Home page

Vol. V/2007

RIVISTA DI DIRITTO DELL’ECONOMIA,

DEI TRASPORTI E DELL’AMBIENTE

 

 

Guido Camarda, Il soccorso in mare, Profili contrattuali ed extracontrattuali
Milano, Giuffrè ed., 2007, XVII-459 pp. *

 

 

di Umberto La Torre **

 

 

Il soccorso in mare è un istituto tradizionale del diritto marittimo, ma è anche il titolo (Il soccorso in mare, Profili contrattuali ed extracontrattuali) di una recente opera di cui è autore il prof. Guido Camarda.

 Consentitemi anzitutto di dare uno sguardo alla copertina del libro. Esso figura nel più prestigioso fra i trattati italiani, il Trattato di Diritto civile e Commerciale già diretto da Cicu e Messineo, e continuato prima da Mengoni ed oggi da Shlesinger: esso annovera, fra le altre, opere di giuristi del calibro di Francesco Messineo, Salvatore Pugliatti, Andrea Torrente, Francesco Galgano ed altri ancora, non meno importanti per il solco, profondo, che hanno tracciato nella cultura giuridica non soltanto italiana.

 Se parlo della copertina, non intendo fornire una mera indicazione sulla collocazione editoriale del libro: se così fosse finirei per sminuire e non per esaltare i meriti dell’Autore. Il mio intento è quello di porre in luce che far parte di questo Trattato significa scrivere sullo stato che in un particolare momento storico corrisponde al livello di maturità raggiunto dalla dottrina su un determinato istituto. Questo è un onore, che comporta anche l’onere di un più accurato impegno, sia sotto il profilo della ricerca, che non esclude l’approfondimento dei più accreditati orientamenti dottrinali e giurisprudenziali seguiti in paesi diversi dal nostro, sia sotto il profilo squisitamente scientifico, tale da richiedere quella solidità di impianto e quel rigore metodologico che circoscrivono in uno spazio più sorvegliato la libertà di opinioni personali concessa all’Autore di una semplice monografia.

Quanto al salvataggio, si guarda ad un quadro di riferimenti certamente composito, che ha - almeno in genere - come base il più limitato profilo dell’assetto organizzativo di bordo, o la posizione preminente di chi, quale comandante,di fronte ad avvenimenti che mettono in pericolo la spedizione, deve cercare di assicurarne in tutti i modi la salvezza.

Non sono comunque mancati sul tema importanti contributi di ampio respiro, pubblicati dagli anni immediatamente successivi alla emanazione del codice della navigazione sino alla fine degli anni ’90: per la nostra dottrina mi limito a ricordare le monografie di Ferrarini e Volli, di Vincenzini, dello stesso Camarda e di M. P. Rizzo.

 

Se adesso leggiamo “Il soccorso in mare”di Guido Camarda, avvertiamo subito che un filo conduttore nuovo lega tutta l’opera. L’idea centrale, innovativa è quella del salvataggio come azione per la tutela di un valore preminente, oltre a quello, tradizionale, della salvezza della nave. Si tratta dell’ambiente marino, un bene ad ampio spettro, comprendente una varietà di risorse non sempre  riproducibili e quindi ancora più prezioso. La trama argomentativa, che corona anni di studi e di ricerche, e che giustifica, in chiave sistematica, il ritrovamento ed il ricupero dei relitti nell’unico istituto del Salvage, trova motivato sviluppo in tutto il corpus del volume e suggello nella parte conclusiva .

Ma procediamo con ordine per meglio inquadrare il pensiero dell’Autore.

Nel caso del soccorso, convergono svariati istituti di diritto marittimo e l’interprete si trova di fronte a fonti, sia di diritto interno sia di diritto uniforme. La modalità di funzionamento di quest’ultimo (diritto uniforme ) è però assolutamente particolare (anche rispetto alla previgente Conv. di Bruxelles del 1910). Alludo alla International  Convention on Salvage di Londra del 1989 sul soccorso in acqua (cosiddetta Salvage), in vigore in Italia dal 1996, che “ha rivoluzionato” il precedente regime giuridico, per cui essa“è divenuta la lex fori nel nostro Paese e (…) gli articoli del codice della navigazione sull’assistenza e salvataggio si applicano solo in funzione integratrice”, salvo casi, marginali, di ultravigenza della normativa codicistica.

 

Da questi dati appare già delimitato l’ordito della trattazione in cui  si  dall’intrecciano fonti plurime e di diversa produzione.

La visione si allarga in un orizzonte sempre più ampio che, dopo le note introduttive del primo capitolo, si sposta, nel secondo, verso la tutela dell’ambiente marino: argomento che opportunamente si inserisce  nella parte iniziale  poiché è proprio il profilo della salvaguardia delle risorse quello che presiede ad altri istituti.

In perfetta coerenza con lo schema prescelto segue il terzo capitolo, sui limiti d’applicazione della Convenzione di Londra e sull’ ultravigenza della normativa del codice della navigazione: disanima, questa, di non lieve importanza, se si considera di quale ausilio si riveli ai fini dell’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale.

Molto interessanti, in questa tranche del lavoro alcune considerazioni, in parte già avviate nelle osservazioni introduttive (16- 19), in cui l’A., a proposito del tradizionale principio della gratuità del salvataggio delle vite umane (art. 493 c. nav., nel testo non ancora emendato dalla recente riforma del 2006), osserva come questo deve  trovare un punto di forza “nell’inammissibilità di un vantaggio sostanzialmente ingiusto da parte di altri”, con ovvia allusione agli assicuratori. Costoro, infatti, ne trarrebbero vantaggio senza nulla dovere in cambio al salvatore. E questa osservazione  è  ancor più significativa ove si guardi al nuovo testo dell’art. 493 c. nav, nel quale risulta discutibilmente  abrogato il previgente comma 1, che stabiliva il diritto al rimborso delle spese ed al ris. danni subiti dal salvatore per la sua opera meritoria “nei casi e nei limiti in cui l’ammontare relativo sia coperto da assicurazione”. L’avere abrogato questa previsione normativa significa togliere al salvatore il diritto al risarcimento dei danni subiti durante il salvataggio con indebito arricchimento dell’assicuratore, esonerato dalla sua obbligazione a spese di colui il quale ha salvato una vita umana. Una soluzione contraria a quel principio “di equità e giustizia” sottolineato dal Prof. Camarda.

 Su questa linea si prosegue dedicando i capitoli 4, 5 e 6, rispettivamente all’oggetto del soccorso, nave ed altre properties, relitti inclusi; ai soggetti attivi, soccorritori, con particolare cura ai rapporti tra comandante, armatore e proprietario della nave soccorritrice; ed infine  ai soggetti passivi dell’attività di soccorso, comandante, armatore, proprietario della nave e delle cose salvate . L’esposizione non segue però lo schema tradizionale, ma tiene conto contemporaneamente delle posizioni giuridiche delle navi coinvolte, dei diritti e doveri delle parti, dei poteri delle autorità marittime e della tutela dell’ambiente, punto nodale della Convenzione di Londra.

 Le operazioni di soccorso e le varie tipologie di soccorso”esaminate nel VII capitolo costituiscono tema di sicura rilevanza, poiché in esso l’A. coglie le complesse operazioni che caratterizzano questa delicata fase del Salvage, sottolineando il momento iniziale dell’attività, “che non coincide necessariamente con il raggiungimento del luogo del soccorso” (141): osservazione  puntuale ove si rammenti che è da quando il soccorritore devia dalla rotta che vanno calcolate le relative spese, pur con la precisazione che “deve sussistere un nesso di causalità tra l’attività di quel soccorritore ed il risultato finale” (142).

Infatti, in caso di soccorso portato da più navi, esse si trovano a partecipare “all’alea di un eventuale insuccesso e quindi del mancato guadagno”, con relativa critica a quelle (datate) decisioni che avevano ritenuto come il semplice stazionamento di navi specializzate sul luogo del sinistro potesse addirittura assurgere al ruolo di “partecipazione attiva” per l’equipaggio della nave soccorsa (150). Le “navi inermi”non hanno esercitato alcuna efficienza causale rispetto al risultato utile allorquando la nave si trae d’impaccio da se o è salvata da altro soccorritore e giustamente e l’A. esclude a queste fattispecie qualsiasi rilevanza giuridica.

 Su queste basi sono poi approfondite le varie ipotesi di soccorso: non contrattuale (spontaneo), con richiami al principio della ragionevolezza del rifiuto opposto dal comandante della nave in pericolo; obbligatorio, con non meno importanti richiami alla voluntariness, esclusa quando il soccorso è portato da un apparato dello Stato (es. vigili del fuoco) nell’esercizio dei suoi compiti istituzionali, o quando, secondo l’interpretazione  dell’art. 17 Conv., il contratto di soccorso era stato precauzionalmente stipulato (es. nave con carico pericoloso scortata da apposite navi capaci di neutralizzare il rischio), in una fase antecedente allo stato di pericolo.

Ampiamente trattato il soccorso per ordine dell’autorità, con interessanti confronti ed opportune distinzioni tra la previgente Convenzione di Bruxelles, la convenzione di Londra ed il codice della navigazione

Il capitolo VIII verte sul Soccorso contrattuale. Individuati i soggetti legittimati a stipulare il contratto di soccorso, le cause di invalidità del contratto, le ipotesi di adempimento inesatto o parziale, l’A. approda ad una puntuale esame dei formulari, e specialmente del più diffuso tra essi, ossia il LOF 2000 (e clausole in esso incorporate: Scopic, LLSA ed Arbitration Clause).

 

Particolare interesse suscita il IX capitolo, sul Risultato utile e la remunerazione, che inizia con l’approfondimento dell’art. 12 Conv., referente normativo essenziale ai fini di determinare l’ eventuale rimunerazione per l’attività prestata da parte del soccorritore. Ed è questo argomento di grande impegno, poiché la Salvage, come abbiamo avuto modo di osservare, dedica diverse disposizioni sulle attività volte alla difesa del patrimonio marino, che il salvor deve preservare. Si passa poi all’esame dei singoli criteri che determinano l’ammontare del compenso (art. 13), in una logica di proficuo confronto tra la Conv. Salvage ed il diritto interno, ma sempre tenendo in debito conto i contributi di dottrina e di giurisprudenza elaborati negli ordinamenti di civil law e di common law.

Consequenziale il passaggio all’Indennità speciale, cap. X, previsto dalla Convenzione di Londra. Ricordati i lavori preparatori, l’A. commenta la più discussa  tra le norme della  Convenzione di Londra , ossia l’art. 14 sulla special indemnity, introdotta a parziale correttivo del tradizionale principio “no cure no pay”, allo scopo di incoraggiare operazioni ad alto rischio e con limitate possibilità di successo. Essa  regola l’ipotesi in cui una nave “per se stessa o per il suo carico minacciava di danneggiare l’ambiente”(art. 16.2), ed è quantificata in una somma pari alle “spese ragionevolmente impegnate ”per le attività di assistenza, ma con l’aggiunta di “un equo compenso per i mezzi ed il personale ragionevolmente utilizzati ”(art.14.3). Questa somma è dovuta al salvor  dal proprietario della nave assistita, se eccede la rimunerazione ordinaria di cui all’art. 13, per un importo almeno uguale alla indennità speciale (art. 14.4.). Tale  indennità può essere aumentata sino al 30%, ma  se il soccorritore ha “prevenuto o limitato danni all’ambiente”, l’indennità speciale potrà essere aumentata giudizialmente sino al 100% . Per converso, se il salvor si è dimostrato negligente e non è riuscito nell’intento di limitare i danni all’ambiente, può essere privato di tutto o di parte della indennità speciale (art. 14. 5).  Si può comprendere quanto singolare possa rivelarsi questo delicato congegno, che vede innestarsi, nella stessa vicenda (soccorso), elementi eterogenei ed apparentemente distanti: da un lato l’assistenza alla nave in pericolo, dall’altro la tutela dell’ambiente, che si inserisce quasi dall’esterno nel soccorso, ma senza essere estraneo all’interesse di nave in pericolo e soccorritore. La tutela dell’ambiente, infatti, influenza entrambe le parti, altrimenti il proprietario della nave soccorsa è chiamato a risarcirlo, mentre il salvor perde l’indennità speciale.

 Il capitolo è denso, per i continui collegamenti tra l’art. 14 e le  altre disposizioni che qualificano il risultato “utile”, nelle sue varie graduazioni, in combinazione con agli altri parametri ( sforzi, difficoltà dei soccorritori ecc) di cui al precedente capitolo, che influenzano il conteggio del calcolo sul  quantum dovuto a titolo di indennità. E non è difficile intuire lo sforzo di sottile interpretazione cui deve cimentarsi il giurista in una materia la cui  complessità è dimostrata, tra l’altro, dalle discusse pronunce sul famoso caso  Nagasaki Spirit, al quale  è dato ampio spazio.

L’XI capitolo,I diritti di garanzia ad esercizio delle azioni”, verte sui privilegi: si apre con interessanti considerazioni di diritto comparato in riferimento al diritto di ritenzione (art. 20 Conv.), sugli obblighi di fornire garanzia e sulle conseguenze della mancata prestazione e sul pagamento della provvisionale.

 

 A questo punto, ed in un’ottica tradizionale, il volume potrebbe dirsi  concluso, se l’A., tratte le fila del Salvage, non avesse coinvolto nel Suo lavoro una completa disanima dell’istituto anche sotto il profilo del ricupero e del ritrovamento dei relitti, solitamente trattati in modo distinto ed ai margini del soccorso. Non così nella più ampia prospettiva prescelta dall’A., cui ho accennato in apertura di questa presentazione. Ciò non ai fini di una mera costruzione  classificatoria, ma in una  visione allargata della problematica, volta anche alla protezione ed alla difesa del patrimonio che ben si armonizza con tutto il contesto dell’opera.

L’unificazione si  spiega col fatto che la Salvage ha di mira la tutela dell’ambiente marino, e sotto quest’ultimo profilo la protezione dei beni ritrovati o da ricuperare implica un accostamento con gli istituti dell’assistenza e del salvataggio: accostamento che nella logica atomistica del codice della navigazione non poteva trovare adeguato sviluppo, essendo le problematiche della difesa dell’ambiente di là da venire.

 Su questa linea, allora, si pone il problema della definizione di relitto, quale trait d’union tra istituti diversi, e trattati dal cod. nav. e dalla prevalente dottrina separatamente.

Si tratta di punto cardine dell’elaborazione dell’A, secondo cui il ricupero ha il suo presupposto nel concetto di relitto,che, in mancanza di esplicita definizione legislativa, deve intendersi quel bene che abbia perso “nei suoi elementi essenziali le caratteristiche richieste dall’art. 136” (353). Con l’avvertenza, soggiunge l’A., che non rileva l’abbandono del mezzo nautico per affermare la trasformazione della nave in relitto, richiedendosi altrimenti una non agevole indagine sull’elemento psicologico (354). Alcune norme del c. nav., sul ricupero di relitti, sopravvivono allora in funzione integrativa del regime Convenzionale. Il richiamo è all’art. 502 c. nav., sugli obblighi del ricuperatore spontaneo, che non può sospendere le operazioni senza “giustificato motivo” o alle minuziose norme regolamentari sul rilascio dell’autorizzazione, da parte dell’Autorità marittima per iniziare le operazioni (v. art.450 reg. nav. mar.), ovvero alla facoltà di questa di provvedervi direttamente (art. 507 c. nav.), e fatta salva la “custodia e vendita delle cosa ricuperate” ex art. 508 c. nav. Il subentro del proprietario previsto dal codice della navigazione  non collide con l’istituto della dismission, tipico del Salvage, ma può essere negato “per deficienze tecniche”, ovvero quando si profili un possibile danno all’ambiente (art. 8.1b e8.2 b) o alla salvor’s misconduct (art. 18). La normativa italiana è caratterizzata da quella “officiosità” che fornisce a tutte le parti “puntuali garanzie del rispetto di principi che si rinvengono” nella Salvage, ma deve  disapplicarsi in materia di rimborsi e compensi in considerazione della nuova dettagliata disciplina contenuta nella Convenzione di Londra.

Quanto al ritrovamento di relitti si ribadisce che la differenza col ricupero poggia sulla casualità dell’avvistamento, in contrapposto alla volontarietà della ricerca che caratterizza il secondo. Possono verificarsi ipotesi “al confine”tra i due istituti: se il pescatore issa a bordo della sua barca la statuetta antica impigliatasi nella reti non vi è dubbio che si tratti ci semplice ritrovamento, ma ove si rendano necessarie energie supplementari e particolari accorgimenti per l’apprensione della res, al linea di demarcazione col ricupero diviene labile “e l’approccio unitario della disciplina elimina l’incertezza ” (372).  È comunque confermata la vigenza (rilevante anche a fini pubblicistici ) dell’art. 510 c. nav., e dell’art. 511 c. nav., sulla custodia e vendita delle cose ritrovate, con al doverosa precisazione che il comma 2 della norma da ultimo citata deve inquadrarsi nella tutela del patrimonio culturale.

È poi da aggiungere, a chiusura del cerchio, che l’auspicabile entrata in vigore della Convenzione UNESCO del 2001 sul patrimonio culturale subacqueo (XIV ed ultimo capitolo), produrrà, quale positivo effetto, l’inquadramento di taluni beni,  in senso lato di carattere storico archeologico paleontologico, in una categoria e sé, speciale e diversa dai relitti tradizionalmente intesi, al riparo da spregiudicate attività di apprensione a fini speculativi. Un vero e proprio “salvataggio” di quelle res, la cui incommerciabilità è a più riprese ribadita dal Prof. Camarda, in una moderna concezione, sempre più sensibile alla salvaguardia di un patrimonio comune che rifugge il saccheggio dei siti sottomarini. Questi, in un futuro che appare sempre più prossimo potranno essere, grazie alla diffusione  di nuove tecnologie, più facilmente visitati, esplorati e studiati, a beneficio di tutti.

 

Ho cercato di riassumere i punti salienti di questa  opera del Prof. Camarda, che preclude a riflessioni e ad approfondimenti, e tanti argomenti ho dovuto tralasciare per ovvi motivi di tempo. Ma non posso omettere, alla fine, di notare che con questo libro la dottrina navigazionistica, e non solo italiana, ha fatto un passo in avanti.




* Si riporta di seguito il testo della presentazione del volume, svolta a Palermo il 17 febbraio 2007.

** Professore ordinario di diritto dei trasporti presso l'Università degli studi "Magna Graecia" di Catanzaro.

 

Data di pubblicazione: 16 luglio 2007.