuffrè, 2004, 184; F. Galgano, R. Genghini, Il nuovo diritto societario, 255; B. Limonati, L’impresa, 250; A.Toffoletto, Amministrazione e controlli, in Diritto delle società di capitali.

3 Anche l’orientamento giurisprudenziale risulta consolidato, limitandosi ad alcune pronunce più recenti: Cass., 3 aprile 1990, n. 2679, in Riv. Giur. Lav., 1990, II, 272; Cass., Sez. Un., 14 dicembre 1994, n.10680, in Società, 1995, 638; Cass., 24 febbraio 1997, n. 1647, in Giust. Civ. Mass., 1997, 297.

Trib. Milano, 6 maggio 1991, in Giur.it., 1991, I, 2, 882 e in Società, 1992, 66; Trib. Torino, 21 maggio 1996, ivi, 1996, 1315 con commento do A. Figone, Legittimità della revoca degli amministratori in forma tacita; Trib. Bologna, 4 luglio 2002, in Società, 2003, 1140 con commento di F.Collia, Natura del rapporto tra amministratore delegato e società.

4 Cass., 17 novembre 1971, n.3297, in Foro it., 1972, I, 2974 con nota di R.Martinelli considera l’accettazione, pure implicita, elemento perfezionativo del negozio avente ad oggetto il compenso; Cass., 26 gennaio 1976, n.243, ivi, 1976, I, 615.

5 In dottrina, A.Fiorentino, Gli organi, 136; V. Calandra, Manuale , 320; O.Bosisio, Retribuzione degli amministratori e dei sindaci, in Riv. Dott. Comm., 1958, 345; O. Lo Cigno, Commento all’art. 2389, Del lavoro, 162 secondo cui esiste “ un principio di correttezza amministrativa”, atta ad impedire ogni abuso; G. Bianchi, Gli amministratori di società di capitali, Padova, Cedam, 1998; D. Fracchia, La determinazione dei compensi degli amministratori: le ipotesi patologiche e le prospettive di riforma, in Giur. Piem., 2001, I, 10 ricorda che dall’art.2389 c.c. si desume l’interesse del legislatore per la conoscibilità e la trasparenza delle modalità di determinazione del compenso.

In giurisprudenza: Cass., 13 maggio 1960, n. 1135, in Giust. Civ., 1960, I, 857, in Giur. It., 1960, I, 1, 1255, in Foro.it., 1960, I, 1334, in Temi nap., 1961, III, 29 ribadisce che il legislatore ha voluto evitare che sia proprio il consiglio di amministrazione a procedere alla determinazione del compenso, “ venendosi a creare, in tal modo, un conflitto di interessi tra questi e la società”; Trib.Torino, 28 giugno 1984, cit. (I nt. 86), 28 sancisce che si ha violazione della competenza esclusiva dell’assemblea e pertanto nullità della relativa deliberazione, qualora la delibera di determinazione del compenso sia stata assunta dal consiglio composto da tutti gli amministratori portatori dell’intero capitale sociale; Trib. Milano, 23 maggio 1991, in Giur.it., 1991, I, 2, 545 e in Società, 1992, 67.

6 Società per azioni, in Casi e materiali di diritto commerciale, I, Milano Giuffrè, 1974, 697; V. Allegri, Amministratori e consiglio direttivo, 831; S. Alberghini, Sul compenso, 100. App. Genova, 9 Dicembre 1981, in Foro pad., 1981, I, 341; Trib. Milano, 5 novembre 2001, cit. (II nt. 31), 731.

7 A. Mignoli, Le “ partecipazioni agli utili”, 125; A. Bartalena, Note, 214; V. Allegri, Gli amministratori, in V.Allegri e altri, Diritto coomerciale, Bologna, Monduzzi, 1993, 356.

8 Sull’ammissibilità della combinazione tra componenti fissa e variabile non è il caso di dilungarsi, trattandosi di un principio acquisito: cfr. Cass., 22 luglio 1969, n.2755, cit. (I nt. 35), 450. In argomento, M. Gerevini, M. Sideri, Mincato e Scaroni, primi per utili non per stipendi, in Corriere della Sera, 31 marzo 2004, 27 forniscono dati sull’entità e la ristrutturazione dei compensi percepiti dai top manager italiani.

9 Paolo Cecchi, Gli amministratori di società di capitali, Giuffrè.

10 Franco Monelli, Gli amministratori di società per azioni, Milano, Giuffrè.

11 Per una visione d’insieme del fenomeno: M.J. Canyon, K. J. Murphy, Stock-Based Esecutive Compensation, in J.A. McCahery, P. Moerland, T. Raaijmakers, L. Renneboog ( ed), Corporate Governance Regimes.

Convergence and Diversità, Oxford, Oxford University Press, 2002, 625-645; G. Ferrarini, N. Moloney, C. Vespro, “ Governance Matters”. Sulla specificità della creazione di valore nei gruppi di imprese, R. Moro- Visconti, Lo stock options nei gruppi piramidali, In Impresa c.i., 2000, 751 ss.: invero, il novellato art.2389 c.c. non escute la possibilità dell’emissione di opzioni riguardanti azioni di altra società del gruppo.

12 Cass., 26 febbraio 2002, n.2769, cit. (I nt.36), 1079 afferma che il diritto al compenso spetta all’amministratore “ quale che sia il risultato della sua attività, apprezzabile o non in termini economici, sia esso conforme alle aspettative dei soci, ovvero criticabile”: la pronuncia è corretta se si considera che l’obbligazione gestoria è di mezzi, e non di risultato, ma solleva qualche dubbio in relazione al globale orientamento della nostra giurisprudenza che tende a svalutare la connessione tra attività gestoria e performance sociale.

13 F. Tusquets Trías De Bes, La remuneración, 54 nota che, nel nostro ordinamento, l’assenza di criteri per la determinazione del quantum della retribuzione “ resulta en cierta forma sorprendente, puesto che …. el cargo se presume oneroso”

14 App. Milano, 30 gennaio 1973, in Dir. Fall., 1973, II, 165; Trib. Torino, 28 giugno 1984, cit. (I nt. 86), 29. Associazione Prete, Il diritto delle società, 175, pur osservando che l’adozione di tali criteri non è esente da discussioni.

15 Trib. Milano, 22 ottobre 1956, cit. (I nt. 87), 1306; Trib. Milano, 23 maggio 1991, cit. ( II nt. 4), 67. In dottrina, O. Bosisio, Retribuzioni, 528; G. Caselli, Vicende, 60; G. Bianchi, Gli amministratori, 137.

16 G. Minervini, Gli amministratori, 379, partendo dalla premessa che il rapporto di gestione configura un contratto da includersi nella categoria del lavoro in senso lato, osserva che il richiamo alle discipline del mandato o del lavoro subordinato ci porta a risultati omogenei.

17 G.Minervini, Il mandato, 132; G. Bavetta, voce Mandato (dir. Priv.), in Enc. Del diritto., XXV, 1975, 351; A.Luminoso, Mandato, 146.

18 Cass., 26 gennaio 1976, n.243, cit. (I nt. 47), 615.

19 Trib. Catania, 23 luglio 1965, in Dir. Fall., 1965, II, 943; Trib. Udine, 4 marzo 1982, cit.(I nt. 65), 724 ss.;

20 Trib. Torino, 28 giugno 1984, cit. (I nt. 86), 29 distingue a seconda che l’impegno sia saltuario ovvero continuato o regolare.

21 Trib. Milano, 21 settembre 1989, cit. (I nt. 92), 46 sottolinea la rilevanza del complesso delle operazioni sociali.

G. Caselli, Vicende, 61.

22 Risulta,ormai, condiviso in dottrina che, al contrario, non rientrano nel suddetto limite i compensi percepiti dal consigliere in virtù di un separato incarico professionale con la società.

23 C. Tessarolo, in www.dirittodeiservizipubblici.it;

24 A. Del Dotto su http:// www.altalex.com

25 Cons. Stato, sez. V, sentenza 3 settembre 2001, n. 4586 per cui “ la società mista a prevalente capitale pubblico costituita o partecipata da un ente locale per lo svolgimento di un pubblico servizio…, pur essendo dotata di capacità imprenditoriale, non può essere considerata a tutti gli effetti come un soggetto privato, vincolato unicamente dalle norme statutarie”

26 Vedi in tal senso, Cons. Stato, Ad. Gen., sentenza 16 maggio 1996, n. 90.

27 Così Cass., S. U., sentenza 6 maggio 1995, n. 4991.

28 ANCI, Prime note sui commi della Finanziaria 2007 in materia di compensi e numero degli amministratori delle società partecipate, totalmente o parzialmente, da enti locali., in www.anci.it

29 Nell’ipotesi, infatti, in cui il socio privato di maggioranza abbia fissato i compensi degli amministratori in misura inferiore rispetto a quelli massimi previsti dalla legge Finanziaria, può risultare possibile una richiesta di un “riallineamento verso l’alto”degli stessi.

30 Se, ai sensi del comma 728, non vi è differenza riguardo ai compensi tra gli amministratori di società a totale partecipazione pubblica e amministratori di società a capitale misto, resta ancora da chiarire come mai questi ultimi dovrebbero godere di un regime differenziato in materia di indennità di missione e rimborso spese.

31 M. Calzoni, “ Le nomine ed i compensi legali. Cosa cambia…”. Nello stesso senso M. Malena, “Limiti ed ambiti di applicazione..” che giunge ad affermare che il legislatore della legge finanziaria si è disinteressato degli organi amministrativi propri dei modelli alternativi.

32 E ciò a maggior ragione ove si consideri che la medesima norma al comma successivo, fa riferimento alle leggi speciali: “ ogni riferimento al collegio sindacale o ai sindaci presente nelle leggi speciali è da intendersi effettuato anche al consiglio di sorveglianza e al comitato per il controllo sulla gestione o ai loro componenti, ove compatibile con la specificità di tale organi” art. 223septies, disposizioni attuative c.c.

33 Si fa riferimento, in tal senso, a quella dottrina che sostiene, per diverse ragioni, che il numero dei componenti del comitato di controllo sulla gestione non possa comunque essere inferiore a tre, anche per le società che non facciano ricorso al mercato del capitale di rischio (Grezzi, 2005; Colombo, 2003).

34 V. in argomento L. Manassero, Legge Finanziaria 2007; disposizioni in materia di Consigli di Amministrazione delle società degli Enti Locali: residue incertezze applicative ed analisi delle diverse posizioni dottrinali circa gli aspetti più controversi in www.dirittodeiservizipubblici.it

35 A. Paparo, G. Campana, F. Pietrosanti “L. 27 dicembre 2006, n.°296” (Legge Finanziaria 2007).

36 Si veda il comma 459 “ai fini del contenimento della spesa pubblica, il numero dei membri del Consiglio di Amministrazione della società di cui al d.lgs. 1/99, nonché della società di cui all’art. 13, c.2 lett. E), del d.lgs. 79/99, è ridotto a tre. I componenti dei suddetti consigli di amministrazione cessano dall’incarico alla data di entrata in vigore della presente legge…”

37 A. Paparo. G. Campana e F. Pietrosanti “ L. 27 dicembre 2006, n° 296..; più in particolare, è stato sostenuto che la certezza del diritto nei rapporti giuridici rappresenta “ un valore cardine dell’ordinamento giuridico comunitario e nazionale (Corte di Giustizia UE Cause C-280/00 e 247/03), essendo importante che, per garantire la certezza del diritto, i singoli possano contare su una situazione giuridica chiara e precisa che consenta loro di sapere esattamente quali sono i loro diritti e di farli valere”

38 M. Malena, “ Limiti ed ambiti di applicazione delle norme di cui ai commi dal 725 al 728 e brevi cenni sul comma 729 dell’art.1 della legge finanziaria per il 2007”, reso all’Associazione ASSTRA ed a Confservizi il 31 dicembre 2006/30 gennaio 2007.

39 Trib. L’Aquila, 14.4.2004 , in www.dirittodeiservizipubblici.it

40 Tar Calabria, Catanzaro, Sez.II, 18.2.2006 n°1984, in www.dirittodeiservizipubblici.it

41 Corte Costituzionale n° 29 del 2006

42 Corte dei conti, sez. giurisd. per la regione Abruzzo, 14/1/2005 n.67, in www.dirittodeiservizipubblici.it

data di pubblicazione: 28 luglio 2007